"Ciò che mi colpisce
di più è che tante cose terribili vengono commesse
da persone che non paiono affatto terribili". Il Giardino di
cemento, Jan McEwan, 1978.
Introduzione
L'omicida seriale non è una figura specifica dei nostri tempi,
ma documentata fin da tempi remoti.
Già nell'antica Roma, personaggi di grande rilievo storico-politico,
quali Tiberio, Caligola, e Nerone (I sec.
DC), furono autori di omicidi in serie (Nerone avvelenò l'imperatore
Claudio e Britannico, il fratellastro, e
fece uccidere la madre, Agrippina, e la zia per impossessarsi dei
suoi beni; Tiberio, omosessuale e pedofilo,
che da una rupe di Capri, luogo della sua residenza, gettava in
mare dei fanciulli dopo aver avuto con loro
dei rapporti sessuali; Caligola, fece uccidere 50 persone perché
erano ammassate all'uscita di un circo). La
diversità rispetto al passato consiste essenzialmente nel
fatto che, negli ultimi decenni, lo sviluppo dei mezzi
di informazione di massa ha consentito una maggiore pubblicizzazione
degli avvenimenti di cronaca, e, fra
questi, appunto, degli omicidi seriali. Accanto a ciò, non
va dimenticato che le moderne tecniche
investigative e le affinate procedure della medicina legale hanno
permesso di ascrivere alla mano di uno
stesso assassino delitti che, in epoche passate, proprio a causa
di metodiche di indagine meno raffinate, sono
stati magari archiviati come episodi singoli.
Se gli Stati Uniti rappresentano lo sfondo geografico della maggior
parte degli omicidi seriali (il 60%
degli omicidi seriali è infatti qui avvenuto), per quanto
riguarda l'Europa, sono i paesi settentrionali ad essere
maggiormente rappresentati (l'Italia è al terzo posto come
numero di assassini seriali operanti sul territorio,
dopo Stati Uniti ed Inghilterra); anche nei paesi dell'area mediterranea,
come l'Italia stessa, le regioni
settentrionali costituiscono più frequentemente il teatro
di questo genere di delitti. La spiegazione data a tal
riguardo è che esisterebbe una relazione inversamente proporzionale
tra delitto passionale e delitto seriale
(De Luca, 2001). In altri termini, nelle nazioni più industrializzate,
il maggior grado di isolamento e di
alienazione, lo stress, la competizione sfrenata rendono l'individuo
maggiormente vulnerabile; tale
vulnerabilità può scatenare dei comportamenti abnormi
in individui che, per una costellazione di fattori sia
intraindividuali che familiari e sociali, sono portatori di un disagio
più evidente che restringe le proprie
capacità di risposta adattiva (coping). Nell'Europa meridionale,
vi è una infatti tendenza più marcata ad agire
nell'immediato le proprie "passioni", piuttosto che comprimerle,
e pertanto vengono presumibilmente agiti
dei comportamenti "esplosivi", che sono però `discreti',
nel senso matematico del termine, ossia che hanno
un inizio ben preciso ed una fine altrettanto puntuale e che perciò
raramente conducono l'individuo verso il
compimento di azioni mostruose.
Dal 1850 ad oggi, in Italia sono stati individuati 43 assassini
seriali: di questi, il 56% sono nati al Nord (il
primato spetta alla Lombardia con 8 serial killers), il 16% al Centro
(il primato è del Lazio con 5 assassini
seriali) e altrettanti al Sud (la Campania vanta 4 serial killers),
mentre il 7% nelle isole. La percentuale
residua è costituita di assassini che hanno agito in Italia
ma di nazionalità straniera.
Secondo Francesco Bruno (1995), in Italia, negli ultimi 20 anni,
sarebbero almeno 25 gli assassini
seriali in attività; secondo Zurli (1998), sarebbero più
di 50 i "predatori" in azione. In queste statistiche non
rientra ovviamente il cosiddetto numero oscuro, cioè quella
quota di casi non registrati dalle agenzie di
controllo, e che, quindi, non sono rappresentati nelle statistiche
ufficiali, perché non sono stati denunciati
dalla vittima, non vengono scoperti o vi è un indiziato che
non viene condannato (De Luca, 2001).
L'omicidio è un reato che, per la sua grande risonanza sociale,
provoca una forte convergenza delle varie
forze investigative, e ha, pertanto, il numero oscuro più
basso rispetto a quello di altri reati; non va, inoltre,
dimenticato, che questo numero si abbassa ulteriormente nel caso
dell'omicidio seriale, perché l'assassino,
svolgendo la sua azione in un arco di tempo prolungato, incorre
in una maggiore probabilità di fare errori.
DONNE CHE UCCIDONO
Anche gli albori della carriera criminale delle donne risalgono
a tempi antichi: negli annali tacitiani,
ad esempio, si racconta che Agrippina meditasse su quale veleno
propinare ai suoi amici. In tempi un pò più
recenti, basta fare riferimento alla contessa ungherese Bathory
che, nel 1600, uccise più di 600 ragazze per
poter fare dei bagni di sangue, considerati una vera e propria cura
di bellezza per la pelle. Secondo Ingrassia
(1993), la criminalità femminile, quando si manifesta, assume
forme atroci e crudeli più di quanto non
accada per quella maschile (Ingrassia, ibidem).
In Italia, la prima donna assassina seriale di cui
si ha conoscenza è Hieronima Spara, che agì a Roma
intorno al 1660, divenendo per molte mogli annoiate addestratrice
nell'arte dell'avvelenamento; quando fu arrestata, dopo essere stata
sottoposta a tortura, fu impiccata insieme ad altre 12 donne. Dopo
di lei, un'altra serial killer fu Tofania di Adamo, nata in Sicilia
nella seconda metà del 1600, che si era specializzata nella
fabbricazione di veleni, e che quindi era richiesta come "consulente
avvelenatrice". Inventò anche un veleno chiamato, in
suo onore, "acqua tofana", a base di arsenico, che vendeva
liberamente come elisir dai poteri miracolosi. Uccise molti uomini,
e lei stessa dichiarò di aver provocato la morte di circa
600 persone.
Secondo l'Fbi, la percentuale di donne autrici di omicidi seriali
si aggira intorno al 5-10%; alcuni Autori, fra i quali Ruben De
Luca (1998), ritengono che questa percentuale sia una sottostima
di quella reale, che si attesterebbe intorno al 16%. De Luca ha
individuato 228 donne serial killers (di queste, 109 avrebbero agito
negli USA1), il 65% delle quali ha agito individualmente, contro
il 14% delle donne la cui azione si è svolta all'interno
di una coppia e il 21% di quelle che hanno agito in gruppo (De Luca,
ibidem).
In generale possiamo dire che, secondo le statistiche più
recenti, il crimine femminile risulta da 6 a 8
volte inferiore rispetto a quello maschile, e ciò, essendo
una tendenza generalizzata, risulta essere
indipendente dalla località geografica di riferimento. La
criminologia si è occupata della minore incidenza
statistica del crimine femminile, e ha tentato di rispondervi attraverso
una pluralità di spiegazioni e
interpretazioni che sono ancora lontane dell'essere esaurienti ed
esaustive del fenomeno (Zurli, 1997). In
alcuni casi è stata data una spiegazione di tipo `sociale',
nel senso che nella perpetrazione di attività criminali
il ruolo femminile sarebbe ipotizzabile a livello di concorso in
un'azione criminosa, o di istigazione a
delinquere, e dunque resterebbe celato, quasi protetto, da un ruolo
maschile più attivo nello svolgimento
concreto della condotta criminale (Zurli, ibidem). Il criminologo
Pollack (1978) parla, appunto, di
"mascheramento dei crimini femminili", grazie al verificarsi
di un comportamento complice ( sia
volontario, sia involontario) da parte di un uomo. Una `spiegazione'
sociologica di questo sorta di protettività
nei confronti della donna è da vedersi nel ribaltamento dell'atteggiamento
verso la donna stessa: nel Medio
Evo avveniva una vera e propria demonizzazione della donna, bastava
che una donna usasse delle erbe per
curarsi ed era automaticamente bollata come "strega" emessa
al rogo; nell'era moderna, si ha difficoltà,
potremmo dire nei termini di una resistenza culturale e sociale,
ad accettare il fatto che una donna possa
essere autrice di un'azione delittuosa (Zurli, ibidem).
Agisce, in sostanza, una sorta di difficoltà ad accettare
che la donna possa agire un ruolo deviante
attraverso la messa in atto di comportamenti criminali. Tale resistenza
potrebbe anche essere legata al ruolo
materno della donna. Sembrerebbe, infatti, una contraddizione in
termini pensare che la donna, capace di
dare vita ad un altro essere, sacrificando una parte di sé
nel farlo, sia capace di macchiarsi di crimini violenti.
Secondo Lombroso (1835-1909), la differenza quantitativa tra criminalità
maschile e femminile
sarebbe da ascriversi ad uno `sbocco' diverso, nell'uomo e nella
donna, delle difficoltà ambientali e personologiche: l'atto
criminoso nell'uomo, la prostituzione nella donna, condotta parimenti
disadattata ma
non perseguibile penalmente, o, se perseguibile, priva di qualsiasi
potere criminogeno.
Le interpretazioni psicologiche della disparità statistica
della condotta criminale fra uomo e donna si
fondano sulla nevroticizzazione delle problematiche ambientali e
personali nella donna (nevrosi come esito
dell'interiorizzazione del problema), laddove nell'uomo si verificherebbe
con maggiore probabilità un vero e
proprio passaggio all'atto, un comportamento alloplastico, ovvero
le tensioni psichiche generano il
comportamento anomalo (esteriorizzazione del problema), e, nei casi
estremi, l'azione criminosa.
