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Summerhill: provocazione o pedagogia del futuro?
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di  Maria Amato (fonte)

1. Liberare il bambino dall’infanzia

Uno dei modi di accostarsi al problema dei rapporti tra il bambino e la famiglia è di considerarli alla luce dell’evoluzione storica dei concetti di infanzia e giovinezza. Una delle principali tesi storiche a favore dell’emancipazione del bambino dalla famiglia nucleare e dal moderno concetto di infanzia, la si trova nel classico contemporaneo di Philippe Ariés Padri e figli nell’Europa medievale e moderna.

Nel Medioevo, appena tolto dalle fasce, il bambino veniva integrato nel mondo degli adulti, condividendone i giochi, la vita sociale e il modo di vestire. Dopo il Medioevo, il concetto del bambino, l’importanza della piccola famiglia nucleare e del ruolo della scuola si sviluppa su linee parallele, rinforzandosi l’un l’altro. Dunque, quello che Ariés prospetta nel suo studio, è che se vogliamo realmente cambiare questo modello di struttura familiare, dobbiamo sbarazzarci del concetto di infanzia e dell’idea che debbano esistere istituzioni finalizzate a conformare il bambino ad una particolare concezione sociale e morale e ciò significa abolire la scuola.

A tale riguardo si può considerare il movimento dei kibbutz israeliani che mettendo in pratica i metodi di educazione collettiva, sembra abbia sviluppato una società tendenzialmente egualitaria. La descrizione di Bettelheim sugli effetti dell’educazione comunitaria solleva alcuni questioni molto interessanti. Tutti i kibbutz hanno in comune un modo di organizzare la vita dei bambini, a parte il fatto che dormano o no con i genitori e quante ore passino con loro, sviluppandoli meglio di quelli cresciuti dalle madri in case oppresse dalla miseria, e di liberare la donna dalla “tragedia biologica”, cioè partorire e allevare i figli. Liberare il bambino dal suo stato di dipendenza dalle istituzioni di controllo significa farlo diventare un adulto in miniatura, come avveniva nel Medioevo.

Infrangendo il moderno concetto di infanzia, che considera il bambino un oggetto e non un soggetto del processo sociale, si possono finalmente raggiungere alcuni obiettivi libertari. Se i bambini diventassero soggetti, partecipi al farsi della società, diventerebbero attori del processo storico.

Il rifiuto della scolarizzazione rappresenta una delle tematiche fondamentali dello sviluppo storico della pedagogia libertaria da William Godwin[1] nel XVIII secolo ad Ivan Illich[2] nel XX, e si basa sulla convinzione che la scuola si è trasformata in un mezzo per plasmare a vantaggio dell’élite dominante la morale e le credenze sociali della popolazione. Secondo Joel Spring, le principali idee pedagogiche libertarie derivano dall’anarchismo, dal marxismo e dalla sinistra freudiana. Delle più importanti tradizioni libertarie vediamo come l’anarchismo abbia cercato di sviluppare tecniche per emancipare l’individuo da ogni dominazione. L’altra tradizione libertaria derivata dal marxismo ha indicato nel superamento dell’alienazione umana, propria al mondo industriale contemporaneo, il primo passo per una trasformazione radicale. Una terza tradizione, quella della sinistra freudiana, che comprende personalità come A.S. Neill e Wilhelm Reich ha invece sottolineato la necessità di modificare la struttura caratteriale. L’insieme di questi gruppi e di queste idee hanno formato la tradizione pedagogica libertaria del XIX e del XX secolo.

I maggiori critici pedagogici che da William Godwin nel XVIII secolo, Max Stirner nel XIX e Ivan Illich, Francisco Ferrer e Paulo Freire nel XX secolo aspirano a creare una personalità antiautoritaria che non accetti passivamente gli imperativi del sistema socio-politico e che esiga un maggior controllo personale ed una maggiore capacità decisionale. William Godwin, nella sua opera principale, Enquiry Concerning Political Justice (Indagine sulla giustizia politica) ritiene che non può nascere una società giusta se non quando tutti gli individui eserciteranno liberamente la propria ragione. Nella corrente di pensiero che come un filo invisibile lega molti autori di matrice anarchica, ritroviamo il rifiuto di una religione costituita e di un’autorità in contrasto con un’enfatizzazione dei diritti e delle capacità decisionali da parte dell’individuo.

L’idea dominante nel pensiero dell’anarchico ottocentesco Max Stirner è che il metodo educativo deve consentire la libera scelta delle credenze. Stirner sostiene che nel mondo del XIX secolo religione e politica raggiungono il potere grazie alla loro capacità di imporre imperativi, dirigere le azioni dell’individuo e quindi solo tramite la conoscenza mediata dalla volontà l’uomo può divenire padrone di sé stesso e in grado di scegliere cosa sia utile e cosa non lo sia.

Alla fine del XIX secolo, il pedagogista anarchico spagnolo Francisco Ferrer aveva fondato a Barcellona la Scuola Moderna che non era finalizzata a trasformare l’individuo in un buon cittadino o in una persona religiosa e nemmeno in una brava persona. La Scuola Moderna raggiunge una grande notorietà negli anni Cinquanta e Sessanta grazie a un esteso movimento a favore di una creazione di free schools (scuole libere) e di forme pedagogiche alternative. In questo movimento rientra Summerhill di A.S. Neill. In pratica il movimento delle free schools che ha in parte le sue radici nella psicologia freudiana e reichiana e che ha rappresentato il tentativo di costituire un ambiente adatto allo sviluppo di “oasi” antiautoritarie e il mezzo per trasmettere le capacità di essere liberi.

