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LA STRATEGIA DELLE CONNESSIONI di Guido Contessa

La strategia delle connessioni si propone di attivare, moltiplicare e rendere permanenti le relazioni fra le diverse organizzazioni del territorio. Esistono centinaia di organizzazioni pubbliche e private, settoriali o generali  che operano nello stesso spazio geografico o socio-economico. E’ raro tuttavia che queste operino in “relazione” le une con le altre. Ciò non significa che non abbiano interazioni, il che sarebbe impossibile. Vuol dire piuttosto che non hanno scambi significativi di informazioni né obiettivi comuni, né intese tattiche transitorie. Se questa situazione è generalizzata, il territorio è in realtà meramente formale e pochi suoi problemi possono essere affrontati e risolti. Si tratta di una “comunità psicotica”, con scarsa identità e nessuna progettualità. Una strategia delle connessioni implica interventi tesi a superare la frammentazione e l’isolamento istituzionale in favore dell’integrazione e degli “scambi progettuali”.

La strategia della partecipazione nasce dalla necessità di aumentare il coinvolgimento e dunque l’appartenenza e la responsabilità. Il concetto di partecipazione  è la traduzione sociologica del concetto di appartenenza. In entrambi i casi è sottesa la equivalenza di “parte” e di “tutto” e la loro consustanzialità.

La strategia della partecipazione richiede un metodo di lavoro che incrementi l’appartenenza attraverso il “far parte di”, e aumenti la partecipazione mediante il “sentirsi parte di”. Questo duplice bersaglio si identifica con l’incremento di responsabilità, intesa come “abilità a rispondere” ai bisogni del sistema territoriale  e del proprio sub-sistema, intesi nella loro interdipendenza.

La strategia della prevenzione ipotizza interventi che siano “anticipatori” anziché “catastrofici”, centrati sul benessere cioè sulla generalità , anziché sul malessere, cioè sulla parzialità.

Tale strategia implica interventi sulla complessità comunitaria, al fine di aumentare le competenze di auto-aiuto, invece che sul problema – sintomo al fine di spostarlo. Per esempio, questa strategia applicata alla disoccupazione richiede interventi sulle organizzazioni sociali implicate nei processi di produzione e di acculturazione del sistema territoriale. Ridurre questo sintomo è meritevole, ma non esclude la sua riproduzione. Il mal di fegato, prima che con interventi sul fegato, si cura mediante cambiamenti di stile di vita, cioè della organizzazione del soggetto.

La strategia dell’intervento implica azioni concrete, programmate e verificabili cioè il contrario del destino e della casualità. La attualizzazione di un sistema territoriale non può avvenire mediante attese messianiche. I sistemi hanno forti tendenze entropiche e dissipative, e il tempo aumenta il disordine. Azioni casuali, episodiche, implicite,  e non verificabili sono l’opposto della cultura dell’intervento. Una strategia ed una cultura dell’intervento prevedono azioni fondate su un management professionale e su metodi di verifica scientifica e di valutazione programmata.

Infine, per strategia transizionale,  intendiamo una progettazione complessa ed articolata nel tempo, che non si limiti ai punti di partenza e di arrivo.

Molti progetti interessanti falliscono per una mancanza di previsioni e di azioni che garantiscano e favoriscano la “transizione”. I cambiamenti sociali non sono riducibili a vistosi fenomeni di “catastrofe”, segnalanti l’avvenuto passaggio di stato. Prima del cambiamento, anzi condizione di questo, sono micro-mutamenti orientati e programmati, magari poco visibili.  L ’attivazione di un nuovo servizio richiede per esempio la preventiva selezione e formazione degli operatori necessari; l’attivazione di processi di selezione e formazione richiede la preventiva identificazione di un serio management; quest’ultimo richiede garanzie e contenitori istituzionali definiti. Naturalmente la strategia transizionale si fonda su una progettualità a lungo termine e su una visione sistemica dell’obiettivo da raggiungere e del contesto dell’azione.

IL CONTRIBUTO PSICOSOCIALE IN FORMAZIONE

La procedura di progettazione formativa che abbiamo adottato a Forlì nella formazione dei Quadri Intermedi di Gestione e Coordinamento (Qigc) è tipica in psicologia. Abbiamo cercato di ipotizzare una mansione, cioè una serie concreta di operazioni, cui i futuri Qigc potranno essere chiamati.