De Luca (2001) dà del fenomeno un'interpretazione più
propriamente statistica, mettendo in evidenza che le percentuali
internazionali prodotte per l'omicidio seriale sono esclusivamente
rivolte al fenomeno maschile, e pertanto il dato che riguarda la
donna è ancora sottostimato.
Il movimento femminista nega vi siano serial killers donne, e ciò
viene argomentato sulla bese della teoria che gli assassini seriali
sono il prodotto della società patriarcale; "..solo
gli uomini sono dei cacciatori compulsivi guidati dal bisogno di
uccidere, un desiderio sessuale che li spinge ad uccidere"
(Cameron, Frazer, in De Luca, 2001).
Segrave (1992) ritiene che per parlare di `assassino seriale' sia
necesssaria la presenza di una forte componente sadica nell'atto
di uccidere; tale aspetto, assente nell'omicidio femminile, non
permetterebbe di classificarlo come omicidio seriale, mentre sarebbe
più appropriato considerarlo "omicidio multiplo"(Segrave,
ibidem).
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEGLI OMICIDI SERIALI FEMMINILI
Sono state rilevate delle caratteristiche piuttosto ricorrenti negli
omicidi seriali femminili. In primo luogo, possiamo fare riferimento
alla suddivisione di Ressler et al., (1998), in comportamenti criminali
organizzati e disorganizzati. Il crimine organizzato è pianificato,
condotto con `perizia' da un individuo intellettivamente molto competente,
che non lascia nulla al caso, modificando spesso il proprio modus
operandi al fine di disorientare le indagini.; la vittima è
scelta con cura, così come l'arma e il luogo del delitto.
Generalmente si tratta di individui capaci di intendere e di volere,
pur presentando evidenti disturbi di personalità e di carattere
sadico e sessuale. Esempio di questo tipo di omicidi sono, tra gli
altri, i crimini compiuti da Marco Bergamo (il mostro di Bolzano),
Giancarlo Giudice (il mostro di Torino), Gianfranco Stevanin (il
mostro di Terrazzo), Donato Bilancia, Ferdinand Gamper (il mostro
di Merano, xenofobo), Milena Quaglini (la serial killer di Pavia),
Leonarda Cianciulli (la saponificatrice di Correggio).
L'azione disorganizzata è invece l'esito di un raptus di
violenza improvvisa, spontanea e irrefrenabile, attuata da un individuo
dall'intelligenza media e socialmente immaturo. Generalmente possiamo
parlare di individui mentalmente malati. Va anche precisato che
il raptus dello schizofrenico è improvviso fino ad un certo
punto, nel senso che è preceduto da una serie di segnali,
di sintomi sempre più acuti che non sono stati tamponati
attraverso un aiuto farmacologico e psichiatrico. Roberto Succo,
che uccide i genitori a 19 anni, e poi altre 3 persone, ed è
sospettato di aver commesso una serie di omicidi avvenuti negli
ultimi anni nelle Alpi francesi; Maurizio Giugliano, il "lupo
dell'Agro Romano", che uccide in modo particolarmente efferato
7 donne in 7 mesi nel 1983 e poi uccide anche un compagno di cella
in quanto rifiutato di offrirgli una sigaretta; Luigi Chiatti, che
uccide in modo organizzato la sua prima vittima, Simone Allegretti,
e in modo disorganizzato la seconda, Lorenzo Paolucci. La criminalità
femminile è essenzialmente di tipo organizzato (Zurli, ibidem).
Per quanto riguarda il movente, la donna uccide principalmente per
ottenere un guadagno economico (circa il 50% dei casi), ma anche
per vendetta, divertimento e piacere sessuale (De Pasquali, 2001).
Secondo la classificazione di Holmes e De Burger (1998), i delitti
per guadagno economico, divertimento e piacere sessuale rientrano
nella categoria del serial killer "edonista".
E', inoltre, raro che le donne infieriscano sui cadaveri con pratiche
di overkilling, ovvero con un surplus di atti violenti sul cadavere
(del tipo mutilazioni, violenze sessuali). L'overkilling, sebbene
poco frequente nel comportamento omicidiario femminile, è
invece presente nel caso che a breve esporremo (Leonarda Cianciulli).
Per citare un esempio, Nita Vale in Oregon negli anni '80, somministrava
prima un anestetico, poi portava le proprie vittime in una stanza
di tortura da lei appositamente attrezzata, dove infliggeva torture
e mutilazioni. Infine, era solita conservare dei "feticci"
prelevati dai cadaveri (Billings, in De Luca, 2001). Possiamo, anzi,
affermare che le caratteristiche degli assassinii femminili vanno
assimilando in misura crescente comportamenti particolarmente efferati
che fino a qualche tempo fa erano attuati quasi esclusivamente da
mani maschili (Hickey, 1991). Il crescente inserimento sociale della
donna avrebbe, cioè, innescato un processo di "avvicinamento"
tra i sessi, un progressivo livellamento delle differenze di genere
che si concretizzerebbe, appunto, anche nell'espressione di comportamenti
abnormi.
In linea generale, si può comunque affermare che sono rari
i casi in cui la donna usi metodiche di omicidio che richiedono
un contatto corporeo più o meno ravvicinato con la vittima:
l'arma "preferita" dalle donne è infatti il veleno,
che consente il mantenimento di una sorta di distacco, nel senso
che la morte della vittima sopraggiunge da sé, non è
richiesto nessun intervento da parte dell'assassina al di fuori
della fase della somministrazione del veleno. Fra i veleni più
usati, troviamo l'arsenico, il cianuro, composti del fosforo, acidi.
In questa categoria rientrano le assassine-infermiere, che grazie
alle proprie conoscenze in medicina, sono state in grado di provocare
delle morti apparentemente per cause naturali (ad esempio, iniettando
overdose di insulina, o iniezioni di potassio, provocanti l'arresto
cardiaco della vittima). Un altro metodo abbastanza usato dalle
donne è lo strangolamento, il soffocamento, l'annegamento;
in terzo luogo, le armi da fuoco.
Per quanto riguarda la tipologia della vittima, la donna che uccide
sceglie la vittima generalmente fra i propri conoscenti, e, differentemente
dall'uomo, il movente sessuale è piuttosto raro. Generalmente
da parte della donna non è molto frequente l'uccisione di
uomini, per la difficoltà di contrastare un'eventuale reazione
fisica; al contrario, Milena Quaglini per vendetta personale riesce
ad uccidere proprio 3 uomini, (il datore di lavoro che pretendeva
prestazioni sessuali, e due partners che le usavano violenza), eludendo
qualsiasi reazione fisica da parte loro grazie al fatto che agisce
di sorpresa (nel sonno, col veleno). In Ungheria, in un periodo
che va dal 1914 al 1929, ben 14 donne del villaggio di Nagyrev,
spente da una sorta di androfobia, uccidono col veleno mariti, genitori,
parenti e vicini, quasi esclusivamente di sesso maschile.
L'uomo è la vittima elettiva nei casi di omicidio seriale
motivato da erotomania, ossia uno stato permanente
di eccitazione sessuale, localizzato soprattutto a livello psichico,
ma non presente nella casistica delle
assassine seriali italiane; all'estero, possiamo citare Vera Renczi
(Romania, 1900), che uccide i suoi due mariti e i suoi numerosi
amanti, oltre al figlio, perché non sopportava il pensiero
che finissero fra le braccia di altre donne (chiude le vittime dentro
bare di zinco e le sistema allineate in cantina, dove la sera ha
l'abitudine di andarsi a sedere per guardarle) (De Luca, 2001).
Le vittime scelte dalle donne sono generalmente appartenenti all'entourage
di vita quotidiana: mariti, amanti, parenti, bambini, figli; si
tratta quindi di delitti in un certo qual modo situazionali, legati
a precisi contesti, e sono rare, differentemente dagli omicidi commessi
da uomini, modalità predatorie di azione, come appostamenti,
inseguimenti, studio delle abitudini di vita. Fra le vittime di
donne, quando l'assassina svolge un lavoro di tipo sanitario, troviamo
frequentemente i loro pazienti,: questo tipo di donna serial killer
è detta Angelo della Morte, che attacca i pazienti di cui
si occupa (anche bambini) per affermare il suo Io onnipotente che
gestisce la vita e la morte dell'essere umano.
La percentuale di donne che uccide individualmente è la maggiore
(65%), seguita dalle donne che uccidono in gruppo (21%), e da quelle
in coppia (14%)2. Le donne che uccidono da sole hanno una personalità
violenta e bisognosa di sottomettere gli altri; generalmente, la
loro vita immaginativa è ricca in quanto compensa la povertà
di stimolazioni ricevute dall'esterno; si tratta infatti di soggetti
nati e vissuti in famiglie multiproblematiche. Attraverso l'omicidio,
questi soggetti trasferiscono le proprie fantasie sul piano di realtà,
ma dopo un periodo di intervallo emotivo, susseguente il delitto,
si accorgono che la realtà non è cambiata e che necessitano
di compiere un'altra azione delittuosa per trarre piacere. Questa
ricerca innesca un circolo vizioso analogo all'assuefazione da sostanze
caratterizzante il tossicodipendente: si parla, infatti, di sindrome
di assuefazione omicidiaria seriale (De Luca, 2001).
Le donne che, invece, agiscono in coppia sono generalmente persone
fragili che cercano un partner sicuro e protettivo, che però
poi finisce con il dimostrarsi sadico e manipolante (De Pasquali,
2001), con una personalità antisociale, e capace di coinvolgere
la donna in una vera e propria "folie a deux" (Wilson,
Seaman, 1990) o disturbo psicotico condiviso. Queste donne, probabilmente,
non sarebbero diventate assassine se l'incontro con il partner non
fosse avvenuto.
