Il Burn Out in RSA di Elisa Regagliolo fonte

Parte 1

INTRODUZIONE
«Quando cerco di descrivere ad altri la mia esperienza, uso la metafora della teiera. Come una teiera, ero sul fuoco e l'acqua bolliva; lavoravo sodo per gestire i problemi e fare del mio meglio. Ma dopo vari anni l'acqua era tutta evaporata e tuttavia io ero ancora sul fornello; una teiera bruciata che rischiava di spaccarsi.»
Carol B. Assistente sociale (Maslach, 1992)

La sindrome di burn-out è stata individuata da decenni, ma in realtà  è ancora poco riconosciuta nei contesti lavorativi, in cui quotidianamente gli operatori sono a contatto con altre persone e si fanno carico della loro assistenza, a seconda delle diverse professionalità . Sono presenti opinioni e convinzioni errate relativamente questa malattia professionale: infatti la tendenza generale è quella di sopravvalutare l'importanza dei fattori personali che possono esporre il singolo al rischio di tale patologia, e contemporaneamente a sottovalutare l'importanza dei fattori situazionali. La letteratura ha invece dato ampio rilievo alla prospettiva secondo cui il burn-out è strettamente legato a fonti situazionali di stress cronico, a tensioni eccessive e prolungate in ambito lavorativo e al rapporto interpersonale. Indubbiamente i fattori di personalità  acquistano importanza perchè definiscono le modalità  attraverso le quali ognuno interpreta, analizza e reagisce a tali contesti, ma non ne sono le componenti determinanti.
Nell'ambito di questo lavoro ci si propone di analizzare la definizione di burn-out, di definire le diverse variabili che sono chiamate in causa e la sintomatologia legata all'insorgenza della sindrome. In secondo luogo, si analizzerà  quanto è proposto in letteratura per curare e prevenire il burn-out, concludendo con una lettura a livello istituzionale, secondo il Piano sanitario nazionale 2003-2005 in cui la sindrome del burn-out è riconosciuta tra le malattie professionali emergenti.

 

DEFINIZIONE DI BURN-OUT
La sindrome del burn-out sta oggi raggiungendo proporzioni epidemiche tra i lavoratori dei Paesi Occidentali a tecnologia avanzata. Questo non significa che qualcosa nelle persone non funziona più, ma piuttosto che si sono verificati cambiamenti sostanziali sia nei posti di lavoro che nel modo in cui si lavora.
Maslach e Leiter affermano che la priorità  delle organizzazioni post-moderne si sposta dalla qualità  dei processi produttivi (il cui motore era la capacità  di coinvolgimento del collaboratore) ai bisogni si budget (per cui il collaboratore è utile solo se funzionale agli obiettivi di bilancio) e inoltre sostengono che la fonte di tecnologizzazione dei processi comporta una riduzione delle prerogative dei collaboratori e nel complesso dell'economia dell'organizzazione una diminuzione del ruolo e del significato e della valorizzazione delle risorse umane. Di conseguenza si assiste all'arretramento del "senso di appartenenza" all'organizzazione, il cui obiettivo non è più il lavoro di team o di equipe in ottica sinergica, bensì l'utilizzo del collaboratore per soli obiettivi, spesso di budget, del sistema lavorativo.
Questa prima analisi di Maslach e Leiter, condotta sul contesto statunitense, è calzante anche per il contesto italiano e, in specifico, per il pubblico impiego in cui è avvenuta una riduzione delle risorse umane (a fronte di un aumento del carico di lavoro), un aumento di collaborazioni esterne. La gestione delle risorse umane attraverso politiche di aziendalizzazione delle cure si focalizzano sempre di più sul rendimento economico anzichè orientarsi alla qualità  del prodotto, all'erogazione di un servizio eccellente (Maslach, Leiter, 1999).
Secondo C. Maslach le persone che possono manifestare la sindrome di burn-out provengono da una vasta gamma di attività  di lavoro: assistenti sociali, insegnanti, poliziotti, infermieri, medici, psicoterapeuti, consulenti, psichiatri, religiosi, assistenti all'infanzia, operatori dell'igiene mentale, personale di centri di detenzione, avvocati addetti alla libertà  vigilata, amministratori di enti. Benchè abbiano compiti diversi, essi hanno tutti in comune un massiccio contatto con altre persone, in situazioni che spesso sono connotate da una "notevole carica emozionale" (Maslach, 1992).
In tali professioni è intrinseca una relazione diretta tra operatore e utente al punto che le capacità  personali sono implicate più delle abilità  personali. Secondo l'attuale definizione, tutte queste professioni sono "high-touch" (alto contatto): implicano numerosi contatti diretti con delle persone in difficoltà  ed esigono un coinvolgimento sia emotivo che fisico, tale da comportare un rischio elevato di burn-out.
Oggi, un sempre maggiore numero di professioni è considerato high-touch: è cresciuto il numero delle posizioni manageriali chiamate a dirigere i dipendenti e a motivarli con efficacia a essere produttivi. Inoltre è cresciuta la tendenza verso il lavoro in equipe (work team), nella quale le persone devono saper lavorare con un senso collaborativo insieme ai colleghi, più che individualmente. Tuttavia, nonostante l'aumento del lavoro high-touch a tanti livelli, il training formativo nelle abilità  necessarie per eseguirlo bene, viene solitamente trattato in modo superficiale. Le capacità  interpersonali vengono trascurate a favore di quelle tecniche o economiche. Inoltre, nel corso degli ultimi decenni un numero crescente di ricerche sta evidenziando in modo documentato la diffusione di situazioni psicologiche critiche in professioni quali: assistenza ai malati mentali, ai tossicodipendenti, ai portatori di handicap grave, oppure professioni che lavorano in determinate aree sanitarie, come l'oncologia, le unità  di terapia intensiva, l'assistenza ai pazienti con AIDS, con demenza grave. Poichè l'elemento che si ritiene abbia un ruolo importante nella produzione del disagio e del possibile burn-out è proprio la "relazione" con questi pazienti, è lecito ampliare la diffusione di tale sindrome non solo agli operatori, ma anche ai familiari che assistono e curano spesso ininterrottamente il loro congiunto affetto dalla malattia (appare sempre più rilevante ad esempio il disagio che investe il familiare di un malato della demenza di Alzheimer; quest'ultimo infatti necessita di cure e sorveglianza 24 ore su 24, soprattutto nelle fasi più critiche della malattia e sottopone il familiare ad un sovraccarico fisico ed emotivo).
