Perché si mantengono e si perpetuano i comportamenti inutili?
Molte persone sono superstiziose e lo sono indipendentemente
dalla loro cultura, razza, etnia, classe sociale o professionale.
Ritroviamo le superstizioni in tutte le popolazioni del mondo
e in una grande varietà di forme.
Ma cos’è esattamente una superstizione? In generale
si può dire che è ogni atto al quale si attribuisce il potere,
misterioso e irrazionale, di favorire un evento positivo o
di scongiurarne uno negativo. Toccare ferro, indossare un
indumento particolare o portare con se un oggetto porta fortuna
sono solo alcune tra le centinaia di superstizioni che l’uomo
ha inventato.
Tuttavia, dato che adottare comportamenti superstiziosi non
è sempre efficace, si tende a pensare che ci sia una qualche
forza occulta che governa gli eventi. Osservando i fatti però
si comprende che il gesto superstizioso non è la causa di
ciò che accade ed il buon senso dovrebbe suggerirci di smettere
di praticarlo. Al contrario, si preferisce insistere, nella
speranza di propiziarci le forze occulte.
Questa caratteristica umana ha incuriosito non pochi studiosi
del comportamento, i quali vedono una contraddizione insita
in un atteggiamento che l’uomo tende a mantenere ma
che risulta, secondo la ragione, del tutto inutile. Alcuni
ricercatori hanno voluto quindi studiare più approfonditamente
questo fenomeno, scoprendo cose sorprendenti.
Il modo in cui questo problema viene affrontato scientificamente
implica una descrizione più oggettiva della superstizione.
Quando adottiamo un comportamento superstizioso ci aspettiamo
che il nostro atto influenzi gli eventi futuri. In realtà,
questo accade di rado e la statistica ce lo dimostra. Di conseguenza,
la relazione tra superstizione ed evento atteso è del tutto
casuale. Infatti, ad esempio, ci possono capitare diverse
disgrazie ma solo ben poche saranno precedute da un gatto
nero che ci traversa la strada. L’evento sarà quindi
imprevedibile, ma potremo considerarlo legato al tempo, nel
senso che non sapremo perché accade ma sapremo che prima o
poi accadrà.
Il contesto della superstizione è quindi composto da due
elementi indipendenti: da una parte c’è la persona che
ripete lo stesso atto, dall’altra c’è l’evento
atteso il quale si verifica un certo numero di volte, alcune
delle quali saranno coincidenti con il gesto superstizioso.
Queste poche volte saranno scambiate come prova dell’esistenza
di una relazione di causa-effetto.
Sembra esserci quindi un errore di valutazione, anzi un errore
in quel processo di apprendimento che normalmente ci fa trovare
le vere relazioni di causa-effetto nella realtà che ci circonda.
Come mai si verifica questo fenomeno? Una prima domanda a
cui gli studiosi del comportamento hanno cercato di rispondere
è stata quella di capire se la superstizione avesse radici
profonde nell’evoluzione delle specie animali. In pratica
si sono chiesti se anche gli animali potessero essere superstiziosi.
B. F. Skinner era uno psicologo americano vissuto il secolo
scorso e che scoprì una fondamentale forma di apprendimento:
il condizionamento operante. Questo processo implica che un
animale si deve rendere conto che una sua particolare azione
viene seguita da un evento. Se questo evento è per l’animale
gratificante esso tenderà a ripetere il comportamento che
lo ha provocato. Skinner progettò delle gabbie, oggi conosciute
dagli specialisti come gabbie di Skinner, con una leva la
quale, una volta premuta faceva scattere un dispensatore di
cibo. Essendo il cibo una ricompensa ben gradita, gli animali
imparavano velocemente il trucco e passavano molto tempo a
premere la leva.
Nel 1948 Skinner fece un particolare esperimento i cui risultati
furono pubblicati sul Journal of Experimental Psychology.
