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Uomini che vale la pena di ricordare...e carriere costruite sulla servitu' !

 I professori che dissero "NO" al Duce (di S. Fiori, estratto da La Repubblica, 23.4.2000)

"Sublimato all'un per mille", titolò sprezzantemente un giornale d'obbedienza littoria. Gli esiti del giuramento di fedeltà al fascismo - imposto ai professori universitari nel 1931 dalla regia di Giovanni Gentile - furono per Mussolini assai lusinghieri. Seppure sotto ricatto, su oltre milleduecento accademici, soltanto dodici opposero un rifiuto. Sopra questi isolati viaggiatori che attraversarono la terra del no è scesa per settant'anni una nebbia densa di rimozione e imbarazzo. Come se l'insidioso orizzonte da loro - soltanto da loro - varcato rimarcasse l'ipocrisia, la fragilità, lo spirito di accomodamento, anche la pavidità di cui diede prova larghissima parte degli intellettuali italiani.

Ora quell' "un per mille" deprecato dalla stampa fascista dell'epoca - e utilizzato ora strumentalmente da alcuni giornali di destra che vorrebbero così dimostrare il radicamento del fascismo nella cultura - è al centro di due saggi che escono curiosamente quasi in contemporanea.
Sbaglia chi cercasse tra gli irriducibili dei "pericolosi sovversivi". Gli accademici più a sinistra seguirono il consiglio di Togliatti, che invitò i compagni professori a prestare giuramento. Mantenendo la cattedra, avrebbero potuto svolgere "un'opera estremamente utile per il partito e per la causa dell'antifascismo" (così Concetto Marchesi motivò a Musatti la sua scelta di firmare). Anche Benedetto Croce, stella polare dell'antifascismo, incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi Einaudi a rimanere all'università, "per continuare il filo dell'insegnamento secondo l'idea di libertà". Ci si mise anche il papa, Pio XI, che su idea di padre Gemelli elaborò un escamotage per i docenti cattolici: giurate, ma con riserva interiore.

Nonostante questa ciambella di salvataggio, gettata dall'influente troika, un'eroica minoranza disse di no. Nella minuscola schiera figurano tre giuristi (Francesco ed Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto), un orientalista (Giorgio Levi Della Vida), uno storico dell'antichità (Gaetano De Sanctis), un teologo (Ernesto Buonaiuti), un matematico (Vito Volterra), un chirurgo (Bartolo Nigrisoli), un antropologo (Marco Carrara), uno storico dell'arte (Lionello Venturi), un chimico (Giorgio Errera) e uno studioso di filosofia (Piero Martinetti). "Nessun professore di storia contemporanea, nessun professore di italiano, nessuno di coloro che in passato s'erano vantati di essere socialisti aveva sacrificato lo stipendio alle convinzioni così baldanzosamente esibite in tempi di bonaccia", lamentò l'esule Salvemini, il più sanguigno tra i censori dei firmatari.

Le conseguenze non erano da poco: perdita della cattedra, una pensione al minimo, persecuzioni, divieti, una vigilanza stretta e oppressiva.

Al lettore di oggi il loro gesto ribelle - motivato da tutti con sobrietà - appare quasi epico. Specie se raffrontato alla genuflessione dei loro colleghi. Tra coloro che giurarono fedeltà al duce figura il meglio della cultura antifascista, da Guido De Ruggiero ad Adolfo Omodeo, da Federico Chabod a Giuseppe Lombardo Radice, da Gioele Solari ad Arturo Carlo Jemolo, da Piero Calamandrei al mitico Giuseppe Levi. Alcuni erano persuasi che la battaglia antifascista andasse condotta dall'interno, ma per larga parte agiva il timore della miseria. Lo storico Goetz è abile nel registrare i contrastanti moti dell'animo, rivelando risvolti inediti. Ecco Lombardo Radice "con la folta barba bianca bagnata dalle lacrime" mentre confessa a De Sanctis: "Coprirò di vergogna tutta la mia opera di scrittore e di pensatore, ma non posso mettere sul lastrico i miei figlioli giovinetti". Anche Omodeo si lacera fino al pianto "al pensiero che non sarebbe stato più in grado di pagare gli studi ai figli". Arturo Carlo Jemolo rivelerà, quarant'anni più tardi, che la paura della povertà lo spaventava più della guerra. "Ciò nonostante", annota Goetz, "non cessò mai di rammaricarsi". Calamandrei firmò perché considerava l'insegnamento "il suo posto di combattimento", ma quella sottomissione gli costerà "l'animo straziato".