Tutte le definizioni di burn-out evidenziano l'esaurirsi delle risorse dell'operatore, che lentamente si brucia nel tentativo di adattarsi alle difficoltà  del confronto quotidiano con la propria attività  lavorativa. L'osservazione del burn-out non può prescindere dalla comprensione della situazione in cui si manifesta. Le variabili da prendere in considerazione sono molte, ognuna delle quali ha un suo peso nella comprensione del fenomeno; le singole professionalità  e personalità  vanno ad interagire con un sistema organizzativo e con altre figure professionali, spesso in situazioni in cui le regole non sono chiare, i problemi risultano di difficile definizione e in cui si genera una condizione di perenne conflittualità  (Ferri, Giannone, 2006).
Per affrontare il tema del disagio lavorativo da un punto di vista psicologico, è importante definire tre concetti fondamentali, che risultano complessi e decisivi nel delineare il percorso che intercorre tra salute e disagio: le emozioni, lo stress e il burn-out.
Le emozioni sono dei processi pluricomponenziali finalizzati all'adattamento e costituiti da un insieme integrato di aspetti cognitivi, espressivo-comunicativi, di comportamenti strumentali e di vissuti soggettivi. L'esposizione a troppe emozioni, per di più negative ed intense, porta all'innescarsi di presupposti che favoriscono lo stress.
Il concetto di stress, già  utilizzato nel XVII secolo dai fisici per indicare la pressione che una struttura fisica è in grado di sopportare, ha poi acquisito altri significati, a partire dalla sua prima formulazione ad opera di Selye nel 1936, secondo cui tale concetto indicava una reazione biologica adattiva di un soggetto ad uno stimolo esterno, essenzialmente fisico. In seguito è stato poi spiegato come sindrome di adattamento caratterizzata da una prima fase di allarme di reazione agli stressors, da una seconda fase, detta di resistenza, in cui le difese allertate nella prima sono in precario equilibrio, ed infine, una terza fase in cui, perdurando gli stimoli di stress, vengono ad esaurirsi le difese con il conseguente sviluppo di uno stato di esaurimento funzionale. Successivamente Lazarus nel 1984 ha stabilito che gli stimoli esterni, soprattutto se intensi e di tipo psicosociale (quali quelli stressogeni), vengono processati e valutati a livello cognitivo, in relazione però ad un'elevata variabilità  individuale, legata alla struttura di personalità , all'esperienza appresa e ai modelli di riferimento.
Diversi studiosi di psicologia del lavoro hanno evidenziato che il contesto lavorativo moderno è quello che risulta maggiormente in grado di attivare fonti di stress, il che causa nel soggetto attivazioni di risposta sia a livello comportamentale che a quello fisiopatologico. Le condizioni fisiche dell'ambiente lavorativo, il ruolo gestito e le relazioni vissute, la gestione del lavoro, la burocratizzazione, sono tutte variabili capaci di provocare i sintomi che sostanzialmente richiamano la sindrome di burn-out: apatia, perdita di entusiasmo, frustrazione.
In particolare Lazarus, riferisce che i comportamenti lavorativi messi in atto dai professionisti dell'aiuto interessati dal burn-out riguardano soprattutto il rapporto interpersonale con l'utenza, nel momento in cui tale rapporto rifugge dalla relazione di aiuto e diviene essenzialmente una relazione tecnica di servizio: perdita di sentimenti positivi verso l'utenza e la professione, perdita della motivazione, dell'entusiasmo e del senso di responsabilità , esitamento delle relazioni, delle visite e delle telefonate, utilizzo di un modello lavorativo stereotipato con procedure standardizzate e rigide, cinismo verso la sofferenza, evitamento delle discussioni e dei processi di cambiamento.
Simile allo stress, ma specificatamente legato all'ambiente lavorativo è il fenomeno del burn-out. Freudenberger (1974) mutuò il termine dall'ambito sportivo (1930), dove veniva impiegato per indicare una situazione fisica di esaurimento delle forze, ovvero un'incapacità  di un'atleta, dopo ripetuti successi, ad ottenere ulteriori risultati positivi o mantenere quelli acquisiti: condizione che si risolve attraverso un inevitabile ritiro dall'agonismo. Egli utilizzò il termine per indicare una sindrome caratterizzata da un particolare tipo di reazione allo stress, sperimentata da operatori sanitari, che si trovavano a contatto con pazienti affetti da patologie di marcata gravità  (Malagutti, 2002).
Oggi è anche utilizzato dagli astronomi per indicare l'esaurimento di una stella, la sua morte per completa combustione. Il termine, trasposto in ambito psicologico, ha riscosso un elevato successo.
Christina Maslach, è stata tra i primi psicologi ad esplorare il fenomeno del burn-out, nei primi anni '70 negli Stati Uniti. L'autrice sviluppò originariamente il concetto di burn-out in un articolo pubblicato nel 1976 nella rivista "Human Behaviour", ottenendo una reazione incredibile del pubblico. L'articolo venne ristampato, riassunto in molti giornali, riviste e libri, ebbe quindi un'ampia circolazione e venne assegnato come letteratura obbligatoria in vari programmi di formazione e di aggiornamento. Maslach continuò a studiare il fenomeno, ampliando le ricerche e le verifiche. Elaborò inoltre una scala standardizzata di misurazione, detta Maslach Burnout Inventory (MBI) (Maslach, Jackson, 1981).
Il termine burn-out, traducibile in italiano come "bruciato", esaurito, scoppiato esprime come efficace metafora il bruciarsi della persona, il suo cedimento psicofisico e la perdita di incapacità  di adattamento rispetto alle difficoltà  dell'attività  professionale (Ferri, Giannone, 2006).
Le definizioni che ne sono state date, sono diverse: Maslach e Leiter (1999) lo definiscono come un'erosione dell'anima, un deterioramento che colpisce i valori, la dignità , lo spirito e la volontà  delle persone. In alcuni casi si intende un esaurimento delle risorse personali dovuto sia a quantità  eccessive di lavoro, che a tensioni accumulate e ami smaltite. Il burn-out è quindi una condizione di malessere collegabile a difficoltà  di controllo dello stress della vita sia per eventi esterni alla persona, sia per connessioni a conflitti interni irrisolti (Atkinson, 1999).
Il burn-out è quindi uno stato di malessere psico-fisico che può condurre ad una vera e propria malattia; i suoi stessi effetti si assimilano a quelli tipici da iperstress: esaurimento delle capacità  fisiche ed emozionali, sviluppo di atteggiamenti cinici, freddi, e distaccati nelle relazioni quotidiane, senso d'inefficienza ed inadeguatezza, sviluppo di disturbi psicosomatici e tendenza alla chiusura su se stessi (Albano, 2002).
