SOMMARIO:
- Dai
Sessanta agli Ottanta: in attesa del terzo millennio
- Gli
anni Settanta: apprendisti stregoni, naufraghi e api operaie
- Gli
anni Ottanta, ovvero la transizione continua
- L’Occidente
come "museo delle cere": la soffitta e il frigorifero Il cubo
di Rubik, il labirinto e la confusione
- Enciclopedia,
supermarket e superfluità Bisogni e risorse possono incontrarsi:
dipende da chi sarà il capostazione E la Psicologia?
1. Dai
Sessanta agli Ottanta: in attesa del terzo millennio
Gli
anni Sessanta sono di gran moda, ma non è solo una questione
di nostalgia degli attuali dirigenti verso un’epoca nella quale sognavano
Katherine Spaak. La mia idea è che gli anni Sessanta abbiano
rappresentato, per il mondo occidentale, il vertice più alto
di una curva: essi sono stati insieme vetta di un processo e punto
di svolta per un altro.
Il
processo, la vetta del quale è stata raggiunta nei primi anni
Sessanta, è quello che è stato definito come società
industriale moderna. Un processo durato quasi due secoli e che ha
visto il progressivo sviluppo dell’impresa industriale, fino ai giganti
multinazionali. In termini culturali possiamo riconoscere che fino
ai primi Anni Sessanta il mondo occidentale era organizzato secondo
una logica "gerarchizzata". In vetta l’idea di Futuro e di Progresso
Illimitato; subito dopo il Potere del Capitale e dell’Impresa (da
una parte) e del Lavoro (dall’altra); poi il resto, ai gradini inferiori,
con in fondo, sotto a tutto, il Soggetto. Questo era sottomesso dal
Progresso, dal Futuro, dall’Impresa, dal Lavoro, dalla Ideologia e
dal Partito, dalle Istituzioni.
Un
processo iniziato nel Settecento come anti-aristocratico, aveva attraversato
via via la fase liberale, poi quella borghese, quella capitalista,
quella statalista e quella assolutista; fino ad arrivare, nel secondo
dopoguerra, a quella "rarefazione del totalitario" che era il Sistema
Industriale, Capitalistico, Multinazionale. Quella che era definita
come Democrazia post-bellica, nelle parole e nelle intenzioni ideali,
era in realtà una sorta di totalitarismo impersonale, astratto,
massimamente repressivo della Soggettività, cioè dell’Uomo
e dei suoi bisogni.
Una
simile contraddizione non poteva non essere messa in luce e passata
al vaglio della critica. Praticamente su ogni fronte della cultura
e della ricerca, in campo cattolico come in campo liberale o marxista,
si è evidenziata una enorme riflessione di portata rivoluzionaria:
la riflessione sul Soggetto, e le sue dimensioni peculiari, cioè
il tempo, lo spazio ed il valore. i~ negli Anni Sessanta che ci si
è cominciati ad interrogare a livelli di massa sul "COSA FARE",
per tradurre in pratica i valori della democrazia, cioè dell’uomo.
In
questo senso si è operata una svolta cruciale. Il mondo occidentale
si è messo a ripensare all’uomo prima di tutto in termini di
tempo: alla logica del Futuro è subentrata un’attenzione al
PRESENTE ("qui ed ora"). Poi in termini di spazio: alla dimensione
solitaria dell’uomo-massa di Riesman, è subentrata l’aspirazione
collettivistica o comunitaria (sia come compagno di lotta sia come
fratello sono riapparsi l’Altro ed il NOI). Infine si è ripensato
all’uomo in termini di valore: dall’uomo come merce si è passati
all’uomo come protagonista. A mio avviso, la gran parte dei guasti
successivi, come dei punti positivi, traggono le loro radici proprio
negli Anni Sessanta. La grande piramide materiale e culturale, perfezionata
in due secoli di esperienze industriali moderne, ha cominciato nei
Sessanta ad incrinarsi per una mutuazione che solo oggi intravediamo.
2. Gli
anni Settanta: apprendisti stregoni, naufraghi e api operaie
I
Sessanta terminano col terremoto di Maggio, in Francia, e d’autunno
in Italia. Le grandi imprese scricchiolano paurosamente, abituate
com’erano a navigare in acque placide. Qualcuna esplode in mille pezzi.
Ma dagli spezzoni fumanti delle gigantesche macchine industriali nascono
le "piccole imprese". Piccolo è bello, e bellissimo
se sommerso.
La
cultura di massa, prima solida e gerarchizzata, esplode anch’essa
in mille pezzi, come nell’ultima scena di "Blow up" di Antognoni.
Di
fronte al terremoto molti si sentono come naufraghi: galleggiano su
relitti, piangono ed imprecano, si isolano, oppure cercano di difendere
all’arma bianca i pochi resti salvati dal mondo passato. La "strategia
della tensione" e i vari progetti di golpe, sono sussulti di naufraghi.
Altri
sono divenuti apprendisti stregoni. Impadronitisi delle arti dei maestri
(buoni e cattivi), fatte proprie le critiche elaborate o riscoperte
nei Sessanta, hanno cercato di fare subito il Nuovo Mondo, ipotizzato
proprio dalla cima della curva dell’evo industriale moderno. Forse
per diventare stregoni ci vuole meno, ma certo per cambiare un mondo
che ha richiesto due secoli per farsi, non bastano due lustri. La
"critica delle armi" ha voluto accelerare la nascita del mondo ipotizzato
con le "armi della critica". Ma gli apprendisti stregoni non hanno
saputo "controllare le acque": e gli anni di piombo hanno bruciato
tanti simboli, insieme a mezza generazione. Intanto però avveniva
qualcosa, malgrado la "scomparsa delle lucciole". Le api operaie,
i cittadini e lavoratori qualunque, hanno continuato a costruire nelle
direzioni indicate negli Anni Sessanta. Partecipazione, conflittualità,
protagonismo, emancipazione, integrazione, animazione: ecco alcune
delle parole messe in luce nei Sessanta, ma nutrite e irrobustite
nei Settanta, fra naufragi e fischi di P38.
Milioni
di uomini si sono misurati coi problemi che la Soggettività,
messa come centro della Storia, poneva nella ristrutturazione del
mondo occidentale. Si sono incontrati e scontrati col decentramento,
politico e produttivo; col conflitto e la mediazione; con le diversità
di tutti i tipi; coi problemi della famiglia e dello Stato; col corpo
e col tempo libero; col lavoro e la crisi energetica. Gli Anni Settanta
sono passati mentre il mondo occidentale ha dovuto, per ogni scelta,
chiedersi "PERCHE’ FARLO". Perché fare una scelta o un’altra.
Nei Sessanta la domanda era "cosa fare" (know what) per realizzare
qualcosa che sembrava ovvio e chiaro; nei Settanta la domanda e diventata
"perché farlo" (know why) se nulla più è
chiaro e condiviso? Perché lavorare, perché votare,
perché studiare, perché sposarsi o divorziare, perché
fare figli, perché vivere? Per fortuna le api operaie, mentre
pensano, lavorano. E mentre si chiedevano tanti laceranti perché,
lentamente e confusamente, hanno realizzato cose che nei Sessanta
si osava appena sognare. Forse appare poco, ma sono loro che hanno
tenuto insieme il mondo in pezzi ed hanno cominciato a ricomporlo
in modo nuovo: con una faccia forse presentabile al terzo millennio.
3. Gli
anni Ottanta, ovvero la transizione continua
Gli Anni Ottanta
non sono la svolta o l’uscita dal famoso tunnel. Semmai sono la fase
adolescenziale del processo di transizione iniziato vent’anni or sono.
Un processo che facilmente non terminerà prima della fine del
secolo. Anche se ogni giorno i gazzettieri annunciano il Nuovo Rinascimento,
e più probabile che ci voglia mezzo secolo per trasformare un
mondo che ha impiegato due secoli a farsi. Gli Ottanta sembrano però
connotati da caratteri del vecchio mondo, lacerazioni degli anni Settanta
e auspici del 21° secolo.Il sistema produttivo prima gigantizzato e
multinazionale (Sessanta), poi miniaturizzato e localistico (Settanta),
ora sembra connotato dalla "complessità" e dalla " articolazione".Grandi
imprese multinazionali e "global competitors" convivono con micro-imprese
specializzatissime o a mercato locale. Qua la produzione si concentra
in macro-strutture, là si discioglie nei mille rivoli del decentramento
territoriale. La forma Stato, dominante nei Sessanta, è stata
affiancata aggressivamente dagli Enti Locali nei Settanta, e riacquista
un ruolo negli Ottanta: il centro e la periferia stanno cercando un
rapporto equilibrato e dialettico.La cultura di massa, prima gerarchizzata
e poi esplosa, sta trovando una sintesi nella filosofia delle "connessioni".
