Sviluppo di Comunità e partecipazione
Per un futuro autosostenibile dei luoghi: cantieri in corso (parte 1 - parte 2)
Cantieri in corso per la costruzione di un Atlante di pratiche che instaurino o rinnovino relazioni collaboranti fra movimenti, municipi ed altri soggetti territoriali.

Premessa

Nell’ambito della riflessione aperta dal processo costituivo della Rete del Nuovo Municipio, alcuni gruppi universitari di ricerca intendono promuovere un confronto che possa stimolare il dibattito sul trasformarsi delle pratiche di governo territoriale e dei loro principali contenuti di riferimento.

In particolare, alcuni ricercatori e docenti del Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio dell’Università di Firenze e del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Bologna stanno cercando di creare un ‘ponte’ tra la ricerca nazionale interuniversitaria “Sviluppo di comunità e partecipazione” (www.koisema.org) e la Rete del Nuovo Municipio (www.nuovomunicipio.org) attraverso la costruzione di un Atlante che censisca esperienze territoriali – italiane ed euromediterranee - centrate sull’attivazione di processi partecipativi in grado di promuovere relazioni collaboranti fra movimenti, municipi ed altri attori territoriali, in un’ottica di sviluppo locale autosostenibile che rinnovi i modi e i contenuti dei progetti di trasformazione del territorio.

Nei documenti distribuiti in occasione dell’incontro costituente di Empoli (8 novembre 2003) è stata adombrata una prima ipotesi di lavoro, messa al centro di un dibattito critico che ne ha arricchito obiettivi e metodologie di lavoro, permettendole di rispondere in modo più compiuto alle molteplici attese di cui è stata caricata da quanti ne sono venuti a conoscenza. La discussione è continuata nei mesi successivi, portando all’introduzione di alcune trasformazioni di rilievo sia negli strumenti di indagine lì ipotizzati, sia nel ventaglio dei modi di rappresentazione delle esperienze esaminate.

Il presente documento rappresenta un passo successivo nella costruzione dell’Atlante, ma soprattutto uno strumento per comunicare ai presenti all’Assemblea Generale della Rete del Nuovo Municipio come alcuni ‘cantieri in corso’ procedano in una direzione coerente con la carta fondativa della rete, e come solo una fattiva collaborazione di tutti i soggetti del territorio per rifondare le politiche locali e i percorsi di trasformazione territoriale possa contribuire ad un mutare dello sguardo. Questo ‘slittamento del punto di vista’ dovrà necessariamente abbandonare l’accademia per immergersi in forme di ‘ricercazione’ in grado di stimolare l’arricchimento, la ‘contaminazione’ mutua, l’emulazione critica e l’apprendimento reciproco tra pratiche innovative che prendono forma in contesti territoriali sovente diversi e lontani, in una comune volontà di cambiamento del rapporto tra politica e cittadini che sia rispettosa delle tradizioni, delle risorse e delle specificità culturali di ogni luogo.

Obiettivi generali e specifici della ricerca.

Il progetto locale, nell’approccio territorialista allo sviluppo locale autosostenibile proposto dal gruppo di docenti e ricercatori che conducono la ricerca, include una visione politica che si esplicita in azioni finalizzate alla crescita e al consolidamento delle società locali sapienti; in sostanza nel “fare società locale”, ritessendo relazioni virtuose con il proprio ambiente insediativo e reinterpretandone i valori territoriali. L’incarnarsi di questa idea nella politica, nelle politiche, nel linguaggio e nelle azioni dei governi locali è un lento processo in atto fra molte contraddizioni, che cerca di rispondere alle sfide della globalizzazione e di superare l’attuale biforcazione di comportamenti che vede, da un lato, la resistenza autoescludente di sistemi locali che difendono la propria identità attraverso la chiusura, la mancanza di innovazione e di relazione, e dall’altro la corsa competitiva dei sistemi locali che sfruttano e snaturano il proprio patrimonio nell’ansia di posizionarsi verso l’alto in un’ottica competitiva fatta di regole esogene che dalla scala planetaria giunge a contaminare tutti i livelli territoriali.

La costruzione di una società locale è un progetto da costruire, non un dato esistente in natura né un’eredità da raccogliere e preservare. Una parte non secondaria di questo progetto è già in marcia, e prende forma nella tessitura lillipuziana di pratiche che vivono e trasformano il territorio con uno sguardo nuovo ed un diverso rispetto per l’uomo, l’ambiente e le loro interazioni. Oggi, molti di questi movimenti di trasformazione sono consapevoli della loro forza di rottura e questo li rende capaci di farla accettare e valorizzare all’interno di nuovi rapporti di collaborazione con le istituzioni, altri sono portatori di progetti impliciti che necessitano di trovare forza politica e coesione per potersi sviluppare. Per far questo, ‘raccontarsi’ ed essere ‘raccontati’ può risultare fondamentale: per se stessi (per acquisire forza e consapevolezza) e per gli altri, che dal dialogo con luoghi e sperimentazioni diverse potranno trarre nuova linfa vitale per arricchire i loro percorsi.

La ricerca a cui si accenna in questo documento si propone di dare una mano a raccontare esperienze innovative che stanno prendendo forma su territori diversi. Spera così di contribuire alla trasformazione delle pratiche di governo locale, in coerenza con le direttrici tracciate dalla Carta del Nuovo Municipio e dalla successiva Carta di Intenti, che costituisce allegato fondamentale dello Statuto dell’ARNM.

I docenti e ricercatori che l’hanno promossa puntano a raggiungere questo obiettivo generale, attraverso due strategie complementari:

1) Individuando, esaminando e facendo conoscere (in maniera sistemica ed articolata) esempi di sperimentazione di solide relazioni tra istituzioni, movimenti sociali, abitanti e produttori locali, che rappresentino valore aggiunto per la costruzione di politiche e progetti mirati all’autosviluppo locale, attraverso la costruzione di processi inclusivi.

2) Suggerendo ipotesi e modalità di ‘mappatura’ dei soggetti locali che possono connettersi e convergere nell’attivazione di laboratori territoriali sperimentali di sviluppo locale autosostenibile, convergendo a disegnare reti cooperative non gerarchiche di autoaiuto e filiere di produzione/scambio centrate sulla valorizzazione delle risorse e dei saperi locali, sulla protezione attiva dell’ambiente, sulle pratiche di cura del territorio, sulla riduzione dell’impronta ecologica, sulla riscoperta del senso d’appartenenza ai luoghi e sul rinnovarsi di identità condivise frutto di un dialogo costruttivo e reinterpretativo con i modelli socioculturali di lunga durata, nel contesto di un sistema aperto di relazioni e di scambi con l’esterno.