In media, gli omicidi seriali commessi dalle donne si verificano
in un corso di 8 anni, il doppio del tempo medio maschile; su questo
incide il fatto che le donne, eseguendo omicidi maggiormente pianificati
rispetto a quelli commessi dagli uomini, sono più difficili
da scoprire e catturare rispetto ad essi (De Luca, 2001).
Mentre i maschi sono più o meno equamente distribuiti fra
stanziali e mobili, la donna è preferenzialmente stanziale,
cioè tende ad uccidere attirando le vittime nello stesso
luogo (tecnica del ragno). Una maggiore mobilità è
tipica delle donne che uccidono in gruppo o in coppia (De Luca,
ibidem).
LE "CAUSE" DEL COMPORTAMENTO OMICIDIARIO SERIALE
Il chiedersi cosa sia all'origine del comportamento omicidiario,
ed in più seriale, nel nostro caso, il cercare una causa
che permetta di spiegarlo, è legato al ruolo rassicurante
che teorie e spiegazioni svolgono nella vita degli esseri umani:
sapere qual è la causa di un evento, ci fa sentire in grado
di prevederlo, attenuandosi così in qualche modo le nostre
ansie sul futuro (Ponti, Fornari, 1995). "Ciò che viene
spiegato appare meno angoscioso di ciò che non si comprende"
(Ponti, Fornari, ibidem). Eppure, l'essere dell'individuo si manifesta
con una estrema libertà di forme, e proprio le capacità
elaborative individuali fanno sì che lo stesso evento traumatico
possa far scattare in un individuo quella molla che si esprimerà
attraverso l'azione violenta, disumanizzata, mentre in un altro
potrà diventare occasione di sofferenza umanizzante.
Se all'epoca di Cesare Lombroso (1835, 1909), la causa del delinquere
era ravvisabile in un'atavica alterazione organica del cervello
che rendeva l'individuo che ne era portatore un "predestinato"
al delitto, la spiegazione successiva maggiormente accreditata che
si dà del crimine risiede in una sorta di determinismo sociologico:
la società è la causa della delinquenza. La povertà,
l'emarginazione erano messe in relazione lineare (causa-effetto)
con l'effettuazione di delitti.
Oggi le scienze umane, nello spiegare il comportamento individuale,
utilizzano il concetto di "causalità
circolare": l'uomo fa parte di un sistema, e ogni soggetto
del sistema influenza la condotta degli altri, che a
sua volta riverbera su ogni soggetto. In altri termini, ogni parte
è contemporaneamente causa ed effetto. In
questa ottica, il serial killer è il prodotto della famiglia
di provenienza e del sistema di pensiero genitoriale,
che incide sulla sua progettualità, e a questi elementi si
unisce la personalità individuale ed eventuali
caratteristiche psicopatologiche (De Luca, 2001). Preferiamo oggi
parlare di fattori più che di cause il
comportamento omicidiario seriale può essere visto come la
risultante di tre fattori:
1. IL FATTORE SOCIO-AMBIENTALE
2. IL FATTORE INDIVIDUALE MODELLO S.I.R.
3. IL FATTORE RELAZIONALE
Di volta in volta, vi è, tra questi tre fattori, uno che
ha un ruolo primario nel comportamento omicidiario,
e uno con un ruolo secondario; il terzo fattore, quello non menzionato,
è il meno importante nel generare il
comportamento (De Luca, ibidem).
La nostra attenzione si incentrerà prevalentemente su uno
di questi fattori, quello socio-ambientale,
ovvero ci riferiremo in modo più particolareggiato alla storia
di vita dell'assassino seriale.
IL FATTORE SOCIO-AMBIENTALE: QUADRO BIOGRAFICO DELL'ASSASSINO SERIALE
Il serial killer non è un mostro, anche se
spesso se ne parla in questi termini, ma è un essere umano
che
risponde in maniera patologica ad alcuni eventi che segnano il corso
della sua vita. Forse, più che definirlo
mostro, sarebbe maggiormente appropriato definirlo un individuo
le cui azioni assumono carattere di
mostruosità, nel senso etimologico del termine, ossia azioni
incredibili, al di fuori del comune, che possono
essere, nel nostro caso, particolarmente nefande, mentre in altri,
prodigiose.
La caratteristica ricorrente nella vita dei serial killers è
infatti la presenza di avvenimenti traumatici
occorsi nel periodo infantile ed adolescenziale. Va comunque precisato
che se, da un lato, tutti i serial killers
condividono delle esperienze dolorose e traumatiche, dall'altro,
non tutti i bambini traumatizzati o cresciuti
in condizioni particolarmente difficili diventano serial killers.
Sia gli uomini che le donne serial killers sono cresciuti in "famiglie
multiproblematiche"; secondo la definizione, una famiglia multiproblematica
è "...ogni gruppo familiare composto da due o più
persone in cui più del 50% dei membri ha sperimentato in
un arco di tempo indicato dei problemi di pertinenza di un servizio
sociale e/o sociosanitario o legale" (Mazer, in Malagoli Togliatti
et al., 1987).
De Luca (2001), analizzando l'ambiente di vita degli assassini seriali
compresi nel suo campione (n = 234), individua una serie di situazioni
caratterizzanti il clima familiare :
1. FIGLIO ILLEGITTIMO si tratta di bambini che nascono fuori del
matrimonio, generalmente figli di prostitute; spesso dati in affidamento
a parenti, o istituzionalizzati, o, nei casi peggiori, abbandonati
per strada. La sistemazione è inoltre spesso precaria, in
quanto vi è un continuo cambiamento di abitazione e delle
persone "affidatarie". Sussistono problemi di identificazione
sessuale, specie nei maschi, vista l'assenza del modello paterno.
In Italia, Andrea Matteucci è figlio di una prostituta la
quale lo affida per cinque anni alla sorella, poi lo mette in istituto;
quando esce, verso i 14 anni, assiste ai rapporti sessuali che sua
madre ha con i clienti (ucciderà, infatti, tre prostitute
e un omosessuale per "ripulire" il mondo). Anche Luigi
Chiatti è lasciato dalla madre in brefotrofio.
2. PADRE VIOLENTO E/O ABUSIVO si tratta di padri che si mostrano
violenti sia fisicamente che
psicologicamente verso i propri figli e, spesso, anche verso la
moglie. Molte volte l'aggressività è scatenata o rafforzata
da un concomitante problema di alcolismo, che sblocca dai freni
inibitori e conduce all'esplosione della scarica violenta. Il padre
di Milena Quaglini era, appunto, un alcolista che al ritorno a casa
era solito picchiare sia lei, sia la sorella: Milena ucciderà
ben tre uomini che si mostrarono violenti nei suoi confronti. Il
padre di Donato Bilancia lo umilia psicologicamente a 12 anni, mostrando
agli altri quanto sia piccolo il pene del figlio.
3. MADRE VIOLENTA E/O DOMINANTE si tratta di una donna forte che
sposa un uomo complementare, quindi debole e sottomesso. Questa
inversione di ruoli incide negativamente sull'identità sessuale
di un bambino, particolarmente se di sesso maschile, il quale necessita
di potersi identificare con il genitore dello stesso sesso che manifesti
un ruolo adeguato a quel sesso.
Generalmente, i figli maschi disprezzano questo padre debole che
non riesce a farsi rispettare ed odiano
la madre che non manifesta tenerezza e protezione. In altri casi,
il bambino finisce con l'idolatrare la madre dominante, sviluppando
una forma morbosa di attaccamento.
4. FAMIGLIA SPEZZATA nucleo familiare che improvvisamente si trova
a dover affrontare la mancanza di uno dei genitori, per morte, o
per divorzio, o per abbandono del tetto coniugale. Le conseguenze
sono l'affidamento del bambino/i in brefotrofio, o la ricostituzione
di una nuova coppia; spesso è la madre ad affiancarsi un
nuovo compagno, che si mostra in seguito violento verso il figlio/i
acquisiti.
5. FAMIGLIA IPERRELIGIOSA generalmente si tratta di genitori che
appartengono a particolari sette religiose e che pretendono dai
figli, a causa del proprio fanatismo religioso, assoluta osservanza
delle regole della propria dottrina, a discapito dell'espressione
dei bisogni e dei desideri personali. Ciò può incidere
negativamente sullo sviluppo di un bambino.
6. GENITORI SCARSAMENTE AFFETTUOSI si tratta di genitori che, pur
provvedendo al meglio per quello che riguarda le necessità
materiali del figlio, non forniscono quel giusto grado di affetto
e tenerezza necessario ad uno sviluppo armonico della personalità
individuale. Spesso questi genitori sono persone egocentriche, molto
concentrate sul proprio rapporto di coppia e sulla propria realizzazione
professionale. Marco Bergamo cresce in un ambiente familiare proprio
di questo tipo: il clima di affettività e comunicazione è
quasi del tutto assente.
7. FAMIGLIA POVERA E/O TRAUMI INFANTILI i traumi di cui parliamo
sono prevalentemente di natura sessuale; se la famiglia vive in
una situazione di forte indigenza, è probabilmente presente
una condizione di vita promiscua, che fa sì che familiari
di diverse generazioni condividano gli stessi spazi angusti, cosa
che aumenta la probabilità di rapporti incestuosi. La maggior
parte dei serial killers ha vissuto precoci traumi sessuali da parte
di parenti o estranei, mentre sono in minor numero quelli che provengono
da famiglie povere.
