ALBERTO
RAVIOLA

 

ricevo da Blunner e volentieri pubblico

CYBER-TEMPO

 

La crescita progressiva della "rete delle reti" sembra essere motore e allo stesso tempo effetto del processo di mutazione antropologica contemporaneo, caratterizzato dalla progressiva estensione del corpo, al di là del contenitore naturale, in protesi artificiali investite libidicamente ed annesse alla costituzione della soggettività.

Già Mc Luhan propose, in epoca moderna, di indicare con il concetto di "media" l'estensione dei sensi: la ruota un’estensione del piede, la radio un'estensione dell’udito, la scrittura un'estensione dell’occhio e così via. Se pensiamo ad una protesi come ad es. gli occhiali, registriamo come essi  siano percepiti come un oggetto molto personale e parimenti una parte del corpo, oggetto di un investimento libidico.

Benjamin (ben prima di Mc Luhan) individua nella produzione capitalistica e, soprattutto, nel fenomeno del feticismo della merce la mutazione antropologica che caratterizza l’era della globalizzazione: gli oggetti assumono un significato autonomo, si contrappongono ai loro produttori come se fossero dotati di poteri specifici. Una sorta di "mana" della merce che hanno il potere di conferire uno status sociale: circondarsi di certi oggetti provoca un riconoscimento nella sfera immaginaria della società. 

E’ questo il feticismo della merce di cui parlava K. Marx nel primo libro del Capitale: gli oggetti, i manufatti, i prodotti della tecnica acquistano una loro vita indipendente, un potere autonomo che ci condiziona, organizza la nostra esistenza provoca mutazioni nel nostro corpo.

In questo senso i mezzi di comunicazione e la velocità di circolazione delle informazioni cambiano  la forma del vivere sociale e descrivono la traiettoria di una forma di soggettività che assume in sè protesi, meccaniche e telematiche: queste protesi si innestano nel corpo e lo estendono in spazi ancora sconosciuti.  La comunicazione fra gli individui avviene in uno spazio "altro", differente  da quello delimitato dalle mura domestiche della polis oppure da quello indeterminato del deserto.

Questo spazio è la matrice del cyberspazio.

Pierre Levy ha provato ad interrogarsi sulla spazialità, per questo ha indicato differenti spazi che interagiscono e producono diversi piani, campi di forza in cui si sviluppa l’interazione dei corpi.

1.  la terra, spazio privo di confini, liscio, segnato da punti di orientamento come pozzi o alberi, spazio nomade illimitato illuminato dal sole e dalle stelle.

2.  il territorio, dove la terra è segmentata, attraversata da mura, opere di canalizzazione, recinti, proprietà. Le mura della polis racchiudono un dentro ed un fuori: il territorio è il territorio del dominio, di quel principe, di quel re, di quello stato, vi sono confini, che determina appartenenze e cittadinanza

3.  il mercato è lo spazio che non conosce barriere, attraversa i territori, porta le merci ovunque, non conosce stagioni; è lo spazio della globalizzazione -  che rende disponibili le merci prodotte in un mercato universale - ed è lo spazio che produce una potente de-territorializzazione, concependo i legami sociali come calcoli. Scopo degli scambi, in questo spazio, è il profitto dato dalla circolazione delle merci e dal loro consumo

4.  lo spazio del Sapere (come lo chiama Levy) coincide con il cyberspazio, in cui gli scambi sono di informazione, non avvengono per il profitto, ma per la conoscenza. Nel cyberspazio non ha senso il profitto, l’accumulo, la privatizzazione della informazione, perché il vantaggio sta appunto nello scambio e nella progressiva costruzione di una rete di sapere collettivo e distribuito nei vari nodi.

Questa è l’architettura di base del net. Arpanet, origine dell'attuale Internet, nasce in ambiente militare nordamericano proprio con l'obiettivo di evitare che la centralizzazione delle informazioni in un solo megacomputer renda il sistema molto vulnerabile. Basta colpire il centro per paralizzare qualsiasi risposta. Per questo la costruzione di una rete di computer in grado di rispondere, se un nodo viene colpito caratterizza una forma di sapere, distribuito e non accumulato, come sapere vincente. Nella rete non c’è centro, non c’è periferia, qualsiasi nodo è centro e periferia.

Dunque stiamo parlando di un nuovo spazio e di una nuova forma di comunicazione che produce   una "sfera" che circonda in pianeta. La novità di questa realtà è che, con una connessione tramite il varco costituito dal monitor del computer, si può entrare fisicamente in questo "spazio sferico".

A differenza della TV e del Cinema, dove l'identificazione è proiettiva, nel cyberspazio la identificazione diventa introiettiva e per un po’ siamo “posseduti” dalla nostra identificazione. E’ chiaro che sta avvenendo una dissociazione fra il mio corpo seduto alla consolle e il flusso di pensieri, consci o meno,  che guidano il mio indice sul mouse che comanda la freccia, che appare sullo schermo, e prolunga il mio corpo in uno spazio virtuale, che è al di la dello schermo e che lo schermo mi fa apparire in questo momento.

Nel cyberspazio, posso "crearmi" e comunicare con altri che stanno accedendo a questo spazio o posso navigare senza meta andando alla deriva, posso ricercare come uno studioso nella biblioteca di Babele. Posso essere un "altro". In un certo senso entrare nella rete equivale a "farsi" nel senso di costruire sè stessi nella interazione e dunque apprendere/comprendere come l’identità sia effettivamente un processo frutto di interazioni.

Il cyberspazio rende dunque la sfera planetaria accessibile in tempo reale. In questa sfera circolano le informazioni prodotte in tempo reale e accumulate nel tempo storico. Nel tempo in cui il soggetto è connesso è il terminale di una sterminata rete, immette informazioni, riceve informazioni e la sua connessione corrisponde in tempo reale a milioni di altre connessioni che immettono e ricevono informazioni.

Ma l’accesso allo spazio indefinito della informazione planetaria avviene in uno spazio di estensione illimitata a cui non corrisponde una illimitata estensione del tempo: c’è un paradosso per cui più aumenta la possibilità di accedere alla “totalità” della informazione più diminuisce il tempo per poterla elaborare (come ben dice Franco Berardi "Bifo"). Ossia non c’è un cybertempo.

Questo significa che le informazioni che nel "reale" erano assorbite in un ambiente affettivo e assumevano la tonalità emotiva, di quel contenitore esistenziale, prima di divenire attive nell'azione, ora divengono attive, vengono agite indipendentemente dalla reale comprensione del loro significato. Questo perché il tempo per pensare tende a scomparire e tende a scomparire anche il pensiero inteso come intelletto attivo e cioè capacità di tradurre e interpretare le informazioni per “produrre le cose”, per esercitare la prassi. 

Viene a mancare il contenitore - l’apparato per pensare i pensieri di W. Bion - per cui le emozioni non possono essere trasformate in concetti, in elementi del pensiero. Per questa attività ci vuole tempo, ci vuole un clima emotivo; l’accesso simultaneo alla totalità dell'informazione produce il dominio della prassi, l’emergere sempre più evidente dell'azione senza pensiero.

 

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