L’Atlante in costruzione si propone di contestualizzare le diverse pratiche esaminate, mappando le peculiarità e gli elementi di quadro che le rendono intelligibili ed esplicitando i fattori di innovatività in termini di metodi, contenuti ed esiti (sia attesi che non preventivati).

Che cosa ricerchiamo?

Fin da subito la ricerca ha rilevato la necessità di non di circoscrivere i propri interessi ad un unico campo di esperienze, con la consapevolezza che chiunque lavori sulla complessità non può che partire dalla complessità, e ha il dovere di rilevare articolazioni e connessioni talora impensabili che possano produrre cambiamenti consimili a partire da approcci, soggetti e luoghi differenti.

Così, si è proceduto per gradi, definendo innanzitutto il macro-obiettivo di nostro interesse: esperienze e pratiche dove siano identificabili forme innovative di collaborazione tra tessuti sociali (nei loro diversi gradi di autorganizzazione) e istituzioni locali o comprensoriali. Si è anche sottolineato che il centro dell’analisi volevano essere soprattutto gli esempi caratterizzati dall’attivazione di percorsi di democrazia partecipativa che affianchino e arricchiscano il costruirsi delle politiche e dei progetti territoriali, e che il livello di collaborazione tra istituzione e tessuti economico-sociali può essere avanzato o ancora in fase solo ‘potenziale’. Per quanto concerne l’origine delle pratiche, si è ritenuto positivo prendere in considerazione sia percorsi autoprodotti a partire ‘dal basso’ sia processi messi in atto o fortemente sostenuti da amministrazioni locali, anche con l’ausilio di strumenti innovativi di ambito regionale o sovraregionale (contratti di quartiere, agende 21l, patti territoriali, GAL dei programmi Leader, ecc.). L’importante è che esse mettano comunque insieme attori territoriali diversi, con un’ottica mirata ad attuare interventi concreti di trasformazione del territorio o della società locale.

Per perseguire questi propositi si è dovuta chiarire la nostra accezione del vastissimo concetto di ‘pratica’, in modo che rispondesse ai nostri obiettivi di analisi. La abbiamo definita come insieme di interrelazioni propositive in atto in ambiti diversi della gestione amministrativa, della costruzione di politiche di cittadinanza inclusive centrate sull’accoglienza delle differenze, della fornitura di servizi, della produzione economica e delle sue interazioni con il paesaggio naturale e costruito, degli scambi di beni e servizi, della produzione sociale di cultura e informazione, della trasformazione dei modi dell’abitare e dell’uso degli spazi pubblici, di riduzione dell’impronta ecologica ecc…

Geograficamente, l’emergere e il distribuirsi delle esperienze sui diversi territori risulta un fattore molto interessante da osservare, interrogando gli osservatori con quesiti sulle ragioni per cui esse si concentrano o si disperdono in specifici ambiti geografici.

Per motivi solamente pratici, la rilevazione ha preso avvio dalla disamina della realtà italiana, appoggiandosi anche ai ‘Nodi territoriali’ dell’Associazione del Nuovo Municipio, che hanno preso consistenza negli ultimi mesi. L’obiettivo resta quello di ampliare successivamente l’orizzonte dell’analisi al panorama euromediterraneo, costruendo in parallelo un quadro sinottico dei diversi contesti territoriali, normativi e istituzionali in cui ogni pratica si inserisce, per comprendere al meglio il grado di innovatività di cui essa può ritenersi portatrice.

Criteri di ricerca

Per non moltiplicare all’infinito l’universo dell’analisi, la ricerca ha preso a riferimento la Carta del Nuovo Municipio e il successivo Documento di Intenti, identificando alcuni criteri per l’individuazione delle esperienze di cui approfondire la conoscenza. L’idea – esposta nel rapporto d’inizio attività distribuito all’Assemblea Costituente di Empoli – era quello di procedere per gradi, pervenendo ad una prima indicazione di pratiche che possano essere considerate innovative in rapporto agli approcci, ai percorsi e/o agli esiti che propongono. Da queste, è stato possibile individuare ulteriori criteri che hanno arricchito la lettura delle esperienze stesse e favorito l’individuazione di altri esempi significativi.

Gli ambiti di interesse finora individuati – da mettere sempre in relazione con l’insieme degli attori partecipanti ai processi e con l’indicazione delle tempistiche e dei gradi di continuità e durata delle esperienze - sono assunti come ipotesi per filtrare e orientare la lettura sinottica delle esperienze via via rilevate dal Gruppo di Ricerca e da chi vorrà collaborare con esso. Pur passibili di essere arricchiti e integrati nel tempo, essi sono così riassumibili [1] :

1)            Esperienze centrate sulla costruzione di elementi di empowerment delle comunità locali, tanto più se integrate e in grado di proporre alla discussione pubblica temi innovativi (la produzione sociale di cultura, informazioni, beni e servizi; l’elaborazione di nuovi stili di vita centrati sui concetti di sostenibilità ed autosostenibilità dello sviluppo; la trasformazione socialmente prodotta degli spazi urbani ed extraurbani; l’attivazione di filiere produttive locali e di economie solidali; la tendenziale uscita delle imprese a valenza etica da ambiti di ‘nicchia’, ecc.);

2)            Esperienze che investono sulla costruzione di nuovi indicatori dello sviluppo, favorendo negli abitanti una lettura del territorio centrata sul ‘ben vivere’ piuttosto che sui tradizionali parametri economici, e promuovendo nuove culture della conoscenza e della valutazione dei territori che si connettano al modificarsi delle politiche pubbliche in una direzione più attenta all’emergere dei bisogni e al rafforzarsi del contributo attivo alle decisioni delle fasce di soggetti deboli o ‘insorgenti’;

3)            Esperienze riconducibili ad un cambiamento culturale emergente che a stili di vita consumistici contrappone modalità di produzione, scambio e consumo che trovano la propria definizione nel concetto di autosostenibilità e che promuovono la riduzione dell’impronta ecologica.

