Convegno: IL POTERE DELL'OPERATORE (CROSS, 29-10-92)
I "MINATORI" DEL SOCIALE (Guido Contessa)

PREMESSA

Questo contributo vuole col titolo partire da una provocazione e da una speranza. Gli operatori sociali vengono definiti "minatori" sia per definire le loro pietose condizioni di lavoro sia per auspicare un riscatto sindacale e politico analogo a quello che i minatori hanno saputo prendersi dall'inizio del secolo ai recenti fatti inglesi.

l - LE CONDIZIONI CONTRATTUALI

Sono poche le categorie di lavoratori in Italia tenute in condizioni di precarietà e sfruttamento come gli operatori sociali. A parte una minoranza di garantiti e stabilizzati, esistono migliaia di operatori sociali (insegnanti, educatori, animatori, assistenti agli anziani e agli handicappati, monitori di soggiorni di vacanza, ma anche psicologi, pedagogisti, sociologi) che sono utilizzati attraverso contratti stagionali, precari, sotto-pagati, di finta consulenza. Non sono pochi gli operatori sociali che attendono anche dieci anni dopo la fine degli studi per inserirsi in un lavoro stabilizzato.

Lo sviluppo enorme del volontariato sociale da una parte nasconde forme di sfruttamento degli operatori, dall'altra si pone oggettivamente come fattore di produzione della disoccupazione. Interi settori nei quali sarebbe doverosa la presenza di un intervento stabile dello Stato o di imprese sociali regolari, sono invece affidate a organizzazioni di volontariato, che si pongono come appaltanti grazie allo sfruttamento di operatori sociali.

2 - LE CONDIZIONI DI LAVORO

2.1.Potere, prestigio e salario inversamente proporzionali contiguità con l'utente.

L'operatore sociale è il soggetto esposto con più continuità verso l'utenza a disagio e quello che ha maggiori responsabilità. Malgrado il settore sociale sia definito come l'insieme dei servizi alla persona, resta il fatto che il potere, il salario ed il prestigio degli operatori sociali sono inversamente proporzionali alla loro vicinanza con l'utente. Un educatore sta per otto ore a fianco dell'handicappato ma ha meno potere dell'assistente sociale che lo vede una volta al mese. A sua volta l'assistente sociale ha meno potere e prestigio e salario del fisiatra o dello psichiatra che vede l'utente una volta l'anno.

2.2.Nessuna gratificazione dall'utenza.

Gli operatori sociali, a causa della loro contiguità con sono i primi ad assorbirne ogni sentimento di ostilità. La prossimità dell'operatore è la sola possibilità che a questi viene data per rivalersi dei propri personali rancori verso il disagio e verso la istituzione. A causa del loro ruolo emancipatorio, sono i primi a dover sostenere ogni azione di indipendenza dell'utente. Questi due dati provocano la impossibilità per l'operatore di godere di gratificazioni esplicite da parte degli utenti, che raramente si mostrano soddisfatti e riconoscenti per il servizio che l'operatore presta loro.

2. 3. Nessuna gratificazione dall'organizzazione.

Ogni organizzazione tende all'entropia ed alla spersonalizzazione burocratica. Le organizzazioni sociali sono anche meno orientate alle "human relations" delle organizzazioni industriali, il che sembra paradossale. In nome di valori superegoici di tipo missionaristico, gli operatori sociali sono convinti a rinunciare a incentivi, rimborsi per gli straordinari, premi. Le grandi organizzazioni sociali a causa di normative che favoriscono le corporazioni più forti (mediche), le piccole a causa della loro eccessiva specializzazione e bassa verticalizzazione, impediscono di fatto ogni ipotesi di carriera. L'unico modo che ha un operatore sociale per fare carriera, verticale o orizzontale, è cambiare settore o addirittura lavoro. Le organizzazioni sociali tendono a gestire gli operatori con due tipi di strategie. La prima è quella punitiva dell'iper-controllo burocratico e dell'imposizione del missionariato; la seconda è quella della totale indifferenza. L'operatore si trova dunque schiacciato fra gerarchie ipertrofiche e autorità inesistenti. Il suo lavoro è guidato d'autorità oppure del tutto ignorato; gli spazi di autonomia e creatività ostacolati o non valorizzati. Il principio di prestazione e di merito individuale non è mai preso in considerazione dalle organizzazioni sociali, che vedono anzi la competenza e la serietà professionale come perturbatrici. Non sono pochi gli operatori sociali che si formano e si aggiornano a loro spese e spesso"di nascosto".

2.4.Nessuna gratificazione dalla società.

