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IN MARGINE AI FATTI DI GENOVA (Adamus/ luglio 2001) | |
I
dolorosi fatti di Genova portano allevidenza una serie di
riflessioni che meritano di essere elencate.
1.
Lilluminismo
dimostra ancora una volta la sua debolezza Ancora una volta la forza della ragione, linsegnamento
della storia, la conoscenza dellineluttabile non hanno impedito
il predominio delle emozioni. Il sapere non influenza che marginalmente
lazione. Quanto è accaduto a Genova è la replica di un copione
che si ripete da secoli, immutato. Tutti sanno e sapevano, ma ciononostante
tutti hanno ripetuto meccanicamente la loro parte: rivoltosi, pacifisti,
forse dellOrdine, mass media hanno compiuto le azioni sempre,
addirittura preparandosi pubblicamente e descrivendo a tutti (televisioni,
internet, stampa) quello che avrebbero fatto. E lhanno fatto
immancabilmente. Questa conclusione dovrebbe fare giustizia (ma
non la farà, perché appunto lIlluminismo è impotente a spiegare
la condotta umana) di tutte quelle pratiche sociali e psicologiche
che si ostinano ad investire sullinformazione e la ragione.
Formazione, terapia, educazione, prevenzione, rieducazione continuano
a basarsi in misura quasi totale sulla ragione per modificare i
comportamenti umani, quando è evidente che lunica azione possibile
è quella sulle emozioni. Ma tantè, una posizione così ragionevole
è troppo illuminista perché sia adottata.
2.
Il Grande
Fratello, quando serve, non cè. Il Grande Fratello, Echelon, il Panopticon sembrano ormai
accompagnarci nelle azioni più intime, dalla toilette al momento
del decesso. Si poteva credere che tutta vicenda di Genova fosse
fotografata, filmata, videoripresa, da operatori amatoriali e professionisti,
webcam portatili, cineprese piazzate ad ogni angolo delle strade,
oltre che su ogni mezzo mobile. Non era impossibile, come esigenza
di tutte le parti in campo (ad eccezione degli uomini neri),
far girare per le strade un migliaio di cine-foto-operatori che
documentassero ogni fase degli eventi. Invece no. Abbiamo visto
solo qualche foto e un filmato amatoriale da lontano, oltre ai soliti
servizi panoramici delle televisioni. Come mai ? La prima ipotesi è che mettiamo quotidianamente in
scena, cioè rendiamo oscene, solo le emozioni addomesticate,
quelle più conformiste e più superficiali. Le esperienze e le emozioni
profonde, radicali, nucleari sono e devono restare nascoste, private,
circoscritte allarea della soggettività. La seconda ipotesi
è che gli attori abbiano inconsciamente colluso nellevitare
ogni documentazione minuziosa, al fine di concedersi ogni spazio
di libertà nellinterpretazione dei fatti e nella gestione
del dopo-Genova. Al potere servono spazi per motivare la repressione;
alla rivolta servono spazi per aggregare consenso e motivare la
violenza.
3.
Lorsignori
sono stupiti? Come quando si sente la sorpresa di tutti quando qualcuno
massacra la famiglia (era una così brava persone!), anche questa
volta tutti gli attori (potere, rivoltosi e commentatori) hanno
mostrato un ingenuo e colpevole stupore, una sorpresa, un candore
come di chi è stato davvero preso alla sprovvista. Pochi fatti sociali
recenti sono stati annunciati come quelli di Genova. Chiunque, sopra
i 30 anni e con un po di ragionevolezza, poteva vaticinare
la violenza e persino la morte cui abbiamo assistito. Non solo perché
tutti i vertici precedenti avevano offerto la visione di unescalation
nel gioco rivolta/repressione (a Goteborg si è arrivati già al quasi
morto). Non solo perché il web pullulava, nei mesi precedenti,
di proclami infiammati, di forum con centinaia di messaggi mortiferi,
di siti ispirati allApocalisse. Non solo perché nei mesi precedenti
erano apparse in televisione, presentate come folclore giovanile,
le prove di scontro, con espliciti giochi di ruolo
di corpo e corpo fra rivoltosi e celerini. Ma soprattutto perché
la violenza diffusa è il fenomeno più vistoso di tutti i Paesi occidentali.
Nelle famiglie, negli stadi, sulle strade, nelle scuole, nei rapporti
interpersonali, negli uffici: ovunque si respira unaria di
violenza proporzionale alla repressione diffusa. Una violenza a
volte mascherata, a volte sublimata, ma che sempre più spesso esplode
in forme incontrollate. Cinicamente, possiamo dire che non solo
la morte di qualcuno era annunciata, ma che è utilissima a tutti
i contendenti. Il potere aumenta le ragioni della sua vocazione
repressiva. I rivoltosi, pacifici e non, aumentano le affiliazioni,
compattano le loro fila e godono di un alibi anticipato per ogni
futura escalation.
4.
La difesa
della scissione fra bene e male Luomo nero è da sempre, per lOccidente, lincarnazione
del male.Il diavolo, i mori, il lutto, i nazisti, i neri sono da
sempre i soggetti che condensano il negativo diffuso nella società,
liberandola da proprie pulsioni inaccettabili. I membri del blocco
nero si prestano a questa demonizzazione, concretandone e
rafforzandone il valore simbolico, con comportamenti che confermano
la scissione. E stata fatta la stessa operazione 30 anni fa
con le Brigate Rosse, o la Frazione Armata Rossa tedesca, le quali
furono effettivamente la punta estrema di un negativo, che aveva
tuttavia, per sfumature e gradini degradanti, le sue propaggini
nellintero corpo sociale. Il tentativo di scindere i cattivi
del blocco nero dai manifestanti pacifisti e dalle Forze
dellordine vittime è una difesa vecchia come il
mondo. La violenza espressa dal blocco nero nasce dalle viscere
dellintera società, ed è la forma acuta e distruttiva di un
senso di morte che da almeno tre decadi attraverso loccidente.
