Estratti da: Forti S. "Il totalitarismo" (Laterza, Bari, 2001)

Capitolo primo: la costruzione di un concetto

1) Origine  di un neologismo

Non si tratta solo di un pericoloso cambiamento delle dinamiche istituzionali, vi è in gioco la possibilità di una nuova dimensione della politica e della società: l' esagerazione parossistica e monomaniaca dell' ingerenza del potere esecutivo in tutta la vita statale e sociale, il capovolgimento acrobatico dei rapporti normali tra Stato e Società,in virtù del quale la Società esiste per lo Stato,e lo Stato per il governo ed il governo per il partito (pag.5)                                                                 

La radicale novità veicolata dalla coppia di termini di totalitario-totalitarismo sembra venir colta anche da Gramsci, preoccupato di spiegare, e non solo di condannare, la nuova realtà del partito totalitario. Nei Quaderni spesso ritorna il problema della nuova configurazione totalitaria della politica. "Una politica totalitaria tende appunto: 1) ad ottenere che i membri di un determinato partito trovino in questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trovavano in una molteplicità di organizzazioni, cioè a rompere tutti i fili che legano questi membri ad organismi culturali estranei; 2)  a distruggere tutte le organizzazioni o a incorporarle in un sistema in cui il partito sia il solo regolatore". Insomma, la percezione di trovarsi di fronte a un fenomeno inedito e dagli obiettivi e dalla conseguenze  "totali" va lentamente stratificandosi in più direzioni che alla fine confluiranno entro l' area del concetto di totalitarismo ( pag. 6/7)                                                     

"Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato"; cionondimeno, nella misura in cui l' individuo coincide con lo Stato, essa è per l' individuo, e "riafferma  lo Stato come la vera realtà dell' individuo". E' inoltre per la libertà, nella misura in cui la libertà è "l'attributo dell' uomo reale  e non di quell' astratto fantoccio  a cui pensava il liberalismo".
"Giacchè  per il fascista tutto è nello Stato e nulla di umano e spirituale esiste e tanto meno ha valore fuori dallo Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, potenzia e sviluppa, tutta la vita del popolo"(pag.8).

Il potere statale non può quindi limitarsi  alla garanzia dell' ordine e del funzionamento istituzionale, alla tutela del quieto vivere degli individui, come voleva il liberalismo. "Lo Stato fascista, insomma, non è semplicemente datore di leggi  e fondatore di istituti, ma educatore e promotore di vita spirituale. Vuol rifare non le forme della vita umana, ma il contenuto, l' uomo,i l carattere, la fede.A questo fine vuole disciplina, e autorità che scenda addentro gli spiriti e vi domini incontrastata". Quello che Gentile chiama "Stato totalitario fascista" si presenta piuttosto come una forma estrema di "Stato etico" (pag.8/9).

3) Il laboratorio di Parigi: il dibattito degli anni Trenta

Siamo insomma in piena eterodossia. A questo proposito è da ricordare che in risposta  alle tesi di Trockij e sulla scia di Serge, grazie a Bruno Rizzi e James Burnham nonché ai Francofortesi, si avvia l' interpretazione del totalitarismo sovietico in termini di " collettivismo burocratico" (pag.17).

L' occasione per impostare la propria indagine sul totalitarismo  si presenta a Raymond Aron con la pubblicazione nel 1938 dell' opera di Halevy, L' era delle tirannie.Studi sul socialismo e la guerra. Halevy, in chiara polemica con le analisi marxiste, interpreta il Novecento come l' epoca delle tirannie, non quale frutto dello sviluppo capitalistico, ma come esito dell' onnipervasività della politica. Questo nuovo "cesarismo universale", che segne la fine della libertà, non si origina pertanto né dal liberalismo né dal capitalismo, ma ha la sua causa nella prima guerra mondiale - "una rivoluzione contro il 1789"- e nel socialismo, he "da sempre" è stato sinonimo di organizzazione e irrigimentazione (pag.19).

Nei primi anni Trenta, Bataille pubblica sulla rivista "La Critique Sociale" alcuni significativi articoli  in cui mette sotto accusa le letture economicistiche  e deterministiche dell' "Etat totalitaire" (pag.22).