In un recente articolo (Burn-out e assistenza, 2006) gli autori Ferri e Giannone sostengono che "non esiste una stretta correlazione tra stress e burn-out: lo stress non necessariamente conduce ad esso, non è un percorso obbligato. Il problema centrale rimane l'interazione di una struttura di personalità  che riveste un peculiare ruolo professionale all'interno di un sistema organizzativo pubblico o privato". Sostengono inoltre che "problematiche personali, familiari e fattori di personalità  contribuiscono come fattori predisponesti. Inoltre, appare anche evidente la difficoltà  di tracciare una linea di demarcazione tra una condizione lavorativa normale e il burn-out, perciò è più facile pensare ad un continuum, dinamico e modificabile nel tempo, in ragione delle interazioni tra le diverse componenti in conflitto". Si ritiene infatti che qualsiasi ambito lavorativo, soprattutto per quanto riguarda le helping-professions, sia carico di tensioni e fonte di stress: anche quando si opera nelle migliori condizioni, la natura stessa del ruolo professionale comporta un carico emotivo che può favorire l'insorgenza di una condizione di disagio psicologico. Le cosiddette "helping professions" sono considerate quelle professioni d'aiuto che, contengono implicitamente nel loro mandato una finalità  di aiuto, basata sul contatto interumano, e che fanno leva sulle capacità  personali in misura spesso più consistente rispetto alle abilità  tecnico-professionali (Malagutti, 2002).

  • UNA DEFINIZIONE PIU' ACCURATA DEL FENOMENO BURN-OUT
    Secondo le approfondite descrizioni legate a questo fenomeno C. Maslach definisce il burn-out come una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità  personali che si presenta in alcuni soggetti. Si tratta di una reazione alla tensione emozionale cronica creata dal contatto continuo con altri esseri umani, in particolare se essi hanno problemi o motivi di sofferenza. Quindi si può considerare un tipo di stress occupazionale.
    Il nucleo della sindrome è uno schema di sovraccarico emozionale seguito dall'esaurimento emozionale. Una persona è eccessivamente coinvolta dal punto di vista emozionale, si tende sempre più verso gli altri e infine si sente sopraffatta dalle richieste emozionali che gli altri le impongono. La risposta a tale situazione è l'esaurimento emozionale: l'individuo si sente svuotato e sfinito, gli manca l'energia per affrontare un altro giorno, le sue risorse emozionali sono consumate e non c'è una sorgente da cui attingerle di nuovo. Tale condizione diventa evidente quando il soggetto sente che non ha quasi più niente da offrire agli altri per cui egli sviluppa sentimenti di impotenza, disperazione, depressione, rabbia, impazienza, irritabilità , incremento delle tensioni e conflitti, scontrosità . Secondo alcune testimonianze raccolte dall'autrice, tale aspetto caratteristico, è definito nel seguente modo: "è come se la mia capacità  di partecipazione fosse esaurita", "Non riesco a darmi la motivazione sufficiente per scalare un'altra montagna", "Non è che io non voglia aiutare, ma semplicemente non posso più farlo" (Maslach, 1992). Un modo per liberarsi dal fardello emozionale è quello di sottrarsi al coinvolgimento con gli altri. La persona cerca di ridurre il contatto con gli utenti, con i colleghi al minimo indispensabile per portare a termine il lavoro; di conseguenza, si trasforma in un burocrate arido le cui relazioni con gli altri sono strettamente aderenti ai regolamenti. Classifica le persone in varie categorie e poi risponde alla categoria anzichè all'individuo, applicando una formula, invece di una risposta specifica, la persona evita l'obbligo di conoscere l'altro e di coinvolgersi emotivamente. Questo aspetto trasposto nel contesto lavorativo di una casa di riposo, comporta effettivamente l'esaurirsi gradualmente delle connotazioni affettivo-emotive, nella relazione tra operatore addetto all'assistenza (OSS) e anziano. Spesso è evidente un atteggiamento più freddo, non empatico, non coinvolto con la persona, che viene classificata come utente o più generalmente anziano, inteso come categoria, perdendo così ogni rilevanza soggettiva. Il lavoro dell'operatore si limita pertanto ad un'assistenza ai bisogni primari dell'anziano, tralasciando gli aspetti di comunicazione, di scambio umano ed affettivo, assumendo inevitabilmente i contorni di una fredda routine. Tale distacco stabilisce una certa distanza emozionale tra se stessi e l'anziano, che ha esigenze e richieste vissute dall'operatore come necessità  che possono sopraffare. L'armatura del distacco può effettivamente proteggere l'individuo dalla tensione del coinvolgimento intimo con gli altri, tuttavia può essere tanto spessa da non lasciare passare nessun sentimento. Con il distacco crescente si instaura un atteggiamento di fredda indifferenza verso i bisogni degli altri e un cinico disinteresse per i loro sentimenti.
    Lo sviluppo di questa risposta distaccata, cinica, quasi disumanizzata, segnala un secondo aspetto della sindrome del burn-out: la spersonalizzazione. Questo secondo aspetto indica quel tipico atteggiamento secondo cui il soggetto interpreta e connota negativamente le altre persone, utenti e colleghi, formulando nei loro confronti aspettative sempre negative, svalutative manifestate attraverso critiche e risposte comportamentali anche sgarbate. L'operatore può sminuire l'anziano, ignorare le sue richieste, l'assistenza o il servizio più idoneo alla sua persona. Tale comportamento di negatività  può essere sia eterodiretto, cioè diretto nei confronti di coloro che ricevono la sua prestazione professionale, diretto al Servizio e ai colleghi, ma può essere anche autodiretto, ovvero diretto verso sè stessi: Maslach, infatti riporta che "i sentimenti negativi verso gli altri possono progredire fino ad includere la negatività  verso sè stessi". Gli operatori dell'aiuto, provano sentimenti di colpa o tormento per il modo in cui hanno considerato o trattato altri, avvertono e riconoscono di essere freddi e indifferenti, caratteristiche socialmente non accettate e mal giudicate da loro stessi.
