Psicologia del lavoro e alienazione, con breve storia della Psicologia del lavoro
(
Ektor Georgiakis)

Il lavoro occupa gran parte della giornata e della vita degli esseri umani. E' irragionevole pensare che il lavoro non abbia alcuna influenza sulla salute psichica e fisica, sul benessere e sulla vita privata. Tutto il novecento ha registrato sforzi per studiare la psicologia del lavoro e per applicarla alle imprese avanzate di Occidente (vedi qui).
Per secoli il lavoro è stato considerato fatica e pena, obbligatorie per la sopravvivenza. L'umanesimo, la rivoluzione industriale e l'avvento delle democrazie, nonchè i movimenti operai e sindacali, hanno lentamente dato agli uomini maggiore dignità e sovranità riconoscendo il diritto di ciascuno ad un lavoro che non si limitasse a soddisfare i bisogni di sopravvivenza. Gradualmente sono diventate legittime le domande sul senso del lavoro; sui bisogni individuali che esso può e deve soddisfare; su cosa motiva i lavoratori a lavorare meglio per se stessi e per l'impresa; su come tutelare la salute e la sicurezza sul lavoro.

La risposta di A.Maslow è nella "piramide dei bisogni", la coscienza dei quali emerge quando, in una certa misura, è soddisfatto il bisogno inferiore:

Bisogni fisiologici, la prima motivazione sviluppata, legati agli stati fisici necessari per vivere ed evitare il disagio (idratazione, alimentazione, minzione, defecazione, igiene)
Bisogni di sicurezza, si manifestano solo dopo aver soddisfatto i bisogni fisiologici, e constano della ricerca di contatto e protezione.
Bisogni di appartenenza, desiderio di far parte di un'estesa unità sociale (famiglia, gruppo amicale), che nasce solo dopo aver soddisfatto i bisogni di sicurezza.
Bisogni di stima, esigenza di avere dai partner dell'interazione un riscontro sul proprio apporto e sul proprio contributo
Bisogni di indipendenza, esigenza di autonomia, realizzazione e completezza del proprio contributo, si attiva solo dopo aver soddisfatto i bisogni di stima.
Bisogni di autorealizzazione, bisogno di superare i propri limiti e collocarsi entro una prospettiva super-individuale, essere partecipe col mondo.

Negli anni novanta eravamo arrivati in numerose imprese fino al quinto gradino della piramide, dove molti lavori iniziavano a godere di un certo grado di autonomia. Anno dopo anno siamo regrediti fino al primo gradino e, in molte situazioni, il lavoro non garantisce nemmeno questo, anche quando c'è.

La risposta di D.McClelland è la triade dei bisogni e delle motivazioni al lavoro:

Il bisogno del successo (o della riuscita, del lavoro ben fatto) rispecchia il desiderio di successo e la paura per il fallimento.
Il bisogno di appartenenza combina i desideri di protezione e socialità con la paura per il rifiuto da parte di altri.
Il bisogno di potere riflette i desideri di dominio e il timore di dipendenza.

La stessa parabola di Maslow è toccata ai bisogni segnalati da McClelland. Oggi i lavori che offrono un po' di riuscita, di appartenenza o di potere sono sempre meno. I lavori sono sempre più automatizzati, parcellizzati, ripetitivi, insensati al punto di essere gradualmente sostituiti da macchine; al punto di non aver bisogno di un preciso lavoratore, ma di uno qualsiasi; al punto di non richiedere alcuna competenza. La gran parte dei lavori attuali non danno sicurezza alcuna; non consentono socialità; non rafforzano l'autostima; lasciano autonomia e indipendenza al grado 0; ostacolano ogni realizzazione; non richiedono alcuna riuscita; esigono semplice sottomissione. Naturalmente questo quadro nefasto esclude la minoranza dei lavori sicuri e tutelati, qualificati, creativi ed espressivi. Il che spiega come mai aumentano sempre di più i giovani che aspirano a diventare operatori della musica, dell'arte, dello spettacolo.

Oggi il dibattito è sul lavoro che non c'è o è mero sfruttamento. Raramente ci interroghiamo sugli effetti psicologici che la maggioranza dei lavori produce. Vale la pena di ricordare il concetto di "alienazione" (v.nota), quasi dimenticato. L'essere umano che svolge per 4-8-12 ore al giorno per oltre 40 anni un lavoro ripetitivo, privo di senso, impersonale, privo di creatività, socialità ed autonomia, legato alla mera necessità di sopravvivere non può non subirne gravi ripercussioni sulla psiche, sul comportamento, sul modo di pensare. Chi spende gran parte della giornata e della vita in attività che lo rendono estraneo a se stesso, alienato, cosificato, ha serie difficoltà ad essere un buon partner, un buon genitore, un buon vicino, un buon cittadino: ruoli in cui sono richieste tutte le capacità che il lavoro reprime. Chi vive una vita lavorativa dove gli viene quasi proibito di pensare, creare, socializzare, esprimersi, essere autonomo smarrisce facilmente la sua umanità.

