Le espressioni del gergo politico hanno generalmente due significati.
Uno è quello letterale, del dizionario. L'altro è il significato
funzionale al potere - il significato dottrinale. [35]
Prendiamo la parola "democrazia". Secondo il significato dettato
dal senso comune, una società è democratica nella misura in
cui il popolo partecipa in modo significativo alla gestione dei suoi propri
affari. Ma il significato dottrinale di "democrazia" è
diverso - si riferisce ad un sistema in cui le decisioni vengono prese da
alcuni settori della comunità degli affari e dalle élite che
gravitano attorno a essa. I cittadini non devono essere altro che "semplici
spettatori", non "partecipanti", come hanno spiegato autorevoli
teorici democratici (nel caso specifico, Walter Lippman). È consentito
loro di ratificare le decisioni dei governanti e di sostenere uno o l'altro
di essi, ma non di interferire in questioni - come la gestione della politica
- che non li riguardano. [36]
Se alcune frange della popolazione si scuotono dalla loro apatia ed iniziano
ad organizzarsi entrando nell'agone politico, questa non è democrazia.
È, al contrario, secondo l'uso corretto del gergo politico, una crisi
della democrazia: una minaccia che deve essere sventata in un modo o nell'altro.
Nel Salvador con gli squadroni della morte; in patria, attraverso metodi
più sottili e indiretti.
Consideriamo ora l'espressione "libera impresa", un termine che
si riferisce, in pratica, al sistema di finanziamento pubblico e di profitto
privato, grazie ai massicci interventi governativi in campo economico allo
scopo di preservare il welfare state per i più ricchi. In effetti,
nell'uso ufficiale, le espressioni comprendenti il concetto di "libertà"
vengono quasi sempre intese in un modo che si avvicina piuttosto all'esatto
contrario del loro autentico significato.
Ancora, prendiamo la frase "difesa da un'aggressione"
che ci si aspetterebbe fosse riferita ad una giusta reazione di fronte ad
un attacco esterno. Quando gli Stati Uniti invasero il Vietnam del Sud,
all'inizio degli anni '60, l'eroe liberale Adlai Stevenson (tra gli altri)
spiegò che si stava difendendo il Vietnam del Sud da una "aggressione
interna" - l'aggressione portata dai contadini sudvietnamiti contro
l'aviazione americana e contro un esercito mercenario al soldo degli Usa;
contadini che noi cacciavamo dalle loro case per spedirli nei campi di concentramento,
dove potevano essere "protetti" dai guerriglieri sudisti. In realtà,
i contadini sostenevano volontariamente la guerriglia mentre il regime fantoccio
degli Usa, per ammissione generale, era un guscio vuoto. [37]
Il sistema dottrinale ha svolto così egregiamente il proprio compito
che ancor oggi, a trent'anni di distanza, chi segue la tendenza dominante
non dire ad alta voce, anzi non può nemmeno pensare, che gli Usa
abbiano attaccato il Vietnam del Sud. Di conseguenza, le questioni fondamentali
poste da quella guerra sono tuttora escluse da ogni possibilità di
discussione. I santoni del linguaggio Politicamente Corretto (il vero PC)
possono andare giustamente fieri di un risultato che sarebbe difficile riuscire
a replicare anche in un efficiente stato totalitario.
Consideriamo poi l'espressione "processo di pace". L'ingenuo potrebbe
pensare che si riferisca agli sforzi per ottenere la pace. E se così
fosse avrebbe dovuto includere il processo di pace in Medioriente, per esempio,
l'offerta di un trattato di pace globale fatta nel 1971 dal presidente egiziano
Sadat a Israele, in termini approvati e appoggiati praticamente dal mondo
intero, compresa la politica ufficiale americana; la risoluzione del Consiglio
di Sicurezza del gennaio del 1976, avanzata dai principali stati arabi con
l'approvazione dell'Olp, che chiedeva una soluzione del conflitto arabo-israeliano
tramite la creazione di uno stato palestinese accanto ad Israele, in termini
che avevano ottenuto un consenso internazionale quasi universale; le offerte
dell'Olp, reiterate per tutti gli anni '80, di negoziare con Israele il
riconoscimento reciproco; dovrebbe, infine, includere le annuali votazioni
dell'Assemblea Generale dell'Onu, come quella del dicembre 1990 (144 favorevoli
e 2 contrari), per chiedere una conferenza internazionale sul problema arabo-israeliano,
e così via.