    A questo punto compare un terzo aspetto del burn-out: il sentimento di una ridotta realizzazione personale. Tale aspetto riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell'autostima ed il sentimento di insuccesso nel proprio lavoro. Una mancata realizzazione personale implica la sfiducia nelle proprie potenzialità  ed una revisione critica di tutto ciò che si è fatto in precedenza. L'operatore per esempio può avvertire in questo momento un tormentoso senso di inadeguatezza circa la propria capacità  di stabilire relazioni con gli anziani, giungendo ad un "verdetto di fallimento". La testimonianza di un'operatore afferma: "Mi ritenevo una persona sensibile e interessata agli altri, ma spesso non sono nè sensibile, nè interessata, quando mi trovo nel mio contesto lavorativo, quindi forse mi sto illudendo su me stessa". Con il crollo dell'autostima può instaurarsi la depressione: alcuni soggetti cercheranno di risolvere quelli che ritengono problemi personali attraverso percorsi terapeutici, altri cambieranno lavoro, spesso ricercando un'occupazione alternativa che escluda un contatto stressante con le altre persone.

    LE QUATTRO FASI DELLA SINDROME
    Secondo una letteratura psicologica, la sindrome del burn-out è dunque il risultato di un processo nel quale lo stato di tensione emozionale cronico si trasforma in un meccanismo di difesa e in una strategia di risposta a questa tensione, con conseguenti comportamenti di distacco emozionale e di esitamento, accompagnati da alcuni sintomi quali l'apatia, la perdita di entusiasmo, il senso di frustrazione. In particolare, la sindrome può essere descritta come un processo in quattro fasi (Malagutti, 2002):
  • Entusiasmo idealistico: questa prima fase è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.si distinguono in motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e di maggiore prestigio) e motivazioni inconsce (desiderio di approfondire la conoscenza di sè e di esercitare una forma di potere o di controllo sugli altri). Tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di "onnipotenza", di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato, di apprezzamento, di miglioramento del proprio status.
  • Stagnazione: nella seconda fase l'operatore continua a lavorare, ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. Di solito le prime avvisaglie della stagnazione derivano dalla scoperta che i risultati dell'impegno sono impalpabili, incerti e aleatori. Il lavoratore rischia di passare da una situazione di superinvestimento iniziale ad una di graduale disimpegno, sino ad un disinvestimento totale, dove il sentimento di profonda delusione determina una chiusura verso l'ambiente di lavoro e i colleghi. Oppure egli può scegliere di fuggire alla ricerca di altre situazioni che dovrebbero consentirgli la realizzazione delle sue aspettative.
  • Frustrazione: è la fase più critica del burn-out. Il pensiero dominante dell'operatore è di non essere più in grado di aiutare alcuno, con profonda sensazione di inutilità  e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dell'utenza. Come fattori di frustrazione aggiuntivi intervengono inoltre lo scarso apprezzamento sia da parte dei superiori che da parte degli utenti, nonchè la convinzione da una inadeguata formazione per il tipo di lavoro svolto. Il soggetto frustrato può assumere atteggiamenti aggressivi (verso sè stesso o verso gli altri) e spesso mette in atto comportamenti di fuga (quali allontanamenti ingiustificati dal reparto, pause prolungate, frequenti assenze per malattia).
  • Apatia: il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione, con passaggio dall'empatia all'apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste a una vera e propria morte professionale. Ideali e potenziale personale, realizzazione sul lavoro, autostima, subiscono un arresto

    I SINTOMI DEL BURN-OUT
    Il soggetto colpito da burn-out manifesta i seguenti sintomi:
  • Sintomi somatici:
    Secondo alcuni autori, tale sindrome provoca o più spesso aggrava alcuni o molti dei disturbi psicosomatici, tra i quali:
    - disfunzioni gastrointestinali (gastrite, ulcera, colite, stitichezza, diarrea),
    - disfunzioni a carico del SNC (astenia, cefalea, emicrania),
    - disfunzioni sessuali (impotenza, frigidità , calo del desiderio),
    - malattie della pelle (dermatite, eczema, acne, afte, orzaiolo),
    - allergie e asma,
    - insonnia e altri disturbi del sonno,
    - disturbi dell'appetito,
    - componenti psicosomatiche di artrite, cardiopatia, diabete.
    (Bernstein, Halaszyn, 1999; Cherniss, 1986)
  • Sintomi psicologici:
    I sintomi psichici sono probabilmente quelli che acquisiscono un peso più rilevante per il soggetto. Essi investono sia la sfera cognitiva, sia quella emotiva. Nel suo lavoro del 1982, rimasto il testo di riferimento sui sintomi del burn-out, C. Maslach descrive tre gruppi di sintomi (esaurimento emotivo, depersonalizzazione dell'utente, ridotta realizzazione professionale) a cui Folgheraiter (1989) aggiunge quelli descrivibili globalmente come perdita di controllo. In base a questo criterio, i sintomi possono essere raggruppati in quattro categorie:
    - collasso delle energie psichiche: in questa categoria rientrano molti sintomi tipici degli stati ansioso-depressivi. I principali sintomi sono: alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, apatia, demoralizzazione, difficoltà  di concentrazione, disagio, disperazione, incubi notturni, irritabilità , preoccupazioni o paure eccessive o immotivate, sensazione di inadeguatezza, sensi di colpa, senso di frustrazione o di fallimento
    - collasso della motivazione: in questa categoria rientrano tutte le disfunzioni psichiche che portano alla depersonalizzazione dell'utente e quindi ad un progressivo scadimento della qualità  professionale. i sintomi sono: distacco emotivo, perdita della capacità  empatica, rigidità  nell'imporre o applicare norme e regole, cinismo, disinteresse oppure ostilità  o rifiuto, anche fisico, verso gli utenti, o meno frequentemente verso i colleghi, infine pessimismo.
    - Caduta dell'autostima: l'operatore non si sente realizzato sul lavoro e comincia a svalutarsi sia sul piano professionale, sia, successivamente, su quello personale. Nonostante si sforzi, non riesce a frenare questo crollo della fiducia nelle proprie capacità  e risorse. I nuovi impegni gli sembrano insostenibili, ha la sensazione di non essere "all'altezza" dei problemi nel lavoro e nel privato: la comparsa di questi sintomi psichici infatti si ripercuote poi anche nella vita familiare dell'operatore vista la sovrapposizione sempre più forte tra vita lavorativa e privata.
    - Perdita di controllo: l'operatore non riesce più a controllare lo spazio o l'importanza del lavoro nella propria vita. Ha la sensazione che il lavoro lo "invada", non riesce a "disimpegnarsi mentalmente": il pensiero degli utenti o i problemi con i colleghi è sempre presente, anche oltre l'orario di lavoro e determina grande fonte di malessere.