E' per tanto la prospettiva d' indagine  materialista che ha reso ciechi tutti i pensatori marxisti  riguardo al totalitarismo, tanto sovietico quanto nazionalsocialista: una prospettiva che non si cura  del significato simbolico del potere, così come del ruolo della forza. Mentre è solo attraverso la lente che riconosce il ruolo centrale del potere e della forza nella storia che si possono comprendere tanto le forme di oppressione politica  e sociale quanto le dinamiche  dei rapporti di produzione. Se è vero che le forme novecentesche  di Stato totalitario sono nuove quanto ad intensità, strumenti e intenzioni,non lo sono tuttavia per quanto riguarda la logica che le abita, una logica del potere e della forza che domina la storia "da quando la società è divisa in uomini che danno ordini e uomini che li eseguono".Questa è la secolare realtà dello Stato, a sua volta figlia della ben più longeva struttura dell' oppressione, cementata dalla religione del potere (pag.25).

Di stile diverso, ma con numerosi punti di intersezione con le altre interpretazioni qui esaminate,è la critica cattolica al totalitarismo introdotta,negli stessi anni, da Emmanuel Mounier. Scritti  tra il 1934 e il 1936 per "Esprit" - la rivista da lui fondata che si incaricherà di far incontrare le diverse correnti intellettuali francesi proprio sul terreno della comune istanza  anti-totalitaria - gli articoli dedicati al fascismo, al comunismo e al capitalismo sono tutti volti a far emergere la dimensione "non esclusivamente economico-materiale" dei fenomeni totalitari (pag.26). 

“Noi chiamiamo totalitario ogni regime in cui  un’ aristocrazia del denaro, di classe o di partito impone la sua volontà su una massa amorfa, per quanto questa sia consenziente ed entusiasta”. Esempi di totalitarismo sono sì il comunismo staliniano e i fascismi, ma anche le democrazie capitalistiche.La vera democrazia, infatti, non riposa soltanto su meccanismi istituzionali, ma su una organizzazione funzionale e responsabile di tutte le persone che compongono la comunità (pag.27).

 4) Da sponda a sponda: il dibattito degli anni Quaranta

“Nello Stato di diritto i tribunali controllano l’ amministrazione dal punto di vista della legalità; nel Terzo Reich le autorità di polizia controllano i tribunali dal punto di vista dell’ opportunità”. Da qui l’ espressione Massnahmenstaat (Stato discrezionale), un’ espressione che a ben guardare agli occhi di Fraenkel raffigura un ossimoro che smentisce ogni identificazione del regime hitleriano con un ferreo ordine statale. Il totalitarismo nazista ha abolito ogni limite costituzionale e legale, per poter elevare a proprio unico protagonista “il politico”. Ma che cosa è politico? Quali sono le sfere di competenza dello “stato discrezionale”? Che cosa eccede tale ambito? La conclusione, sulla falsa riga della definizione schmittiana, stabilisce che  politico è ciò che le istanze politiche ritengono tale (pag.29).

Se la guerra è l’ origine dei regimi totalitari - Neumann si riferisce tanto al nazismo quanto allo stalinismo- essa ne è anche il motore necessario. "Uno stato di guerra costante è il clima naturale della dittatura totalitaria”, la quale comporta dinamiche permanenti “che non possono essere fermate se non fermando tutto”(pag.31). 

5) Le prospettive aperte da “le origini del totalitarismo”

Ciò a cui, infatti, i regimi totalitari mirano è assai più ambizioso e smisurato: modificare la realtà per ricrearla  secondo gli assunti dell’ ideologia. L’ ideologia,come per molte delle indagini filosofico-politiche del totalitarismo, emerge pertanto come il vero e proprio fondamento su cui il totalitarismo si regge (pag.38).

Capitolo secondo:dalla costruzione di modelli alla pratica del dissenso

1)  Alla ricerca di una tipologia: le analisi della scienza politica

Gli elementi indispensabili per giudicare totalitario un regime sono pertanto: a) un’ideologia sufficientemente elaborata da consentire una legittimazione che serva soprattutto da motore agli ingranaggi  del regime; b) un partito unico di massa che riesca a condizionare, integrare e mobilitare gran parte della popolazione; c) la concentrazione del potere nelle mani di un singolo o di una ristretta cerchia di dirigenti che non si sentono responsabili nei confronti dell’elettorato e che sono inamovibili,se non ricorrendo a metodi extra-legali. Da qui, ovviamente, il carattere monistico,antipluralistico, del totalitarismo, il quale tendenzialmente distrugge ogni confine  che separa Stato e società; da qui,naturalmente, la iperpolitizzazione del corpo sociale  ottenuta tramite l‘annullamento  delle articolazioni e delle associazioni di gruppo e d’interesse (pag.49).