Ma la demonizzazione di questi uomini violenti consente alla maggioranza
di collocarsi nei ruoli pacifisti e al potere nel ruolo di vittima
attaccata.
5.
La rivolta
mostra il suo viso conservatore anche attraverso i mezzi che usa Non è nuova lipotesi che ogni rivolta sia conservatrice,
quando non reazionaria. La rivolta è unazione contro
e non per. Si basa su una violenza che si alimenta in
una spirale fine a se stessa (Irlanda e Israele docent). Vive più
di spettacolo che di quotidianità (quanti degli eroi genovesi si
oppongono nella vita di ogni giorno alla repressione che pervade
la nostra società?). E una formidabile alleata del potere:
dopo ogni rivolta il potere è autorizzato a peggiorare. Tuttavia
in questo caso, cè un elemento in più a suggerire lanima
conservatrice del cosiddetto movimento. Non mi riferisco
alle sue radici evidentemente piccolo-borghesi e conformiste. Anche
se la provenienza sociale del portavoce del popolo di Seattle, la
presenza in esso di gruppi cattolici parti di un sistema da
sempre afferente al potere-, e di gruppi laici che vivono di finanziamenti
statali, portano parecchi dubbi sul fondo conservatore di questa
rivolta. Mi riferisco al modo scelto per esprimere il dissenso.
Il corteo aggressivo che attraversa la città, è la modalità di protesta
più tradizionale che si conosca.
Esistono decine di altre modalità di espressione del dissenso,
già sperimentate dai movimenti di lotta o da percorrere con uno
spirito innovativo, perché ripescare una pratica inventata dal sindacalismo
contadino del primo Novecento?
6.
La controdipendenza
afferma ciò che nega: potere e rivolta colludono La rivolta è definibile, in termini psicologici, come
controdipendenza. Un comportamento antagonista, ostile, aggressivo
o semplicemente di rifiuto del potere, non tanto motivato dalla
differenza o dal dissenso, quanto da un desiderio aspecifico di
opposizione. Si tratta di una identificazione per negazione, invece
che in positivo: il rivoltoso e il controdipendente è in quanto
ha un potere cui opporsi, anzi è ciò che il ruolo di antagonista
lo spinge ad essere. Perciò è considerata una forma di dipendenza,
solo espressa in forma ostile. In questo senso la controdipendenza
è anche una sottomissione e un riconoscimento, addirittura ipetrofico,
del potere. In tal senso il legame che unisce potere e rivolta è
molto forte: luno si alimenta con laltra, e viceversa.
Il popolo di Genova ha fra i suoi obiettivi dichiarati quello di
rifiutare che otto grandi governino il mondo. Se prima
di Genova il G8 era un incontro informale dei rappresentanti di
alcuni governi, dopo Genova il G8 è diventato lembrione del
nuovo potere imperiale. Coloro che hanno tante giuste critiche verso
molti aspetti della globalizzazione, hanno dato una formidabile
spinta allipotesi di un nuovo potere planetario. Un gruppo
di governanti, espressi di una parte molto ricca ma non superiore
al 15% degli abitanti del globo, si è trovato da un giorno allaltro
legittimato a porsi come polo di riferimento di 6.000.000 di abitanti.
E più o meno come se avessimo legittimato a governare lItalia
i Presidenti del Triveneto.
7.
Repressione-violenza-repressione I fatti di Genova offrono tuttavia una riflessione radicale
sullOccidente, cui non possiamo sottrarci. La nostra civilizzazione
è uscita dalla barbarie attraverso la progressiva liberazione e
valorizzazione dei singoli soggetti individuali o collettivi, dalla
metafisica, dallimpero, dalle monarchie assolute, dallo strapotere
della ricchezza e dello Stato. Ciò che ha reso lOccidente
avanzato rispetto alle altre civilizzazioni non è stata la ricchezza,
né lindustrialesimo, né il consumismo, ma la conquista della
libertà e della dignità di ogni essere umano. Il cammino della Modernità,
dalla Magna Carta ai Movimenti di Liberazione degli Anni Sessanta,
è stata una scalata (pur con le tragiche deviazioni delle guerre
mondiali e dei regimi totalitari) al Paradiso del valore del Soggetto:
bambino, lavoratore, ebreo, nero, donna, disabile, o addirittura
criminale. Dagli Anni Settanta lOccidente registra una vistosa
inversione di marcia in discesa. Il Soggetto è stato progressivamente
depauperato, imbrigliato, svilito, umiliato, omologato, imbavagliato.
Spesso il processo è stato accompagnato da graziose concessioni
economiche da parte di un potere che alla repressione militare preferisce
quelle delleugenetica, dellinsignificanza, della burocrazie
e delle corporazioni. Ma resta il fatto che la libertà e la dignità
degli abitatori dOccidente sono oggi ad un livello più basso
di quello di ogni altra epoca storica, quando magari la repressione
era più grossolana e fisica, ma non tanto pervasiva e mentale quanto
oggi. Quando il Soggetto è represso in ogni angolo del suo spazio
vitale, i sintomi auto ed eterodistruttivi sono ineludibili. La
droga e la violenza (in tutte le diverse forme possibili) non possono
che aumentare come sintomi nevrotici di una progressiva repressione.
La quale aumenterà per controllare i sintomi distruttivi che cresceranno
in una spirale sempre meno vivibile. E doloroso dirlo, ma
Genova non è che linizio
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