  • Sintomi comportamentali e sociali:
    Tale situazione di disagio, molto spesso può stimolare comportamenti che mettono a repentaglio la salute:
    - per rilassarsi alcuni lavoratori ricorrono al tabagismo o all'assunzione di sostanze psicoattive (alcool, psicofarmaci, stupefacenti),
    - altri cercano conforto nel cibo (aumentano il rischio di obesità  e di conseguenti patologie cardiovascolari e diabete)
    - un'altra valvola di sfogo può essere rappresentata dall'aggressività , dalla violenza o da latri tipi di comportamento antisociale, la persona può reagire con cinismo e sarcasmo
    - nella relazione con i colleghi: "fuga dalla relazione", cioè possibilità  che la persona trascorra più tempo del necessario in attività  che non richiedano interazioni con utenti e colleghi, difficoltà  a scherzare sul lavoro, talvolta anche solo a sorridere,
    - nella relazione con gli utenti: ricorso a misure di controllo o allontanamento: maggiore ricorso alla sedazione, contenzione fisica, espulsione. (Cherniss, 1986).
  • Conseguenze sul lavoro:
    - calo della qualità  del lavoro svolto,
    - frequente assenteismo,
    - deterioramento dell'ambiente di lavoro,
    - abbandono del lavoro.
    In quest'ultimo caso il datore di lavoro può considerare l'espulsione del soggetto come una soluzione del problema. In realtà  l'organizzazione ha perso un lavoratore, magari esperto e potenzialmente motivato, e i problemi generati dall'ambiente di lavoro non sono stati risolti. Inoltre il lavoratore pagherà , in questo modo, il prezzo psicologico e personale del fallimento. Gli effetti negativi del burn-out non coinvolgono solo il singolo lavoratore ma anche l'utenza, a cui viene offerto un servizio inadeguato ed un trattamento "meno umano" (Malagutti, 2002).

    LE VARIABILI CHE POSSONO DETERMINARE IL BURN-OUT
    I fattori che possono predisporre all'insorgenza della sindrome del burn-out sono sia di tipo ambientale che individuale (Tomei, Tomao, 2003). Il burn-out, come sottolineano Rossati e Magro (1999), è un fenomeno complesso, determinato non solo dalle componenti soggettiva e oggettiva dello stress individuale, ma anche da variabili storico-sociali e culturali che possono "accelerare" il passaggio dallo stress al burn-out. Perciò mentre lo stress è un fenomeno individuale, il burn out è un fenomeno fondamentalmente psicosociale.
    I FATTORI INDIVIDUALI
    La componente soggettiva ha un ruolo determinante soprattutto nella misura in cui si cerca di determinare quali stimoli sono percepiti dal soggetto come stressanti e quale intensità  avrà  la reazione individuale messa in atto di fronte a tali stimoli.
    Gli elementi che rientrano in questa componente sono: alcune caratteristiche demografiche, le caratteristiche di personalità , le aspettative professionali, lo stress non professionale.
    a) Caratteristiche demografiche: secondo una ricerca svolta da Maslach (1992) tesa ad individuare il profilo dei soggetti più vulnerabili alla sindrome del burn-out, sottoponendo alla scala MBI, una vasta gamma di operatori dei servizi in varie località  degli Stati Uniti, le autrici sostengono che tali variabili sono:
    ** Sesso: complessivamente l'esperienza del burn-out negli uomini e nelle donne è abbastanza simile. Le differenze consistono nel fatto che gli uomini tendono più ad avere sentimenti spersonalizzati e di insensibilità  verso le persone con cui lavorano, mentre le donne tendono a provare un maggiore esaurimento emozionale e a sperimentarlo con più intensità  degli uomini.quindi uomini e donne accusano aspetti diversi della sindrome.
    ** Appartenenza ad un gruppo etnico: le ricercatrici hanno evidenziato che mentre non sono presenti differenze degne di nota per diversi gruppi minoritari del Paese, invece sono evidenti le differenze tra gli operatori dell'aiuto bianchi e neri. Tali rilevanti differenze, secondo cui i bianchi soffrono in misura maggiore di burn-out rispetto ai neri, è stata motivata attraverso l'ipotesi che questi ultimi provengano da comunità  nelle quali è data una grande enfasi alla rete familiare e sociale, determinando in questi soggetti una maggiore esperienza nei rapporti diretti con altre persone, con una maggiore abituazione ad affrontare i conflitti che ne derivano ed il suo carico emozionale .
    ** Età : sembra esserci una relazione stretta tra età  e burn-out. Questa sindrome colpisce in misura notevolmente più elevata i soggetti giovani, che lavorano in ambienti "a rischio" da circa un anno - 1 anno e mezzo. I giovani, spiegano le autrici, hanno di solito meno esperienza lavorativa degli anziani, ma è dimostrato che l'effetto dell'età  riflette qualcosa di più della semplice durata del lavoro. Con l'avanzare dell'età , la persona sembra essere più stabile e matura, ha una prospettiva più equilibrata della vita e una minore tendenza agli eccessi del burn-out.
    ** Stato civile e stato di famiglia: tra coloro che appartengono alla categoria "helping professions", il burn-out è sperimentato maggiormente dai soggetti celibi e invece è sperimentato in misura nettamente inferiore da coloro che sono coniugati. I divorziati, in genere si trovano all'interno di queste due "polarità ", ma più vicini ai celibi in termini di più elevato esaurimento emozionale, più vicini ai coniugati in termini di minore spersonalizzazione e maggiore senso di realizzazione. Come l'essere celibi è associato a un maggiore rischio di burn-out, così lo è il non avere figli. Contrariamente all'opinione che i figli siano un'ulteriore carico emozionale, che dovrebbe acutizzare la malattia, essa è inferiore per gli operatori dell'aiuto che hanno una famiglia. Probabilmente perchè il coinvolgimento con la famiglia, rende l'individuo più esperto nel trattare i conflitti in secondo luogo, perchè tale contesto è considerato una risorsa emozionale anzichè una fonte di esaurimento emozionale (Maslach, Jackson, Barad, 1982):
    ** Livello di istruzione: rispetto a tale caratteristica non sembrano essere emerse differenze rilevanti tra soggetti con diversi livelli di istruzione. L'unico elemento degno di nota, secondo il commento delle autrici è relativo ai soggetti con elevato livello d'istruzione che coltivano aspettative più elevate rispetto alla professione che vogliono svolgere nella vita: esse possono essere molto idealiste e aspirare a grandi risultati, ma, se non sono adeguatamente preparate per la realtà  del loro ruolo d'aiuto, l'urto di questa realtà  con i loro ideali può risolversi in disillusione e burn-out.
    b) Caratteristiche di personalità : con personalità  si intende il carattere essenziale di un individuo, il proprio stile interpersonale, il metodo per gestire i problemi, l'espressione e il controllo delle emozioni e la concezione di sè: aspetti che hanno una rilevanza particolare per il burn-out.