La metodologia educativa del brasiliano Paulo Freire, considerato come uno dei più importanti pedagogisti del XX secolo, combina il metodo pedagogico con il concetto marxiano di coscienza. Scopo della vita sociale, sostiene Freire, è umanizzare la realtà: essere uomini significa essere attori, cioè soggetti attivi, che operano delle scelte e cercano di determinare il proprio destino. L’oggetto di un mondo disumanizzato è quello in cui manca la coscienza di sé stessi. In difetto di tale coscienza, le persone sono incapaci di divenire attori nel flusso della storia ma è questa che agisce su di loro. Questo stato di oppressione è quello che Freire chiama la cultura del silenzio, che può semplicemente essere una conseguenza dell’ignoranza o essere determinata dall’educazione stessa. Freire sostiene che l’educazione tradizionale si basa su ciò che definisce il metodo educativo “depositario”, una concezione cioè in cui lo studente è un oggetto nel quale bisogna depositare il sapere e non un soggetto del processo di apprendimento. L’allievo è visto come un oggetto, un mezzo per raggiungere il fine dell’insegnante e quindi non solo vien detto alle classi inferiori che loro sono il problema, ma viene anche definito un modello di come dovrebbero essere, estraneo alla loro identità. Il metodo di Freire è così diretto sia ad una crescita di una coscienza, sia al rifiuto della falsa coscienza determinata dalla struttura sociale.

Ancora nel XX secolo, un altro pedagogista a favore della descolarizzazione è Ivan Illich. Egli ci ha dimostrato attraverso una serie di indagini fatte in America Latina negli anni Settanta, che i bambini imparano la maggior parte di ciò che gli insegnanti credono di insegnargli, dai coetanei, dai fumetti, dalle loro osservazioni casuali e soprattutto dalla mera partecipazione al rituale scolastico. Implicito nell’idea di società descolarizzata, c’è anche l’abolizione di tutte quelle altre istituzioni che sono fondate sul dogma e sull’imperativo morale. Alla luce di tali considerazioni, è necessario riepilogare che tutti i pedagogisti libertari a partire dal XVIII secolo fino al XX, avevano naturalmente evidenziato la necessità di trasformare la struttura familiare e di cambiare le istituzioni del potere. La pedagogia libertaria in sostanza è tesa a creare una personalità antiautoritaria che non accetti passivamente gli imperativi del sistema socio-politico e che esiga un maggior controllo personale ed una maggiore facoltà decisionale. La temperie sessantottotesca, riguardo alle attività educative sembrò dare un impulso nuovo alle “pratiche non-direttive”. Intento dei non-direttivisti in pratica è prendere in considerazione la vita reale del gruppo-classe, di rompere con l’isolamento individualista, l’incomprensione, la diffidenza e favorire in questo modo una vita democratica della classe.

In questo contesto si affermano le idee di uno psicologo umanista come Carl Rogers[3]. Per Rogers, l’individuo è un continuo campo di esperienze, ma nel momento in cui smarrisce il nesso della continuità con sé stesso, che non realizza in pieno i propri ideali di vita e le proprie potenzialità è un individuo bisognoso di terapia che si configura in termini di una relazione di aiuto. In seguito Rogers, quando inizia a lavorare presso l’università dell’Ohio estende la sua terapia ai processi educativi degli alunni normali. La terapia centrata sul cliente, estesa all’azione educativa della scuola, diviene così pedagogia della non-direttività centrata sullo studente. La “lezione” in senso lato o meglio la tipica “sequenza didattica” di Rogers segue questo sviluppo: l’insegnante presenta la tematica di un determinato corso; si mostra il materiale di lettura e si suggeriscono opportune tecniche di studio; gli studenti svolgono attività di ricerca sulla traccia del materiale loro preparato, procedono all’autovalutazione del lavoro compiuto ed esaminano reazioni personali. In sostanza l’accento viene posto non più sull’insegnamento ma sull’apprendimento, non deve essere il maestro a cambiare l’alunno ma è l’individuo che si cambia mentre apprende. La non-direttività non è quindi il lasciar fare nello spontaneismo disordinato, ma è al contrario un’autorità volta a lasciar esprimere le potenzialità degli alunni che cerca di superare non l’autorità, ma il potere della funzione docente.



[1] William Godwin, nato in Inghilterra nel 1756, è stato uno dei primi pedagogisti a pronunciarsi contro il potere politico che lo stato avrebbe derivato dalla sua capacità di trasmettere attraverso la scuola la sua particolare ideologia.

[2] Ivan Illich, nato a Vienna nel 1926, si dedicò a studi di cristallografia, psicologia e storia dell’arte a Firenze per laurearsi poi in storia a Salisburgo. Ordinato sacerdote nel 1951, fu poi fino al 1960 prorettore dell’Università di Portorico. Lasciato questo incarico per contrasti con le autorità civili e religiose locali, si stabilì a Cuernavaca, nel Messico, fondandovi il celebre Centro intercultural de documentación (CIDOC). Dal 1969 ha scelto lo stato laico.

[3] Carl Rogers è nato nel 1902 in un sobborgo di Chicago; dopo aver iniziato gli studi per diventare pastore, si dedica all’insegnamento della psicologia svolgendo contemporaneamente una grande attività di terapeuta a contatto con giovani delinquenti.

 

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