Il
modello fragile Divergenti interpretazioni della democrazia antica di PIERLUIGI LANFRANCHI fonte |
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Nel 431 a.C. il re spartano Archidamo II, alla testa di un esercito di ventimila opliti peloponnesiaci e di cinquemila beoti, invade l'Attica e devasta i campi attorno ad Atene. È l'inizio della guerra del Peloponneso, che per trent'anni vede affrontarsi le città di Atene e Sparta e i loro rispettivi alleati. È, come le guerre di ogni tempo, una guerra per il dominio territoriale; ma la componente ideologica vi gioca un ruolo essenziale: a scontrarsi sono infatti non soltanto due potenze militari, ma soprattutto due tendenze politiche e due diverse concezioni dello Stato, quella aristocratica e quella democratica. Per questo si è potuto parlare, a proposito di questo conflitto, di "guerra civile" dei Greci, una guerra i cui protagonisti sono le poleis, e, all'interno delle singole città, i partiti filoateniese e filospartano. Alcune fonti antiche attribuiscono la responsabilità diretta del conflitto al leader della democrazia ateniese, Pericle, che per stornare l'attenzione dei suoi cittadini dai problemi interni e per mettere a tacere gli oppositori avrebbe deciso di intraprendere la guerra contro Sparta (una strategia politica vecchia come il mondo). Ma le cause remote della guerra del Peloponneso vanno cercate nell'espansionismo ateniese, quello che in termini moderni si potrebbe definire il suo imperialismo, cominciato all'indomani delle guerre persiane. Questo, almeno, è il giudizio di Tucidide, lo storico ateniese di parte aristocratica che ci ha lasciato nelle sue Storie il mirabile racconto della guerra. Scrive Tucidide:
Alla fine del primo anno di guerra, che si è concluso con un nulla di fatto, gli Ateniesi organizzano le esequie ufficali per i caduti, che prevedono un discorso funebre da parte di "un uomo designato dalla città, un uomo che abbia qualità di intelletto e goda di particolare prestigio". Per quell'anno è Pericle ad essere scelto per pronunciare il discorso. L'epitaffio, che leggiamo in Tucidide, non è una semplice celebrazione degli ateniesi morti eroicamente nel primo anno di guerra. Dall'occasione particolare Pericle passa subito ad un'analisi più generale della città e del suo sistema politico, così che le parole dello statista dalla testa a forma di cipolla finiscono per risultare un vero e proprio manifesto della democrazia ateniese:
In una dichiarazione programmatica di metodologia storica Tucidide afferma che i discorsi riportati nella sua opera non sono citazioni letterali, ma che egli si è tenuto il più vicino possibile al pensiero generale dei discorsi effettivamente pronunciati. Dobbiamo dunque credere allo storico e ritenere che l'epitaffio contenga il pensiero autentico di Pericle, oppure dobbiamo pensare a una rielaborazione dell'aristocratico Tucidide, che vi esprimerebbe la sua personale concezione della democrazia ateniese? E ammesso che il discorso sia autentico, Pericle parla della democrazia realizzata oppure di un modello ideale, della democrazia in potenza o in atto? Dalla risposta a questa domanda dipende in larga misura l'interpretazione, ora negativa ora positiva, che gli storici moderni forniscono di quel singolare esperimento istituzionale che fu la democrazia ateniese. Coloro che negano la sostanziale storicità del discorso pericleo insistono sul fatto che in epoca classica non esiste una teoria democratica della democrazia, mentre ci sarebbe stata solamente un'elaborazione teorica di parte aristocratica contro la democrazia. In effetti, ciò che sappiamo della democrazia greca dipende soprattutto da un ristretto numero di avversari del regime ateniese, come l'anonimo autore della Costituzione di Atene, Platone e gli storici del IV secolo, in particolare Senofonte. Paradossalmente dunque, come ha osservato in più occasioni Luciano Canfora, per secoli si è parlato della democrazia dell'epoca classica, ma in realtà si aveva a che fare con l'immagine che della democrazia aveva tracciato la minoranza intellettuale ostile al sistema. La parola stessa di demokratia, curiosamente assai rara nelle fonti contemporanee, sarebbe stata coniata dai nemici del popolo in funzione polemica e violenta. Essa non indicherebbe l'accesso di tutti alla gestione del potere - un concetto che in greco è espresso piuttosto dalla parola isonomia - quanto l'egemonia di una parte della popolazione della città, ossia i poveri. La parola