Domande per un’inchiesta sulla psicologia di comunità in Italia e risposte di Guido Contessa (Arips)


A quando risale la nascita della psicologia di comunità italiana? E’ riconducibile ad un libro, ad un convegno o altro?

Mi piace pensare che la psicologia di comunità italiana sia nata una sera del 1979, dopo cena, sul terrazzo dell’ARIPS, durante un colloquio fra il sottoscritto, Donata Francescano e Margherita Sberna. L’anno precedente era uscito il primo titolo in italiano sul tema: il libro in cui la Francescato descriveva molto bene la storia e la geografia della psicologia di comunità americana, nata una ventina di anni prima. La serata concludeva il 1°Convegno Italiano “Psicologia di comunità-Psicologia del territorio”, tenuto a Mazzano (BS). I relatori erano: Dino Origlia (Univ.Parma), Donata Francescano (Univ.Roma), Giuseppe Bulgarini e Chiara Cominacini (CSZ –allora cosi’ si chiamavano le ASL- di Brescia), Paolo Tranchino (OO.PP. di Firenze), Raffello Martini (Arips e CSS di Lucca), Guido Contessa (Arips). Coordinava il Convegno Margherita Sberna, Presidente Arips.
Nell’aprile 1979 era stato promosso da Arips il Comitato promotore della Divisione di Psicologia di Comunità nella SIPS – Società Italiana di Psicologia. Nel settembre 1979 ad Acireale, durante il Congresso della SIPS, dopo una battaglia molto aspra, fu approvata nella SIPS la Divisione di Psicologia di Comunità.
Questo insediamento sociale della disciplina si dovette alla alleanza fra alcuni professionisti e la Francescato, in rappresentanza del mondo accademico.
L’Ottobre del 1980 è stato il mese del 2° Convegno “Psicologia di Comunità - Psicologia del Territorio”. Ad esso hanno partecipato come relatori: Mike P.Bender (London Borough of Newham), Teresita Bachiorri e Maria (Comune di Roma), Rodolfo Brun (Comune di San Maurizio Canadese), P.Branca (Arips e C.M.S.R. di Milano), A.Palmonari e B.Zani (Univ. Bologna), l’équipe di P.Tranchina  dei Servizi Psichiatrici Provinciali di Firenze; A.Rossati segretario della SIPS piemontese; oltre a G.Contessa, M.V.Sardella e M.Sberna dell’Arips stessa. Nel 1981 è uscito il secondo libro italiano sul tema: “Per una psicologia di comunità” a cura di G.Contessa e M.Sberna, con le maggiori relazioni dei due Convegni promossi da ARIPS. A cavallo fra il 1979 e il 1981 Arips sperimentava uno dei primi grandi progetti di psicologia di comunità, alla ricerca di un modello di intervento contro le tossicodipendenze (progetto M.I.TO.), nel Quartiere di Sampierdarena a Genova, su commissione del Servizio Salute Mentale locale. Ad esso in venticinque anni sono seguiti circa 50 progetti di comunità, gestiti da Arips. (Tutte queste notizie sono in Contessa G., Sberna M. “Psicomunita’”, Ed Arcipelago, 2000)


2- Qual era il clima culturale che si respirava in Italia negli anni in cui nacque la psicologia di comunità?

Iniziava il Welfare State all’italiana mentre si stava uscendo del picco degli “anni di piombo”. Il paese stava mettendo al centro la necessità di sostenere la crescita e la salute, in parallelo alla rigenerazione dei territori. La psicologia di Comunità ha avuto un avvìo relativamente breve perche’ rispondeva a questo secondo bisogno: rigenerare i tessuti territoriali come strategìa per lo sviluppo e la salute dei cittadini. Il clima culturale della SIPS era largamente dominato dalla leadership accademica che non dava alcuna importanza alle istanze professionali. La battaglia ad Acireale fu vinta grazie al fatto che l’ala professionale (Contessa, Sberna, Fasce, Berra, ecc.) accettò di lasciare il controllo per l’avvìo della divisione a Donata Francescano, come garante per l’università. La spaccatura concordata allora per motivi tattici non e’ stata ancora risanata. Ancora oggi quelli che come professionisti fanno Psicologia di Comunità sono estranei a coloro che la praticano per motivi accademici.