4)            Pratiche dove l’esame della profondità territoriale (attraverso processi di condivisione pubblica del dibattito sui valori territoriali, l’identità e il senso di appartenenza) punta alla costruzione di veri e propri ‘statuti dei luoghi’ che orientino le azioni di trasformazione territoriale a partire da un autoriconoscimento del patrimonio e dei saperi locali da parte degli abitanti.

5)            Esperienze centrate sulla costruzione di reti di relazione e di scambio solidale (economico e culturale) che connettano sistemi locali diversi – contigui o lontani - definendo il ruolo del Nuovo Municipio entro un orizzonte spazio-temporale più vasto, che contempla la costruzione di pratiche di ‘globalizzazione dal basso’ che annodino i fili dei processi di resistenza e di “liberazione” dalle costrizioni delle reti lunghe della globalizzazione a progetti di costruzione di un ‘nuovo mondo possibile’.

La discriminante comune a tutte le pratiche censite è la presenza di ‘effetti di luogo’, ovvero di un’incidenza delle stesse pratiche sul trasformarsi del territorio, dell’ambiente e degli spazi di relazione o di potere.

Lettura e racconto in un’ottica plurale

La società locale non si inventa, ma cresce valorizzando le energie virtuose e le nuove forme del lavoro già presenti sui territori. Il fare società locale è incessante crescita della tela di ragno di reti civiche fra i soggetti insorgenti più disparati: gruppi etnici, donne, bambini, associazioni, anziani, gruppi di volontariato che ritessono spazio pubblico nella città, centri sociali, nuovi agricoltori che producono beni pubblici (qualità ambientale, paesaggio, economie locali), produttori che valorizzano l’ambiente e le culture locali, ecobanche e commerci solidali. Fare società locale vuol dire connettere l’esplosione di frammenti puntiformi e di energie innovative che già agiscono sul territorio facendoli precipitare sinergicamente in uno stesso luogo o in reti di luoghi diversi, e stimolandoli a costruire insieme scenari condivisi di futuro.

Per fare questa connessione è importante saper mettere concretamente l'accento sulle "cose" e sulla materialità del "fare", senza - al contempo - disperdere il valore delle "parole" e della capacità di "fare racconto", cioè di "tramandare memoria". L’ambizione della nostra ricerca – che condividiamo con gruppi, riviste e siti web che cercano ogni giorno di raccontare cambiamenti in atto sui territori locali – è quella di stimolare il costruirsi di ‘nuove narrazioni’.

Il contributo che con questa ricerca si può offrire è quello di aiutare chi vuole raccontare pratiche innovative che ha vissuto o vive da abitante o da amministratore, ad inserirsi in un processo di ‘messa a sistema’, di dialogo e di confronto tra sperimentazioni diverse, che possa servire a valorizzare ogni esperienza, fornirle idee, suggerire legami tra soggetti che, pur possedendo obiettivi consonanti (difesa degli interessi comuni e dell’ambiente, inclusione dei più deboli, trasformazione dei modi della politica, ecc.) finora non si sono mai incontrati o non hanno mai pensato di poter collaborare.

Il compito non è semplice, e per farlo ci vogliono perseveranza ed inventiva. Lo avevamo intuito e dichiarato nel documento distribuito ad Empoli l’8 novembre, e l’avvio della prima fase della ricerca ce lo ha confermato. La ricerca-azione non è un impegno semplice, perché di solito chi agisce tende a sbilanciarsi sull’azione, e a dedicare poco tempo alla ricerca e al racconto di quanto sta sperimentando, dimenticando che produrre memoria è fondamentale per non ricadere in errore, come per trovare nuove energie da coinvolgere nel proprio progetto.

Affiancarsi alle esperienze innovative, per osservarle in maniera coinvolta, richiede pazienza e perseveranza. Ma il problema non è solo reperire informazioni o stimolare alla riflessione chi sembra concentrato soprattutto sull’azione, magari a rischio di sentirsi un intralcio allo svolgimento di un’esperienza. C’e’ un altro problema, che discende dalla pluralità e multiformità della società e che – se vogliamo - è più uno stimolo che non un limite: la difficoltà di raccontare, e di raccontare in modo confrontabile ed omogeneo (seppur non omogeneizzante) interventi, luoghi e persone che sono fra loro molto diverse, che sono in una fase temporale dissimile delle loro sperimentazioni e che hanno tempi e modalità difformi di pensarsi, di descriversi, di reagire a come gli altri li vedono o li raccontano.

Anche di questo eravamo coscienti quando il Gruppo di Ricerca presentò a Empoli le prime prove di descrizione dei casi ritenuti più interessanti, realizzate attraverso alcune schede di censimento che intendevano proporsi come strumento di confronto e scambio tra percorsi e ipotesi di lavoro differenti. Il dibattito nel gruppo di lavoro ‘Università e ricerca’ dell’ARNM ha evidenziato la necessità di prevedere una gamma più ampia di strumenti descrittivi in grado di rispondere ad esigenze diverse di rappresentazione, autorappresentazione e comunicazione delle differenti sperimentazioni. È quindi sulla molteplicità degli strumenti di lettura e censimento che abbiamo basato il periodo di ricerca intercorso tra le due assemblee dell’ARNM.

Metodologia di schedatura e rappresentazione.

A partire dai cinque principi-guida per l’individuazione delle esperienze da analizzare, il Gruppo di Ricerca ha adattato e raffinato alcuni degli strumenti già proposti per un censimento dei casi che offrisse un minimo grado di uniformità di lettura e comparabilità, e gli ha affiancato altre modalità di rappresentazione e catalogazione; cosicché attualmente l’Atlante va prendendo forma affiancando i seguenti livelli diversi di restituzione dell’analisi:

1) Tipologie differenti di Schede di rilevamento, pensate come strumenti-base di un archivio informatizzato e interattivo di pratiche. L’impostazione mira ad offrire uno strumento omogeneo di censimento al contempo articolato ma di semplice lettura. Pertanto si compone di domande dirette, alcune delle quali prevedono una risposta aperta, mentre altre sono seguite da alcune ipotesi di risposta ‘chiusa’. Le schede – caratterizzate da una struttura di tipo ipertestuale, che però può essere facilmente compilata anche in formato cartaceo e successivamente informatizzata dal Gruppo di Ricerca che gestisce l’archivio - hanno livelli di complessità e articolazione diversi:

1a) Le schede esplorative sintetiche dei casi sono uno strumento di autorilevazione e autodescrizione di esperienze istituzionali o originatesi dentro i tessuti sociali. Possono essere compilate da attori in esse coinvolti, oppure possono servire a ‘descrittori esterni’ ai processi indagati, ma che ne abbiano una buona conoscenza. Servono da primo approccio ad esperienze locali che mettano in campo una o più pratiche innovative, che potranno essere successivamente approfondita con interviste e materiali di corredo (cfr. esempi in allegato)

1b) Le schede di secondo livello cercano di stimolare l’approfondimento di singole pratiche (in particolare processi decisionali partecipativi), lette singolarmente e riassunte in una ‘scheda guscio’ che le mette in relazione all’interno di un’unità di luogo, cercando di capire come esse si relazionino tra di loro producendo valore aggiunto. Si può trovarne un esempio in allegato al presente documento.

