CONTRO IL PAESE SEMPLICE
tratto da qui | vedi risposta qui
In un recente discorso alla Confartigianato, il candidato
premier del Partito Democratico ha dichiarato che la sua "ossessione"
è quella di "fare un Paese semplice". La frase riguardava
in particolare la burocrazia, ma nei giorni successivi, ripetuta in
altri contesti, è diventata un vero e proprio slogan: dal Paese
normale di Massimo D'Alema al Paese semplice di Walter Veltroni.
Se interrogate l'oracolo di link Google con la parola "semplicità",
dalle link prime dieci risposte potete distillare questa sintesi:
"C'è un grande bisogno di semplicità. Convivere
con la complessità è solo un'inefficiente e inutile
perdita di tempo, di attenzione e di energia mentale. E' necessaria
una notevole intelligenza per essere semplici. Il pubblico, ormai
saturo di slogan e promesse non mantenute invoca chiarezza e semplicità.
La gioia delle piccole cose."
In un senso o nell'altro, l'ossessione di Veltroni sembra piuttosto
condivisa.
Il mio modesto parere è che all'Italia servirebbe una ricetta
per molti versi opposta: innamorarsi della complessità.
L'aggettivo "semplice" deriva dal latino simplex, formato
dal prefisso sin(e) = senza e dal sostantivo plica = piega, oppure
dalla radice sa- che indica unità (cfr. singolo = piccola unità,
insieme, simultaneo, sempre) e plak- = mescolo, lego, con il significato
etimologico di senza piega, ovvero piegato una volta sola. Si contrappone
quindi da un lato a molteplice (piegato molte volte) e dall'altro
proprio a complesso (cum = insieme + plecto = intreccio, che ha la
stessa radice plak- di plico).
Rispetto all'uso, il Dizionario De Mauro della lingua italiana propone
svariate definizioni:
1. composto di un solo elemento, non mescolato, puro.
2. privo di complessità.
3. privo di ornamenti eccessivi, essenziale, poco raffinato, naturale,
sano.
4. spontaneo, senza malizia, ingenuo.
5. con valore limitativo (s. domanda, soldato s.)
6. erba medicinale
Da subito, quindi, i seguaci del Semplice hanno un
problema: il loro aggettivo prediletto ha una semantica complessa,
molteplice, ambigua.
Che cosa dobbiamo intendere per Paese semplice? Possiamo intendere
un concetto preciso oppure chi usa quel termine allude di fatto a
un'intera galassia di senso?
Nel significato 1, l'idea di Paese semplice ha un vago retrogusto
ariano e di certo contrario alla storia d'Italia, nazione bastarda
e meticcia come poche altre. Con buona pace dei razzisti, il popolo
italiano non esiste, né in senso biologico né come portatore
di una cultura, anche solo per il fatto che la cultura non si porta
e non si ha: la cultura si fa.
Ma il Paese semplice di tipo 1 potrebbe anche essere qualcosa di meno
nazista e di più ecumenico: "formato da un solo elemento"
perché abitato da cittadini tutti uguali. Achtung! Quello dell'uguaglianza
universale è spesso un trucchetto, per poter dire che chi è
diverso non è davvero diverso, è solo più indietro,
manchevole, arretrato. Se non è uguale a noi, arriverà
ad esserlo, diamogli tempo.
"Siamo tutti uguali, le classi sociali non esistono, non sono
mai esistite, erano solo un modo complicato e cattivo di descrivere
la realtà". Il Paese semplice di tipo 1 piacerebbe molto
al Cav. Mussolini Benito e a Papa Ratti (Pio XI).
Il Paese semplice di tipo 3 sarebbe anche auspicabile. Peccato
che a ben guardare si tratti di un paese complesso: chiunque abbia
provato ad abbracciare uno stile di vita più "sano"
e sostenibile, con un impatto ambientale meno devastante, sa che si
tratta di una scelta molto intricata e faticosa.
Semplicità volontaria è la traduzione italiana del termine
downshifting, ovvero, secondo Wikipedia: "la scelta di giungere
ad una libera, volontaria e consapevole autoriduzione del salario,
bilanciata da un minore impegno in termini di ore dedicate alle attività
professionali, in maniera tale da godere di maggiore tempo libero".
Non vedo come questa semplicità possa essere quella di un paese,
sempre auspicato da Veltroni, che deve aumentare i salari, rilanciare
i consumi e "spingere l'acceleratore della crescita".
Va tutto benissimo. Il Paese semplice di tipo 4 potrebbe contrapporsi
a quello dei furbi, e non sarebbe male. Tuttavia, credo sarebbe ancora
meglio tenersi la malizia e buttare a mare i furbetti.
Il Paese semplice di tipo 5 esiste già. Limitato, ghettizzato
e provinciale: ne abbiamo già scritto abbastanza.
Il Paese semplice di tipo 6 dipende dall'erba in questione.
Nel caso dell'Italia, si direbbe la coca, l'unico acceleratore della
crescita che ancora funzioni. Ma la coca dà anche molte complicazioni.
Se si vuole un paese semplice, che non fa una piega, un paese di link
sedotti e sedati, patria di un fascismo zen non autoritario, meglio
usare la valeriana.
Arriviamo al significato 2, il più immediato: gli accoliti
del Semplice sembrano preferirlo.
Spesso tirano in ballo la scienza e la sua predilezione per le spiegazioni
più semplici e lineari. Già settecento anni fa Guglielmo
da Occam raccomandava che link "Pluralitas non est ponenda sive
necessitate". Io sono laureato in logica: conosco il piacere
anche estetico di dimostrare in due passaggi quello che altri hanno
ottenuto con pagine di simboli. Ma scienza e logica sono soltanto
una parte, una piccola parte, della nostra vita. Una spiegazione semplice
è sempre meglio di una complessa, ma a patto che renda conto
degli stessi fenomeni, nessuno escluso. Una soluzione semplice non
è sempre meglio di una complessa. Tutto dipende da cosa si
vuol risolvere, e a che prezzo. Nel Paese semplice di Veltroni sarà
possibile fare "un'impresa in un giorno". E magari due morti
bianche ogni ora, per non complicarsi la vita.
Si possono usare parole semplici, frasi semplicissime, ma se una realtà
è complessa non si può descriverla in due battute rapide
prima dello stacco pubblicitario. I catecumeni della semplicità
si lamentano delle troppe complicazioni, ma a me pare che in Italia
vada di moda l'esatto contrario: siamo un paese ancora all'inseguimento
del mainstream, convinti che la "gente a casa" non sia in
grado di seguire tre concetti in fila, sorpresi dal successo di libri
"difficili", con argomenti "tosti".
Noi stessi, come cantastorie, ci siamo spesso definiti "riduttori
creativi di complessità", ma tutto sta nello spirito con
cui si opera la riduzione. John Maeda sostiene che per raggiungere
la semplicità bisogna "sottrarre l'ovvio e aggiungere
il significativo". Più che una definizione è uno
scaricabarile: che cos'è ovvio? Che cos'è significativo?
Un libretto di istruzioni ben fatto è privo di ridondanze,
ogni riga è efficace e informativa. Peccato che la realtà
non sia un aspirapolvere. La u dopo la q non dice niente di nuovo,
eppure in italiano scriviamo così. Amare la complessità
significa interrogarsi sul nome, la storia e gli ingredienti di quello
che ci sta intorno. Se vado in vacanza in montagna, non posso tornare
a casa senza aver mai aperto una mappa dei dintorni. Se vado al mare
in Egitto, non posso mangiare spaghetti per una settimana. Amare la
complessità non significa complicarsi la vita, come facevano
Aldo, Giovanni e Giacomo quando davano un nome sardo a ogni foglia,
a ogni goccia di pioggia. Le foglie si chiamano foglie, ma un albero
può chiamarsi faggio, quercia, ulivo, ontano, sicomoro.
Il Paese semplice rischia di essere il paese delle rane bollite. Se
ne parla più sotto, proprio a proposito della mentalità
del ghetto: se metti una rana nell'acqua bollente, salta via (o forse:
muore all'istante). Se la metti nell'acqua fredda e aumenti la temperatura
poco per volta, si lascia bollire senza scappare.
Meglio di così non potrebbe andare. La rana bollita odia la
complessità. Vuole concetti chiari, precisi, senza sfumature.
O l'acqua è calda oppure l'acqua è fredda, punto.
Allora tu la metti in guardia: "Occhio che adesso alzo la temperatura".
Ma lei non sente la differenza. Tu allora la avverti di nuovo: "Attenta
che la alzo di altri 0,05 gradi". Lei non sente niente. Tu vorresti
avvertirla ancora, ma lei ti blocca. Che fastidio tutti questi avvisi.
Che inutile complicazione. "Aumenterai la temperatura sempre
di 0,05 gradi?", ti chiede. Rispondi che è così.
Bene, pensa la rana. E' evidente che aumenti del genere non fanno
alcuna differenza. L'acqua resterà sempre fredda, cioè
ospitale. "Non seccarmi più", ti dice la rana, "adesso
voglio dormire in pace".
In pace. In una pentola di acqua semplice, senza increspature e senza
pieghe. Perché le pieghe fanno paura, nascondono mostri, e
in fondo il famigerato bisogno di sicurezza è solo un altro
nome per il bisogno di semplicità. Non a caso colpisce ovunque:
anche nei quartieri più tranquilli, perché in realtà
l'insicurezza non nasce dal crimine, ma dall'odio per la complessità.
L'evoluzione ci mette 50 millenni a selezionare la specie adatta per
un determinato ambiente. I nostri cervelli saranno "adatti"
a questo mondo nel 52008, anno più, anno meno. Al momento,
cercano di barcamenarsi con quello che hanno, ed è naturale
che la complessità li infastidisca.
Ma soltanto amandola è possibile ridurla senza tradirla.
Soltanto un paese che ama la complessità può evolversi
e vedere il futuro. [WM2]
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