8. FAMIGLIA NORMALE generalmente, sono rari i serial killers che
provengono da famiglie cosiddette normali, cioè affettuose,
stabili e serene. Questo quadro familiare riguarderebbe maggiormente
gli assassini seriali che agiscono in coppia o in gruppo, laddove
vi è un altro elemento che proviene da una famiglia multiproblematica
e che esercita la sua influenza negativa sull'altro/i. Va precisato
che nella realtà possono presentarsi quadri che non sono
così netti e delineati, bensì misti o che si susseguono
nel tempo.
Come gli uomini, anche le donne serial killers sono cresciute in
famiglie multiproblematiche; tutte hanno
subito abusi infantili, come molestie sessuali, spesso sviluppando
una sessualità molto forte. Vivono in
povertà e spesso si prostituiscono o hanno una vita di relazione
instabile (De Pasquali, 2001). Vedremo più
avanti, come anche il caso di cui ci occuperemo, quello di Leonarda
Cianciulli, sia ben inquadrabile
all'interno di alcuni di questi contesti familiari.
Newton (1992) ha individuato tutta una serie di
aspetti che, se presenti nel corso dell'infanzia e
dell'adolescenza di un individuo, possono essere considerati come
segni premonitori di un futuro
comportamento omicidiario seriale (questi elementi sono condivisi
da tutti coloro che si occupano di serial
killers):
a. Isolamento sociale: secondo l'FBI, il 71% dei serial killers
sostiene di aver provato una forte sensazione
di solitudine durante l'infanzia, spesso causata da un clima familiare
abusante e violento che porta il bambino a rifuggire da qualsiasi
forma di contatto affettivo anche esternamente alla famiglia. La
mancanza di amicizie e di stimoli esterni viene compensata da una
vita fantastica molto sviluppata, che però assume connotazione
negativa, nel senso che il contenuto di queste fantasie è
piuttosto vicino a veri e propri incubi, e si tratta spesso di immagini
sessualizzate che turbano il bambino ma al contempo lo eccitano.
Man mano, egli si allontana sempre più dalla realtà,
rifugiandosi nel proprio mondo fantasmatico, anche se a volte sembra
integrarsi nel rapporto con i pari. Spesso l'isolamento è
conseguente a difetti fisici più o meno evidenti, che complessano
il bambino, perennemente bersagliato e deriso dai coetanei.
b. Difficoltà di apprendimento: non corrisponde ad un quoziente
intellettivo basso, perché la maggior parte
dei serial killers hanno un QI medio o medio-alto. Le difficoltà
nell'apprendimento sono piuttosto legate
alle difficoltà familiare, alla mancanza di un clima sereno,
e al senso di inquietudine interiore che ostacolano la concentrazione
e l'applicazione negli studi. In altri casi, può essere conseguenza
di veri e proprio danni fisici e mentali.
c. Sintomi di danno neurologico: malattie e ferite possono portare
all'improvvisa manifestazione di un
comportamento aggressivo. Ad esempio, Stevanin manifesta cambiamenti
nel comportamento sessuale e
diventa violento dopo un grave incidente, in seguito al quale riporta
diverse fratture alla teca cranica, seguito poi da una meningite,
con conseguente lesione bilaterale frontale. I maschi sarebbero
più esposti, rispetto alle femmine, a questi tipi di danno
in quanto la loro maturazione scheletrica generale è più
tardiva rispetto a quella femminile, e pertanto la fontanella neonatale
non si chiude prima dei 2 anni di età. Danni in precise regioni
(come la regione settale, in zona ipotalamica) possono produrre
allucinazioni o stati oniroidi, simili, cioè al sogno, dove
l'individuo non riesce più a distinguere fra sogno e realtà.
d. Comportamento irregolare: bisogno compulsivo di mentire e cosciente
atteggiamento ipocondriaco per
attirare l'attenzione dei grandi. Dopo la menzogna, il bambino non
prova alcun rimorso, anzi ne è sedotto perché sente
di poter esercitare un controllo sugli adulti. Secondo l'FBI, il
71% dei serial killers mentiva cronicamente durante l'infanzia,
e la percentuale sale al 75% durante l'adolescenza.
e. Problemi con le autorità e di autocontrollo: si tratta
di bambini che non tollerano la minima frustrazione, reagendo violentemente,
e che si ribellano all'autorità. In uno studio di Ressler
et al. (1988), il 67% degli assassini seriali ammette di aver avuto
un comportamento ribelle durante l'infanzia, il 58% di aver distrutto
cose appartenenti ad altri, il 48% di aver avuto attacchi improvvisi
di rabbia e il 36% di essere scappato di case diverse volte (Ressler
et al., ibidem).
f. Attività sessuale precoce o bizzarra: in molti casi, il
futuro serial killer è un bambino in cui la sfera sessuale
si manifesta, suo malgrado, precocemente: spesso oggetto di abusi
sessuali sia familiari che extra-familiari, sviluppa una forte attrazione-repulsione
verso il sesso che diventa il suo pensiero fisso ed ossessionante.
Frequente è il successivo uso di materiale pornografico:
in particolare, gli assassini seriali/stupratori fanno un largo
uso della pornografia.
g. Ossessione per il fuoco, il sangue, la morte: sebbene tutti i
bambini siano affascinati dal fuoco, nel futuro serial killer si
trattata di vera e propria piromania, che sfocia nell'azione di
appiccare degli incendi dolosi. Il bambino, e l'adolescente, che
incendia le cose soddisfa contemporaneamente due pulsioni: quella
distruttiva e quella sessuale. La distruzione delle cose è
una sorta di rimedio contro il proprio senso di inadeguatezza; il
fuoco, inoltre, è, come sostiene Fenichel, un elemento di
piacere sessuale sadico, dove la forza del fuoco rappresenta la
prepotenza del desiderio sessuale (Fenichel, 1951). Anche il sangue
esercita un'attrazione notevole sul futuro assassino seriale, fino
ai casi estremi in cui, una volta adulto, la vista del sangue istilla
il desiderio di immergervisi (Contessa Bathory) o di berlo, fino
ai casi di vero e proprio vampirismo (John Haigh, Fritz Hartmann....).
Il gusto per la morte, infine, origina da un contatto precoce con
essa, quando il bambino non ha ancora gli strumenti per elaborarla:
essa finisce con il diventare un'ossessione, una vera e propria
attitudine necromanica.
h. Crudeltà verso gli animali e/o altre persone: nel campione
di Ressler et al. (1988), il 36% degli assassini seriali ha agito
crudelmente verso gli animali durante l'infanzia, mentre la percentuale
sale durante l'adolescenza (46%). Le violenze sugli animali rappresentano
una sorta di "banco di prova" delle efferatezze che saranno
poi compiute sulle persone; dalle statistiche americane emergerebbe
che le stragi di persone compiute da serial killers sono quasi sempre
precedute da stragi di animali. In altri casi, le violenze vengono
commesse su altri bambini o ragazzi, fino al caso estremo dell'omicidio.
i. Furto, accaparramento e ingordigia: l'appropriazione di cose,
la bramosia di possesso rappresentano delle "soluzioni"
al vuoto emotivo del bambino. Spesso il furto costituisce l'inizio
della carriera criminale del futuro assassino seriale (talvolta
legato anche a forme di parafilia, come il feticismo). Questa necessità
di accumulo si ripercuote spesso anche sull'alimentazione, specialmente
nei casi delle assassine seriali: la maggioranza delle donne inserite
nella casistica di De Luca (2001) sono in sovrappeso, se non obese.
j. Comportamento autodistruttivo: il ricorrere ad automutilazioni
può, nei casi migliori, rispondere ad un
bisogno di attenzione, in quelli peggiori ad un impulso sadomasochistico
e ad un precoce desiderio di morte. La "sindrome di automutilazione"
può durare per decenni; in essa, si alternano momenti in
cui il soggetto si procura tagli e ferite, ed altri in cui manifesta
altri disordini (disturbi del comportamento alimentare, cleptomania,
abuso di alcool e altre sostanze).
k. Precoce abuso di stupefacenti: spesso è legato all'emulazione
di uno dei genitori, generalmente il padre,
fruitore di sostanze. Sia varie droghe, sia l'alcool liberano l'individuo
da qualsiasi freno inibitorio,
facilitando l'acting out. Ricorrono all'uso di sostanze soprattutto
quei serial killers che iniziano la loro
"carriera" ancora adolescenti (De Luca, 2001).
De Pasquali (2001) mette in luce che il 58% dei soggetti inclusi
nel campione italiano soffre di disturbi
psichiatrici. E' doveroso sottolineare che non sempre la malattia
mentale può essere considerata causa direttadegli
omicidi; bisogna considerare sempre anche la personalità
premorbosa originaria, così come altri fattori di ordine
familiare, ambientale, sociologico (Ingrassia, 1998).
LEONARDA CIANCIULLI: LA SAPONIFICATRICE DI CORREGGIO
Nacque a Montella di Avellino nel 1893, da Emilia Di Nolfi e da
Mariano Cianciulli, commerciante salernitano sposato in seconde
nozze. Leonarda non fu mai amata dalla madre, che la rifiutava in
quanto segno tangibile della violenza fisica perpetrata a suo danno
da quello che sarebbe diventato suo marito, Mariano Cianciulli,
appunto. Nardina venne quindi al mondo in seguito ad uno stupro,
a cui seguì, poi, una sorta di matrimonio `riparatore', assolutamente
non dettato da alcun sentimento affettuoso fra i due. E' abbastanza
intuitivo, dunque, immaginare che all'interno di questa famiglia
non sussistessero le migliori condizioni perché la piccola
Leonarda potesse vivere un'infanzia serena. Da subito, dunque, Nardina
interiorizzò questo distacco materno nei suoi confronti e
si accorse di non provare amore verso la mamma, né verso
le sue sorelle, nate dal precedente matrimonio della madre. Leonarda
era brutta e malaticcia, e all'interno dell'ambiente familiare veniva
emarginata ed isolata. La stessa Leonarda così si descrive
nel suo memoriale: "Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo
di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano
per me nessuna delle attenzioni che portavano agli altri figli.
