Merito, equità, qualità (Guglielmo Colombi)

Il concetto di merito è frequentemente associato a quello di equità. Viene considerato equo retribuire, premiare o assegnare incarichi in base alle capacità piuttosto che all'appartenenza, al censo, alla razza o ad altri criteri estranei all'oggetto. Purtroppo l'ambiguità del concetto di merito va di pari passo con l'ambiguità del concetto di capacità. Una delle utopie della modernità è quella per cui l'individuo avrebbe libero accesso alla scalata sociale esclusivamente in base alle sue capacità e competenze.

Ma il concetto di capacità e competenza è difficilmente definibile. Un ingegnere meritevole sa fare bene il suo mestiere, ed offre la sua alta competenza all'impresa. Ma un ingegnere di bell'aspetto offre un vantaggio specifico alle pubbliche relazioni dell'impresa. Un ingegnere della famiglia o del partito del suo datore di lavoro offre maggior fiducia . Un ingegnere che proviene da una famiglia di alto censo offre una rete di amicizie utili all'impresa. Un ingegnere di razza nera può essere meglio accettato da una manodopera di immigrati africani. Un ingegnere musulmano può avere maggiore ascendente su lavoratori della stessa religione. L'equità indicherebbe che il merito maggiore vada al soggetto con le più alte competenze specifiche, ma l'utilità può anche far prevalere competenze apparentemente secondarie. Si può anche affermare che il merito deve afferire a capacità guadagnate con lo studio, lo sforzo, l'esperienza e non con qualità acquisite per nascita o per caso. Il fatto è che per l'impresa l'equità è un valore inferiore all'utilità.

Un'associazione più significativa è quella fra merito e qualità. Nel momento in cui il merito cessa di essere premiato, cosa spinge chi lavora a ricercare la qualità? Si svaluta il principio di studiare e aggiornarsi. Perde valore il concetto di impegno e di ricerca del miglioramento continuo. Questo è visibilissimo in tutte i lavori e le professioni in cui la carriera si basa sull'anzianità (perlopiù nelle organizzazioni pubbliche). Se la carriera si basa sull'anzianità, è uguale per tutti, e dunque perchè differenziarsi nella qualità? Lo stesso dicasi per i concorsi basati su prove scritte. Questi sono l'esplicita negazione della qualità, perchè non tengono in nessun conto i curricula. Avere un posto di lavoro per concorso rende tutti i candidati uguali in partenza: perchè dunque affaticarsi alla ricerca di un vantaggio competitivo, con corsi post-diploma, stages, apprendimenti extra-curriculari ?

La svalutazione del merito, derivante dalle competenze specifiche, si estende dai singoli lavoratori alle stesse imprese. Contratti, commesse, appalti dovrebbero venire assegnati al imprese con la maggiore capacità di realizzare il miglior servizio o prodotto. L'osservazione dice che spesso le assegnazioni avvengono per raccomandazione politica, per l'esborso di tangenti, per l'abnorme abbassamento dei prezzi, per legami familistici, clientelari o amicali. L'estensione del sistema degli appalti sopprime la ricerca del merito per qualità. Una volta ottenuta la commessa, l'impresa non ha interesse a ricercare una esecuzione di qualità in vista di un rinnovo, ma la mera esecuzione fiscale del capitolato.

Non c'è motivo che un insegnante o una scuola, un medico o un ospedale debbano ricercare l'eccellenza, dal momento che stipendi o finanziamenti non hanno alcun legame con la qualità. Analogamente non c'è motivo che un ingegnere o un ragioniere, come una impresa, cerchino la qualità se le retribuzioni e le commesse non dipendono da essa.

Il merito può essere blandamente giustificato dal valore dell'equità, ma è il principio decisivo per il valore della qualità.