Stimolo Autunno 2007
Del Pedagogista e dell’Università italiana di Franco Blezza

Alle origini di un complesso di errori
Le trasformazioni che hanno investito negli ultimi due decenni il settore pedagogico all’Università, incentrato sulla pur gloriosa Facoltà di Magistero, sono state di gran lunga e incontestabilmente le più impegnative cui sia andato incontro qualunque sapere e qualunque settore accademico; e di più, esse hanno investito pesantemente strutture già in origine deboli, tra le più deboli di tutta l’Università italiana. Sono cose fin troppo note ai nostri lettori perché dobbiamo andar oltre un semplice e sommario riepilogo: noteremmo che, oltre a tutte le trasformazioni conseguenti al D.M. 509/99 e all’introduzione del cosiddetto “3 + 2”, vi è stata prima un’altra macchinosa trasformazione del C.d.L. (quadriennale) di Pedagogia in Scienze dell'educazione, e poi la trasformazione della Facoltà di Magistero in Facoltà di Scienze della Formazione, la chiusura dei tradizionali corsi di laurea e di diploma, l’introduzione del C.d.L. Scienze della formazione primaria che è rimasto a lungo l’unico quadriennale, l’introduzione delle SSIS, la crescente richiesta di insegnamenti pedagogici i corsi diversi, da Medicina a Scienze sociali, da Psicologia a Scienze politiche e via elencando, quando spesso non vi erano neppure le risorse umane e scientifiche minimali a questi scopi.

Si capisce, quindi, che una simile complessa e pesantissima processualità, caricata su spalle gracili, non potesse andare senza conseguenze negative e strascichi prolungati nel tempo, né priva di errori anche gravi e fondamentali. Riguardo a questi secondi, fummo facili profeti al tempo nel qual eravamo semplici Ricercatori, ma non trovammo orecchie attente; quanti avrebbero potuto ascoltarci in quegli anni sono ormai largamente fuori dall’Università, o non sono più tra noi, quindi ne parliamo con rispetto, avendo ben chiaro il precetto di distinguere l’errore dall’errante.

Un primo errore di fondo…
Un primo errore di fondo, che è quello più evidente nei nostri occhi di persone impegnate nel campo della professione di Pedagogista, consiste nel continuo tentativo di arroccamento da parte dei colleghi accademici attorno al problema particolare della formazione degli insegnanti, rispetto ad una richiesta sociale che era dichiaratamente, ed esplicitamente quanto necessariamente, divergente.

D’altra parte, un simile arroccamento non poteva funzionare come non ha funzionato per due diversi ordini di ragioni: per ragioni pratiche, come sono quelle legate alla stragrande maggioranza dei nostri allievi che non hanno realistiche prospettive scolastiche, ma la cui opera sarebbe necessaria altrove; e per ragioni generali (che qualcuno chiamerebbe impropriamente “teoretiche”) che stanno nella considerazione, peraltro di un’evidenza solare, che la formazione dell’uomo di scuola di qualunque ordine e grado, dal nido di infanzia agli specialismi di scuola secondaria superiore ed oltre, costituisce un caso particolare della formazione di professionisti intellettuali dell’educazione e della formazione, tanto da non poter avere neppure una positiva posizione (nonché soluzione) al di fuori di questo contesto più ampio. La reiterazione di questo errore, come si sta ben vedendo, non conduce da nessuna parte.

… e un secondo, il più complesso
Un altro errore di fondo, che sarebbe anche esso ben visibile ai nostri occhi ma che richiede una riflessione e dei prerequisiti più avanzati, riguarda il progetto maldestro, quanto rigidamente e dogmaticamente tenuto per anni ed anni, di procedere alla costruzione di professioni di cultura pedagogica di alto livello partendo “dal basso” cioè dalla figura detta dell’Educatore professionale. Esistevano in quegli anni DD.UU. (triennali) che davano una qualche formazione iniziale in questo senso, come anche sono esistite delle coperture offerte proprio dalle nostre Facoltà e dai nostri Dipartimenti per delle sanatorie di scarso contenuto scientifico e professionale che tendevano a promuovere con questo titolo operatori già in servizio.

Comunque sia, è di tutta evidenza come la costruzione e il riconoscimento sociale e culturale, prima che non legale, delle professioni intellettuali superiori vadano perseguiti centrando l’azione sul livello più elevato, oggi potremmo chiamarlo “apicale”. Così fecero gli Psicologi, così ci insegna che avviene in Medicina; così hanno fatto più di recente gli Ingegneri e gli Architetti, così stanno facendo tutti coloro che si sono decisi a cogliere perlomeno ciò che di positivo può offrire il “3 + 2”, consentendo di individuare la figura professionale intermedia là dove esisteva già (e rimarchiamo questo punto: esisteva già) la figura professionale apicale.

Occorreva puntare, prima di tutto, alla formazione e al riconoscimento sociale, professionale e legale del Pedagogista; questo poteva specificarsi in tanti modi, come l’Ingegnere si specifica facilmente in Civile, Elettronico, Elettrotecnico, Meccanico, Chimico, Informatico, Gestionale e via elencando a piacere; ma nondimeno costituiva una professione da considerarsi unitariamente, come nessuno mette in dubbio che si debba fare per gli Ingegneri apicali, od anche per i Commercialisti apicali, o per i Medici Chirurghi. Il riconoscimento delle mostre figure intermedie, che potevano anche chiamarsi “educatore” con qualche aggettivazione o specificazione perifrastica in più, sarebbe seguito logicamente e temporalmente.

