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Psicologia sociale e psicosociologia per educatori
(Guido Contessa 1991/ Anniv.ESAE )
Era il 1973, quando il direttore dell'ESAE, prof.A.Donelli, dietro segnalazione del collega V.Volpe, mi affidò l'insegnamenmto della psicosociologia alla Scuola per operatori socio-assistenziali e socio-educativi. Avevo appena finito un training post-lauream in psicosociologia, ed avevo da poco fondato, insieme ad altri, un Istituto destinato a diventare importante nel settore della formazione psicosociale (Ismo).

Da allora ad oggi, per 18 anni ho cercato di contribuire con le conoscenze e le tecniche offerte dalla mia "disciplina", alla crescita di diverse generazioni di assistenti sociali e di educatori. Riassumere 18 anni in tre pagine è impossibile, ma forse riuscirò a dare un'idea di un percorso culturale e formativo che, lungi dall'essersi ossificato, è ancora oggi al centro di un vivace dibattito.

In verità oggi il mio insegnamento è definito "psicologia sociale", e cioè comprende una vasta area che vede al suo centro la psicosociologia (da qualcuno definita la"scienza dei piccoli gruppi") ed ai suoi lati la psicologia di comunità, la psicologia del ruolo professionale, la psicologia della salute e del tempo libero, la psicologia del lavoro territoriale.

Preferisco focalizzare il mio contributo sulla psicosociologia, in quanto essa è stata al centro dei 18 anni di collaborazione con l'ESAE, mentre gli altri aspetti dalla psicologia sociale hanno avuto un ruolo più marginale.

La psicosociologia, più che una disciplina, è un metodo ed una prassi: diciamo che è il sistema metodologico-tecnico che si occupa della formazione delle skills personali e relazionali. Le discipline madri, di questa figlia un po'marginale ed un po'deviante, sono la psicologia,la sociologia e la pedagogia. Il padre della psicosociologia a livello mondiale è Kurt Lewin, mentre a livello nazionale è Enzo Spaltro.

I concetti centrali della ricerca in psicosociologia sono tre:

  • il piccolo gruppo inteso come spazio di cambiamento e come metodo di lavoro;
  • la ricerca-intervento come base di ogni processo di cambiamento e conoscenza;
  • l'apprendimento come processo insieme cognitivo ed emotivo.

Due cose, mi sono apparse subito chiare, quando iniziai a cercare di applicare la mie conoscenze all'ESAE.

La prima era che l'ESAE è una Scuola Professionale, il cui obiettivo è preparare professionisti, e non una accademia nella quale il primo obiettivo è l'acquisizione di sapere astratto.Tale convinzione mi ha sempre portato a tradurre la psicosociologia nel "mestiere", evitando invece di far sì che la professione dovesse piegarsi alla disciplina. Ho sempre avuto chiaro che è inutile, ed in un certo senso anche dannoso, per gli allievi educatori conoscere la teoria di Kurt Lewin, in quanto tale; mentre è per loro essenziale sapere in che modo la teoria di Lewin possa essere utile nella prassi del lavoro sociale.

La seconda era che la psicosociologia non può limitarsi ad essere uno dei tanti contenuti scolastici, perchè essa,in quanto metodo di lavoro e di apprendimento, è uno degli assi portanti della formazione di un operatore sociale.

La prima convinzione ha avuto alterne vicende in questi 18 anni, causate soprattutto dagli ondeggiamenti dell'Ente Regione Lombardia. Quando la formazione, nelle Scuole regionali, era per Moduli, la possibilità di rendere professionali gli apprendimenti era elevata; ora che è tornata al metodo delle discipline di vecchia memoria, gli spazi per fare un insegnamento poco accademico sono assai ridotti. Questa accademizzazione, che rende la Scuole regionali simili ad università minori, ha anche, ovviamente, reso assai meno motivante l'insegnamento, disamorando non poco certi docenti, come me, più interessati alla qualità che alla forma.

La seconda convinzione ha anch'essa subìto alterne vicissitudini, ma stavolta per motivi interni all'ESAE. Poichè la psicosociologia si propone come modalità di organizzazione e gestione del processo formativo e offre il suo massimo contributo nella formazione di "capacità" psicologiche, è inevitabile che la sua stessa presenza coinvolga la forma complessiva dell'Ente formatore, nei rapporti fra le discipline, nella qualità dei docenti, nelle modalità di direzione, nelle tecniche didattiche. L'ESAE, sotto questo aspetto, ha negli anni sperimentato formule diverse e sembra essere ancora alla ricerca di un'ipotesi stabile. Vedremo la storia dei prossimi 18 anni!

Ho detto che la psicosociologia, in una Scuola per operatori sociali, può essere un contributo centrale. Vediamo perchè e come.

La professione dell'operatore sociale è certamente centrata su azioni e programmi d'azione che gruppi di specialisti rivolgono a gruppi di utenti, in un contesto che possiamo chiamare gruppa1e o p1ura1e. Illavoro sociale fatto da un solo operatore verso un solo utente ed in un contesto "singolare" è rarissimo. Un caso simile di non gruppa1ità può essere quello della baby-sitter privata che lavora da sola, con un solo bambino, affidatole da un solo genitore.

In tutti gli altri casi, esiste una èquipe mono-professiona1e (per esempio nelle case di vacanza o nelle cooperative fra educatori)o pluri-professiona1e (per esempio nel Servizi socio-sanitari), che dirige o supervede l'operatore sociale, quando non addirittura progetta e realizza collegialmente un intervento. L'intervento è solitamente rivolto a gruppi di utenti o di utenti che è meglio raggruppare in piccole unità, allo scopo di farli godere dei benefici educativi, assistenziali, terapeutici offerti dai"pari". Il contesto di questi interventi è un' organizzazione (Istituto) , un territorio, una comunità, una famiglia: cioè un'entità gruppa1e.

Questi gruppi sono simultaneamente organismi vivi dei quali l'operatore fa parte, in termini cognitivi ed emotivi, e dispositivi tecnici o meccanismi per raggiungere obiettivi, che l'operatore deve far funzionare mediante il suo"saper fare" ed il suo "saper essere".

Un operatore sociale dunque deve acquisire conoscenze teoriche sulla natura ed il funzionamento, operativo ed emotivo, dei gruppi; deve possedere abilità tecniche per lavorare in gruppo (èquipe) e per lavorare coi gruppi di utenti; deve avere capacità personali per stare all'interno di un gruppo sapendo pilotarlo verso obiettivi. Ad aggravare questa importanza del saper stare in gruppo abbiamo il fatto che gli obiettivi dei gruppi di utenti sono quasi sempre immateriali, cioè riguardano uno stare in relazione.L'operatore dunque ,deve saper gestire relazioni con gruppi i cui obiettivi sono relazioni fra i membri e con l'operatore.

Il piccolo gruppo dunque si presenta, per l'operatore sociale, come oggetto importante di studio teorico, di addestramento tecnico e di sensibilizzazione personale alle relazioni. Mentre far apprendere le questioni teoriche è possibile mediante classiche lezioni di tipo accademico, addestrare alle tecniche di gruppo ed ancor più, sensibilizzare alle relazioni di gruppo, sono obiettivi didattici raggiungibili solo attraverso tecniche di "training" del tutto estranee alle logiche didattiche tradizionali. E questo ha grosse ripercussioni sul modo con cui una Scuola è complessivamente impostata. Negli anni, l'Esae ha risposto a queste esigenze con modalità diverse e non sempre soddisfacenti: lezioni teoriche seguite da esercitazioni condotte dal docente; lezioni teoriche precedute e seguite da applicazioni di gruppo condotte da appositi docenti-conduttori; seminari di sensibilizzazione di tipo residenziale e non; unità di lavoro autocentrate quindicinali condotte da docenti-conduttori; seminari attivi e addestrativi. La ricerca su quale sia la forma più utile per insegnare a leggere, lavorare e condurre gruppi è all'ESAE tuttora in corso.