Questo articolo era destinato a divenire un classico nella
letteratura psicologica ed etologica e meritò la ripubblicazione
sulla stessa rivista nel 1992, per celebrare i 100 anni dell’
American Psychological Association. Il titolo, tradotto, è:
"Superstizione nel piccione".
Skinner mise un piccione all’interno di una delle sue
gabbie. Questa volta però il dispensatore non era più collegato
alla leva ma solo ad un meccanismo a tempo. Il cibo veniva
quindi somministrato a intervalli prestabiliti indipendentemente
da quello che faceva il piccione. Di conseguenza, l’uccello
avrebbe potuto restare tranquillo ed aspettare l’arrivo
del cibo. Cosa fece invece il piccione?
L’uccello cominciò a ripetere il comportamento che,
in maniera del tutto casuale, stava facendo l’attimo
prima che arrivasse il cibo. Sottoponendo diversi piccioni
allo stesso esperimento, Skinner ottenne un individuo che
girava su se stesso, uno che allungava il collo verso un angolo
della gabbia, un altro che tirava su la testa con uno scatto,
uno che sembrava spazzolare con il becco l’aria sopra
il fondo della gabbia e due che dondolavano la testa. Skinner
sapeva che l’arrivo del cibo dipendeva solo dal tempo
ma il piccione no, ed aveva associato erroneamente l’arrivo
del cibo ad un qualche suo movimento. Questo comportamento
non era evidentemente la vera causa dell’evento voluto
e infatti non era efficace nella maggioranza delle occasioni.
Tuttavia l’animale insisteva nel ripeterlo. Si trattava
di un comportamento superstizioso a tutti gli effetti.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché Skinner utilizzò proprio
i piccioni. Ebbene tutto risale al periodo in cui Skinner
lavorava per i militari. Il suo compito era quello di provare
ad insegnare ad un animale a pilotare un missile verso il
bersaglio. L’animale doveva restare all’interno
di una speciale camera e rispondere ad alcuni stimoli che
avrebbero guidato il missile (l’animale sarebbe stato
un involontario kamikaze). Il piccione fu scelto perchè considerato
l’animale più adatto ad una simile impresa. Per fortuna
del piccione, questa tecnica non fu mai applicata perchè i
militari si affidarono di più all’elettronica, ma Skinner
continuò gli esperimenti e fu l’inizio dei suoi studi
sull’apprendimento.
Con l’esperimento sui piccioni Skinner dimostrò che
anche tra gli animali potevano svilupparsi comportamenti superstiziosi.
Tuttavia, i piccioni sono uccelli e quindi con un cervello
ben diverso da quello dell’uomo. È possibile che altri
animali, evolutivamente più vicini a noi, possano essere superstiziosi?
Due ricercatori dell’Università dell’Oklahoma,
L. D. Devenport e F. A. Holloway, hanno studiato a questo
proposito dei mammiferi come noi: i ratti. Anche in questo
caso gli animali furono messi in una gabbia con un dispensatore
di cibo a tempo ma questa volta i ricercatori osservarono
che nella maggioranza dei ratti non emersero comportamenti
apparentemente legati alla somministrazione di cibo. Questo
esperimento indicava di conseguenza che i ratti non si autoingannavano,
imparando una falsa associazione tra un loro comportamento
e l’arrivo del cibo. Devenport e Holloway, stimolati
da questo risultato, si chiesero che cosa potesse avere di
particolare il cervello di un mammifero tale da rendere i
ratti immuni dalle superstizioni. La loro attenzione cadde
su un’area cerebrale particolare che viene chiamata
"ippocampo" perchè, nell’uomo, la sua forma richiama
vagamente quella del cavalluccio marino. Secondo molte ricerche,
questa struttura risulta coinvolta nei processi di apprendimento
e memoria e potrebbe essere determinante nel cogliere le vere
relazioni di causa-effetto. Per verificare questa ipotesi,
i due ricercatori decisero di sottoporre al test fatto da
Skinner sui piccioni, dei ratti in cui l’ippocampo era
stato inattivato attraverso degli elettrodi. Tutti gli animali
così trattati iniziarono a ripetere dei comportamenti che
erano associati solo temporalmente alla somministrazione del
cibo. Che questi comportamenti fossero definibili come superstiziosi
e non dovuti ad un qualche deficit psicomotorio causato dalla
lesione all’ippocampo era dimostrato da un altro esperimento.