La mamma mi odiava, perché non aveva desiderato la mia nascita.
Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di
impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l'altra si
spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva
di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto,
sempre con l'intenzione di morire, e mangiai dei cocci di vetro:
non accadde nulla". I tentativi di suicidio nei bambini acquisiscono
caratteristiche sempre meno violente man mano che essi si avvicinano
all'adolescenza: cioè quanto più è piccolo
il bambino, tanto più sceglierà un modo cruento per
uccidersi (si pone comunque il
problema di poter parlare di "scelta" consapevole quando
un bambino non ha i requisiti mentali e decisionali
atti al compimento di un'azione intenzionale e volontaria). Nel
caso di Leonarda, la morte rappresentava al
contempo la fuga da quella situazione familiare così triste
e fredda, la richiesta di amore, di attenzione, di
considerazione, e, probabilmente, anche il desiderio di vendetta,
il desiderio di infliggere a quella madre così
lontana affettivamente la giusta quota di sofferenza e di rimorso.
La miseria, le ristrettezze economiche che affliggevano la famiglia
Cianciulli non erano nulla in confronto alla solitudine affettiva,
al rifiuto materno, alla malattia, all'infelicità; Leonarda
voleva soltanto essere amata, perdersi negli abbracci materni, giocare
con le sue sorelle, conoscere la tenerezza, vivere come tutti i
bambini desiderano e meritano. Il bisogno di sicurezza e di protezione
tipico del bambino, che è assicurato da un buon legame di
attaccamento, e che rappresenta la necessità fondamentale
dell'infanzia (Ammaniti, 1995), le fu dunque negato. Le rassicuranti
esperienze di attaccamento verso una figura affettivamente primaria
sono importanti per qualsiasi bambino, non solo perché saziano
la sua fame di amore materno (Bowlby, 1969), ma anche perché
rappresentano il substrato su cui egli costruirà la propria
competenza sociale, influenzando direttamente
il modo in cui vivrà le relazioni future. In un secondo momento
dello sviluppo, infatti, la sicurezza personale dell'individuo,
piuttosto che essere legata esclusivamente alla presenza fisica
della figura di accudimento, diventa sempre più una caratteristica
interna dell'individuo, venendo interiorizzata sul piano rappresentativo
in un modello interno che funzionerà come uno schema non
cosciente capace di orientare il comportamento interpersonale in
maniera coerente con le prime esperienze relazionali (Bowlby, 1969,
1973). In altri termini, il bambino ha bisogno della presenza affettuosa
e sollecita della madre o di una figura primaria di accudimento
per poter affrontare uno
sviluppo armonioso sia dal punto di vista affettivo, sia cognitivo,
sia relazionale. Amore, attenzione, cure,
tutto ciò fu negato all'infanzia di Leonarda, lasciando una
traccia indelebile dentro di lei, e segnando le sue
scelte, quindi il suo destino.
Secondo Leibl (1950), una bambina cresciuta in un ambiente di freddezza
e eccessiva severità, reprimerà ogni impulso di fiducia
e di affetto, e cercherà nella bugia il mezzo naturale di
autodifesa e come tentativo di salvare la propria vanità;
da adulte, alcune di queste bambine, saranno particolarmente suggestionabili,
e si abbandoneranno ai loro sentimenti senza freni con conseguenti
azioni illecite, immorali e spesso delittuose. In esse, inoltre,
si riscontra una frequente tendenza al suicidio, che testimonia
l'assenza di slancio e di gioia vitale (Leibl, ibidem). In altri
casi, dinanzi alla disarmonia dell'ambiente familiare, vi sono bambine
che sviluppano una reazione di estrema disobbedienza e durezza,
e che sono attuano comportamenti devianti, come furto e lesioni
personali (Leibl, ibidem).
Nel corso dell'infanzia, la piccola Nardina ingannava la sua solitudine
passando il tempo a parlare con le cose, con gli animali, con amici
immaginari: veniva definita una bambina "strana" sia per
questo comportamento bizzarro, sia perché soffriva di attacchi
epilettici e di incubi notturni. Anche durante la notte, dunque,
la bambina non era serena, aveva incubi che la terrorizzavano e,
presumibilmente, ciò aveva un collegamento diretto con la
relazione con la madre. Secondo Ingrassia (1998), infatti, una relazione
disarmonica tra madre e bambina suscita, nell'inconscio di quest'ultima,
l'immagine della matrigna crudele, per cui viene tormentata da sogni
angosciosi e nelle sue fantasticherie si incontrano spesso immagini
crudeli e sanguinose, episodi di aggressione frammisti a episodi
di tortura, di violenza e di morte (Ingrassia, ibidem).
Nel sogni d'angoscia, sperimentati dal 30% dei bambini (Casou, Feldman,
in Marcelli, 1998), il bambino sogna qualcosa che lo atterrisce,
e si sveglia urlando e piangendo, richiedendo la rassicurazioni
da parte dei genitori: possiamo immaginare quale sia stato il comportamento
dei genitori di Leonarda, in special modo della madre, dinanzi alle
sue urla atterrite nel cuore della notte. Anche le crisi epilettiche3,
di cui Nardina soffriva, avrebbero richiesto una particolare attenzione
da parte della famiglia: il sostegno dato dai genitori al bambino
malato è fondamentale per aiutarlo a superare la paura, il
senso della diversità, e per affrontare il percorso di guarigione.
Anche questo mancò a Leonarda. La disperazione e le crisi
di rabbia di Nardina erano più che giustificate. Si sentì
da sempre una "diversa". E lo fu per sempre. In aggiunta
a ciò, l'infanzia della Cianciulli fu ulteriormente segnata
da un altro evento traumatizzante: un giorno Leonarda assistette
casualmente ad un omicidio, nel corso di una sparatoria in una piazza
del suo paese. Ne rimase sconvolta. Il suo primo incontro con la
morte non avrebbe potuto avvenire in un modo peggiore.
Fu durante l'adolescenza che, finalmente, Nardina trovò la
sua porzione di serenità: nonostante l'aspetto tarchiato
(era grassa e alta appena un metro e 50) e l'aria mascolina, riuscì
a dar adito al suo carattere gioviale e socievole; sulle coetanee
era capace di far presa, raccontando le sue precoci avventure sessuali
col sesso opposto, che, come lei dirà, rappresentavano l'unico
momento piacevole nella sua vita triste e grigia. Si parla di una
ipersessualità della Cianciulli, ma non vi sono prove a riguardo,
tranne le numerose successive gravidanze.
Nel 1910, quando Leonarda aveva17 anni, morì il padre, che
era diventato amministratore dei beni di una casa principesca. Questo
fu un evento che non lasciò tracce nell'animo della giovane
Cianciulli.
Quando Leonarda ha 20 anni, accadde un evento che condizionerà
tragicamente la sua vita futura, così come quella delle donne
che diventeranno poi le sue vittime. Una zingara le fece la seguente
predizione: "Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno
i figli tuoi". In seguito a questo episodio, Leonarda rifiutò
di sposare un cugino, perché riteneva di essere vittima di
una "fattura". Dobbiamo considerare che il pensiero magico,
la superstizione, erano elementi che caratterizzavano fortemente
il mondo femminile dell'epoca, specie nei piccoli centri, e specie
nel Sud dell'Italia. Erano le donne, infatti, a detenere l'arte
della magia: la "fattucchiera" era l'esperta, colei che
infliggeva fatture su richiesta ed era in grado di togliere il malocchio
attraverso un rito che passava di madre in figlia durante la notte
di Natale. Vedremo tra poco con quanto prepotenza queste credenze
superstiziose entreranno nella vita di Leonarda, condizionando le
sue scelte e manifestandosi all'interno di un vero e proprio rito
magico `psicotico'.
Più tardi, interrogando un'altra zingara, questa, leggendole
la mano, le disse: "Vedo nella tua mano destra il carcere,
nella sinistra il manicomio". Se i due episodi ricordati erano
frutto della fantasia della Cianciulli o corrispondevano al vero
non si sa, ma la profezia della prima zingara si avverò presto.
Nel 1917, Leonarda, vincendo le sue paure superstiziose, decise
di sposare un dipendente comunale conosciuto da poco, Raffaele Pansardi,
sebbene la madre non fosse d'accordo e pretendesse che sua figlia
sposasse il cugino; la maledisse persino il giorno del suo matrimonio,
al quale, ovviamente, non partecipò. Morirà qualche
tempo dopo, nel manicomio di Eboli (da precisare che la nonna materna
era stata in quello di Battipaglia).
Pare che la prima notte di nozze si concluse in clamoroso insuccesso
da parte del Pansardi; l'entusiasmo sessuale di Leonarda metteva
a dura prova l'indole tiepida di suo marito. Ma, nonostante questo,
ben presto arrivò la prima gravidanza, e, con essa, l'avverarsi
della prima profezia della zingara.