L’approccio psicosociale postula la competenza di tre categorie di “capacità” in ogni figura professionale. Una categoria è quella che contiene la “capacità di pensare”, cioè quell’insieme di contenuti e procedure che consentono al soggetto di lavorare sul piano cognitivo. Poiché i nostri Qigc sono adulti abbiamo postulato di dare per scontato il patrimonio base dei processi razionali. Quindi ci siamo limitati a ipotizzare quali nozioni, teorie, informazioni, dati, fossero necessari perché i nostri allievi potessero espandere la loro “capacità di pensare”, applicandola ai problemi cruciali del loro futuro.

Una seconda categoria di capacità è quella relativa al “fare”. Ogni professione o mestiere deve disporre di una tecnica concreta, che costituisce la parte visibile e applicativa del suo sapere. Abbiamo dunque cercato le attività minime, le procedure, i trucchi, che potessero consentire ai Qigc una efficacia concreta e a breve termine.

La terza categoria concerne la “capacità di essere” nel modo richiesto dal ruolo. Si tratta dell’aspetto più squisitamente psicosociale: sensibilità, comportamenti, atteggiamenti.

Ogni ruolo richiede un bagaglio di competenze “personali o psicologiche”, che in parte sono comuni a tutti gli uomini al lavoro e in parte sono specifici del ruolo stesso. Per esempio, sembra chiaro che ad un ruolo di vendita serva più aggressività, mentre ad un bibliotecario serve più il rigore o la pazienza. Molti ritengono che queste competenze personali siano un bagaglio innato o acquisito nei primi anni di vita, quindi le escludono dai processi formativi. Costoro suggeriscono semmai di tenerle  presenti in fase di orientamento e selezione. L’ottica psicosociale parte invece dall’ipotesi che queste competenze siano acquisibili in età adulta, o meglio, che siano affinabili ed espandibili in ogni età. Insegnare una competenza psicologica non è dunque diverso, se non sul piano metodologico e tecnico – didattico, dall’insegnare un cumulo di teorie. E ciò è stato dimostrato da tutta la storia della psicologia (basta ricordare K. Lewin).

Naturalmente questa tripartizione è puramente schematica. In realtà le diverse capacità sono intrecciate fra loro. Nessuno può dubitare che esista un versante emotivo sia nella tecnica che nella teoria. Il pregiudizio e lo stereotipo, come l’ideologia e l’approccio provvidenzialistico sono esempi tipicissimi di irruzione di elementi emotivi: le difese e le resistenze sono un caso di massima razionalità, per chi le pone in essere rispetto all’insieme degli elementi in gioco. Per questo il programma e la didattica del nostro corso, sia pure in presenza di fasi distinte, presentano spesso situazioni “miste” che vedono la compresenza simultanea di obiettivi e tecniche di aula differenti.

Le suddette categorie di capacità sono presenti, sia pure in dosi diverse, in ogni ruolo professionale. Nei ruoli professionali nuovi, come  è il Qigc, occorre tenere conto di un ulteriore elemento di progettazione: che è la ricerca attorno al ruolo stesso.

Non si tratta infatti di allestire un “processo di riproduzione” di un ruolo codificato, sia pure con le dovute innovazioni e prospettive evolutive. Si tratta nel nostro caso di avviare un “processo di costruzione”, nel quale devono fare la loro parte tre attori diversi: i partecipanti, lo staff formativo, il territorio.

In altre parole, la formazione in questo caso è un processo “a obiettivo poco definito” cioè un procedere verso un qualcosa la cui definizione e parte del procedere. Questo viaggio è progettato a partire da vincoli oggettivi, principii di fondo e contorni di metodo, ma cresce sulla “riprogettazione partecipata permanente”.

Il principio è comune a tutti i prototipi da collaudare. Nessuno sa quale sarà la forma finale della auto di formula 1 per il prossimo campionato mondiale. Ci si basa sui vincoli, sull’esperienza e sulle idee – forza  dell’équipe costruttrice; poi però l’automobile viene rimodellata e perfezionata da tutti gli attori, passo passo, in base alle performance e alle ipotesi sulla gara futura.