La via che si è presa, e non è servito a nulla ammonire i responsabili di questa operazione al tempo della sua evidente inconsistenza, è stata quella assolutamente rovesciata: partire da un riconoscimento della figura intermedia, chiamata “Educatore” con qualche specificazione ulteriore, e poi semmai di ipotizzare, senza neppure troppo impegno né convincimento, che potesse esistere un Educatore laureato, un Educatore laureato specializzato, un Educatore laureato specializzato con Master e via elencando. Un po’ come se si volesse arrivare all’Ingegnere partendo dal Perito e costruendo una serie di figure in scala; o se si volesse arrivare al Medico partendo dall’Infermiere o da qualche altro professionista della sanità non medico con una formazione iniziale di durata inferiore.

Historia magistra vitae
Si concorda, in genere, che studiare il passato ha senso se ed in quanto esso è funzionale alla comprensione del presente e alla progettazione del futuro.

Qui siamo di fronte ad un passato assai prossimo, e il richiamo alla storia è concettuale e metaforico: ma ugualmente la sua considerazione è necessaria, innanzitutto, per comprendere un presente sconfortante.

Il Pedagogista non esiste come figura professionale riconosciuta, anche se vi sono migliaia di laureati che in essa si riconoscerebbero. Ma nemmeno l’Educatore professionale si è realizzato secondo gli impropri e mal fondati progetti dei riformatori degli anni ’90 in quanto, come è ben noto oggi, dalla legge 43/2006, questa qualifica spetta in esclusiva ai laureati della Sanità della classe SNT/2, i quali attendono come tutti i professionisti della sanità che hanno una formazione iniziale con laurea o laurea specialistica non a ciclo unico, l’istituzione di Ordini ed Albi professionali come quella legge esplicitamente prevede.

Ma soprattutto, da tutti questi (ed altri) errori di ordine generale e di ordine pratico dobbiamo trarre delle ben precise indicazioni per l’agire futuro: non solo perché perseverare diabolicum, ma soprattutto perché né noi, né le nostre decine di migliaia di laureati sottoccupati, né la società priva di Pedagogia possono permettersi di attendere altri decenni inutilmente.

Occorre investire nella figura apicale del Pedagogista: innanzitutto come strutture universitarie a cominciare dalle Facoltà di Scienze della Formazione (o Facoltà vicine o istituzioni collaterali là dove queste Facoltà non vi fossero) e dai Dipartimenti di Scienze dell’Educazione e simili nella ricerca di base e applicativa, nella strutturazione di corsi di studio di tutti i livelli, insieme con l’associazionismo del settore nell’impegno per il riconoscimento di questa figura e, conseguentemente, anche delle figure intermedie.

A scorrere le variegate e non di rado barocche declaratorie dei corsi di laurea attivati nell’unica classe di laurea e nelle tre classi di lauree specialistiche di cultura pedagogica previste dal dai DD.MM. 4/8 e 28/11/2000, non trarremmo indicazioni molto confortanti. Dal considerare l’associazionismo accademico e le sue attività convegnistiche sembra che la tentazione di un disperato arroccamento ad oltranza attorno al caso specifico della formazione degli insegnanti rimanga una tentazione troppo forte e fin irresistibile, o che si preferisca indulgere ad essa per quanto la si riconosca invece resistibile.

Tuttavia, siamo chiamati ad una nuova ristrutturazione: e lo siamo da tempo, perché la nuova normativa quadro risale ormai a tre anni fa (D.M. 270 del 22/10/2004). In questo, una proposta ben precisa e chiara deve provenire dall’associazionismo di settore e dalle decine di migliaia di laureati in attesa di novità sostanziali che corrispondano all’impegno profuso negli studi pedagogici: siano istituiti in tutte le regioni corsi di laurea magistrali in Pedagogia, che non sarebbe necessario ma si potrebbe aggettivare come Pedagogia sociale, professionale, clinica e simili, seguiti da Master di II livello che prendano il luogo delle specializzazioni evidentemente necessarie all’interno di questa declaratoria che individua una professione unitaria e ben precisa. Le scelte da operarsi a livello di lauree (triennali) saranno conseguenze, e non più premesse.

Lo vedremo anche da come si risponderà alla richiesta di Pedagogia da parte dei Corsi di Laurea di altre Facoltà, come si è premesso: se cioè saremo in grado di tenervi dei corsi specificamente adatti alle esigenze formative diverse da quelle di una Facoltà di Scienze della Formazione. Si pensi ai corsi non a ciclo unico di Medicina (non c’è solo Educazione professionale, ci sono tutti i corsi sia di I che di II livello), di Psicologia, di Scienze politiche, sociali, economiche e commerciali, ma in prospettiva anche di altre.

Altrimenti, alle necessità pedagogiche della società intera, che si fanno sempre più evidenti e pressanti, si generalizzerà la supplenza già ora esistente da parte di altri professionisti che, pur dotati di molte competenze, non possiedono quelle pedagogiche. E a chi volesse iscriversi ai nostri corsi di laurea sarà il caso di dire chiaramente in sede di orientamento che le prospettive professionali sono, nell’ordine, la sottoccupazione, il lavoro a-specifico, la disoccupazione intellettuale, il tutto guardando impotenti a quanto si deteriori il nostro tessuto sociale e culturale anche a causa di una necessità di Pedagogia non soddisfatta in via essenziale.