Non più la gerarchia dei valori e delle istituzioni, né
la separazione ed il conflitto, influenzano la cultura degli Ottanta.
Bensì i collegamenti, le interfacce, le sintesi: fra le discipline
scientifiche, fra le arti, fra le forme di spettacolo. Si intravede
l’aurora di un "pianeta cablato", cioè interconnesso in ogni
parte, regolato da una logica " federativa " o "pattizia". La domanda
più ricorrente non riguarda più tanto il "saper cosa fare",
o il "sapere perché farlo", ma il "SAPER COME" (know how)
gestire la transizione. Il dibattito principale non è più
ideologico, né filosofico, ma tecnico e metodologico. I valori
dell’uomo, cantati dagli aedi dei Sessanta, ora sono chiari a tutti,
e quasi universalmente accettati (in Occidente). Resta da esplorare
il "come" innescare, diffondere, governare, valutare la transizione
in questo scorcio di secolo. La ricerca tecnica sta dominando il panorama
scientifico, e sta entrando lentamente anche nelle scienze umane. Qua
e là si intravedono i bagliori di una "NUOVA SINTESI" o nuova
unità del sapere e del convivere, ma si sente che l’Occidente
non è ancora maturo. La transizione continua: siamo solo "post"-moderni.
4. L’Occidente
come "museo delle cere": la soffitta e il frigorifero
La
società post-moderna, definita così prematuramente rispetto
alla sua maturazione storica, è assai bene simbolizzabile con
un chip di silicio: tecnica e flusso di informazioni. Non ha un passato
preciso o un futuro identificato: ha tutti i passati ed i futuri possibili.
E' solo un corridoio di passaggio in cui può fluire, in maniera
equivalente, una formula fisica o un testo omerico. L’architettura
post-moderna, come la moda, l’arte e la musica, sono sincretiche.
La Via Novissima e la scena di "Blade Runner" propongono il capitello
dorico accanto al neon. I designers di Memphis offrono mobili che
ricordano l’Egitto e la Bauhaus. Ne risulta un effetto da "museo delle
cere": accanto a Giulio Cesare spicca il biondo di Marilyn Monroe
e la sagoma di ET. La letteratura ed il cinema si fondano sull’ammicco,
il rimando, la citazione. Esplodono i revivals di tutte le epoche.
Tutto sembra affiancabile, equivalente, sostituibile. Si ha spesso
una "sensazione di soffitta", polverosa, piena di ricordi e di stracci,
con il windsurf da usare in estate accanto agli sci, i quaderni delle
elementari vicino alle bambole della nonna. In questo mondo che sempre
più si avvicina al chip di silicio, è forte la tentazione
di andare a caccia di ricordi e di sentimenti. Musica elettronica,
moda apocalittica, flussi ininterrotti e memorie rimosse portano molti
a "sentire freddo". Come se avessimo messo le "emozioni in frigorifero".
5. Il
cubo di Rubik, il labirinto e la confusione
La
scienza post-moderna ha perso i suoi binari. Dopo la esplosione critica
degli anni Settanta, le discipline sono alla ricerca di nuovi collegamenti,
nuove sintesi, diverse connessioni. I linguaggi non riescono ancora
ad aprire nuove strade, ma si ricombinano all’infinito. Proliferano
i "modi di dire", ma non riusciamo ancora a trovare nuovi "modi di
pensare", cioè nuove teorie unificanti e unitarie visioni del
mondo. Nel cubo di Rubik sono possibili infinite combinazioni, ma
non si produce mai alcuna forma nuova: esce sempre e solo un cubo.
Se gli anni Sessanta possono essere simboleggiati da una strada, i
Settanta da una trincea, gli Ottanta richiamano alla mente il labirinto.
Gli scienziati e gli intellettuali arrivano a prendere decine di sentieri
nuovi, che però convogliano tortuosamente a vicoli ciechi.
La complessità, almeno per ora, risulta magmatica, confusiva,
vischiosa. Ogni tentativo per gestire la complessità, mediante
aggregazioni e connessioni, viene vissuto come minaccia. Le istituzioni
e le persone, perse nel labirinto, si parlano urlando, ma restando
divise dai muri. La confusione deriva da un insieme di vissuti maniacali,
persecutori e colpevolizzanti che pesano simultaneamente. La tecnica
è insieme rifugio e risposta possibile. Ma in agguato stanno
sempre i nuovi tentativi di gerarchizzazione oppure le utopie millenaristiche.Gli
uomini persi nel labirinto e confusi, sentono sempre il fascino di
seguire un capo "che sa come se ne esce", e poco importa se si tratta
di una persona, di un partito o di una fede; oppure di attendere una
salvezza futura, sconosciuta ma certa. Qualcuno soltanto, per ora,
prova a collegarsi e federarsi con gli altri dispersi in altre strade
del labirinto, per uscirne presto e insieme e con le sole forze dell’Uomo.
6.
Enciclopedia, supermarket e superfluità
La
cultura, intesa come comprensione del mondo, si riduce nella società
post-moderna ad una valanga di informazioni. Una marea di bit elementari,
sconnessi tra loro, inonda la mente ed i sensi dell’uomo post-moderno.
Il settore lavorativo ed economico relativo al trattamento ed alla
trasmissione di dati è in espansione vertiginosa. Il sapere
si allontana sempre più dal comprendere, per avvicinarsi all’essere
informati. Il pianeta è un supermarket di stimoli visivi, olfattivi,
acustici, di cui riesce difficile comprendere la logica, il senso
e l’ordine. il post-moderno rivive amplificata la fase dell’Enciclopedia:
l’immane fatica cui l’uomo è chiamato è quella di trovare
una "mappa-guida" che serva da contenitore e selezionatore dei dati.
Il discrimine fra dati nuovi e ripetizioni, fra dati essenziali e
dati superflui va ricercato e tenuto fermo mediante sforzi continui
di riferimento ai valori. Poiché i valori si sono soggettivizzati,
ciascuno è solo in questo lavoro di selezione: non può
godere di solidarietà e consensi generali. La riduzione della
cultura a informazione produce inoltre una ipersemplificazione dei
problemi allo schema binario (si-no) tipico del computer. Le sfumature
e le analisi sistemiche sono lontane dalla mentalità di massa.
Ogni dato risulta polisemico ed equivalente, senza una guida valoriale.
Né senza questa sono possibili gradazioni valutative a posteriori;
le valutazioni diventano "a priori", ideologiche e pregiudiziali,
quanto occasionali ed emotive. Ciò che risulta evidente è
la moltiplicazione e la diffusione delle contraddizioni fra interpretazioni
in tempi diversi, fra gruppi diversi, fra teorie ed azioni. L’overdose
di informazioni e la conseguente binarietà del processo culturale
di massa risultano quindi governabili solo dal criterio dell’interesse
immediato e dello stimolo superficiale. Allo stesso modo in cui la
scelta di un prodotto nel supermercato risulta influenzata dal colore
dell’etichetta o dal prezzo, considerato in astratto, cioè
senza riferimenti al valore dell’oggetto. Da una parte dunque il potere
si trova a lavorare sul terreno della seduzione, del simbolico e dell’immaginario
(cioè dello spettacolo); dall’altra si esprime come neo-corporativismo,
viscerale quanto pervicace. La moda in generale ed il fenomeno del
travestitismo in particolare sono emblematici della funzione della
seduzione nel post-moderno; così come le grandi kermesses di
massa. Mentre l’occupazione dello Stato da parte delle lobbies partitiche
o dei gruppi piduisti, insieme agli scioperi dei medici o delle minoranze
dei trasporti, sono emblematici del processo di neo-corporativismo.
In questo scenario dominato da una cultura enciclopedica-enigmistica,
appare sempre più superflua ogni informazione ulteriore.
7.
Bisogni e risorse possono incontrarsi: dipende da chi sarà
il capostazione
L’Occidente
post-moderno presenta dunque soprattutto bisogni post-materialistici.
Forse per la prima volta nella Storia, l’Occidente si trova a dover
rispondere ai bisogni superiori della scala di Maslow, e cioè
si trova a gestire problemi non ricattati dalla penuria delle risorse.
Fame e sicurezza fisica non sono più problemi prioritari: il
loro posto è stato preso dai bisogni di socialità, di
autonomia e di autorealizzazione. Per seguire lo schema d’analisi
presentato qui, diciamo che i nuovi bisogni dell’uomo, in questa fase
di adolescenza della transizione, sono:
1) il
recupero dei sentimenti e del "tempo lineare": cioè di un
passato, un presente ed un futuro con le corrispondenti emozioni
(Storia);
2) la
rifondazione di un "nuovo modo di pensare" unificato ed unificante
(Scienza);
3) il
consolidamento di un nuovo sistema di valori, che fondi il linguaggio
e le identità (Etica).
Questi
bisogni non si identificano necessariamente in un Nuovo Rinascimento
o peggio, in una riedizione del Sacro Romano Impero. Il post-moderno
può sfociare in un Terzo Millennio a sviluppo multiplo, differenziato
ma interconnesso. In altre parole, ci sembra possibile che anche la
complessità e la pluralità trovino una Storia, una Scienza
ed un’Etica a "minimo comune denominatore". Le risorse per rispondere
a questi bisogni esistono da sempre, ma oggi trovano anche maggiori
spazi, grazie alla transizione del post-moderno:
1) il
corpo, la fisicità, la natura e le relazioni, sono il luogo
delle emozioni e del tempo lineare (ricordo-consapevolezza-progetto);
2) l’epistemologia
e le discipline "di frontiera" sono la risorsa per la fondazione
di una Nuova scienza;
3) l’umanesimo
cristiano, laico e marxista è il patrimonio, apparso negli
anni Sessanta e potenziale base della Nuova Etica.
Lo
sviluppo e la diffusione di massa della cultura e della scienza, da
una parte, e l’informatica dall’altra, sono condizioni potenzialmente
favorenti l’incontro fra bisogni e risorse. La posta in gioco è
il Potere di orientare il Terzo Millennio verso una riunificazione
gerarchizzata, totalitaria, disumanizzata, oppure una riunificazione
policentrica, federativa ed umanistica. Il treno dei bisogni e quello
delle risorse si incontreranno in punti diversi, a seconda di chi
sarà il capostazione. I secoli XIX e XX si sono giocati il
potere al tavolo del danaro; nel secolo XXI il potere si giocherà
altrove: sui sentimenti, sulla scienza e sull’etica. E il dilemma
non sarà relativo a quale persona o classe controllerà
queste variabili; ma semmai sarà sul grado di diffusione di
questo controllo. Se esso sarà oligarchico (poco importa di
quale gruppo) il destino del Terzo Millennio sarà Imperiale.
8. E
la Psicologia?
In
un mondo di neon, perspex ed echi egizi, poliglotta e multirazziale,
raffreddato e labirintico, enciclopedico ed interconnesso, la Psicologia
è chiamata (come sempre) a promuovere e difendere la "soggettività".
Anzitutto il CORPO, inteso come emozioni, fisicità,
natura, a difesa contro la razionalità fredda e l’artefatto
tecnologico. Il corpo inteso come memoria, coscienza e tensione; il
corpo inteso come "erotismo" e vitalità, flusso e calore. Poi
il GRUPPO, inteso come protagonismo decentrato, proliferazione
del potere, appartenenza comunitaria, luogo delle differenze, delle
relazioni e dei conflitti regolati. Il gruppo come associazione minima,
spazio di legittimazione e identità; il gruppo come attore
di patti e scambi; il gruppo come difesa e come agente della Storia.
Infine il VALORE, inteso come senso, etica e religione. Il
valore come fede e come sacro; come magico e mistico; il valore come
significato, magari irrazionale ma miliare. Nella transizione post-moderna,
la Psicologia può dare un contributo per far pendere da una
parte o dall’altra la bilancia del Potere. La Psicologia può
lavorare per la repressione o per la contrattazione, per l’omologazione
o per la differenziazione, per la separazione o per le connessioni,
per la semplificazione o per la complessità. In un mondo che
rischia di diventare sempre più somigliante alle notti polari
senza sole e senza luna, la Psicologia può offrire una visione
della vita simile ad un quadro fiammingo, pieno di sfumature ed arricchito
da una solida cornice dorata.
Insomma
la Psicologia può dare un suo contributo a costruire un futuro
che non sia "post"-qualcosa, ma "neo"-qualcosa.
Relazione
presentata al XX Congresso
degli Psicologi Italiani (settembre 1984)
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