Questo richiede negli allievi una disponibilità a ricercare su di sé e sul ruolo in costruzione; nello staff la capacità di autocorreggersi e di accettare dirottamenti; nella comunità territoriale una partecipazione solidale e responsabile.

LA DESCRIZIONE DELLA “MANSIONE” DEI QIGC

In questo caso il termine “mansione” è improprio, perché il Qigc è un ruolo professionale, almeno come è stato pensato a Forlì. Non una figura inserita in una organizzazione gerarchica e burocratica , ma un ruolo di servizio e di consulenza, da “professional”.

I Qigc, dopo il periodo di formazione, “dovranno gestire (in forma diretta o tramite il coordinamento di risorse pubbliche e private esistenti sul territorio) un certo numero di <pacchetti> finalizzati allo sviluppo dell’occupazione previsti dal Silog (Sistema Locale Occupazione Giovanile) promosso dal Comune di Forlì, nelle diverse articolazioni che si renderanno possibili”. Con queste parole viene fatta la richiesta al Fse per il corso di formazione.

Resta aperta la necessità di arrivare ad una descrizione abbastanza analitica, di quali operazioni concrete richiede la professione di chi deve “gestire pacchetti finalizzati allo sviluppo dell’occupazione giovanile”.

Siamo partiti dall’ipotesi che i Qigc dovranno:

1.       Tenere sotto osservazione continua il mercato produttivo in modo da poter rilevare cambiamenti o tendenze con riflessi occupazionali o sulla struttura professionale;

2.     Tenere sotto osservazione continua lo sviluppo della forza lavoro, sia in termini qualitativi che quantitativi;

3.     Rilevare tutte le opportunità di insediamento di servizi nel settore terziario, in particolare dei servizi dell’impresa;

4.     Sensibilizzare ai problemi dell’occupazione giovanile le istituzioni pubbliche e private, produttive e sociali, affinchè promuovano iniziative concrete;

5.     Promuovere iniziative di cooperazione interistituzionale, finalizzate a favorire l’occupazione giovanile;

6.     Promuovere iniziative di cambiamento istituzionale, finalizzate a favorire l’occupazione giovanile;

7.     Gestire managerialmente speciali azioni a favore dei giovani in generale o dei giovani in cerca di occupazione o disoccupati in particolare (i “pacchetti” dei Silog o iniziative consimili promosse da organizzazioni diverse);

8.     Stimolare o realizzare azioni ricorrenti di informazione e orientamento sul mercato del lavoro e le nuove opportunità, i giovani e le istituzioni educative;

9.     Stimolare la imprenditorialità giovanile con particolari interventi diretti (verso i giovani) o indiretti (verso la scuola o altre istituzioni);

10.  Aiutare i giovani, intenzionati ad avviare attività produttive, areperire le risorse economiche, professionali e strutturali.

Queste sono le prime 10 attività che abbiamo pensato, come tipiche del ruolo di Qigc. E’ possibile tradurre  queste attività in azioni e comportamenti concreti, per poi arrivare alla progettazione formativa?

Per le attività 1,2,3 le azioni dei Qigc non devono ripetere certo quelle  di Centri già occupati in esse, come Camera di Commercio, Ufficio del lavoro, osservatorio, Ufficio statistico del Comune, Centri studi delle centrali sindacali o cooperative.

Oltretutto i Qigc non avrebbero le risorse economiche e di tempo necessarie alla rilevazione sistematica dei dati. Quando diciamo che il Qigc dovrà “tenere sotto osservazione” l’andamento della domanda e dell’offerta di lavoro (punti 1 e 2), intendiamo dire che essi dovranno accedere continuamente alle fonti , comparare i dati, trarne ipotesi e  interpretazioni, farne sintesi e divulgarle.  Il punto 3 ipotizza un’attività di rilevazione vera e propria, ma solo per quanto riguarda le nuove frontiere occupazionali e produttive particolarmente nell’area dei servizi all’impresa, che è quella più facilmente accessibile all’imprenditoria giovanile.