Quali erano i principali riferimenti teorici (autori, concetti, modelli) in quegli anni?
Allora come oggi, le correnti sono due. La prima maggioritaria è quella che ha al centro l’individuo e considera la comunità come contesto, contenitore, supporto. Questa corrente ha come leadership Donata Francescano e il mondo accademico in genere. La seconda, minoritaria, mette al centro la comunità come oggetto di studio e soggetto dell’intervento. Questa corrente ha come primo rappresentante il mio gruppo di riferimento (Arips).

4- Dovendo tracciare un profilo storico dell’evoluzione della disciplina nel nostro Paese, quali sono stati gli eventi di importanza rilevante?
a. Il primo libro di D. Francescato (1977)
b. I Convegni Arips (1979-1980)
c. L’apertura della Divisione Psicologia di Comunità SIPS (1979)
d. La riforma universitaria per indirizzi (con il riconoscimento dell’indirizzo “psicologia clinica e di comunità”

5- Quali volumi pubblicati in Italia considera più rilevanti per chi si interessa di PdC?

Francescato D. “PSICOLOGIA DI COMUNITA’”, Feltrinelli, Milano, 1977
Contessa G., Sberna M. (a cura di) “ PER UNA PSICOLOGIA DI COMUNITA’”, Clued, Milano, 1981
Martini R., Sequi R. “IL LAVORO NELLA COMUNITA’”, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1988
Francescato D. “OLTRE LA PSICOTERAPIA”, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993
Contessa G., Sberna M. “PSICOMUNITA’”, ed.Arcipelago, web, 2000

6- Quali riviste scientifiche ritiene che abbiano ospitato contributi italiani più significativi?
A causa della separazione fra professione e università, quest’ultima non ha prodotto granche’ in venticinque anni, e quindi nessuna rivista “scientifica” ha ospitato contributi di Psicologia di Comunità in modo continuativo. Un secondo motivo di debolezza circa le pubblicazioni, risiede nel fatto che essa è, in Italia, una disciplina di metodo più che di contenuto. La Psicologia di Comunità accademica non e’ stata lo studio dell’oggetto “comunità”, ma lo studio delle pratiche psicologiche sensibili al contesto. A parte eccezioni minoritarie –fra cui il sottoscritto e il suo gruppo- anche gli interventi di psicologia di comunità non sono centrati sulla comunità come insieme, ma sugli individui, anche se con uno sguardo sensibile al contesto. Ne risulta che molti contributi scritti sono ascrivibili alla psicologia individuale, clinica o educativa, più che alla psicologia di comunità.

7- In che modo le sembra che sia cambiato negli anni il settore della psicologia di comunità italiana? (per esempio, è cresciuto dal punto di vista delle applicazioni, sono mutati i principali riferimenti teorici, o altro?)
La Psicologia di Comunità è stata la psicologia con maggiore sviluppo nel panorama italiano, dell’intero secolo. Dalle prime riflessioni alle cattedre universitarie è passato meno di un decennio. Si può dire che ormai è minoritario l’intervento psicologico individuale, senza sensibilità ambientale. Tutti gli interventi commissionati da enti pubblici o locali sono ormai di comunità. Tutti i progetti finanziati dalla UE sono di comunità. Non c’è stato un grande sviluppo nella ricerca, ma ce ne è stato uno enorme nelle applicazioni: progetti giovani, progetti di prevenzione, progetti di promozione, progetti di sviluppo territoriale e di partecopazone urbana sono tutti riconducibili alla matrice della psicologia di Comunità. Ormai si può dire che tutta la psicologia applicativa, non psicoterapeutica, sia “di comunità”. Di fatto sono ancora attivi i due approcci dell’inizio. Quello che parte dal singolo e che coinvolge il territorio, cioè che considera la Psicologia di Comunità come un metodo, e quello che mette il singolo sullo sfondo per focalizzarsi sulla “figura” della comunità.

8- Esistono peculiarità proprie della PdC italiana? Vi sono differenze rispetto ad altri Paesi europei e non europei?

L’unica differenza significativa mi sembra relativa al fatto che, specie negli Usa, la Psicologia di Comunità, orientata alla comunità, non è così minoritaria come in Italia.