demos non designa infatti, come si crede spesso, la maggioranza aritmetica, ma quella fascia di cittadini che sono costretti a lavorare per vivere: agricoltori, artigiani, marinai, manovali, commercianti, ecc. Questo punto è chiaramente espresso in una pagina della Politica (1279b) in cui Aristotele descrive la democrazia demagogica come quel regime in cui sono padroni i molti non in quanto somma di singoli, ma nel loro insieme. L'altro elemento di cui la parola democrazia si compone, kratein, che vuole dire "dominare", "prevalere", indicherebbe il carattere violento e totalizzante di questo sistema politico, la cui instaurazione è descritta in questi termini da un suo nemico giurato quale era Platone:
La violenza è un dato ineliminabile, per così dire costitutivo, della democrazia. Sempre Luciano Canfora ha attirato l'attenzione su questo carattere repressivo della democrazia radicale del V secolo ricordando il discorso antioligarchico di un tale Atenagora, leader democratico siracusano:
È la prassi giacobina dell'eliminazione preventiva dell'avversario politico. Ad essere in causa nel discorso di Atenagora non sarebbe semplicemente il delitto d'opinione, ma l'opinione tout court. Insomma la democrazia comporta la soppressione della libertà individuale, il potere pressoché illimitato della comunità sul singolo, la repressione del dissenso e il controllo delle opinioni. Quest'ultimo sarebbe stato esercitato anche sul "mezzo di comunicazione di massa" dell'antica polis, ossia il teatro. Infatti nella Costituzione di Atene - un virulento pamphlet che è un sistematico rovesciamento della prospettiva politica dell'epitaffio di Pericle - un anonimo oligarca scrive che gli Ateniesi:
Sul
un versante opposto rispetto ai sostenitori di una visione pessimista
e negativa della democrazia, si trovano quei critici che accettano
la storicità del discorso di Pericle e ne fanno una testimonianza
dei presupposti teorici della democrazia radicale ateniese del V
secolo. Il nucleo fondamentale del pensiero pericleo - e quello
che ne determina la straordinaria modernità - sarebbe l'idea della
libertà privata e della concezione individualistica della vita del
cittadino comune. "Il quadro che Pericle delinea - scrive
a questo proposito Domenico Musti - è quello di un riconoscimento
della legittimità della proprietà e dei comportamenti privati; è
un programma di non-invidia sociale, di accettazione della sfera
privata altrui, in termini che configurano già un'idea di privacy:
il che, in una città di dimensioni pur sempre limitate, una società
del "faccia a faccia", significa certamente la liberazione di uno
spazio rilevante per l'individuo". L'essenza del sistema politico
inventato dagli Ateniesi non risiederebbe dunque nel conflitto e
nella violenza, bensì nella duplice libertà del cittadino: libertà
"positiva" di partecipare alla vita politica e libertà "negativa"
dall'interferenza del potere statale - se si vogliono esprimere
le cose secondo la distinzione teorizzata da Isaiah Berlin. Questo
secondo tipo di libertà presuppone proprio l'elaborazione di una
sfera privata concettualmente separata dalla sfera pubblica, che
Pericle, secondo Musti, opererebbe nel suo discorso: "Dalla proclamazione
di principi da parte di Pericle, alle descrizioni della democratía
da parte dei suoi critici [...] balza con forza agli occhi l'immagine
di un clima politico che pienamente vuol conciliarsi con una diffusa
volontà di comportamenti liberi, e la tendenza a un uso pieno, tendenzialmente
perfino anarchico, della libertà individuale, che poco ha da invidiare,
sul piano dei principi, alla libertà moderna". C'è forse un punto di contatto tra la democrazia degli antichi e quella dei moderni che tutti, sostenitori e detrattori, ottimisti e pessimisti, sono disposti a riconoscere. Intendo dire la sostanziale imperfezione, l'incompiutezza, la fragilità costitutiva di questo sistema politico sia nella sua declinazione moderna sia in quella antica. La democrazia ateniese ha conosciuto una tensione insanabile tra libertà ed eguaglianza, qualunque significato intendiamo dare a questi termini; ha ammesso l'imperialismo e la guerra; ha escluso dai diritti politici le donne, gli stranieri e gli schiavi; ha spesso esercitato la violenza sui suoi cittadini per autopreservarsi... Non sono forse gli stessi limiti, le stesse gravi contraddizioni a cui sono confrontate le attuali democrazie occidentali? Note In
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