2) Le interviste (ad amministratori, coordinatori di reti di associazioni, portavoce di movimenti, ecc.) costituiscono una modalità di restituire il punto di vista di un attore centrale di un’esperienza che mette in campo diverse pratiche interessanti ai fini della ricerca, cercando di dar conto di una complessità che le singole schede – per la loro stessa natura - non basterebbero a restituire. Servono a cogliere l’approccio strategico ad un territorio, laddove pratiche embrionali e dichiarazioni d’intenti convergono a disegnare una nuova cultura del rapporto tra società e territorio, coscientemente perseguita (cfr. esempi in allegato).

3) I ‘gusci narrativi’ sono forme di descrizione di un’esperienza più ‘raccontate’, dedotte da interviste plurime e corredate di schemi grafici, materiali informativi, mappe ecc. che cercano di mettere a fuoco – in maniera ipertestuale – l’incrociarsi su uno stesso luogo di molteplici pratiche, spesso agli albori, impercettibili o così peculiari da essere difficilmente riducibili ai canoni descrittivi richiesti dalle schedature (cfr. esempi in allegato).

4) Gli indirizzari rappresentano un modo di individuare soggetti ed attori territoriali che – entro una o più unità amministrative – presentano caratteristiche comuni o complementari che potrebbero farli convergere nell’attivazione di laboratori territoriali sperimentali di sviluppo locale autosostenibile.

Rispetto a quest’ultimo tipo di analisi, va sottolineato che una forma di rilevamento ‘a tappeto’ e non finalizzata rivestirebbe ben poco interesse, e andrebbe soggetta ad un rapido invecchiamento dati i ritmi e le ondate con cui le innovazioni territoriali mostrano di succedersi e articolarsi negli ultimi anni. In tale ottica, l’esempio di visualizzazione di un indirizzario su singoli territori di riferimento (nel caso proposto in allegato vengono visualizzate alcuni interessanti soggetti territoriali ed alcune pratiche messe in atto in Toscana) vuole essere un richiamo alla necessità che ogni ambito locale censisca e promuova l’integrazione dei fermenti che si muovono nel proprio territorio, con la finalità non certo di restituirne un immobile quadro conoscitivo, ma di riconoscere ‘circuiti potenziali’ e mettere in contatto attori diversi per produrre valore aggiunto territoriale e stimolare il farsi di società locale.

Verso un orizzonte di ricercazione

Nei suoi primi mesi di vita, la ricerca ha evidenziato un esito imprevisto. L’interrogazione di attori locali, amministratori e cittadini per pervenire ad una più realistica analisi di primo livello delle pratiche ha contribuito non solo all’approfondimento di forme di autoriflessione da parte degli attori coinvolti nelle trasformazioni descritte, ma anche all’attivarsi di reti tra attori che non si conoscevano o ignoravano di poter lavorare proficuamente insieme nel perseguimento di obiettivi comuni.

È a partire dall’osservazione delle potenzialità messe in valore da un meccanismo di conoscenza diffusa e collettivamente prodotta, che chiediamo a quanti leggeranno questo documento di segnalarci singole pratiche o esperienze concrete che rispondano ai criteri sopra esplicitati, scrivendoci all’indirizzo e-mail (partecip_azione@tiscali.it) o inviandoci materiale - che sarà vagliato in coerenza con i principi e la metodologia sopra esposta - al seguente recapito, con la dicitura: Elena Frascaroli e/o Francesca Rispoli e/o Giovanni Allegretti, c/o LaPEI - Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio, Via Micheli 2 – 50121 Firenze, Italia.

Questo documento, così come il dibattito che punta a stimolare, vuole essere aperto a suggerimenti e indicazioni da parte di ogni soggetto che si riconosca nei principi della Carta del Nuovo Municipio e intenda contribuire ad individuare ulteriori criteri ed esempi, o a descriverli direttamente usando uno degli strumenti appena richiamati.

Da parte nostra, ci preme sottolineare che la ricerca che abbiamo avviato (e che è destinata ad un entusiasmante cammino fatto di tempi lunghi e – ci auguriamo – di crescente capacità di comprensione delle esperienze) non intende avere un mero valore conoscitivo. Semmai, vuole essere un momento di ‘riconoscimento’ di fermenti costruttivi che si muovono sui diversi territori del nostro come di altri paesi.

L’auspicio che ci facciamo (che è prima di tutto un ambizioso obiettivo) è che la mappatura territoriale delle pratiche serva a dare un contributo ed uno stimolo in più all’attivazione di laboratori territoriali sperimentali dove le Amministrazioni che fanno parte della Rete del Nuovo Municipio – come altre che ancora non vi aderiscono – si incontrino con la creatività sociale degli abitanti e della società civile organizzata per costruire nuovi scenari di riferimento e dar forma a nuovi progetti di futuro, nel solco dei principi dell’autosostenibilità dello sviluppo e della valorizzazione/protezione attiva di risorse, saperi e patrimoni sociali locali.

Riflessioni sui ‘Cantieri in corso’

Nel seguito, cercheremo di raggruppare alcune riflessioni che emergono dal quadro di esperienze che il Gruppo di Ricerca ha iniziato ad esaminare. Lo faremo in riferimento a tre grandi ‘orizzonti di senso’ che abbiamo riconosciuto, e dove pratiche diverse e complementari spesso si incontrano e convergono nel dar forma ad esperienze complesse e articolate.