9- Nel mondo accademico ed in quello professionale, si possono individuare dei personaggi chiave? Per quali motivi attribuisce a loro questo ruolo?

Assommando il mondo accademico e quello professionale, mi sembra esistano solo 3 gruppi o “scuole” con un certo significato: uno accademico che fa riferimento a Donata Francescano, e due professionali (il gruppo Martini, Branca, Valzania e il gruppo Arips)

10- Quali aree di interesse hanno trovato maggiore sviluppo in Italia fino ad oggi? E’ possibile spiegarne il motivo? Quali servizi pubblici o privati ne hanno tratto maggior vantaggio?
Lo sviluppo maggiore ha riguardato i Comuni e i SerT, e in misura minore la Scuole. Il motivo è evidente. La Psicologia di Comunità è la Psicologia del Territorio, e dunque coinvolge direttamente tutte le agenzie che hanno maggiori legami col territorio.

11- Che rapporti ci sono tra mondo accademico e professionisti nel nostro Paese? E’ sempre stato così?
Pochissimi rapporti, come ho già detto. Negli anni passati era anche peggio.

12- Quale è stato il ruolo svolto dalla SIPCO in questi anni?
Molto modesto, e sempre comunque centrato sull’università.

13- Analizzandone lo sviluppo e l’evoluzione, si possono evidenziare dei punti di debolezza del movimento della psicologia di Comunità italiana?
L’unico punto di debolezza dell’approccio, non del movimento che non è, di psicologia di Comunità, è comune a tutte le pratiche (psicologiche e non) di cambiamento. Nel primo decennio la pratica di comunità si e’ espansa vorticosamente, ma dai primi Anni Novanta ha cominciato a subire una contrazione non quantitativa, ma qualitativa. L’Italia, e l’Occidente in genere, ha iniziato un percorso di conservazione quando non di pura reazione, per cui ogni pratica di cambiamento (animazione, educazione, sensibilizzazione, formazione, prevenzione, ricerca, orientamento) ha sofferto di un progressivo svuotamento. Da quasi quindici anni, la maggioranza degli operatori del cambiamento ha assunto un ruolo meramente decorativo, quando non espressamente repressivo. Il lavoro del cambiamento è divenuto materialmente impossibile, ed è stato sostituito da quella della pura assistenza. Tutte le pratiche sociali hanno iniziato una vistosa decadenza, visibile nella generale dequalificazione delle professionalità e nella rarefazione della ricerca e degli eventi culturali. L’ordine degli psicologi è stata la pietra tombale del processo degenerativo, avendo di fatto risucchiato tutte le forme associative degli psicologi (e posso dirlo senza rischiare l’accusa di nichilismo, essendo stato uno dei costruttori dell’Ordine).

14- Sempre in riferimento al nostro Paese, quali possono essere considerati i più rilevanti risultati che sono stati ottenuti fino ad oggi dalla PdC? (per esempio, la partecipazione a progetti europei, ricerche di interesse nazionale, aver influenzato scelte di politica sociale e sanitaria, realizzazione di progetti di grande impatto per la popolazione, o altro?)
I più rilevanti risultati della Psicologia di Comunità non riguardano che il suo interno: si è sviluppata quantitativamente, ha ottenuto riconoscimenti istituzionali, ha dato da vivere a centinaia di psicologi e operatori sociali in genere. Possiamo illuderci di avere influenzato tutte le istituzioni politiche, locali ed europee, per il fatto che tutti i loro documenti si basano sull’approccio i comunità: ma si tratta di un mero successo semantico.

15- In quali campi di intervento e/o di studio vi è integrazione e collaborazione interdisciplinare?
Ormai le discipline hanno sempre meno senso. Tutto il lavoro sociale è svolto da chiunque a partire da qualsiasi disciplina di riferimento. Tutti gli altri si sono “psicologizzati”, mentre gli psicologi si sono de-psicologizzati. Se si guarda chi lavora sul campo non è possibile risalire alla disciplina di riferimento. Il che non mi sembra una collaborazione interdisciplinare, ma un dissolvimento delle discipline e dei loro confini (il che non è necessariamente un male).

16- Qual è, secondo lei, il futuro della PdC italiana?
Nessun futuro, come per tutte le pratiche di cambiamento, per almeno i prossimo 10 anni.

Guido Contessa /ARIPS