Leonarda infatti rimase incinta ben 13 volte: tre furono parti prematuri,
e dieci figli nacquero, ma morirono
in tenerissima età (De Pasquale, 2001, De Luca, 2001). "Quando
mi vedevo in stato interessante, avevo quasi
paura." La donna era sicura fosse colpa del malocchio lanciato
dalla madre: infatti la sognava sempre prima
di perdere un figlio. Per ovviare a questo, si rivolse a maghe,
fattucchiere, spiritiste, per sconfiggere la
maledizione materna; una volta una zingara le disse di buttarsi
in un torrente gelato e farsi venire la
polmonite per salvare uno dei suoi figli,
ma la polmonite non venne, e il figlio non si salvò. Allora,
decise di
acquisire lei stessa i rudimenti dell'arte magica e diventò
strega per amore dei suoi figli. Ad un certo momento, infatti, sembrò
riuscire a sconfiggere il malocchio materno, perché ebbe
altri 4 bambini, che superarono incolumi i prima anni di vita, e
sopravvissero: Giuseppe, Bernardo, Biagio e Norma. Anche Bernardo,
ad un certo momento, si ammalò gravemente, ma una zingara
riuscì a guarirlo con infusioni d'erbe; questa prestazione
costò molto a Leonarda in termini di denaro, tanto che dovette
rubare denaro e oggetti dalla casa coniugale.
Ad un certo punto, un altro evento catastrofico cambiò il
corso della vicenda, che dal 1930 in poi si svolgerà a Correggio,
in provincia di Reggio Emilia: il terremoto in Alta Irpinia distrusse
la casa dei Pansardi, a Laurana. La famiglia si trasferì
dunque in provincia di Reggio Emilia; l'abitazione consisteva in
una camera ammobiliata concessa dallo stato. Il marito, che in un
primo tempo aveva avuto un impiego nell'Ufficio del Registro, perso
poi il lavoro, passava il tempo a bere nelle osterie. La famiglia
Pansardi non navigava di certo nell'oro, tutt'altro. Ma la gente
di Correggio non si mostrò indifferente alla sua povertà:
le donne del posto regalavano a Leonarda abiti per i suoi bambini,
mobili, e spesso del cibo; nonostante questa situazione, Leonarda
non si perse d'animo e prese in mano le sorti della sua famiglia,
riuscendo in qualche mese a ribaltare la sua precaria situazione
economica. Innanzitutto si dimostrò un'abile commerciante
di abiti usati, ma la maggior fonte del suo guadagno fu quanto aveva
appreso dell'arte della chiromanzia, della stregoneria: era in grado
di leggere il futuro alle sue clienti e di togliere loro il malocchio.
La sua simpatia, la sua comunicativa, la sua esperienza fecero di
lei una "maga" molto ricercata e di grande successo. Sebbene
la sua casa non fosse bella, essendo ammobiliata con mobili vecchi,
l'atmosfera era sempre festosa: Leonarda era anche un'abile ricamatrice
ed esperta nell'uncinetto, dunque il mobilio, le pareti, erano ricoperti
di centrini e di stoffe colorate da ricami fantasiosi fatti con
le sua mani. Le pentole sempre sul fuoco, i suoi figli accovacciati
per terra a giocare, a cui si univano anche i figli delle clienti
chefrequentavano la sua casa, davano all'ambiente quel calore e
quell'allegria che tanto faceva presa sulle donne
di Correggio. Alle 17.00, la preparazione di amuleti e ogni altra
attività magica si fermava, e Leonarda serviva tè
e dolci rigorosamente preparati da lei. Tutto sembrava andare per
il meglio: la famiglia, oltre ad essersi ben inserita nel tessuto
sociale di Correggio (Leonarda si prodigava anche in opere pie:
preparava pacchi di abiti e dolci da spedire ai carcerati), era
ora benestante, e la donna ora poteva permettersi di comprare abiti
per sé e per i figli, così come di farli studiare.
Nel 1939, Giuseppe, il suo prediletto perché il primo che
aveva infranto la maledizione materna, si iscrisse alla Facoltà
di Lettere a Milano e la madre riuscì anche a trovargli impiego
come istitutore presso il Collegio Nazionale di Correggio; Giuseppe
e Biagio frequentavano il Ginnasio e Norma l'asilo in un istituto
di suore. I suoi figli erano quasi un'ossessione per lei; racconta
Gastone Tamagnini, ora preside in pensione, ma da studente compagno
di giochi dei figli della Cianciulli: "Il vero cruccio di quella
donna erano i figli. Non li abbandonava un solo istante, Dovevano
essere sempre sotto il suo controllo. Ricordo bene una scena accaduta
dietro il teatro di Corso Cavour, a pochi passi dalla loro abitazione.
Eravamo con due dei suoi figli, quando di avvicinò e ci minacciò:
"State attenti ai miei ragazzi, se non
volete che vi metta le budella al collo!". Era una donna che
non avrei voluto per madre". Probabilmente questa ossessione
materna traeva origine proprio dalla mancanza di amore vissuta nel
corso della propria infanzia: il prendere distanza da quel modello
materno così freddo,disamorato, e crudele, aveva reso Leonarda
una madre che, sì, indubbiamente amava i propri figli, ma
in modo eccessivamente ansioso e vischioso. La protezione che voleva
rivolgere loro non era solo quella fisica, materiale, perché
Leonarda sentiva di dover proteggere i suoi figli soprattutto dal
mondo sovrannaturale, sapendo che sulle loro teste pesava ancora
lo spettro della maledizione della loro nonna.
Stanco dei continui rimbrotti che Leonarda gli rivolgeva, un giorno
Raffaele Pansardi, sbattè la porta
e se ne andò di casa. Per la Cianciulli fu una vera e propria
liberazione; gli affari andavano a gonfie vele, erano arrivati anche
i finanziamenti statali per i terremotati: in sostanza, la situazione
era così florida che Leonarda poteva permettersi di traslocare
in una casa più bella, in Via Cavour, e di assumere anche
una domestica.
Una notte, dopo tanti anni, ebbe un incubo terribile: sognò
nuovamente sua madre, che la minacciava
con aria maligna e crudele. L'interpretazione di Leonarda fu univoca:
la madre, dall'Aldilà, voleva strapparle
un altro figlio! Siamo al momento dello scoppio della Seconda Guerra
Mondiale, in Europa già si combatte e
Giuseppe ha l'età giusta per essere chiamato alle armi. Leonarda
sentì che era necessario fare di tutto per
impedire che suo figlio andasse in guerra, e che inevitabilmente
morisse. Cosa fare? La risposta arrivò in un
altro sogno: la Madonna, con un bambino nero fra le braccia, dice
a Leonarda che per evitare di perdere i
suoi figli, lei dovrà sacrificare altrettante vittime umane.
Ecco, è così che riprende in modo più violento
una
ideazione di tipo mistico, magico, che produrrà conseguenze
nefaste nella vita di Leonarda ed in quella di
altre tre donne, le sue vittime. In qualche modo, potremmo pensare
ad una sorta di vero e proprio delirio.
Scientificamente, sono riportati modi diversi di manifestare un
delirio: in modo vago e confusionario, o in
modo razionale e logico. Ebbene, il delirio di Leonarda rientra
in quest'ultima categoria. Questa forma, tipica
della paranoia, viene comunicata con chiarezza e precisione, con
coerenza intrinseca dei ragionamenti esibiti,
mentre sono solo le premesse ad essere erronee (Pancheri, Biondi,
1994). Leonarda non era fuori di sé, non
era folle, al contrario, era assolutamente lucida e determinata
nel voler proteggere i suoi figli: il suo amore di
madre era talmente grande che poteva combattere anche contro il
`destino'. Ma lo fece con armi `magiche',
attraverso il sacrificio di vite.
Leonarda non esitò. Pensò subito a quale sarebbe stata
la sua prima vittima: si trattava di una sua amica,
Faustina Setti, una 73enne nubile che, nonostante gli anni, desiderava
ancora ardentemente un compagno e
che, per questa ragione, si recava spesso a casa della Cianciulli
per avere qualche speranza. Leonarda le disse
che da poco un uomo benestante che viveva a Pola, vicino Avellino,
si era rivolto a lei perché in cerca di una
compagna, e che lei gli aveva, appunto, parlato proprio della sua
amica. Faustina Setti era raggiante. La
proposta di rifarsi una vita era allettante. Accettò. Leonarda
la invitò a vendere i suoi beni, la casa, la terra
per presentarsi a questo ricco signore con una cospicua dote, ed
inoltre, le raccomandò di non parlarne con
nessuno, perché l'invidia della gente il malocchio
- avrebbe potuto ostacolare la realizzazione del sogno.
Faustina si attenne ai consigli dell'amica fattucchiera; andò
dal parrucchiere, si tinse i capelli di biondo, si vestì
bene, si truccò e il 18/12/1939, il giorno della partenza,
si recò a casa della Cianciulli per salutarla.