Vale pena rilevare come finora l’esistenza di limiti o punti di debolezza nelle diverse pratiche esaminate sia spesso percepito dagli stessi promotori e partecipanti come una risorsa: che testimonia del carattere di avanguardia e di rottura che molte esperienze hanno, evidenziando al contempo (seppur sovente a contrariis) le sfide da raggiungere come anche le risorse e i correttivi su cui puntare, oltre che i nuovi soggetti territoriali che è necessario includere per arricchire o addirittura invertire il segno delle esperienze stesse.

Infine, una necessaria avvertenza: il presente documento non è che un rapporto intermedio, esemplificativo di alcuni obiettivi e metodologie della ricerca. Pertanto l’incompletezza dei censimenti, così come delle rappresentazioni e di alcune schedature proposte per l’Atlante è da leggersi come il segnale di un magma incandescente e crescente di fermenti costruttivi che vanno attraversando il nostro territorio.

1. E’ tempo di bilanci

1.0. Premessa

Il diffondersi della conoscenza in Italia dell’esperienza di Porto Alegre (anche grazie ai Forum Sociali Mondiali) ha portato il tema del Bilancio Partecipativo al centro della discussione sulle innovazioni sperimentabili nell’ambito del rinnovamento della gestione delle trasformazioni territoriali. Il dibattito ha avuto più livelli e più piani di sviluppo. Mentre l’approfondimento teorico sulle molte esperienze latinoamericane e sulle prime emulazioni europee procedeva attraverso pubblicazioni, seminari, tesi e corsi di formazione, ha preso forma un’ondata di sperimentazioni operative che – con le loro enormi differenze, i loro diversi gradi di ‘autarchia’ e i loro molteplici modi di riferirsi (o di non riferirsi) alle esperienze internazionali – hanno notevolmente arricchito il dibattito politico/accademico, per di più ampliandone la portata ad una più vasta congerie di pratiche e di significati che mettono al centro il tema dei ‘bilanci’ nelle sue plurime accezioni. Parlare oggi di Bilanci Partecipativi, di Bilanci Sociali o di Bilanci di Giustizia è certo trattare temi tra loro diversi, ma è anche affrontare problemi complementari, a partire da punti di vista consonanti. Non è un caso che – infatti – alcune amministrazioni locali comincino a mettere in stretta relazione le sperimentazioni di Bilancio Partecipativo con la costruzione di modi complessi e ‘finalizzati’ di leggere le proprie politiche e le contraddizioni dei propri territori di riferimento che prendono il nome di Bilanci Sociali. Mentre – tra le pratiche emergenti dai tessuti sociali organizzati – la riflessione quotidiana dei Bilanci di Giustizia comincia a trovare una saldatura con iniziative come la campagna ‘Sbilanciamoci’, che puntano ad ampliare la coscienza sociale e politica di ogni cittadino attraverso riflessioni sugli sprechi, la pervasività dei modelli consumistici e l’opportunità di adeguare gli stili vita agli obiettivi della sostenibilità dello sviluppo. Nella piena coscienza che la causa dello sviluppo sostenibile è oggigiorno ancora un ‘soggetto debole’, sia all’interno delle politiche pubbliche sia nella vita quotidiana della maggior parte dei cittadini, e che la sua affermazione non può legarsi solo ad azioni istituzionali, a divieti o a normative finalizzate a costruire singoli ‘atti’ che ne rispettino gli obiettivi prioritari, ma ha la necessità di un’adesione consapevole di tutti gli abitanti e i produttori del territorio ai suoi principi di fondo, a partire da un ‘volontarismo quotidiano’.

1.1. Bilanci Partecipati o Bilanci Partecipativi?

Un interessante (quanto recente) ambito di sperimentazione politica, è quello dei primi percorsi italiani di Bilancio Partecipativo (B.P.), tra loro molto diversi ma tutti centrati sull’idea di portare avanti un’autoeducazione alla democrazia della cittadinanza, attraverso forme di co-decisione tra abitanti ed istituzioni relativamente ai nuovi investimenti strategici per il territorio. In realtà questi due obiettivi non sono sempre espliciti e coesistenti nelle diverse esperienze del nostro Paese, che accompagnano un movimento di ampiezza europea (esteso anche a parti dell’India e ad alcuni paesi dell’Africa centrale) che trova il proprio riferimento ideale nelle sperimentazioni ormai quindicennali di molte città latinoamericane.

C’è uno strano indicatore linguistico che funge quasi da ‘discriminante’ tra due diverse famiglie di B.P., che riflettono approcci molto diversi alla partecipazione popolare in tema di scelte di natura economico-finanziaria. Chi voglia averne una panoramica può inserire alcune parole chiave in un motore di ricerca sul web per rendersene conto facilmente.

Ad oggi esistono, infatti, una quindicina di esperienze di ‘Bilancio Partecipato’ e un terzo circa di esperienze di ‘Bilancio Partecipativo’, in fasi diverse di sperimentazione e dove si evidenziano grosse trasformazioni strutturali avvenute all’inizio del 2004, a seguito della valutazione di limiti ed opportunità di arricchimento di esperienze-pilota partite già a cavallo tra il 2002 e il 2003.

Le esperienze di Bilancio Partecipato si assomigliano molto tra di loro. In genere rappresentano il nome dato a ‘momenti’ di partecipazione cittadina inseriti in processi tradizionali di costruzione tecnica dei documenti di bilancio pubblico. Questi momenti hanno declinazioni differenti (puramente informative, o anche di ascolto dei bisogni) ma non prevedono procedure ‘decisionali’, o le limitano a votazioni su fondi contingentati per la realizzazione di una o due opere pubbliche. Per lo più prendono forma nell’ultimo trimestre dell’anno (all’avvicinarsi delle scadenze di chiusura del bilancio e dei piani di investimento), attraverso assemblee di quartiere o rione, e percorsi itineranti dei Sindaci e delle Giunte municipali sul territorio amministrato. In qualche caso (come a San Pier Maggiore, BO) si sperimenta l’affiancamento di assemblee d’area e di raggruppamenti per categoria, con orari differenti ed anche ripetuti in uno stesso giorno, per intercettare gruppi diversi di cittadini e consentire la maggior partecipazione possibile.