Alla metà degli anni Sessanta, a favore alla piccola schiera di irriducibili, ci fu chi diede battaglia, proponendo che i loro nomi fossero scolpiti sui muri delle università italiane. Si chiamava Ignazio Silone, e chissà cosa passava per la sua mente.

A proposito del saggio di Goetz sugli insegnanti che non sottoscrissero l'adesione al fascismo

Domenica 16 aprile nelle pagine della Cultura di Repubblica è uscito un articolo di Simonetta Fiori intitolato "I professori che dissero no a Mussolini". A proposito di quell'articolo sono giunte tre lettere, che qui pubblichiamo: una degli eredi di Giuseppe Antonio Borgese, un'altra del nipote di Errico Presutti e un'altra ancora di Jader Jacobelli

Caro Direttore, nel prendere visione del libro di Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, recensito su la Repubblica da Simonetta Fiori, abbiamo constatato con stupore che Giuseppe Antonio Borgese non figura tra i professori che rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista. È accertato che Borgese, in missione negli Stati Uniti, al momento dell'imposizione del giuramento nel 1931, non riprese servizio all'Università di Milano dove era ordinario di Estetica. La sua decisione di non rientrare in Italia fu motivata proprio dal rifiuto di prestare giuramento, come risulta da due lettere scritte dagli Stati Uniti a Mussolini nel 1933, nelle quali motivava il suo no al fascismo (pubblicate due anni dopo a Parigi sui Quaderni di Giustizia e Libertà). Borgese comunicò inoltre la sua decisione in una lettera al Rettore dell'Università di Milano in data 18 ottobre 1934: "Prego la S.V. di voler prendere nota che io non ho prestato, né mi propongo di prestare, il giuramento fascista prescritto ai professori universitari".
Sappiamo che Goetz si è occupato della posizione di Borgese rispetto al fascismo e al giuramento dei professori in un articolo del 1980, apparso sulla rivista dell'Istituto Storico Germanico di Roma. Anche per questo ci sorprende che nel libro di Goetz, pubblicato in Germania nel 1993, Borgese sia completamente ignorato. Ci sembra che l'omissione di una verità accertata e riconosciuta dai maggiori storici del fascismo sia grave e che nessun atteggiamento critico nei confronti di Borgese possa giustificarla.
Elisabeth Mann Borgese
Nica Borgese
Giovanna Borgese

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Caro direttore, sono rimasto molto sorpreso nel constatare che nel volume di Helmut Goetz, accuratamente recensito da Simonetta Fiori, non si fa alcun cenno a proposito di mio nonno Errico Presutti, professore di Diritto amministrativo e di Diritto costituzionale a Napoli fino all'avvento del fascismo, dichiarato decaduto dalla Cattedra universitaria per essersi rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al regime. Errico Presutti fu Sindaco di Napoli nel 1917 e deputato per due legislature nel 1921 e nel 1926; fece parte dell' Aventino e fu quindi dichiarato decaduto dal mandato parlamentare; fu fin dall'inizio profondamente antifascista e lottò contro il regime insieme a Giovanni Amendola e a Roberto Bracco; il regime gli impedì, di fatto, di esercitare persino la professione legale nella quale era maestro. Pur essendo stato colpito da una paralisi totale che forzatamente lo estraniò dalla lotta politica e da qualsiasi attività, nel 1944 il Comando militare alleato, su proposta della Università di Napoli, gli conferì il titolo di Professore Emerito e successivamente il Ministro dell'educazione nazionale, De Ruggiero, lo reintegrò nella Cattedra universitaria a vita. Infine, a riconoscimento dei sacrifici sopportati nella sua opposizione al fascismo, venne eletto all'Assemblea costituente, alle cui sedute non poté mai partecipare per le sue condizioni di salute. Morì nel 1949 e le tappe della sua vita, che per obbligo di verità storica ho fin qui ricordato, vennero ripercorse alla Camera dei deputati nella commemorazione tenuta dall'on. La Rocca nella seduta del 26 luglio 1949.
Cordiali saluti.
Stefano Maria Cicconetti.

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Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.