    Il profilo della personalità  del soggetto a rischio secondo Maslach e Jackson potrebbe essere il seguente: la persona è debole e non assertiva nel trattare con gli altri; è sottomessa, ansiosa, teme il coinvolgimento, ha difficoltà  nel definire i limiti nell'ambito della relazione di aiuto. Questa persona è spesso incapace di esercitare un controllo sulla situazione e si rassegna passivamente alle richieste che essa gli pone anzichè limitarle alla propria capacità  di dare: il sovraccarico emozionale è facile in questo soggetto e pertanto il suo rischio di esaurimento emozionale è elevato.
    L'individuo con tendenza al burn-out è anche impaziente e intollerante; una persona di questo tipo, prova facilmente collera e frustrazione per qualsiasi ostacolo che trova sul suo cammino, e può incontrare difficoltà  nel controllare gli impulsi ostili. àˆ probabile che proietti tali sentimenti sulle persone che aiuta e segue nel suo lavoro, trattandole in modo spersonalizzato e degradante.
    Infine l'individuo che tende al burn-out non ha fiducia in sè stesso, ha poca ambizione, è riservato e convenzionale. Questa persona non ha nè un insieme definito di obiettivi nè la determinazione e la sicurezza per conseguirli. Si rassegna e si adatta alle limitazioni imposte dalla situazione, anzichè affrontare le difficoltà  cercando di essere più intraprendente e più incisivo. Vive quindi una posizione passiva e di impotenza anzichè attiva e autonoma. Egli tenta di superare i dubbi su se stesso e cerca di stabilire il senso del proprio valore personale conquistando l'approvazione e l'accettazione degli altri; per far questo può diventare tanto accomodante da essere sempre sotto pressione. Lo svantaggio di una tale dipendenza dagli altri per ottenere una convalida personale è il probabile senso di annientamento emozionale se gli altri non danno tale convalida. Il bisogno di essere accettato dalle persone con cui lavora diventa eccessivo quando nella vita dell'operatore ci sono poche altre fonti di contatto affettivo. E' più facilmente di altri scoraggiato dalle difficoltà  e non avverte la sensazione di essere realizzato ed efficiente nel trattare con le persone.
    ** Incapacità  di reggere relazioni sociali coinvolgenti;
    ** Il burn-out è anche connesso al fattore della personalità  che impone un bisogno eccessivo di controllo. Il bisogno di controllare ogni cosa e ogni persona, il rifiutare di condividere o di delegare il potere, è caratteristico della personalità  autoritaria. Secondo Freudenberger (1974), l'individuo autoritario è particolarmente portato all'esaurimento proprio per questa tendenza a pretendere troppo da sè stesso.
    ** Tendenza all'eccessivo coinvolgimento nelle problematiche altrui. La capacità  di capire e di condividere le esperienze delle altre persone, la capacità  di essere empatico, è ritenuta una qualità  personale fondamentale per svolgere molte professioni dell'aiuto. L'empatia emozionale è in effetti una sorta di debolezza o vulnerabilità . La persona i cui sentimenti sono facilmente risvegliati avrà  difficoltà  molto maggiori nel gestire situazioni emotivamente stressanti rispetto alla persona meno eccitabile e più distaccata psicologicamente.
    ** Attitudine verso il lavoro: le persone che lavorano molto e duramente, perchè hanno grosse aspettative nella loro professione, sia per la possibilità  di successo e guadagno sia perchè rendere il loro lavoro sempre più entusiasmante e soddisfacente, sono più a rischio quando non vedono realizzare i propri progetti.
    ** Incapacità  di gestire il tempo in modo efficace e produttivo, con conseguente continua insoddisfazione per come lo si è utilizzato, indipendentemente dagli esiti raggiunti.
    c) Aspettative professionali:
    ** Motivazioni inadeguate: desiderio inconsapevole di esercitare potere decisionale sugli altri, bisogno di approfondire la conoscenza di sè, identificazione con professionisti di successo, fantasia da salvatore.
    La motivazione per la scelta di una professione d'aiuto può essere determinata dalla possibilità  che tale professione consente al soggetto di soddisfare alcuni suoi desideri e bisogni. Alcuni operatori hanno un forte bisogno di approvazione e di affetto, che può essere soddisfatto dalle espressioni di apprezzamento e gratitudine degli utenti. Oltre a motivazioni legate al bisogno di soddisfare alcuni bisogni personali (di autostima, sentimenti di colpa, bisogno di relazioni e intimità  con le persona), la relazione d'aiuto può essere usata come mezzo di crescita personale.
    ** Convinzioni inadeguate: "la formazione garantisce la competenza" oppure "la competenza garantisce la riuscita";
    ** Mistica professionale: rappresentazioni idealizzate dalla professione (ritenuta intrinsecamente stimolante e gratificante) e dall'utenza (ritenuta sempre riconoscente e collaborativa);
    ** Narcisismo patologico: rappresentazioni idealizzate del "sè professionale" (possono portare al cosiddetto "delirio di onnipotenza").
    Il mancato riconoscimento dei limiti personali è particolarmente negativo nelle professioni dell'aiuto, nelle quali l'individuo ha a che fare con la vita di altri. L'operatore si sente troppo spesso responsabile se un utente fallisce o se supera la situazione, se vive o se muore e tale pesante fardello lo esaurisce emotivamente. Un tale senso di responsabilità  è solitamente legato a sentimenti di onnipotenza. Quando simili fantasie di onnipotenza non sono temperate dal riconoscimento dei limiti reali, gli ideali e le aspettative non saranno commisurati alla realtà ; di conseguenza, ci saranno discrepanze tra le aspirazioni e le effettive realizzazioni: la sensazione del fallimento sarà  inevitabile.
    d) Stress non professionale:
    Lo stress non professionale a cui si è sottoposti rappresenta un costituente importante della componente soggettiva del disagio lavorativo; è noto infatti che tanto più un soggetto vive situazioni connotate da forte stress in un ambiente extralavorativo (familiare, relazionale ad esempio), tanto più sarà  intensa la sua reazione agli stimoli stressati presenti in ambito lavorativo (Rossati, Magro, 1999).