Se gli stessi animali venivano testati per il condizionamento
operante, imparavano con facilità l’associazione indicando
che la lesione non aveva compromesso le capacità di apprendere.
Devenport e Holloway suggerirono in conclusione che l’evoluzione
poteva aver fornito il cervello dei mammiferi di una sorta
di protezione dalla propensione di attribuire troppo facilmente
relazioni causali. Questa protezione verrebbe effettuata dall’ippocampo.
È interessante notare che qualcuno ha voluto andare a vedere
cosa poteva succedere all’interno dell’ippocampo
di un ratto durante un condizionamento operante. M. Orsetti
e collaboratori delle Università di Torino e di Firenze hanno
utilizzato una particolare tecnica, detta di microdialisi
cerebrale, per misurare le variazioni dei livelli di acetilcolina
nell’ippocampo durante un test nella gabbia di Skinner.
L’acetilcolina è un neurotrasmettitore la cui funzione,
tra le altre, sembra essere quella di permettere la comunicazione
tra quei neuroni particolarmente coinvolti nell’apprendimento.
I ricercatori italiani hanno osservato che, nel momento in
cui gli animali comprendono la relazione tra l’azione
sulla leva e l’arrivo del cibo, i livelli di acetilcolina
si elevano notevolmente. Inoltre tale effetto non avveniva
più nelle successive sessioni sperimentali, quando gli animali
dovevano solo ricordare un fenomeno ormai appreso. Era chiaro
quindi che l’elevazione di acetilcolina nell’ippocampo
poteva essere messa in relazione con il momento della comprensione
di una relazione di causa-effetto.
Nell’uomo l’ippocampo è un’area ben sviluppata
e P. Brugger e collaboratori del Dipartimento di Psichiatria
del Medical Center di San Diego, USA e del Dipartimento di
Psicologia dell’Università di Victoria, Canada, hanno
ipotizzato degli interessanti collegamenti tra quest’area
ed i comportamenti superstiziosi. Un eccessivo sviluppo del
credere nelle superstizioni e nei fenomeni paranormali così
come uno smisurato interesse per gli argomenti mistici sembrano
essere un tratto comune a molte persone che soffrono di crisi
epilettiche nel sistema limbico, un insieme di strutture cerebrali
di cui l’ippocampo fa parte. Quando si parla di epilessia,
in genere si pensa a qualcuno che cade a terra in preda a
violente contrazioni del corpo. Questo accade perché un’area
del cervello inizia ad avere una serie incontrollata di scariche
neuronali che si propaga velocemente a tutto il resto del
cervello. In alcuni casi, il comportamento anomalo dei neuroni
resta confinato ad un’area ristretta provocando una
modificazione delle funzioni di quell’area, come nel
caso dell’epilessia dell’ippocampo.
Brugger e collaboratori hanno proposto che lievi attività
neuronali anormali potrebbero capitare occasionalmente ad
alcune persone altrimenti normali, causando quell’eccesso
di credenza nell’irrazionale sperimentato nella vita
di tutti i giorni.
A sostegno di questa ipotesi Brugger e collaboratori riportano
alcuni studi effettuati su persone che affermano di possedere
capacità paranormali. Questi individui, pur non avendo evidenti
problemi neurologici o psichiatrici, presentavano delle anomalie
nell’elettroencefalogramma del lobo temporale (area
connessa all’ippocampo) ed una scarsa prestazione in
test neuropsicologici che valutano la funzionalità di quest’area.
Come nel caso dei ratti "superstiziosi", anche in queste
persone è possibile ipotizzare che, in caso di un limitato
malfunzionamento dell’ippocampo, si crei una tendenza
ad associare facilmente un evento esterno ad un particolare
comportamento. In questo modo si sarebbe trovata una base
biologica del credere all’irrazionale comune agli animali
e agli uomini.
