L'interesse per l'umano è sempre esistito. Da Aristotele
ai sapienti romani, dai filosofi medievali a quelli del Rinascimento
c'è sempre stata un'attenzione all'uomo e ai suoi problemi,
ma si trattava di un interesse teorico, diluito nella filosofia
o nella religione. E' con la Rivoluzione francese, coi Lumi,
che possiamo datare l'inizio di un interesse specifico per
i singoli esseri umani, la loro mente e il loro sistema percettivo
ed emotivo.
La psicologia infantile e l'educazione sono state il primo
oggetto di studio post-rinascimentale con Comenio che scrisse
il suo "Didactica magna" fra il 1633 e il 1638.
Un secolo dopo, e pochi anni prima della Rivoluzione, Jean-Jacques
Rousseau pubblica "Émile, ou De l'éducation"
(1762).
Dopo l'Illuminismo, per tutto l'Ottocento, è stata
un'esplosione di studi fondativi delle scienze umane e sociali.
Auguste Comte scive "Piano dei lavori scientifici necessari
per riorganizzare la società" nel 1822, dando
inizio alla sociologia moderna. Anche se già un secolo
prima, Montesquieu con "Lettere persiane"(1721),
aveva dato vita alla prima "sociologia" della Francia.
Il merito di aver fondato la psicologia come disciplina accademica,
va a Wilhelm Wundt, che tra il 1858 e il 1862 scrisse il libro
"Contributi alla teoria della percezione sensoriale"
e più tardi il "Manuale di psicologia". Wundt
fondò anche il primo Laboratorio di Psicologia del
mondo, a Lipsia, nel 1879. Negli stessi anni, Franz Brentano
pubblica "Psychologie vom empirischen Standpunkte"
(1874); William James insegna al corso "The relationships
among the Physiology and the Psychology" (1875); Francis
Galton pubblica "History of twins" (1875) e Alexander
Bain fonda "Mind", il primo giornale dedicato alla
ricerca psicologica (1876). Pochi anni dopo, nel 1883, Kraepelin
pubblica il suo primo grande lavoro clinico "Compendio";
Gustave Le Bon scrive "Psicologia delle Folle",
edita nel 1895; William James pubblica "Writings 18781899".
Tutto il Novecento ha registrato una produzione sterminata
di testi miliari e cattedre universitarie nelle scienze umane
e sociali, in parallelo col fatto che il secolo può
anche ssere definito come quello del primato dell'individuo.
Nel bene e nel male il XX secolo è quello che ha messo
al centro come vittima o come carnefice, ogni singolo essere
umano , secolarizzato ed emancipato dalla religione e dalla
tradizione. Questo ha favorito il moltiplicarsi degli sforzi
per capire il comportamento degli esseri umani, singoli e
aggregati, e il modo con cui imparano e cambiano.
Per la prima volta nella storia, le scienze umane e sociali
ripercorrono la storia delle scienze "dure" come
la matematica, la fisica, la chimica. Non si limitano a studiare
l'uomo come le scienze tradizionali studiavano la natura.
Ma come esse, applicano le teorie alla pratica. Le scienze
tradizionali hanno dato vita alle professioni di ingegnere,
chimico, statistico, con tutte le specializzazioni derivate.
Le nuove scienze umane e sociali creano decine di figure professionali,
per applicare la sociologia, la psicologia e la pedagogia.
Sociologi del territorio e dell'economia, dello spettacolo
e della devianza; assistenti sociali; psicologi, psicoterapeuti
e psicoanalisti, psicologi del lavoro, di gruppo, della coppia,
dell'età evolutiva e della terza età; pedagogisti,
educatori, animatori: sono solo alcune delle professioni sociali
prodotte nel XX secolo, grazie allo sviluppo delle scienze
corrispondenti ed al progressivo interesse per il benessere
degli individui.
Alla fine del Novecento, l'Occidente ha iniziato il suo declino.
La crisi ha reso progressivamente meno centrali gli esseri
umani, insieme alla secolarizzazione e all'Illuminismo. La
cultura è per molti versi tornata al medio evo. Economia,
finanza, religione, potere sono tornati ad avere una centralità
che la rivoluzione francese aveva contenuto.
Dopo la "scomparsa delle lucciole" e dopo che "la
merda è entrata nel ventilatore", le scienze umane
e sociali hanno cominciato a declinare e le relative professioni
a sparire. Le università e i centri studi da quasi
trent'anni hanno smesso di produrre ricerche, idee o modelli
originali. I classici delle scienze umane e sociali sononquasi
dimenticati.
E' ancora possibile studiare per diventare sociologo, psicologo
o pedagogista. Lo fanno in molti. Purtroppo il 50% dei questi
giovani laureati , con un po' di fortuna, riesce a trovare
lavoro come barista, operatore di call center, bagnino o comparsa
televisiva. Il 10% emigra. Il restante 40% sta nelle statistiche
dei disoccupati, non occupati o in attesa di lavoro.
Esistono ancora i professionisti del sociale "anziani",
simili ad animali in via di estinzione. Minacciati dalla crisi
economica, dal controllo della spesa, dalla dequalificazione
dei servizi, dalla esternalizzazione in cooperative di finti
volontari sfruttati, dalla scomparsa di possibilità
di carriera, di formazione permanente e di supervisione.
Dopo un'epopea di circa 150 anni, le scienze e le professioni
umane e sociali sono sulla strada dell'oblìo insieme
al valore delle persone ed all'interesse per il loro benessere.
Al loro posto trionfano la criminalità e i comportamenti
violenti, il consumo dei farmaci e delle droghe, le crisi
familiari, l'evasione scolastica, l'alcool e il gioco d'azzardo,
mentre ci avviamo, come aveva profetizzato Robert Vacca nel
1971, verso il "medioevo prossimo venturo".
|