Particolare (perché si sottrae ad un rischio di eccessiva episodicità dei percorsi di ascolto della cittadinanza) è l’approccio scelto dal Comune di Melegnano (MI), che a metà 2003 ha predisposto un Documento di Programmazione Economico-finanziaria, per poter dilatare i tempi della discussione con i cittadini e darle continuità attraverso la costruzione di una base di ipotesi economiche di quadro su cui discutere per fasi successive, seppur puntando essenzialmente alla ‘anticipazione dei tempi di redazione’ del bilancio, e a alla creazione di ‘un’immagine positiva dell’Amministrazione’. In questo caso è risultato blando l’uso degli strumenti informatici, limitati all’apertura di una Email su cui convogliare i suggerimenti. Del resto, il caso di Vignola (MO) – dove un progetto di 250.000 euro da inserire nel bilancio 2004 è stato scelto dai cittadini tra quelli precedentemente indicati dagli abitanti stessi – mostra che lo strumento informatico non può sostituire, ma al massimo complementare, i momenti assembleari di incontro vis-a-vis (solo il 24% dei 1038 votanti lo ha fatto per via elettronica). Non solo: il caso di Vignola (dove il progetto scelto ha avuto il 53,4% dei voti elettronici, soprattutto di giovani) mostra anche i rischi di affidarsi a forme di e-democracy quando parallelamente non vengono impostate politiche di promozione dell’uguaglianza dell’accesso ai mezzi tecnologici, senza le quali si può finire per sbilanciare le decisioni territoriali a pro di chi ha più mezzi e ‘connessioni’ con la modernità.

Nel complesso, nonostante le differenze, i Bilanci Partecipati tendono per lo più a fondarsi sull’ascolto selettivo degli umori popolari da parte delle Giunte Municipali (vedi il caso di Sala Baganza, PR o Modugno, BA), al massimo mettendo in votazione piccoli ‘portafogli’ di spese o singoli progetti che possono accedere ad un contributo limitato. Quella dell’utilizzo del termine ‘partecipato’ in accezione ‘minimalista’ rispetto al significato iterativo del termine ‘partecipativo’ (che evidenzia in maniera quasi onomatopeica la strutturazione ciclica e continuativa dei percorsi di partecipazione) non è ovviamente una regola assoluta, ma appena una tendenza rivelatrice. Ci sono, infatti, casi – come quello di Lodi – in cui l’avvio di un processo di Bilancio Partecipativo ha caratteristiche di sperimentazione ‘timida’, configurandosi più come coinvolgimento diretto dei cittadini nel decidere su uno o due temi, che non mettere in discussione priorità generali e redistribuzioni di investimenti sul territorio.

In alcuni casi i Bilanci Partecipati sono appena dei riferimenti ideali, a cui ancora non si accompagnano trasformazioni concrete delle politiche di bilancio. Altrove sono ‘ipotesi di lavoro’, magari supportate da mozioni consiliari a cui – si spera – non seguirà solo una fase di inchiesta o di formazione, ma applicazioni operative (è il caso delle dichiarazioni d’intenti di alcune Province, come Genova, Livorno e Reggio Calabria, o di Comuni come Collegno). Peraltro, accade anche ad alcuni processi di Bilancio Partecipativo di non avanzare molto nella sperimentazione, ancorché formalmente proclamati attraverso l’istituzione di appositi assessorati o di delegati del Sindaco (Pescara, Roma, Venezia, Castellammare di Stabia o Nocera Inferiore, SA). In tali casi, a tramutare i Bilanci Partecipativi in vuoti simulacri sono la mancanza di una cultura o l’inesperienza in tema di innovazione istituzionale e democrazia allargata, altrove l’assenza di reale volontà politica o una volontà ‘residuale’, confinata in singole forze della coalizione ma incapace di divenire ‘progetto comune’. Sovente, questi fantasmi di Bilanci Partecipativi ‘in potenza’ attendono di valutare gli effetti di rivitalizzazione di percorsi storici come le Consulte Tematiche o i Consigli di Quartiere (Monza, Piacenza) ma non fanno ancora far propria la necessità di un ampliamento del coinvolgimento popolare e della costruzione di ‘nodi centrali’ di rinnovamento del governo territoriale.

Non è però costruttivo demonizzare queste esperienze ‘soft’ che stanno oggi prendendo piede: qualora – infatti – le attuali sperimentazioni intendano ‘maturare’ ed ‘ampliarsi’ divenendo un volano per la strutturazione di una crescita del coinvolgimento degli abitanti a livello decisionale, esse meritano rispetto. Soprattutto perché molte stanno testando in maniera onesta in quale misura il contributo dei propri concittadini alla definizione delle politiche possa costituire una risorsa di cui – soprattutto a partire dalla nuova legge elettorale del ’93 – ci si è spesso privati in maniera pregiudiziale, limitando i contatti alla costruzione di consensi piuttosto che alla produzione di ‘senso in comune’ (con-senso).

Rari appaiono oggi i percorsi che non usano strumentalmente il riferimento (che sia o meno terminologicamente corretto) al celebre modello sudamericano. Tra questi vi sono il caso di Bellusco (con il processo ‘Un Bilancio con tante idee’) e di Vimercate (MI), dove il percorso chiamato ‘I cittadini scrivono il bilancio’ ha colto la necessità di mettere l’accento su uno dei principi base del modello d’oltreoceano (la centralità dei cittadini nel momento della stesura dei documenti). Qui il nome-slogan (scelto per identificarlo dentro i quindici giorni della Settimana della partecipazione svoltasi nel settembre 2003) focalizza il bilancio non come soggetto, ma come oggetto del percorso di trasformazione delle politiche pubbliche. E coglie appieno il rischio dell’isolamento comunicativo che il bilancio – in quanto percepito come noioso ed inavvicinabile processo tecnico – può subire, anche se messo al centro di processi di discussione pubblica. In tal senso, gli spazi semi-aperti di discussione di alcune opzioni sulle opere pubbliche ritenute prioritarie (vincolate ad un tetto massimo di spese prefissato) sono stati messi a rete con i percorsi del tavolo di Agenda 21, con le Consulte di Quartiere e il Piano di Zona, anche per attenuare l’impressione di un percorso episodico, contestualizzandolo all’interno di attività-quadro che hanno maggiore continuità temporale. Importante è che a Vimercate sia stato reso pubblico un documento finale di valutazione del percorso, un onesto reportage su debolezze ed opportunità della prima sperimentazione, che cerca una sua collocazione ragionata nell’ambito delle politiche pubbliche, volendo dichiaratamente evitare di essere percepita come semplice ‘occasione di sfogo per i cittadini’ piuttosto che come uno spazio di negoziazione e costruzione condivisa di scelte. Tra l’altro il documento ha avviato l’apertura di un Ufficio Servizi e Partecipazione e di una pagina WEB che mette a disposizione dei cittadini statistiche sul territorio, progetti e dati di monitoraggio delle attività, affermando programmaticamente che “ci si può esprimere solo su ciò che si conosce, e che ci si esprime con efficacia solo su ciò che si conosce bene”.