Ma una persona più smaliziata capisce che questi sforzi
non fanno parte del processo di pace. Il motivo è che, nel linguaggio
Usa "politicamente corretto", l'espressione "processo di
pace" si riferisce a tutto ciò che fa il governo americano -
in questo caso, per l'esattezza, si tratta del tentativo di bloccare gli
sforzi internazionali volti a ottenere una pace giusta. I fatti citati non
rientrano nella casistica del processo di pace, perché gli Usa hanno
appoggiato il rifiuto israeliano dell'offerta di Sadat, hanno posto il veto
alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza, si sono a lungo opposti ai
negoziati e al riconoscimento reciproco tra Olp e Israele, e regolarmente
si uniscono a Israele nell'opposizione - di fatto, nel porre il veto - a
qualsiasi tentativo di compiere passi in direzione di un pacifico accordo
diplomatico che riconosca il diritto palestinese all'autodeterminazione.
L'espressione "processo di pace" va invece riferita esclusivamente
alle iniziative americane, tendenti ad imporre un accordo unilaterale nei
termini stabiliti dagli Usa, senza alcun riconoscimento dei diritti nazionali
dei palestinesi. È così che funziona. Chi non è capace
di usare tali termini nel loro significato dottrinale, è meglio che
si cerchi un altro mestiere. [38]
Si potrebbe fare molti altri esempi. Pensiamo all'espressione "interesse
particolare". Negli anni '80 l'efficientissimo sistema di pubbliche
relazione del Partito repubblicano accusava regolarmente i democratici di
essere il partito degli interessi particolari: le donne, la classe lavoratrice,
gli anziani, i giovani, i contadini - in breve, la popolazione nel suo compresso.
Solo un settore della popolazione non compariva mai nell'elenco di tali
interessi particolari: la grande industria e il mondo degli affari in genere.
È logico. Nel linguaggio del PC i (particolari) interessi di questi
ultimi sono gli interessi nazionali, davanti ai quali tutti noi dobbiamo
inchinarci.
I democratici si risentivano, replicando di non essere il partito degli
interessi particolari: anche loro servivano gli interessi nazionali. Il
che era corretto. Ma il loro problema era la mancanza di quella risoluta
coscienza di classe tipica dei loro oppositori repubblicani. Questi ultimi
non hanno incertezze riguardo al loro ruolo di rappresentanti dei proprietari
e dei dirigenti della società, che conducono una spietata guerra
di classe contro la popolazione in genere - spesso adottando una retorica
e dei concetti schematicamente marxisteggianti, oppure facendo ricorso a
isterie scioviniste, suscitando paure e angosce, incutendo un rispettoso
timore dei grandi leader e servendosi insomma dei consueti sistemi di controllo
della popolazione. I democratici hanno meno chiaro quali debbano essere
le cause a cui votarsi, e quindi sono meno efficaci nella guerra della propaganda.
Prendiamo, infine, la parola "conservatore", che
ha finito con l'essere riferita ai fautori di uno stato forte che interferisce
pesantemente nell'economia e nella vita sociale. Costoro invocano enormi
spese statali e un livello di misure pretenzionistiche mai raggiunto nel
dopoguerra, assicurazioni contro i rischi del mercato, restrizioni nelle
libertà individuali attraverso la legge e l'amministrazione della
giustizia, protezione del Sacro Stato da indagini arbitrarie condotte dall'insignificante
cittadinanza - in breve, tutti quei programmi che sono l'esatto opposto
del conservatorismo tradizionale la cui causa è invece rappresentata
da "il popolo, padrone dello stato" e che pertanto "deve
governarlo", secondo le parole del loro padre fondatore John Jay. [39]
Insomma, non è poi così difficile, una volta capite le regole.
Per dare un senso compiuto al linguaggio politico, è necessario farne
una traduzione simultanea, decodificare il linguaggio cifrato dei media,
degli accademici studiosi di questioni sociali e del "clero secolare"
in genere. La sua funzione è evidente: l'effetto che intende raggiungere
è di impedire che si trovino le parole per discutere di questioni
umanamente significative in modo coerente. Così si può star
certi che verrà compreso ben poco del modo in cui funziona la nostra
società e di quanto accade nel mondo: e si dà quindi un importante
contributo alla democrazia, nel senso PC del termine.
35. Edward S. Herman, Beyond Hypocrisy, South End, 1992.
36. Chomsky, Deterring Democracy, cap. 12, dove viene inoltre esaminata
l'evoluzione dei concetti presi in esame dall'Inghilterra del XVII secolo
ad oggi.
37. Chomsky, For Reasons of State, Pantheon, 1973, parte VI, cap. 1.
38. Chomsky, Toward a New Cold War: Essays on the Current Crisis and How
We Got There, Pantheon, 1982, cap. 9; Fateful Triangle, cap. 3; Necessary
Illusions, appendice 5.4; Deterring Democracy, Postfazione (ediz. 1991).
39. Frank Monaghan, John Jay, New York, Bobbs Merrill, 1935, p. 323.
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