Leonarda ne ricorda l'aspetto patetico: "Voleva sembrare una
bambina". La domestica di Leonarda la incontrò per le
scale, e in seguito dichiarò: "La signora Setti arrivò
piuttosto presto e io stentai a riconoscerla, tanto era ben vestita
e truccata. Mi confidò che stava per andare a trovare certi
suoi parenti nel meridione. Poi dalla cucina apparve la mia padrona,
sembrava agitata, era tutta rossa in faccia, come se avesse corso,
e mi ordinò di andare a sbrigare alcune commissioni urgenti
in paese". Leonarda fece accomodare Faustina per un caffè,
mentre un pentolone pieno d'acqua bolliva sul fuoco. All'amica,
che chiese a cosa servisse quell'acqua bollente, la Cianciulli rispose
che intendeva preparare una scorta di sapone per l'inverno; a tal
fine, aveva sciolto ossa di maiale e di altri animali nell'acqua
bollente e nella soda caustica.. Poi la convinse a scrivere alcune
lettere e cartoline che avrebbe dovuto spedire appena arrivata nel
paese del suo futuro compagno, in cui annunciava a parenti e amici
che tutto era andato bene. Faustina, quasi analfabeta, scriveva
sotto dettatura dell'amica, ringraziandola perché da sola
non ne sarebbe stata capace, convinta che appena giunta a Pola le
avrebbe imbucate. Leonarda le chiese di rileggere a voce alta quanto
scritto, e nel mentre si alzò, prese una scure e si avvicinò
alle spalle di Faustina, spaccandole la testa. A questo punto, trascinò
il corpo in uno stanzino e lo sezionò in nove parti, aiutandosi
anche con un seghetto e un coltellaccio da cucina, e raccogliendo
il sangue in un catino. Dapprima tagliò le gambe all'altezza
delle ginocchia, mettendovi sotto un pezzo di legno, "..per
non rovinare il filo della scure"; i moncherini vennero appoggiati
sull'orlo di due pentole perché il sangue non imbrattasse
tutto il pavimento; infine recise la testa, le braccia, le cosce
e divise il tronco in due. Mise i pezzi più grandi nel pentolone
con la soda caustica; il fuoco sotto di esso resterà acceso
dalle 19.00 alle 4.00 del mattino dopo. In seguito, al processo,
così ricorderà quei momenti: "...gettai i pezzi
nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che
avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché
il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa
con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo
nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo
feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero,
cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando
il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti
e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo
anche Giuseppe e io".
La domestica affermò di aver trovato, al suo ritorno a casa,
la seguente situazione: "Quando rincasai dalle
mie commissioni, trovai sul fuoco il pentolone che bolliva, mandando
per tutta la casa un odore
pestilenziale. Mi avvicinai al fornello, notando che dal pentolone
fuoriusciva un'enorme quantità di grasso
marrone-rossiccio. La mia padrona mi gridò di non impicciarmi.
Mi accorsi che il pavimento della cucina
era stato lavato da poco. Trovai la cosa molto strana perché
lei si faceva un vanto di far fare a me, che ero
la domestica, i lavori più umili e pesanti....Comunque non
immaginai neanche lontanamente la terribile
verità, soprattutto perché in quel momento rientrò
Giuseppe, il figlio ventenne della signora, che sollevò il
coperchio del pentolone, studiò per un momento il suo contenuto,
lo richiuse e si mise a confabulare con la
madre". Leonarda ricavò anche una candela che accese,
in devoto ringraziamento, davanti all'immagine di
Gesù.
Qualche giorno dopo, mandò Giuseppe a Pola per svolgere una
commissione e gli disse di imbucare le lettere
di Faustina, che sarebbero quindi arrivate ai destinatari con il
timbro di Pola. Con i beni della Setti, pagò
l'Università al figlio.
La madre le apparve nuovamente in sogno, per due volte; per neutralizzare
le sue maledizioni, Leonarda sentiva di dover necessariamente trovare
altre due vittime. Il rito doveva continuare.
La seconda vittima fu Francesca Soavi, 55 anni, che, per guadagnare
qualcosa gestiva un asilo d'infanzia presso la sua abitazione. Leonarda
la informò che un suo amico sacerdote, direttore di un collegio
a Piacenza, cercava una persona affidabile da assumere come insegnante
e che lei aveva fatto proprio il suo nome: era pertanto attesa a
Piacenza per un colloquio. Il consiglio che la Cianciulli dette
a Francesca fu di partire immediatamente, perché quello era
un impiego molto ambito, e quindi la perdita di tempo avrebbe aumentato
le probabilità che qualcun altro le soffiasse il posto. Per
accelerare il momento della partenza, Francesca, spinta dall'amica,
le affidò per procura la vendita di tutti i suoi beni, e
le chiese di spedirle il ricavato nel piacentino. Il 5/9/1940 Francesca
passò a salutare l'amica, la quale le dette alcune cartoline
da scrivere ai parenti di fuori, suggerendole di inviarle da Correggio,
perché così nessuno sapesse che si trovava a Piacenza
prima di esser certa di aver ottenuto il lavoro. Come con la Setti,
non appena Francesca iniziò a scrivere, la colpì con
la scure...la trafila fu la stessa, ma con una variante. Pare, infatti,
che la Soavi fosse più formosa della precedente vittima e
che Leonarda non riuscì a farla entrare nel famoso pentolone;
fu perciò costretta a tagliarle la testa, ad infilarla in
un sacco che poi, stando a quanto detto da un'altra domestica (la
domestica precedente se ne era andata per crisi nervose...!), fu
dato al figlio Giuseppe affinché se ne disfacesse. Tre giorni
dopo la sua morte, Leonarda vendette gli effetti personali e i beni
della vittima, ma dal punto di vista economico, questa morte non
fu redditizia.
Il terzo sacrificio umano è quello di Virginia Cacioppo,
una vedova di 59 anni che da giovane aveva avuto un discreto successo
come cantante lirica. Il 30/11/1940 Leonarda la attirò a
casa sua, dicendole di averle trovato un posto come impiegata
magazziniera - in un teatro fiorentino; un suo amico, impiegato
presso il teatro, le aveva detto che poteva esserci per l'ex-cantante
anche l'eventualità di un'audizione per una scrittura. Il
fatidico pentolone era sul fuoco; anche Virginia vi finì
dentro, e con il suo grasso Leonarda fabbricò una gran quantità
di saponette e candele che regalò alle amiche e vicine di
casa. I preziosi gioielli di Virginia furono nascosti da Leonarda
in un mattone cavo, che dette in custodia ad un suo amico rigattiere.
Ma qualcosa andò storto; nonostante la Cianciulli avesse
raccomandato a Virginia di mantenere il massimo
riserbo sulla questione perché la persona che l'attendeva
a Firenze era un suo ex-amante, la Cacioppo ne
aveva invece parlato con una sua cognata di Napoli, Albertina Fanti
(durante il processo fu definita uno
Sherlock Holmes in gonnella), che, non ricevendo più notizie
da parte sua, si informò presso il teatro di cui
Virginia le aveva parlato, scoprendo che in realtà non esisteva.
Inoltre, controllando i vestiti venduti dopo la
"partenza" di Virginia, risultava che questa avesse lasciato
anche il cappotto, e fosse partita solo con l'abito
che aveva addosso. A questo punto, convinta che qualcosa fosse accaduto
alla cognata, andò a denunciarne la
scomparsa nella stazione dei Carabinieri di Correggio. La Fanti,
una volta sul luogo, raccolse tutta una serie
di chiacchiere e dicerie relative alla donna che, dopo la "fuga"
misteriosa di alcune signore, si era incaricata di
venderne i beni: Leonarda Cianciulli. Insieme alle amiche delle
altre due donne scomparse, si recò a Reggio Emilia per rivolgersi
al Commissario Serrao, che, ascoltate le dichiarazioni delle donne,
decise di aprire un'inchiesta.
Nel Gennaio del 1941, un sacerdote di Correggio, don Adelmo Frattini,
si recò in banca per cambiare in denaro un buono del tesoro
che si scoprì appartenere a Virginia Cacioppo. Interrogato
al riguardo, il sacerdote disse di averlo ricevuto da un rigattiere,
Spinabelli (si diceva, tra l'altro, che fosse un amante della Cianciulli);
questi, a sua volta, disse di avere avuto il titolo come forma di
pagamento dalla Cianciulli.
Vennero arrestati tutti e tre. Ma il Commissario Serrao si rese
conto che né Spinabelli, né Frattini avevano a
che fare con la sparizione delle tre donne. Decise di perquisire
casa Cianciulli, eppure non furono trovate
tracce. In fondo, la Cacioppo poteva aver lasciato alla Cianciulli
quei buoni del tesoro in cambio di denaro
liquido subito prima di partire. Ad un certo momento, Spinabelli
si ricordò di aver ricevuto in custodia da
Leonarda un mattone; la Polizia lo trovò, lo ruppe e dentro
rinvenne i gioielli di Virginia Cacioppo. Nel marzo del 1941, dopo
un'ennesima perquisizione in casa della Cianciulli, furono trovati
gli abiti dell'ex-cantante, ma Leonarda si difese asserendo che
non c'era nulla di strano in tutto ciò, in quanto da sempre
si era occupata della vendita di abiti usati. Ma Giuseppe, il giovane
figlio della Cianciulli, dopo un interrogatorio serrato, confessò
di aver spedito lettere e cartoline da parte di due delle donne
scomparse: viene tratto in arresto. A questo punto, la madre si
rese conto che il figlio, che aveva disperatamente cercato di salvare
dalle maledizioni e dalla cattiva sorte, era in grave pericolo:
non esitò a confessare di essere lei la causa delle tre scomparse
su cui si stava indagando. Dichiarò i tre omicidi. Il commissario
sospettava che Leonarda non avesse agito da sola, per l'occultamento
dei cadaveri; la Cianciulli accusò infatti Spinabelli di
essere stato suo complice. Questi venne arrestato, ma fu presto
rilasciato perché non fu trovato niente a suo carico.
Il processo iniziò a Reggio Emilia nel Giugno 1946. Anche
per il procuratore generale Leonarda non poteva avere agito da sola;
il figlio Giuseppe venne imputato di correità: "Leonarda
Cianciulli e suo figlio Giuseppe Pansardi hanno agito in coppia,
spinti da sordidi motivi di interesse. La criminologia ha descritto
spesso casi del genere, in cui due individui agiscono insieme, l'uno
nella parte di dominatore, l'altro di succube; noi affermiamo che
la madre è un vero e proprio genio del male, ma che anche
suo figlio è colpevole per averla aiutata sia psicologicamente
che materialmente a realizzare i massacri e a fare scempio dei poveri
resti delle vittime, le quali non avranno nemmeno mai il conforto
di una degna e cristiana sepoltura". Quando sentiva le accuse
contro suo figlio, questa donna, impassibile se si parlava di lei,
diventava, ancora una volta, una belva: "Mio figlio è
innocente: torturatemi, fatemi a pezzi, se volete, ma io ripeterò
fino alla morte che ho fatto tutto da sola, perché la verità
è questa. Giuseppe è innocente, sono io il mostro,
io la saponificatrice, io la strega...Mettetemi in croce, se pensate
che questo serva a ristabilire la giustizia, ma risparmiate un innocente,
quel figlio per la cui salvezza ho fatto tutto questo!".