Il punto 4 parla di “sensibilizzare” le istituzioni, il che rimanda a compiti concreti quali: la informazione , la divulgazione, la sottolineatura di problemi legati all’occupazione giovanile. Tali azioni potranno essere fatte mediante pubblicazioni ad hoc oppure accedendo ai mass media (giornali, radio, tv); mediante mostre, conferenze, dibattiti, fiere, festivals, manifestazioni pubbliche; oppure ancora con interventi di formazione-sensibilizzazione mirate a figure chiave per l’occupazione giovanile (famiglie, insegnanti, educatori, giovani ecc.).

Per il punto 5, la promozione di cooperazione inter-istituzionale, può concentrarsi nella stimolazione all’incontro fra due o più istituzioni, nel varo di comitati di coordinamento, nella offerta di progetti da realizzare congiuntamente, nella segnalazione alle istituzioni delle opportunità inutilizzate, offerte da altre istituzioni.

Per il punto 6 i Qigc potranno inventare progetti e proposte, da sottoporre alle istituzioni, affinchè queste modifichino ed arricchiscano la loro presenza verso i giovani.

Il punto 7 propone una gestione “manageriale” dei “pacchetti”.

Questo indica la serie di azioni concrete tipicamente legate al management. O meglio, trattandosi di “pacchetti” a tempo, cioè provvisori, indica l’insieme di azioni legate al “project management”.

Progettazione, programmazione, esecuzione, gestione risorse, marketing e promotion, valutazione, sono le azioni tipiche di questo aspetto del ruolo. Poiché si tratta in genere di “pacchetti” inter-istituzionali e inter-settoriali, queste azioni vanno lette a cavallo fra il pubblico (burocrazia, legislazione, ecc.) e il privato (logiche d’impresa).

Le attività legate al punto 8 richiedono la produzione di materiale informativo (o la collocazione e rielaborazione di materiale esistente), e la sua divulgazione  fra i giovani e le organizzazioni educative; la stimolazione di servizi di orientamento ad opera della scuola, delle Usl e dell’ente locale (in particolare dei Centri giovani).

Il punto 9 richiede la realizzazione di iniziative speciali, rivolte ai giovani o alla scuola, affinchè si realizzino forme di imprenditorialità  o nuove professionalità.

Il punto 10 infine richiede una attività di consulenza , non tanto sui contenuti relativi al varo dell’impresa (per i quali esistono centrali apposite o uffici di consulenza) quanto per l’accesso  alle facilitazioni finanziarie, normative, fiscali e agli esistenti servizi di consulenza.

Inoltre questo punto può essere concretato mediante un servizio di consulenza, ai gruppi  di giovani, finchè questi chiariscano le proprie vocazioni e intenzioni. Riassumendo sinotticamente, l’elenco delle azioni concrete richieste ai Qigc:

1.       Accedere a tutte le fonti statistiche (economia e occupazione) del territorio;

2.     Comparare i dati raccolti e confrontarli;

3.     Tratte dai dati ipotesi e interpretazioni;

4.     Sintetizzare i dati;

5.     Divulgare informazioni, dati, sintesi, ipotesi;

6.     Fare rilevazioni-campione in settori speciali;

7.     Confezionare e realizzare pubblicazioni;

8.     Utilizzare e accedere ai mass-media;

9.     Realizzare mostre, conferenze, dibattiti, fiere, festivals;

10.  Realizzare corsi di tipo informativo o sensibilizzativo;

11.   Organizzare “tavoli” di dialogo inter-istituzionale;

12.  Promuovere gruppi e comitati di coordinamento inter-istituzionale;

13.  Offrire idee e progettida realizzare fra più istituzioni;

14.  Segnalare opportunità inter-istituzionali;

15.  Creare progetti, idee, programmi e proposte;

16.  Programmare interventi operativi;

17.  Realizzare interventi, utilizzando risorse intra o extra territoriali;

18.  Gestire risorse umane, economiche, strutturali in relazione ai progetti;

19.  Gestire iniziative di promozione e pubblicità;

20. Valutare i bisogni e graduarli in ordine di urgenza e soddisfabilità;

21.  Valutare i risultati degli interventi, in relazione ai costi e ai bisogni;

22. Stimolare servizi e programmi di orientamento;

23. Realizzare iniziative di promozione della imprenditorialità giovanile;

24. Fornire ai gruppi di giovani “consulenze d’avvio” di progetti produttivi: