Alle origini dello Stato eugenetico
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Sapere biopolitico
di Ida Dominijanni
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Per il bene della nazione di
V. Beonio Brocchieri
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"Tutto non è che sifilide!", proclama angosciosamente Des Essaints, il protagonista di A ritroso, manifesto del decadentismo letterario. A dispetto della sua evidente, prorompente vitalità scientifica, tecnologica, economica e imperialistica, la società europea di fine Ottocento è ossessionata dall'idea della corruzione, della malattia, della degenerazione, fisica e morale, individuale e collettiva. Sifilide e tisi sono le malattie più emblematiche di questo sentimento di insicurezza. Malattie infettive, contagiose certo, come i grandi flagelli dell'Europa preindustriale la peste, il vaiolo ma non così clamorosamente pubbliche. La peste e il vaiolo si manifestavano in devastanti esplosioni epidemiche, e se uccidevano lo facevano rapidamente, con manifestazioni esantematiche vistose, bubboni, pustole. La sifilide e la tubercolosi sono malattie endemiche, uccidono lentamente e chi ne soffre o ne ha sofferto non reca su di sé segni così clamorosi. Sono malattie private, che debilitano e consumano le loro vittime nel corso di anni. Sono malattie che uccidono lentamente. Ma sono anche malattie che si prestano ad essere utilizzate come metafore di una corruzione e di una debilitazione più profonda e più nascosta dell'organismo individuale e collettivo. L'idea di un legame tra malattia fisica e morale, della malattia come conseguenza di una colpa e come castigo non è certo nuova. Le pestilenze sono state interpretate come castigo divino per una colpa collettiva, la lebbra come castigo di una colpa personale. Questi flagelli hanno quindi dato luogo a rituali pubblici di espiazione, attraverso i quali la collettività chiedeva perdono per le sue mancanze, o a rituali di separazione, con i quali la collettività isolava il malato-repropo, allontanando da sé il rischio di un contagio tanto fisico quanto spirituale. Per il lebbroso veniva celebrato, da vivo, un rito funebre alla fine del quale viene dichiarato "morto per il mondo". Nell'Europa positivista di fine Ottocento questo nesso si trasforma ma non viene meno. Sifilide e tisi sono malattie che portano con sé una colpa o, quanto meno rivelano una debolezza. Evidente il nesso nel caso della sifilide, malattia trasmessa attraverso i rapporti sessuali. Ma anche la tisi svela una fragilità intima, celata. È il segno che rivela una mancanza invisibile di forza vitale, una vulnerabilità, una inadeguatezza profonda che naturalmente può essere rovesciata in positivo, interpretata come particolare sensibilità, senza però perdere del tutto la sua valenza morale negativa. In una civiltà dominata dall'idea della concorrenza e della lotta fra individui, imprese, classi, stati e razze, chi soccombe è sempre un po' colpevole. Il tema della degenerazione getta un ponte fra malattia individuale e piaga sociale, fra ambito morale e ambito biologico. La degenerazione è avvertita come una minaccia nuova, legata agli straordinari mutamenti sociali in corso. I nascenti agglomerati industriali, con le loro spaventose condizioni igieniche e abitative, sono i focolai dai quali si diffondo nuovi e vecchi contagi: «Furono gli uomini coperti di stracci scrive Louis Blanc nel 1850, riferendosi ad un'epidemia di colera che diedero il via a questa orribile marcia di Parigi verso la morte». I quartieri operai e artigiani non sono solo il focolaio di rivolte e rivoluzioni ma anche di infezioni e contagi. Le "classes dangereuses" sono tali anche in virtù della loro infettività. Del resto nel corso del secolo seguente, la minaccia sovversiva e rivoluzionaria sarà spesso espressa in termini medici. "Il contagio rivoluzionario" richiederà "cordoni sanitari" appropriati. Occorre quindi che, in nome dell'ordine come dell'igiene, i pubblici poteri si facciano carico del risanamento dei quartieri popolari, della loro bonifica sanitaria, premessa necessaria a una loro messa in sicurezza sociale. Il contagio è dunque una minaccia costante, che esige una sorveglianza continua ma anche una mobilitazione capillare della popolazione. In questa mobilitazione anche le donne sono in prima linea. "È sulle donne proclama negli anni Ottanta dell'Ottocento il presidente dell'associazione dei medici inglesi che deve scendere tutta la luce delle conoscenze sanitarie. Avere la salute in casa significa averla ovunque; essa non risiede altrove... le donne conoscono ogni angolo dell'abitazione e le speranze del medico si affidano alla loro, conoscenza, saggezza e abilità". Il contagio, biologico o politico, sotto la forma di