I servizi e gli operatori sociali sono quasi sempre il frutto dei sensi di colpa della società che vuole solo segregare gli utenti a disagio (tossici, handicappati, anziani, folli, ecc.). Gli operatori sociali sono chiamati a fare il "lavoro sporco" per conto della società. Se rifiutano la logica segregazionista sono scomodi e poco amati; se lo accettano sono disprezzati, al pari degli utenti. I secondini non sono più stimati dei carcerati. Gli operatori sociali sono chiamati dalla società ad esportare il senso di colpa, ma la loro stessa esistenza richiama alle responsabilità collettive: perciò essi vanno tenuti lontani dalla stima e dalla gratitudine sociale.

2.5.L'insuccesso è un lutto, il successo è un lutto.

L'operatore sociale è destinato a fronteggiare perenni sentimenti di lutto, e perlopiù da solo. Ogni bambino che viene bocciato o si ritira da scuola, ogni tossico che interrompe un trattamento o muore per overdose, ogni folle che si suicida, ogni deviante che delinque, sono vissuti dall'operatore sensibile come fallimenti personali, come decessi (concreti o simbolici) dell'utente e del sè. Ogni insuccesso è una piccola porzione di morte dell'onnipotenza, della relazione, della speranza; ogni insuccesso è un lutto da rielaborare.

D'altro canto anche ogni classe che termina un ciclo, ogni paziente che conclude felicemente un trattamento, ogni utente che cresce e se ne va, rappresentano per l'operatore una piccola esperienza di lutto. Anni di investimento che lasciano svuotati, quasi amputati di un altro cui ogni energia è stata dedicata: anche ogni successo è un lutto da rielaborare.

3-LA MALATTIA PROFESSIONALE

La sindrome del burn-out è ormai nota anche in Italia. Gli operatori sociali si ammalano di "cortocircuito", somatizzano, divorziano, pagano col loro corpo l'arroganza insita nel ruolo che hanno assunto. Contrastare il destino per fiducia nell'uomo, ostacolare i processi di espulsione e rimozione della società, integrare le differenze chiamando il sistema a fare i conti con le proprie valenze patogene e mortifere: sono compiti radicati in un orgoglio quasi sovrumano, che l'operatore paga con la privazione del potere, con condizioni di lavoro ottocentesche e con pesanti prezzi personali.

4-IL POTERE SULL'UTENTE E IL POTERE "DENTRO" L'OPERATORE

Due sole modalità intravvediamo circa il rapporto col potere, per l'operatore sociale. La prima è la più facile e riguarda il dominio sadico sull'utente. L'operatore sfruttato, maltrattato, sottostimato e magari in vista del burn out, trova il modo di scaricare le sue pulsioni aggressive e auto-riparative attraverso la sottomissione, la reificazione, l'abuso o la vera e propria aggressione dell'utente. Debole, indifeso, irritante, l'utente si presta bene a chiudere il circuito della svalutazione e dello sfruttamento sociale. Chunque lavora nel sociale dispone di un elenco infinito di episodi a carattere sadico espressi da operatori sociali. Il lavoro sociale si traduce in una serie infinita di perversi rapporti "schiavo-padrone", che minano la dignità dell'utente, inficiano ogni progetto emancipatorio e avviliscono le motivazioni ideali che pure sorreggono chiunque si avvia al lavoro sociale.

La seconda modalità è più difficile, perchè il riguarda il mondo interno, il potenziale, la solitudine dell'operatore sociale. E' un rapporto che si avvia col "potere interno" che ogni operatore ha e che, fuori dalla sterile dialettica onnipotenza-impotenza, gli può fornire le gratificazioni necessarie. L'operatore qui usa il suo potere come potenziale e possibile espansione del sè e dell'utente, trovando in questo processo di crescita un contenitore per la sua arroganza e un antagonista delle sue privazioni.

In sostanza si tratta per l'operatore di evitare la catena perversa di possesso-possessione-depotenziamento dell'utente (e di sè), per attivare il ciclo generativo del potere-potenziale-possibile di sè (e del l 'utente).

5-IL TRAINING E L'EQUIPE

L'uso del potere in senso non sadico ma generativo e "poietico" non può venire da una selezione naturale nè dalla chiamata divina. Nessun operatore sociale è "potente" per natura o per caso. Gli unici elementi costruttori o mantenitori del potere dell'operatore sociale, sono la sua formazione personale e professionale e la sua èquipe.

Un operatore sociale "potente e felice" è l'unica garanzia perchè anche l'utente possa diventare "potente e felice". E il potere e la serenità vengono all'operatore da un serio lavoro iniziale e permanente sul proprio mondo interno, il proprio potenziale, i propri strumenti teorici e pratici professionali. Non importa se il lavoro sul sè è di ordine psicoanalitico, psicosociale, bioenergetico o psicodrammatico: ciò che importa è un mondo interno espressivo, equilibrato e consapevole. Nel corso della vita professionale, oltre al training, è necessario un lavoro d'èquipe nutritivo e dialettico, dove la riflessione, il rispecchiamento e il supporto siano costanti. Nessun operatore può operare da solo e il suo potere si rafforza in senso generativo, solo se è condiviso.