Questa società sarebbe infatti caratterizzata, grazie alla quasi totale scomparsa di gruppi sociali intermedi, da relazioni dirette tra elite e non-elite che producono un’ alta disponibilità  alla mobilitazione dall’ alto. Anche quando viene fatto osservare che nella realtà il terrore totalitario raramente giunge alla completa distruzione di ogni forma di raggruppamento e alla totale abolizione di differenziazioni, distinzioni e gerarchie sociali, non viene smentito uno dei capisaldi delle tipizzazioni politologiche: il venir meno della tradizionale distinzione tra Stato e società civile(pag.51).

 3)Il totalitarismo visto dall’ est

Tutti i pensatori dissidenti concordano nel definire la natura del regime come “menzogna istituzionalizzata”. Non vi è scritto,negli anni settanta e nei primi anni Ottanta, che non riconosca infatti il proprio debito nei confronti di 1984- letto non come opera letteraria,ma come un’ analisi realistica e circostanziata dei meccanismi di potere. Nessuno rifiuta la tesi per cui un potere totalitario resta in vita solo se, e fintanto che, riesce a ricreare un linguaggio che si faccia puro strumento dell’ ideologia: solo attraverso l’uso di una “neolingua” si può impedire un “pensiero eretico”. Il tema orwelliano della menzogna e della possibilità di resistenza alla menzogna, diventa così l’ assunto di partenza  da cui ricostruire un pensiero politico indipendente (pag.59).

Non ci si è molto allontanati, in realtà, dalle posizioni di Milosz,per il quale se “le logocrazie popolari” si erigono a colpi di fucile, la loro conservazione può essere ottenuta “solo a colpi di linguaggio”. Tuttavia, se durante la fase dell’ “ideocrazia” si richiedeva un’adesione entusiasta alla menzogna, nell’ epoca della cosidetta  “ideologia fredda” ci si accontenta della “menzogna esistenziale”: un insieme di comportamenti esteriori, che non devono necessariamente corrispondere alla fede nelle mistificazioni del regime. Basta cioè un conformistico consenso al potere dei governanti, o quanto meno la sua accettazione silenziosa. Siamo così difronte ad una sorta  di “banalità del male” che contribuisce al mantenimento del regime non meno dell’ ideologia inculcata e dei meccanismi repressivi. Il fine rimane pertanto totalitario: conformare al potere politico tutti gli aspetti della vita, della realtà e del linguaggio; ridurre, sino alla distruzione,ogni spazio di libertà (pag.60).

La validità del concetto di totalitarismo non viene messa in discussione, ma la si rivede alla luce di acquisizioni sociologiche o politologiche più recenti. Per Mlynar, ad esempio, il vero totalitarismo si instaura proprio quando l’ illimitato uso del terrore non ha più ragione di esistere,quando cioè i soggetti hanno perduto completamente la loro autonomia. L’eteronomia viene perseguita ora “ciberneticamente”, interrompendo il flusso di informazioni tanto sul mondo esterno quanto sul passato. Ma soprattutto tollerando le relazioni intersoggettive solo se queste avvengono attraverso circuiti controllati dal potere. Se prima la società era figurabile come un corpo sanguinante,ora essa assomiglia sempre di più ad un cadavere esangue. Nonostante la frantumazione di specifici contenuti ideologici, l’ideologia, allora, in quanto “imbroglio sistematico” dell’ informazione e della memoria, rimane il cuore del totalitarismo dal volto umano, per altro sempre pronto a togliersi la maschera e mettere mano ai vecchi metodi (pag.61).

Il cittadino rinuncia al pensiero critico e alla partecipazione per ottenere in cambio la sicurezza di un impiego e la possibilità di una più larga fruizione di beni materiali. Grazie all’ irrompere  della società dei costumi,il cittadino si trova così a stipulare tacitamente un “nuovo contratto” con il regime; rinunciando a buona parte della libertà personale e in toto a quella politica, egli ottiene in cambio una maggiore sicurezza e un miglioramento della qualità della vita (pag.62).       

Capitolo terzo:la filosofia all’ estremo

1) Nichilismo al potere

L’ accettazione senza riserve dell’ incatenamento è infatti il tratto distintivo della società contemporanea , anche nella sua versione liberale. L’imprigionamento in una finitezza dell’ essere glorificata come tale ha un buon gioco nel determinare le dinamiche identitarie delle folle non meno dei deliri di sovranità dei capi totalitari, esperienze che la modernità non aveva mai vissuto fino a quel momento, ma che risiedono nelle sue stesse possibilità ontologiche (pag.81).