Qualche analogia con questo approccio la mostra il caso del Bilancio Partecipativo di Grottammare, il più antico e ‘autoctono’ tra gli esperimenti italiani, visto che data al ’95 e solo da due anni ha iniziato a proporre contaminazioni positive con esperienze di altri territori. Oggi, il processo si chiama ‘Grottammare Partecipativa’ e non ingloba solo le due sessioni strutturate di discussione del bilancio, consistenti in assemblee svolte consecutivamente nei 6 rioni cittadini, ma – fin dal nome – mette l’accento su un’integrazione programmatica della discussione delle scelte di bilancio con altri percorsi co-decisionali, come l’Agenda 21 (che oggi realizza inchieste importanti a supporto della crescita dei percorsi di partecipazione, assumendo anche un ruolo di monitoraggio e appoggio scientifico agli stessi) e – negli anni passati - il Piano Regolatore. Va riconosciuto, infatti, che a Grottammare la partecipazione (fino a quest’anno poco strutturata e raramente mostratasi capace di produrre memoria del suo sviluppo temporale) ha avuto un forte peso sostantivo, sia incidendo sugli strumenti urbanistici che sull’articolarsi delle formazioni politiche locali. Tant’è che da 12 anni è una lista civica chiamata ‘Solidarietà e Partecipazione’ ad amministrare la città, con risultati elettorali che possono stupire se rapportati a quelli riscossi a Grottammare dalle varie formazioni politiche tradizionali durante le elezioni nazionali. Questi evidenziano, infatti, un’importante acquisizione dei cittadini nel saper leggere e articolare il proprio giudizio sul governo del territorio, a seconda delle diverse scale territoriali; così come la capacità degli abitanti di ampliare lo sguardo oltre i propri confini è testimoniata dagli interessanti progetti di cooperazione allo sviluppo messi in atto negli ultimi anni, letti come opportunità di ‘contaminazione positiva’ e di arricchimento delle proprie sperimentazioni di democrazia allargata. Non stupisce pertanto che il nome che oggi l’esperienza di Bilancio Partecipativo di Grottammare ha assunto (in parallelo ad un processo di strutturazione ed istituzionalizzazione delle proprie conquiste democratiche) abbia una valenza ‘riassuntiva’ di pratiche partecipative diverse fortemente radicate nel territorio, visto che sono anche queste che (soprattutto a vantaggio dei cittadini immigrati e delle famiglie residenti nei quartieri più recenti) hanno contribuito alla costruzione di un’identità locale aperta al dialogo con l’esterno e con le sue sedimentazioni storiche, come è ben descritto negli atti del primo incontro di lavoro e confronto tra alcuni Enti Locali italiani che praticano il Bilancio Partecipativo, ospitato il 14 febbraio 2004 proprio a Grottammare.

Tra le esperienze municipali più interessanti di Bilancio Partecipativo c’è anche quella di Pieve Emanuele, comune della cintura milanese che ha profonde assonanze con Grottammare per quanto concerne le dimensioni e le sperimentazioni di processi partecipativi, anche qui avviati con gradualità dal ’94 a seguito di un commissariamento del Comune che rese necessaria la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra amministratori e cittadini. In questo caso, il Bilancio Partecipativo ha un preciso riferimento alla celebre esperienza brasiliana, in forma di omaggio politico (come adombrato dal nome ‘Pieve Alegre’ dato all’insieme dei processi partecipativi in atto in città). Ciò nonostante, la strutturazione del percorso non imita ma emula criticamente i principi del suo ‘orizzonte ideale’, adattandoli alle peculiarità del proprio territorio locale. Anche il taglio dato all’esperienza è particolare, come rilevato da un documento del Programma di Gestione Urbana dell’ONU servito da base per l’attivazione del programma europeo URB-AL Rete 9: infatti, è servita ad una riorganizzazione della struttura delle responsabilità amministrative intorno ad un progetto ‘forte’, collegato all’Assessorato alla Cultura e alla Comunicazione, quasi a rappresentare simbolicamente una volontà di cambiamento culturale irreversibile nelle relazioni tra municipio e abitanti, perseguita attraverso un forte investimento politico e la capillarità e multiformità dei percorsi comunicativi.

L’esempio di Pieve Emanuele illustra bene le caratteristiche che la letteratura pone alla base dell’appartenenza di un’esperienza autodenominatasi Bilancio Partecipativo al novero di quella categoria di significato: punta, infatti, sulla partecipazione dei cittadini non organizzati, stimola relazioni orizzontali tra gli abitanti (e non si limita ad attivare solo relazioni verticali di dialogo con il Comune), mette in gioco dispositivi decisionali innovativi, unisce momenti di riflessione a base tematica e territoriale, e si presenta come strumento redistributivo attraverso il superamento della mera consultazione dei cittadini a favore di forme decisionali sull’identificazione delle principali priorità di spesa del bilancio. A Pieve, la ‘messa a regime’ di questa capacità decisionale è stata prevista come graduale e crescente, e si accompagna all’identificazione di due fasi del ciclo partecipativo, la prima dedicata al rilevamento collettivo dei bisogni, e la seconda in forma di tavoli di progettazione che discutono dei temi da mettere in bilancio, proponendo progetti e identificando modalità di finanziamento che creino sinergie tra forze e risorse di provenienza differente. Centrale è il forte investimento sul monitoraggio dei partecipanti e delle loro motivazioni, realizzato da un apposito Ufficio Partecipazione. Questo ha permesso, infatti, di supportare dapprima l’avvio e poi il radicamento del processo, attraverso strategie ‘adattive’ che da un anno all’altro fanno tesoro di quanto precisamente osservato in precedenza. La stessa proposta della prima sperimentazione biennale è maturata appoggiandosi su inchieste locali, e attraverso un periodo sperimentale di pre-avvio in cui - nell’ultimo bimestre 2002 – il Comune ha chiamato i cittadini a partecipare ad assemblee pubbliche mirate a dar forma ad una prima ipotesi di processo. Dal momento in cui la sperimentazione è partita, si è individuato il periodo di 2 cicli annuali completi (2003-2004) come lasso ‘di rodaggio’ dell’iniziativa, per verificarne e reindirizzarne presupposti, modalità organizzative ed esiti. E va rilevato che i cambiamenti messi in atto nel 2004 – in parallelo ad una ‘statuizione’ più formale del processo in seno alle istituzioni locali – sta producendo risultati interessanti sul cambio di pubblico, supportata dall’integrazione con uno specifico processo di attenzione alle questioni di genere e al coinvolgimento dei giovani, già destinatari di progetti di inclusione sociale e di percorsi partecipativi nei settori delle politiche giovanili e della scuola.