    I FATTORI AMBIENTALI
    Il giudizio comune è che il burn-out sia in primo luogo un problema dell'individuo. Vale a dire, che le persone si esauriscono e si logorano a causa di difetti o manchevolezze insiti nel loro carattere, nel loro comportamento o nella loro capacità  produttiva. In base a questa prospettiva, sono gli individui a rappresentare il problema, e la soluzione sta nel modificarli o nell'operare una sostituzione. Si ritiene in verità  che il burn-out non sia un problema dell'individuo in sè, nonostante alcune sue caratteristiche possano renderlo più vulnerabile, ma sia invece un problema del contesto sociale nel quale opera. La struttura e il funzionamento del posto di lavoro plasmano il modo in cui le persone interagiscono tra di loro e il modo in cui eseguono il loro lavoro. Nella loro opera, Maslach e Leiter sostengono che il burn-out è dovuto principalmente ai fattori oggettivi dello stress professionale: le cause soggettive sono quindi secondarie nel determinare l'insorgenza della sindrome (Maslach, Leiter, 1999).
    La componente oggettiva dello stress professionale è stata studiata da D.Cooper, che ha individuato varie classi in cui possono essere suddivise le fonti di stress: intrinseche al lavoro, relative al ruolo nell'organizzazione, relative allo sviluppo della carriera, relazionali, relative all'equipe (Rossati, Magro, 1999). Il modello di Cooper può essere utilizzato per suddividere le fonti di stress tipiche delle professioni sociali (Bernstein, Halaszyn, 1999):
    a) Intrinseche al servizio
    Relative al lavoro:
    ** Scarsa retribuzione contrattuale;
    ** straordinari e ore lavorative extra poco retribuiti o addirittura non pagati;
    ** condizioni ambientali sfavorevoli: rumore, scarsa ventilazione, spazi angusti, illuminazione scarsa o abbagliante, umidità , troppo caldo o troppo freddo;
    ** poche risorse materiali (comprese quelle per affrontare i problemi legati al territorio): carenze strutturali; carenza di automezzi di servizio, di strumentazione, di ausili didattici, del budget per le spese educative, ecc.;
    ** turni e orari stressanti.
    Relative all'utenza:
    ** Stessi utenti troppo a lungo;
    ** utenti cronici e/o incurabili;
    ** poche informazioni sugli utenti (diagnosi, anamnesi, situazione legale, ecc.);
    ** sovraccarico qualitativo di lavoro (richieste troppo difficili);
    ** sovraccarico quantitativo di lavoro (eccesso di richieste);
    ** troppa routine.
    b) Relative al ruolo nell'organizzazione
    ** Sovraccarico di ruolo: responsabilità  superiori al potere decisionale e scarse possibilità  programmate di interruzione;
    ** ambiguità  di ruolo: mansionario o compiti specifici non chiari;
    ** incongruenza di ruolo: il ruolo non è quello desiderato;
    ** conflitto di ruolo: richieste contraddittorie da parte di uno o più superiori,
    ** leadership o supervisione inadeguate,
    ** mancanza di formazione e orientamento specifici per la professione,
    ** indifferenza delle istituzioni pubbliche nei confronti dell'utenza, a vantaggio delle necessità  amministrative, finanziarie o burocratiche.
    c) Relative alla carriera
    * Competizione tra colleghi per ottenere promozioni;
    * delusione per le retrocessioni subite;
    * "ansia da prestazione" per le promozioni ricevute;
    * misteriosità  per il modo in cui "qualcuno fa carriera e qualcuno no".
    d) Relazionali
    Relazioni con i colleghi:
    * Conflitti tra colleghi: i conflitti possono nascere tra colleghi con o senza la stessa qualifica e con o senza lo stesso mansionario; possono riguardare qualunque questione lavorativa o personale;
    * comunicazione tra colleghi insufficiente: i colleghi non danno informazioni esaurienti su ciò che fanno;
    * poche gratificazioni: mancanza di apprezzamento da parte dei colleghi;
    * incapacità  di differenziare le mansioni: nelle èquipe molto competitive (al loro interno) ognuno vuole fare tutto ciò che fanno gli altri per timore di essere professionalmente danneggiato dalla differenziazione; avviene così che alcune funzioni rimangono scoperte, altre moltiplicate con chiara riduzione dell'efficienza
    * relazioni sentimentali/sessuali tra colleghi: se i colleghi scoprono la relazione, possono avere reazioni sgradevoli, eventualmente amplificate se la relazione è omosessuale (voler essere tenuti al corrente dei dettagli, essere gelosi, condannare moralmente la relazione o al contrario incoraggiarla in modo forzato); se la relazione finisce, continuare a lavorare insieme può essere molto stressante;
    * mobbing, ovvero «persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro»: consiste in azioni di sabotaggio professionale o personale da parte di colleghi coalizzati.
    Relazioni con il Direttore:
    * Feedback poco efficace: il feedback non è proattivo (il Direttore dice ciò che non va fatto e non dice ciò che andrebbe fatto); non è relativo a una situazione specifica; mette in campo i sentimenti del Direttore; si estende a condizioni che non dipendono dall'operatore; arriva troppo tardi (lontano nel tempo) o troppo presto ("a caldo"); non include verifica di chiarezza (il Direttore dà  per scontato che l'interlocutore abbia capito);
    * poche gratificazioni: il lavoro ben fatto non viene riconosciuto o apprezzato;
    * conflitti di valori tra Direttore e operatori: vi può essere accordo sulle tecniche educative (come agire per modificare i comportamenti dell'utenza) ma non sui princìpi educativi (quali comportamenti vanno modificati e quali no);
    * "bossing", ovvero «persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro» da parte del Direttore o di altri superiori.
    Relazioni con il datore di lavoro (se non è il Direttore):
    * Interferenze non tecniche: per esempio, interferenze di natura politica.
    Relazioni con gli operatori degli altri servizi:
    * Necessità  di negoziazione continua.
    e) Relative all'èquipe
    * "Spirito d'èquipe" scarso o assente;
    * insufficiente disponibilità  alla negoziazione.