2) Dialettica della ragione     

La lotta al totalitarismo deve pertanto partire da premesse epistemologiche che assumano  a proprio principio il criterio di falsificabilità, il solo che consenta,qualora trasposto in ambito politico-sociale, la realizzazione di una socità aperta. Il futuro sarà dunque aperto e libero dalla minaccia dei totalitarismi soltanto se “un’ ingegneria sociale gradualistica”, passabile di falsificazioni, abdicherà all’ onnipotenza profetica e alla progettualità utopica, per didicarsi a programmi politici che, con grande senso del limite e della fallibilità umana, non si propongono una rivoluzione della totalità, ma l’ eliminazione graduale dei mali peggiori (pag.83).

Dialettica dell’ illuminismo torna a più riprese su quel processo di reificazione della realtà ad opera della ragione soggettiva che, mistificatoriamente, è stato presentato come progressiva liberazione dal mito. Un rapporto uomo-natura basato su quella relazione strumentale e manipolatoria che l’Illuminismo celebra come uscita dalla magia non può che ripercuotersi sull’ ambito politico e sociale. Come se il mito abbandonasse  la natura solo per ripresentarsi nella società e nella cultura. “Il mito trapassa nell’ illuminismo e la natura si trasforma in pura oggettività. Gli uomini pagano l’ accrescimento del loro potere con l’estraneazione da ciò su cui l’esercitano. L’Illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini: li conosce in quanto è in grado di manipolarli” (pag.84).

L’‘industria culturale’ è soltanto il volto mite del totalitarismo, che senza terrore e violenze eclatanti,attraverso una finta democratizzazione della cultura, ammaestra industurbata  le coscienze perché si adeguino al ‘tutto’. Così, né i regimi totalitari, con la loro miscela esplosiva di ideologia  e terrore, né le società tardo-capitalistiche di massa, con la loro capacità di omologare al sistema ogni trasgressione, lasciano più spazi ‘politici’ ed esistenziali alla libertà. Se il totalitarismo, come categoria estensiva del dominio, è l’orizzonte insuperabile della politica moderna, l’esercizio della libertà è demandato ad una sorta di soggetto senza fondamento in grado di cogliere la falsità del tutto e al contempo la verità secondo cui “non si da vita vera nella falsa” (pag.85).

Come filosofia politica Hannah Arendt è conosciuta soprattutto per aver dato voce a una concezione della politica che ne rivaluta la dimensione esistenziale. La politica, cioè, si configura come quell’ ambito che, separato radicalmente dal dominio e sottratto all’ identificazione con la Stato, può finalmente aprirsi all’autenticità di uno spazio pubblico orizzontale, plurale, partecipativo,agoninistico, in cui è in gioco l’identità relazionale dei suoi attori. Contro una politica intesa come rapporto verticale di comando e obbedienza, concepita come sfera in cui si esercita un potere quale strumento per ottenere determinati scopi, la Arendt riabilita il valore autonomo e non strimentale di un agire plurale che deriva la propria giustificazione soltanto da se stesso. Se tutto questo è vero, tuttavia troppo raramente ci si ricorda che “L’autonomia del politico” arenditiana è il risultato di un’ interrogazione anche filosofica sul totalitarismo(pag.86).

3) Democrazia e terrore

Se la politica classica considera la discordia un male che si origina nel dominio delle passioni sulla ragione, Machiavelli scopre nell’ opposizione di due desidere antitetici - quello dei ‘ grandi’ di dominare e quello del ‘popolo’ di essere libero- il rapporto costitutivo dello spazio politico e sociale. In altri termini,” la società politica si istituisce soltanto in virtù della sua divisione”. Ancor più,essa esiste e si mantiene soltanto grazie a questa divisione. Lefort può così affermare che il potere conferisce sì unità al sociale, ma senza porre fine alla sua insuperabile separatezza. Il sogno razionalistico di una società riconciliata con se stessa e liberata dal conflitto è, al meglio, un’ utopia inconsistente e, al peggio, un progetto di morte, la cui messa in opera comporta la necessaria  distruzione della società nel suo insieme.
Essa non è soltanto una specifica forma di governo, più radicalmente, essa è per Lefort quella modalità di socializzazione che riconosce al proprio interno la legittimità del conflitto.
Al contrario, il totalitarismo si definisce come una modalità di socializzazione che precede a una potente negazione del conflitto, scatenando una logica identitaria e di totale dominio nei confronti del reale (pag.98).

Non solo allora il totalitarismo è, e può unicamente essere, un’ esperienza moderna , ma è, e continua a essere, un possibile sblocco della democrazia. Una forma di società che reagisce alla debolezza  costitutiva dell’“invenzione democratica”, alla sua indeterminatezza, alla sua apertura verso il vuoto, all’avvenimento, a ciò che non è ancora, in una parola alla libertà (pag.102).  

 

                                                      

Nessuno può uccidere nessuno. Mai. Nemmeno per difendersi.