In qualche caso, i percorsi di sperimentazione riguardano singole circoscrizioni cittadine, dove i problemi di coinvolgimento degli abitanti nelle decisioni sono acuiti dall’incertezza sugli effetti pratici delle scelte condivise, conseguente al fatto che il bilancio dei quartieri è approvato a livello ‘centrale’ ed è quindi passibile di emendamenti imprevedibili in fase finale. Per questo, spesso vi è una cautela che prende corpo nel dare ai momenti di incontro soprattutto il ruolo di ‘base di analisi per l’ottimizzazione delle linee-guida di mandato’ (Circoscrizione 2 di Torino), o nell’identificazione di singoli settori di sperimentazione della co-gestione delle scelte (settore spese di manutenzione e rinnovo delle scuole e delle loro pertinenze nel Quartiere 4 di Firenze, dal 2001), quando non si traduce in vere e proprie ‘esperienze minimali’ come quelle della Circoscrizione Carpenedo-Bissuola 9 di Venezia per l’approvazione di un’iniziativa culturale promossa dai cittadini (settembre-novembre 2003).

Fa eccezione a questo panorama il Municipio XI di Roma, che si giova di una sperimentazione-pilota che la capitale sta portando avanti sulla base del Testo Unico 267/2000: quella del decentramento rafforzato nelle sue prerogative decisionali di autonomia su alcuni settori di spesa. La forza con cui da un anno il percorso di Bilancio Partecipativo si sta radicando in alcuni tessuti (seppur non in tutti quelli di un quartiere che conta 150.000 abitanti) è supportata da una forte volontà politica della sua giunta, il cui presidente non ha esitato a legare il rispetto delle priorità indicate dai cittadini al suo stesso mandato, per vincere l’opposizione di una coalizione che vede nel processo partecipativo una sorta di ‘nemico politico’ che confisca parte dei poteri degli eletti. Pertanto, è oggi dalla base dei partiti (e non dai loro rappresentanti in Municipio e in Comune) che sta giungendo il supporto ad un percorso sperimentale che si accompagna ad un attento monitoraggio dei suoi partecipanti per modificare le sue regole in maniera adattiva, in modo da creare un riflettersi del processo nella struttura delle decisioni amministrative, e da crescere di pari passo con i saperi e lo spirito costruttivo degli abitanti che vi partecipano. Attualmente, sulla base del rilevamento di alcuni limiti evidenziatisi nel 2003, la strutturazione del percorso sta velocemente evolvendo. Ad esempio, si sta cercando di fermare il riprodursi di meccanismi di delega tra abitanti e delegati popolari del Bilancio Partecipativo (eletti in proporzione di 1 ogni 15 partecipanti di un rione presenti nei turni assembleari), con la trasformazione dei delegati in semplici portavoce, che mettono al centro del processo le assemblee territoriali dove si priorizzano le principali voci da inserire nel bilancio del municipio. Interessante, in questo caso, è anche il processo di statuizione delle regole del percorso, in procinto di essere ufficialmente inserite nello Statuto dell’ente, in modo da poter rappresentare un’eredità costante per il futuro, da mettere in relazione con altri processi di coinvolgimento, come i Contratti di Quartiere e i Piani Sociali di Zona. La candidatura del Presidente Smeriglio al Parlamento europeo può rappresentare una proposta interessante, se dovesse attivare un percorso di cortocircuito e saldatura tra l’istituzione locale e un livello sovrastatale di riflessione, dove il tema della partecipazione non è mai stato preso in seria considerazione,venendo schiacciato su un’accezione asimmetrica e non ‘circolare’ del principio di sussidiarietà. Una concezione che lascia poco spazio di proposta alla società civile e ai livelli politici più vicini al cittadino, nel momento in cui li carica di responsabilità sociali e scarica su di loro i percorsi di fornitura dei servizi alla persona, specie per quanto concerne le categorie più tradizionalmente emarginate (bambini, anziani, immigrati, disabili).

In tale quadro, sarebbe interessante osservare gli esiti dei fermenti sociali che ‘dal basso’ propongono da tempo a molte amministrazioni locali l’attivazione di percorsi di Bilancio Partecipativo, facendo leva sulle connessioni a rete che i Forum Sociali hanno costruito negli ultimi 4 anni. Purtroppo, ad oggi, vi è un solo percorso coronato da esiti concreti, fra i tanti e difficili tentativi compiuti per attivare ‘dal basso’ esperienze di Bilancio Partecipativo, facendo pressione sulla politica a partire dai tessuti sociali (invece che accogliendo la proposta di istituzioni ‘illuminate’ desiderose di attivare processi di co-gestione e di ‘empowerment’, o anche semplicemente alla ricerca di pacificazione sociale o di rinnovamento della propria immagine). Il caso è quello di Vicenza, città amministrata da una giunta di centrodestra finora sorda al tema del coinvolgimento dei cittadini nelle scelte di pubblico interesse. L’esperimento è stato promosso dal ‘Gruppo Bilancio Partecipativo’, un gruppo informale che nel 2003 ha organizzato grandi assemblee popolari per far emergere proposte, idee e critiche riguardanti la propria città e trasformarle in mozioni da inviare in Consiglio Comunale. È proprio creando un asse privilegiato di dialogo con numerosi consiglieri comunali, e aggrappandosi ad una norma dello Statuto Municipale, che il gruppo sta faticosamente ottenendo che alcuni cittadini possano presentare in Consiglio Comunale proposte supportate dalla legittimazione sociale dei processi di autorganizzazione popolare che le hanno fatte emergere e priorizzate.

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