Simonetta Costanzo
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Terroristi e kamikaze: psicodinamica di una perversione |
KAMIKAZE O NO? Per quanto concerne, invece, il comportamento tenuto dai nuclei speciali del terrore islamico, la questione deve essere valutata sotto un diverso profilo e va considerata la differenza che c'è tra chi considera la vita un fine e chi considera la vita subordinata ad un fine, cioè tra quelli che agiscono come i Deci o i kamikaze e gli attentatori suicidi di Manhattan, i loro emuli e gli altri tutti terroristi suicidi islamici. Dice Ahmed Yassin, lo sceicco paraplegico loro padre spirituale, quanto all'attacco di New York che "tra quei martiri ed i nostri martiri passa la stessa differenza che c'è tra il giorno e la notte, tra il cielo e la terra. Loro hanno attaccato cittadini innocenti, persone senza colpa ... azioni di quel tipo vanno contro tutte le regole dell'Islam, contro i principi della nostra religione. I nostri martiri si sacrificano per proteggere il nostro popolo, danno la loro vita per liberare un paese occupato dall'invasione sionista. A New York non c'è nulla di tutto questo". E la condanna di quel gesto e dei suoi autori è unanime in molti capi dell'Islam che si dicono sgomenti e non vedono, in quella tragedia, neppure 1' ombra di Allah. Si afferma che l'Islam dà valore prioritario alla vita, rifiuta il suicidio e l'omicidio e considera musulmani tutti i bambini, anche quelli cattolici, fino all'età della ragione: quindi non può essere mai tollerato l'assassinio soprattutto di giovani vite. In sostanza, nell'Islam nulla può mai giustificare l'eliminazione fisica e, quanto agli uomini-bomba che hanno operato in Palestina, Ali Abu Schwaima, capo del centro islamico di Milano, afferma di pensare trattarsi di persone disperate, di gente ridotta all'ultimo stato esistenziale, di uomini depressi, malati o sconvolti. Gente che non ha più nulla da perdere, da chiedere e che quindi fa un ragionamento di questo tipo: "tu mi hai tolto tutto, mi hai annientato, distrutto, umiliato, tu mi stati uccidendo, ed io mi uccido da solo e porto anche te, mio nemico, nella stessa tomba". Ed invero, nel mondo coranico ad esercitare la funzione di guida sono i "sapienti", poiché il Corano, testo sacro rivelato da Allah al profeta Maometto non prevede alcuna figura trainante e tutte le autorità sono "costruzioni dei musulmani", cioè figure "superiori" con confini di competenze piuttosto labili, tutte nominate dal basso, dal popolo. Non esiste una investitura, è la fama che rende un maomettano Mufti, Imani o Ulema. Non esiste differenza tra diritto religioso e diritto statale negli stati totalmente islamici. In taluni casi sembra siano stati dati responsi favorevoli al suicidio nell'Islam come sembra sia accaduto per Bin Laden cui sembra sia stata accordata tale possibilità, insieme ad alcuni suoi seguaci, nell'interesse dell'Islam. Però, nei paesi dell'Islam, accade spesso che la religione venga usata con finalità politiche o comunque dalle autorità civili per interessi propri. In questa particolare interpretazione, si inserisce il concetto della Jihad, impropriamente definita "guerra santa" che, invece, per il Corano è "lo sforzo sulla via di Dio": e lo sforzo è quello di essere un buon musulmano, la "tensione per raggiungere qualcosa" ed anche, in determinati contesti, la "lotta". Orbene i terroristi suicidi, dunque, stando all'ortodossia della fede, andranno all'inferno. Autorevoli teologi islamici hanno ritenuto che il termine andasse inteso in senso morale e spirituale. L'idea che questo precetto dovesse essere inteso in senso militare, cioè di guerra per convertire gli infedeli, anche se oggi è prevalente, si è imposta poco per volta, venendo l'espressione interpretata come "obbligo del fedele di partecipare alle campagne militari per propagare la fede". Non si tratta, però, di uno dei cinque pilastri della fede bensì di un obbligo che si traduce in dovere solo quando un legittimo governante musulmano chiami 1' appello generale alle armi contro gli infedeli. Chi sdrammatizza 1'antico messaggio lo interpreta come un invito a lottare per convertire un infedele con la propria abilità oratoria, o con la forza del suo esempio, e c'è chi lo considera qualcosa di analogo al fioretto cattolico. Non si può, mai, però, convertire con la forza un aderente ad una delle "fedi del libro" cioè delle fedi che condividono una parte della Rivelazione: cristiani, ebrei, zoroastriani e mandei. Ad essi si potrebbe solo imporre una tassa ed uno stato di cittadini di rango inferiore. La possibilità di essere puniti con la morte sussisterebbe solo nel caso non si pagasse tale tassa. Fin dal 632 il califfo Abu Bakr dettò ai suoi guerrieri un rigorosissimo codice della Jihad dal quale si ricava che non tutti i mezzi sono leciti al musulmano per poter vincere quella guerra, e meno che mai uccidere un bambino, un anziano, una donna (e perfino ammazzare una pecora, una mucca, un cammello se non per nutrizione). Risulta dunque ben chiaro il divieto di attentati che colpiscono i non combattenti, storpino le vittime e distruggano inutilmente proprietà e ricchezze. Quindi, le distruzioni delle torri gemelle sono peccati tali che non potrà mai essere accolto da Allah nel paradiso dei guerrieri chi li ha commessi. Nell'Islam di oggi l'intrecciarsi dell'assenza del principio di laicità e 1' affermarsi di forme di militanza politica radicale, anche molto aggressiva, impone la necessità di domandarsi quanto il sanguinario affacciarsi sulla scena internazionale dell'integralismo islamico dipenda dalla possibilità di trovare musulmani disposti a sacrificare la propria vita per combattere la guerra santa. Oramai, infatti, benché non si possa affermare che l'integralismo sia una caratteristica permanente ed essenziale dell'Islam, è però indubbio che l'Islam è esposta al rischio di tale degenerazione ed assume un valore indicativo quanto il califfo Metin Kaplan, un Imani turco di Colonia, insegnava ai suoi seguaci: "la guerra santa è la giusta risposta al nemico, ogni buon musulmano deve dare il suo contributo sapendo che riceverà in cambio due ricompense bellissime: o la vittoria o il martirio che gli aprirà le porte del paradiso". Un dato inquietante, solo che si consideri come l'addestramento alla Jihad deve cominciare sin da piccoli e le madri svolgono una funzione fondamentale in questa formazione pedagogica. Le donne islamiche hanno da sempre avuto una funzione determinante nella formazione dei futuri eroi kamilaze, l'educazione dei quali deve iniziare prestissimo sin da quando sono infanti, in grado di capire le parole, gli si narreranno le storie del profeta e delle guerre islamiche e gli si insegnerà che nei momenti di rabbia non deve mai colpire un musulmano ma dovrà sfogarsi sui nemici di Allah che combattono contro i musulmani. Le precise regole pedagogiche da seguire, nella convinzione che una delle massime soddisfazioni di una donna islamica sia quella di diventare madre di uno "shiadid", martire per amore di Allah, oggi si trovano perfino su internet in un sito ad hoc facilmente consultabile. Si consiglia, dunque, di costruire un fantoccio nemico insegnando loro a dirigere lì la propria rabbia; la televisione va usata solamente per mostrare ai piccoli video che instilleranno loro amore per l'Islam e la Jihad; video di storia islamica e di addestramento militare; iniziarli al tiro al bersaglio con giocattoli ad hoc, spiegando bene chi dovrebbe essere il loro bersaglio e chi non; fare con loro giochi militari in maniera divertente per renderli interessanti; fare praticare sport mirati all'addestramento del perfetto shiadid, quali le arti marziali, nuoto, tiro con l'arco, gare di orientamento, atletica, sci, guidare diversi veicoli, campeggio e addestramento di sopravvivenza. Sotto il profilo culturale dall'età di due anni dovranno far leggere ai bimbi libri militari illustrati, mostrare loro fotografie di guerrieri islamici e spingerli ad emularli, regalare play station con video giochi militari o di strategia militare e poi, dovranno fare in modo che i figli, diventati grandi, intraprendano professioni adeguate alla Jihad ed al servizio della causa (piloti, scienziati, medici, ingegneri e fisici nucleari, tecnici qualificati). Le donne, inoltre, dovranno impegnarsi a raccogliere fondi in ogni modo, poiché Allah "ha comandato di impegnarsi alla Jihad con se stessi e con le proprie ricchezze". Queste madri non smetteranno mai di sollecitare e sostenere i figli con la preghiera e le parole. E quando tutti i loro insegnamenti andranno a buon fine ed il loro figliolo morirà, organizzeranno un funerale pieno di gioia ove non verranno versate lacrime, poiché la donna che piange per la morte del figlio, fratello, marito, padre è una vergogna agli occhi di Allah, bensì alzerà grida di giubilo e al funerale verrà offerto caffè dolce anziché amaro e lanciati al cielo confetti e caramelle, come ringraziamento alla grande bontà di Allah. E in quel momento saranno felici, perché sapranno che Allah le considererà sorelle privilegiate e degne di rispetto; da quel momento vivranno serene e certe che il loro figliolo, grazie al suo martirio per amore di Allah, grazie al suo sacrificio sarà in paradiso ove "si sposerà con settanta donne dagli occhi castani, potrà chiedere che settanta membri della sua famiglia vengano ammessi anch'essi in paradiso e, infine, si fregerà della corona della Gloria la cui pietra preziosa vale tutto questo mondo". |
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