Il problema della psicosociologia, in una scuola per operatori sociali, è però più ampio. Tale metodologia infatti si fonda sulla concezione che il cambiamento derivi da un lavoro "attivo e gruppale" (ricerca-intervento e interdipendenza delle dimensioni cognitiva ed emotiva). E'contradditorio che una Scuola il cui fine è stimolare al cambiamento-apprendimento dei futuri operatori sociali, faccia uso di soli strumenti didattici "di coppia": lezione accademica, colloqui di supervisione, addestramento individuale"in" gruppo. In tal modo il rischio è che mentre a parole si dice all'allievo che deve imparare a leggere, lavorare e condurre gruppi con colleghi ed utenti, in pratica gli si insegni a leggere, lavorare e condurre solo relazioni duali.Una organizzazione scolastica improntata solo alle relazioni duali è un meta-messaggio contradditorio rispetto al messaggio circa la utilità e necessità delle relazioni di gruppo.Questa consapevolezza pervase l'ESAE fin dai primi anni e fu da essa che prese le mosse un'organizzazione didattica basata su docenti interni stabili che avevano il ruolo di conduttori di gruppo.L'idea centrale era che l'apprendimento all'ESAE dovesse procedere su due metodologie parallele: quella di coppia e quella di gruppo. Così ogni tipo di apprendimento (teorico, sensibilizzativo ed addestrativo), relativo ad ogni contenuto, doveva avere momenti di coppia (lezione, supervisione, counseling), e momenti di gruppo (discussione, esercitazione, applicazione). Questo impianto, come si può intuire, è assai complesso da gestire e richiede insieme un'alta qualità dei didatti ed una forte attenzione gestionale: due cose che l'ESAE ricerca con tenacia, ma con alterne fortune.

Infine esiste il problema dei problemi, nella formazione degli operatori sociali: quello delle skills personali. Un operatore sociale lavora mediante conoscenze e tecniche, ma opera soprattutto mediante relazioni interpersonali che mettono largamente in gioco il sè.Vi sono capacità personali senza le quali un operatore sociale può recare danni a sè ed agli utenti. In sintesi estrema,esse sono:

  • la capacità di comunicazione-relazione
  • il controllo del proprio mondo interno
  • la entrata in contatto con la sofferenza e la diversità
  • la assunzione del ruolo di autorità.

Queste skills non sono accessori opzionali, ma la base di ogni efficace operatore. Come tradurle in insegnamenti scolastici?

La storia della psisosociologia ha dato una risposta a tale domanda oltre 40 anni fa, grazie a Kurt Lewin. Non esiste strumento più efficace per lo sviluppo delle capacità personali di quello che possiamo chiamare "gruppo autocentrato", con tutte le sue diverse forme e derivazioni.T-groups, laboratori, gruppi di sensibilizzazione, unità di auto-diagnosi sono alcune fra le varie forme che la psicosociologia propone per lo sviluppo delle capacità personali e che l'ESAE ha sperimentato in questi anni, con la collaborazione del sottoscritto o di altri colleghi. Anche qui il discorso è aperto e tuttora in discussione,a riprova dello spirito di ricerca che anima l'ESAE.

In 18 anni di collaborazione con l'ESAE ho seguito quasi 7 generazioni di operatori sociali e posso dire che ognuna di esse ha tratto dalle esperienze di gruppo un utile bagaglio professionale. Il gruppo come oggetto di apprendimento, il gruppo come metodo di insegnamento, il gruppo come strumento di sviluppo personale sono state via via tre dimensioni che gli allievi hanno sempre mostrato di considerare cruciali. Ed ogni volta che l'ESAE ha dovuto trascurarne qualcuna, i giovani operatori hanno fatto ricorso ad integrazioni esterne, durante la scuola o dopo l'entrata nel lavoro.

Nei prossimi anni,spero che queste tre dimensioni della psicosociologia possano trovare una configurazione stabile all'ESAE,che rafforzi il primato di qualità che questa Scuola ha finora avuto in Italia.

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