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NOTA - ENCICLOPEDIA TRECCANI
alienazióne s. f. [dal lat. alienatio -onis].
1. Atto giuridico con cui si trasferiscono ad altri soggetti una proprietà o un diritto su beni del proprio patrimonio, mediante vendita, donazione, mutuo, ecc. b. L’atto e il fatto di allontanare, distogliere, estraniare: a. dell’animo, della benevolenza, ecc.
2. Mentale, lo stato di grave compromissione delle facoltà psichiche derivante da infermità mentale.
3. a. Nel linguaggio filosofico, il termine è stato assunto a indicare in genere il trasferimento (effettivo o apparente, avvenuto o presunto, spontaneo o imposto) di qualche cosa di significativo, costitutivo o essenziale, da un centro di riferimento o di possesso ad altro, nell’ambito culturale e vitale della soggettività umana.
3. b. Nel pensiero di Marx e nel marxismo si insiste sull’estraniazione (o anche lo spossessamento) del prodotto del proprio lavoro a cui l’operaio salariato è costretto dai rapporti di produzione capitalistici e in partic. dal capitalista che ne compra la forza-lavoro.
3. c. Nella psicanalisi post-freudiana, e nella scuola sociologica di Francoforte, le riflessioni sull’alienazione di sé, della propria natura e della possibilità di crescita interiore, che l’uomo compirebbe nell’economia e nella società dei consumi preferendo l’avere all’essere.
3. d. In un’accezione più corrente e meno specialistica, lo stato di estraniazione, di smarrimento dell’uomo che, nell’odierna società e civiltà tecnologica, e nell’organizzazione dei ritmi della vita, si sente ridotto a oggetto, e pertanto colpito nella propria identità e strappato alla propria autenticità. In partic., con riferimento all’attività lavorativa, senso di indifferente e quasi ostile estraneità al proprio lavoro, provocato soprattutto dalla mancata conoscenza delle sue effettive finalità, oltre che dal carattere macchinoso e ripetitivo, rigidamente predeterminato nei suoi modi e nei suoi ritmi, che ha spesso il lavoro, spec. nelle fabbriche.

Breve storia della Psicologia del Lavoro (Guido Contessa)

I lavori di Hugo Münsterberg "Vocation and Learning" (1912) e "Psychology and Industrial Efficiency" (1913) sono considerati l'inizio di quello che poi sarebbe diventata la psicologia industriale.
Nel 1944 padre Agostino Gemelli pubblica "La psicotecnica applicata alle industrie", contributo fondamentale alla moderna psicologia del lavoro: ambiente e lavoro, rapporto uomo-macchina, la fatica e la monotonia, motivazione ed incentivazione del personale, obiettivi e procedure di selezione, problemi psicologici legati alla disoccupazione, valorizzazione della soggettività delle risorse umane.
Elton Mayo è il fondatore dello Human Relations Movement, approccio di ricerca e intervento della psicologia del lavoro che tende a privilegiare lo studio delle motivazioni psicologiche dei lavoratori. I suoi lavori più noti sono: "I problemi umani di una civiltà industriale" (1933), "I problemi sociali di una civiltà industriale" (1945).
Abraham Maslow nel 1954 pubblica "Motivazione e personalità", dove espose la teoria di una gerarchia di motivazioni che muove dalle più basse (originate da bisogni primari - fisiologici) a quelle più alte (volte alla piena realizzazione del proprio potenziale umano - autorealizzazione).
Dal 1940 al 1960 David McClelland pubblica "The Achieving Society" e " The Achievement Motive".
Dagli anni sessanta Enzo Spaltro sviluppa la psicologia del lavoro applicandola a numerose imprese.

Infiniti sono i tetativi delle imprese di applicare i principi della psicologia del lavoro in tutto il mondo occidentale.
E' del 1940 il primo CRAL (dopolavoro) aziendale.
Adriano Olivetti (dal 1932 al 1960) riuscì a creare nel secondo dopoguerra italiano un'esperienza di fabbrica nuova e unica al mondo in un periodo storico in cui si fronteggiavano due grandi potenze: capitalismo e comunismo. Olivetti credeva che fosse possibile creare un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, tanto che l'organizzazione del lavoro comprendeva un'idea di felicità collettiva che generava efficienza. Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica che rispettavano la bellezza dell'ambiente, i dipendenti godevano di convenzioni.Anche all'interno della fabbrica l'ambiente era diverso: durante le pause i dipendenti potevano servirsi delle biblioteche, ascoltare concerti, seguire dibattiti, e non c'era una divisione netta tra ingegneri e operai, in modo che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti.

In una costante progressione fino agli anni novanta numerose imprese sperimentano nuovi modi di organizzare il lavoro, ispirate dalle ricerche psicologiche, come le relazioni umane, l'allargamento e l'arricchimento delle mansioni, le isole di produzione, il privilegio dei risultati sui processi.