un'esplosione 'epidemica' rivoluzionaria, continua a far paura. Desta però in fondo meno inquietudine di quella che viene percepita come una lenta, insidiosa, forse irreversibile, degenerazione interna dell'organismo sociale. Almeno in Occidente le malattie infettive, prodotte dall'aggressione di un agente patogeno esterno, lasciano il posto alle malattie degenerative. «Il decadimento della forza sanguigna scriveva Michelet preparato da lunga data è un fatto dei nostri tempi». In questa immagine di decadimento, di degenerazione, il morale e il sociale si affiancano al biologico. Tra i flagelli che affliggono soprattutto i ceti popolari ma che indeboliscono l'intero corpo sociale, vi sono vere e proprie malattie sifilide, colera, tisi, ma anche la pazzia ma anche le nuove piaghe della società industriale allo stato nascente e della disgregazione sociale e morale che essa porterebbe con sé, come l'alcolismo, che è cosa diversa dall'onnipresente ubriachezza preindustriale, o la promiscuità sessuale, che è cosa diversa dalla tradizionale prostituzione. Il termine degenerazione implica però anche
un'altra minaccia, quella di una trasmissione ereditaria delle tare
individuali, anzi di progressivo amplificarsi, radicarsi di queste
tare nella popolazione. La paura della degenerazione 'industriale'
si innesta sui vecchi timori dello spopolamento, che appare ora non
più come la conseguenza di problemi economici così
era considerato molto realisticamente dagli osservatori del XII e
XVIII secolo - ma come l'esaurimento della forza vitale interna di
un popolo: «Nel 1830 scriveva il fisiologo Le Bon nel
1874 v'erano diecimila pazzi in Francia, ora ve ne sono ottantamila
e questa cifra cresce ogni giorno, mentre al tempo stesso, la crescita
della popolazione diminuisce». Proprio la prospettiva 'degenerativa' obbliga però ad una sorveglianza non solo quantitativa nascite, morti, longevità della riproduzione. Quando un visitatore dei quartieri operai di Lille nel 1860, colpito dall'aspetto miserabile dei suoi abitanti, parla di "un penoso imbastardimento della razza", l'espressione è ancora sostanzialmente generica, rimane nell'ambito della deprecazione dei guasti dell'industrialismo. Già quegli stessi anni però termini come "imbastardimento" e "razza" assumono un significato ben più specifico, più tecnico. Si diffonde un evoluzionismo di senso comune che mescola componenti lamarckiane e darwiane e che favorisce una trasposizione in termini biologici del linguaggio politico. Questo evoluzionismo ibrido, impone una sorveglianza particolarmente attenta dei vizi come l'alcolismo perché pur essendo caratteri acquisiti, sono ritenuti trasmissibili per via ereditaria e quindi le conseguenze si farebbero sentire sulle generazioni future, moltiplicandosi all'infinito. Per questo evoluzionismo volgare la selezione nella razza o nella nazione è la premessa per la sopravvivenza e la vittoria della razza o della nazione nella competizione per lo spazio e le risorse. La contaminazione che si teme non è quindi più solo quella dei microbi, dei batteri e poi dei virus, ma soprattutto quella degli elementi degenerati all'interno della nazione. Elementi che devono essere innanzitutto individuati, con i nuovi strumenti messi a punto dall'antropologia fisica, dalla medicina, dalla criminologia, e poi essere messi in condizione di non nuocere, di non contaminare con la loro riproduzione o con la loro semplice presenza le forze 'sane' della nazione. Naturalmente La preoccupazione per la contaminazione razziale si estendeva, a fortori, agli individui appartenenti alle razze non europee. Questo nuovo attivismo 'biopolitico' delle istituzioni,
questa crescente preoccupazione per la salute della popolazione, è
il rovescio della medaglia dell'intervento crescente dello stato in
sempre nuovi ambiti, dall'istruzione alla previdenza. È significativo
che proprio i paesi scandinavi, all'avanguardia nella costruzione
del welfare, lo siano stati anche nel varo di una legislazione eugenetica.
La legge svedese del 1934, voluta da esponenti socialdemocratici come
Gunnar Myrdal e rimasta in vigore fino agli anni Settanta, prevedeva
ad esempio che «Qualora si possa ritenere che qualcuno - sofferente
di malattia mentale, minorazione mentale o altro squilibrio dell'attività
mentale - sia per tale ragione incapace di assicurare la cura dei
propri figli, o sia destinato a trasmettere ai suoi discendenti in
base alla legge dell'ereditarietà tale malattia mentale o minorazione
mentale, è possibile, secondo la presente legge, intraprendere
la sterilizzazione, laddove questi - a causa delle sue disturbate
funzioni mentali - sia permanentemente incapace di fornire un consenso
valido all'intervento». |
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