Ci si potrebbe chiedere a questo punto che cosa potrebbe
fare un uomo in una gabbia simile a quella usata da Skinner
per i piccioni. Quest’esperimento potrebbe confermare,
o smentire, la somiglianza tra i comportamenti superstiziosi
degli animali e degli uomini.
Per quanto bizzarra questa idea possa sembrare c’è
qualcuno che l’ha realizzata. Koichi Ono dell’Università
Konazawa di Tokio, preparò una stanza con un tavolo sul quale
erano fissate tre leve. Sulla parete di fronte al tavolo c’era
un contatore collegato ad un computer programmato per farlo
scattare ad intervalli prestabiliti. Un certo numero di studenti
universitari furono reclutati volontariamente e parteciparono
individualmente ad un esperimento di 40 minuti. Il ricercatore
informò gli studenti che dovevano cercare di guadagnare più
punti possibile, senza dirgli come. Nessuna azione degli studenti
poteva in alcun modo attivare il contatore, ma loro non lo
sapevano. Ben presto, in molti studenti emersero diversi comportamenti
superstiziosi. La maggioranza di queste azioni coinvolgevano
le leve, le quali venivano tirate in modi e sequenze diverse.
Ogni sequenza veniva riprovata solo se il contatore scattava
alla fine di essa. Alcuni studenti pensarono che le leve non
avevano niente a che fare con i punti (e infatti era così)
e cominciarono ad effettuare i piùstrani comportamenti come
arrampicarsi sul tavolo, picchiare sul muro, sul contatore
o saltare ripetutamente fino a toccare il soffitto.
L’esperimento di Ono ha mostrato chiaramente che l’uomo
può sviluppare comportamenti superstiziosi così come fanno
gli animali. Nonostante la presunta protezione dell’ippocampo,
è un dato di fatto che molte persone continuano a credere
in qualcosa di irrazionale. Gli studi sugli animali hanno
evidenziato che questo atteggiamento ha avuto una lunga storia
biologica e se si è conservato durante l’evoluzione
per giungere fino a noi, deve aver avuto una qualche importanza
adattativa. E questa è infatti l’ipotesi proposta da
Danilo Mainardi nel suo ultimo libro "L’animale irrazionale".
Il noto etologo sostiene che la capacità del credere nell’irrazionale
sia stata, e lo è tuttora, un vantaggio per la sopravvivenza
della specie umana. Il pensiero razionale ha portato l’uomo
ad indagare e svelare cose incredibili sull’universo
intero ma allo stesso tempo lo ha anche messo di fronte alla
caducità delle cose umane, contro la quale non c’è razionalità
che possa aiutare. Per Mainardi essere irrazionali, nella
giusta misura, può essere un modo efficiente per affrontare
meglio una vita preoccupantemente transitoria.
Bibliografia
Devenport L.D., "Superstitious bar Pressing
in Hippocampal and Septal Rats". Science, Vol. 205, pp. 721-723,
1979.
Devenport L.D. and Holloway F.A., "The Rat’s
Resistence to Superstition: Role of the Hippocampus". J. Comp.
Physiol. Psychol. Vol. 94, pp. 691-705. 1980.
Mainardi D. L’animale irrazionale. Mondadori
2000.
Ono K., "Superstitious behavior in humans".
J. Exp. Anal. Behav. Vol. 47, pp. 261-271, 1987.
Orsetti M., Casamenti F., Pepeu., G., "Enhanced
Acetylcholine Release in the Hippocampus and Cortex During
Acquisition of an Operant Behavior". Brain Res. Vol. 724,
pp. 89-96, 1996.
Skinner B. F. "Superstition in the pigeon".
J. Ex. Psychol., Vol. 121, No. 3, pp. 273-274, 1992.
Vyse S. A., Believing in Magic: The Psychology
of Superstition. Oxford Univ Press 1997.
Tratto da Scienza
& Paranormale n. 40
|