Durante il processo venne convocato un esperto di medicina legale,
il Professor Crema, che affermò che una persona che avesse
eseguito da sola tutta le operazioni di trasporto e squartamento
di un cadavere non avrebbe potuto impiegare un tempo inferiore a
circa due ore di tempo. Così parlò Leonarda: "In
meno di 20 minuti tutto era finito, compresa
la pulizia. Potrei anche dimostrarlo ora!". Si dice che la
Cianciulli, nel corso del processo, chiese di poter mostrare la
sua velocità nel sezionare i corpi e che, per questo, fu
portata all'obitorio dove smembrò il corpo di un vagabondo
in soli 12 minuti.
Ecco la confessione di Leonarda: "Dopo aver fatto a pezzi il
cadavere, mettevo la caldaia sul fuoco la sera alle ore 19.00 e
tutta la notte la lasciavo andare, fino alle 4.00 del mattino. Il
calderone conteneva 5 chili di soda caustica in ebollizione. I pezzi
non adatti alla saponificazione, deposti in un bidone a parte, li
versavo un po' nel gabinetto e un po' nel canale che scorre vicino
a casa mia. Finita l'operazione, mi accorsi che nel sapone c'erano
dei pezzi più duri. Erano delle ossa che non ero riuscita
a saponificare, ma che pure erano divenute fragilissime, tanto che
si dissolvevano a toccarle. Il sangue di solito lo riunivo a marmellata
col cioccolato, aromi di anice e vaniglia, oppure garofano e cannella.
Qualche volta in queste torte, che offrivo alle mie visitatrici,
ci mettevo anche un pizzico della polvere ricavata dalle ossa delle
morte".
Nonostante l'impianto accusatorio fosse volto a dimostrare che Leonarda
era assolutamente capace
di intendere e di volere, e che il movente degli omicidi altro non
fosse che il guadagno economico, la perizia
psichiatrica, condotta dal professor Saporito, docente presso La
Sapienza di Roma e direttore del manicomio
giudiziario di Aversa, la dichiarò incapace di intendere
e di volere, in quanto soggetto psichicamente
isterico per esasperazione dell'istinto materno. Fu condannata a
30 anni di carcere, di cui almeno tre da
passare in un manicomio criminale. Durante la reclusione, Leonarda
Cianciulli occupava il tempo a scrivere,
lavorava all'uncinetto e cucinava biscotti, come ricordò
una suora che l'aveva conosciuta: "Era bravissima
con l'uncinetto. Quando finiva un centrino, me lo affidava perché
lo donassi a qualche persona buona. Era
brava anche in cucina. Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo
preparava dolci gustosissimi che
nessuna detenuta però, si azzardava a mangiare. Credevano
che contenessero qualche sostanza magica". In
carcere riceveva le visite dei figli e in occasione di visite di
funzionari del Ministero, o un alto prelato,
pretendeva di essere lei a fare il discorso di benvenuto. Quando
le veniva chiesto di spiegare il perché di
quegli omicidi, dichiarava: "Non sono contenta di ciò
che ho fatto, ma lo rifarei, perché uccidendo quelle tre
donne sono riuscita a beffare la Morte e a impedirle di strapparmi
mio figlio!...Per fermare la Morte dovevo
offrirle qualcuno da prendersi al posto di mio figlio: sangue per
sangue, ossa per ossa, vita per vita. Non ho
ucciso per odio o avidità, ma solo per amore di madre,".
Leonarda era davvero convinta di aver agito da
buona madre; il guadagno economico era dunque solo un beneficio
secondario.
Va sottolineato che alla Cianciulli sono stati attribuiti, sebbene
non vi siano prove, altri 7 omicidi.
Così ci parla di lei il Professor Rosapepe, vicedirettore
del manicomio criminale di Pozzuoli: "Il primo incontro che
ebbi con lei fu molto strano. Si inginocchiò davanti a me
e cominciò a parlarmi dei suoi ragazzi. Era ubriaca d'amore
per loro. Nell'aspetto fisico, non certo gradevole, presentava quei
segni un viso rotondo e sempre rosso che alimentano
la leggenda delle sue stregonerie. Parlava, parlava in continuazione,
era una piacevole chiacchierona. Sì, perché Leonarda
Cianciulli era anche una donna simpatica".
Morì nel manicomio giudiziario
per donne di Pozzuoli, il 15 ottobre 1970, stroncata da apoplessia
celebrale e fu sepolta nella fossa comune del cimitero della cittadina
napoletana.
Secondo Paolo De Pasquali (2001), possiamo attribuire a Leonarda
Cianciulli un disturbo schizotipico di
personalità. Innanzitutto, i disturbi di personalità
si hanno quando i tratti di personalità (modi costanti di
percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell'ambiente e di
se stessi) diventano rigidi e non adattivi,
causando compromissione del funzionamento sociale e lavorativo,
oppure sofferenza soggettiva. Il disturbo
di personalità SCHIZOTIPICO è caratterizzato dalla
presenza di idee e di credenze di riferimento strane,
dall'uso del pensiero magico che influenza il comportamento, da
un linguaggio e pensiero strani ( es.
metaforico, iperelaborato o stereotipato), da comportamenti e aspetto
eccentrici, da ideazione paranoide o
sospettosità, affettività inappropriata. In Italia,
anche De Martino (l'infermiere satanico, che uccise 4 forse
anche più pazienti) rientra nel quadro del disturbo
schizotipico.
In aggiunta a ciò, troviamo nella Cianciulli una forma particolare
di necromania, che è una forma maligna di
necrofilia, che è una parafilia (perversione) che consiste
nell'attrazione sessuale verso il cadavere. Il serial
killer è necromane ha infatti una perversione dell'istinto
di vita che determina attrazione per la morte e
compulsione ad uccidere. La necromania consiste nella ricerca di
un rapporto diretto con la morte, ottenuto
mediante l'uccisione e il successivo contatto con il cadavere (De
Pasquali, 2001). Il godimento è legato nel
dare la morte, e nel modo in cui la morte è data; inoltre,
è insito anche al successivo contatto col cadavere.
Toccarlo, squartarlo, immergervi le mani, decapitarlo, depezzarlo,
cibarsene, esaminarlo, nasconderlo,
cuocerlo, sono alcune delle operazioni che procurano un intenso
piacere al necromane. Queste azioni, che
sono anche finalizzate all'occultamento del cadavere, assicurano
il piacere perverso di avere a che fare con la
morte, quindi di gestirla e dominarla (De Pasquali, ibidem). Il
bisogno di uccidere è quindi legato al piacere
che se ne trae, e come altre coazioni a ripetere non è contrastabile
dalla volontà del soggetto: il serial killer
smette di uccidere solo se interviene qualcosa o qualcuno che rompe
il cerchio degli omicidi. I necromani
che si cibano di parti del cadavere, come la nostra Leonarda, introiettano
simbolicamente l'oggetto amato o
temuto per controllarlo completamente o dominarlo. E' probabile
che Leonarda mangiasse le sue vittime per
ultimare il rito magico delirante, per presenziare ad una sorta
di mistico banchetto, che altro non era che il
corpo e il sangue di una persona consacrata "eucarestia"
all'interno di una sorta di Messa Nera.
Osserviamo in Leonarda anche una forma di necrosadismo, piacere
nel mutilare e fare scempio di cadaveri
(anche se non vi erano stati rapporti sessuali), e di necrofagia,
cibarsi dei cadaveri.
Se volessimo azzardare una diagnosi per Leonarda Cianciulli, potremmo
pensare ad un disturbo delirante
(paranoia) all'interno di una personalità di tipo schizotipico.
I dati ci dicono che il serial killer necromane è un soggetto
molto chiuso in se stesso, fin da bambino, asociale, freddo, privo
di emozioni e perso nel suo mondo immaginativo: come non ritrovare
la Leonarda bambina in questa descrizione? E' anche vero che la
Cianciulli è un caso particolare di necromane: in lei, infatti,
la necromania non è primaria, ma è la conseguenza
di una costellazione di idee che trovano la loro origine in un disturbo
schizotipico di personalità. Pur essendo disinvolta nei suoi
confronti, non ama la morte, come i serial killer necromani, che
vivono solo per la morte e attraverso di essa, bensì la usa
come unica risposta comportamentale possibile
dinanzi alle proprie convinzioni. Per il necromane, l'Altro non
esiste come persona, ma solo come oggetto da cui trarre piacere
attraverso una modalità mortifera (De Pasquali, 2001); Leonarda,
a modo suo, amò intensamente i suoi figli. Il Dottor Rosapepe
racconta inoltre che quest'amore ossessivo verso i figli non era
stato assolutamente intaccato dalla reclusione, né aveva
assunto, in seguito all'incontro con vari specialisti, caratteristiche
di maggiore aderenza alla realtà, ossia la donna era sempre
convinta di poter agire contro delle forze ultraterrene: "Un
giorno arrivò a confidarmi che non avrebbe esitato a dar
fuoco al manicomio se avesse saputo che i suoi figli erano in difficoltà".
Leonarda Cianciulli rimase uguale a se stessa fino alla fine dei
suoi giorni.
Sara Grifagni
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