    Quasi sempre in un ambiente di lavoro, ci si confronta con il paziente all'interno di una èquipe di lavoro. Le opportunità  offerte dal lavoratore in gruppo costituiscono un patrimonio, tuttavia il gruppo di lavoro è anche sede delle emozioni degli operatori ingaggiati in relazioni problematiche e raramente viene fornita qualche forma di appoggio al gruppo di lavoro. Accade spesso che l'equipe tenda a trasformarsi da risorsa, da strumento di appoggio professionale ed emotivo, in un problema ulteriore: i singoli membri invece di riuscire a sorreggersi nella pratica comune si sentono soli, scaricano tensioni accumulate l'uno contro l'altro, e producono un aumento dell'aggressività  e della frustrazione reciproca. In queste condizioni, operare in gruppo diviene una fatica aggiuntiva (Ferri, Giannone, 2006).
    Un modello alternativo a quello di Cooper è stato recentemente elaborato da Maslach e Leiter (1999). Tale modello ordina le cause oggettive del burn-out in sei classi, rispettivamente relative a: carico di lavoro, autonomia decisionale, gratificazioni, senso di appartenenza, equità , valori. In particolare:
    a) il sovraccarico di lavoro
    Secondo gli autori, quella parte di carico sia emozionale che fisico, che eccede la capacità  di gestirlo da parte della persona è il sinonimo di quanto intendiamo con il termine stress. Per l'operatore professionista dell'aiuto, sovraccarico significa troppe persone e troppo poco tempo per soddisfare adeguatamente le loro esigenze. Inoltre, troppo spesso gli operatori vivono condizioni di lavoro che non consentono interruzioni temporanee dal contatto stressante con gli utenti:essi si trovano sul posto, senza nessun altro con cui dividere il lavoro o che li aiuti. Questo è particolarmente vero nel caso del familiare che gestisce e segue un malato di Alzheimer: spesso non possono sottrarsi da questo incombente compito di caregiver senza sentirsi in colpa, vivendo una condizione psicologica di "intrappolamento". Il sovraccarico di lavoro comporta i segni indicativi del burn-out: esaurimento emozionale, sentimenti più negativi verso gli altri, ridotto senso di realizzazione personale.
    b) La perdita del controllo
    Il burn-out è elevato quando l'individuo perde la sensazione di avere sotto controllo l'assistenza che fornisce. Tale mancanza può derivare da un'organizzazione che impone le decisioni, soprattutto operative, senza lasciare al soggetto operante la possibilità  di parteciparvi direttamente.comunque indipendentemente dalla ragione per la mancanza di autonomia, la percezione di non avere il controllo sugli esiti importanti del proprio lavoro determina l'insorgenza di sentimenti di frustrazione e di colera, oltre che di fallimento ed inefficienza.
    c) La relazione con i colleghi
    Se la relazione con i colleghi è alterata, essa diviene un'importante fonte di stress emozionale che contribuisce allo sviluppo dell'esaurimento emozionale e di sentimenti negativi verso le persone.
    Gli autori sottolineano che se certi ambienti di lavoro sembrano ideati per favorire i conflitti tra colleghi anzichè la cooperazione, in parte anche alcuni atteggiamenti dei soggetti assumono un peso rilevante, come ad esempio, la difficoltà  a chiedere aiuto, o a condividere i propri sentimenti, perchè c'è sempre il timore che l'espressione personale possa venire interpretata come segno di incompetenza o di debolezza.
    Sfiducia e distacco tra operatori sono talvolta potenziati se l'istituzione scoraggia i loro incontri (es. le riunioni del personale).
    Infine rilevano che quando non c'è condivisione delle responsabilità , nè lavoro di equipe, ogni singolo operatore è soggetto a maggiori pressioni emozionali.
    Secondo Cherniss e Dantzig (1986) la mancanza di supporto sociale all'interno dell'ambito lavorativo e nel rapporto con i colleghi rappresenta un fattore determinante all'insorgere della sindrome da burn-out. Gli autori hanno descritto i fattori che ostacolano la nascita e lo sviluppo di reti di supporto sociale sul luogo di lavoro: le prospettive teoriche differenti, i diversi livelli di risorse, stato o potere, la struttura organizzativa ( ad esempio i lavoratori in prima linea distanti dalla direzione dal punto di vista organizzativo), gli impegni personali esterni alla professione che limitano il supporto sociale, l'esistenza di un protocollo organizzativo che limita i contatti sociali e un elevato turn over del personale.
    Uno studio ha valutato gli effetti del supporto sociale per ridurre o attenuare la relazione tra gli aspetti negativi del contesto lavorativo e il burn-out tra le infermiere (Constable, Russel, 1986). I dati si basano su un campione di infermiere alle dipendenze di un centro medico militare degli Stati Uniti. àˆ stato osservato come i fattori determinanti per l'instaurarsi della sindrome fossero rappresentati da un basso livello di valorizzazione del lavoro (autonomia, orientamento dell'attività , chiarezza, innovazione e benessere fisico), dalla pressione lavorativa e dalla mancanza di sostegno direttivo. Questi indicatori, associati a variabili demografiche e legate al lavoro sono in grado di spiegare una varianza del 53% per quanto riguarda l'esaurimento emotivo, componente fondamentale della sindrome da burn-out. Sembra pertanto che il personale sanitario sia sensibile all'instaurarsi della sindrome quando opera in situazioni in cui non viene stimolato all'autonomia, quando i compiti sono poco definiti, le regole e le politiche non vengono comunicate in modo chiaro, quando mancano varietà  e nuovi approcci professionali e l'ambiente di lavoro non è molto attraente e piacevole.
    d) Importanza di un feedback positivo
    Il feedback dai superiori è particolarmente importante perchè indica all'operatore la qualità  della sua prestazione lavorativa e come eventualmente potrebbe migliorare (critica costruttiva) e comunque è un segnale di riconoscimento e stima. Troppo spesso questo feedback non è dato correttamente: a volte è vago da non trasmettere alcuna informazione utile e più spesso si limita ad essere una critica rispetto ad una prestazione non soddisfacente (feedback negativo).
    e) Buona organizzazione
    Anche l'organizzazione e l'amministrazione di un'istituzione contribuiscono al burn-out. Se i suoi obiettivi non sono chiari, se i ruoli dei dipendenti sono mal definiti, se la comunicazione tra amministrazione e personale non è nè chiara nè di reciproco sostegno, per l'operatore sarà  particolarmente difficile offrire buoni servizi, terapie, assistenze. L'operatore deve sentire di appartenere ad un contesto organizzativo ove non ci sono favoritismi, dove vige l'equità  come principio fondamentale, nel rispetto dell'individuo e del lavoratore.
    FATTORI SOCIO-CULTURALI
    La velocità  e la facilità  con cui lo stress professionale porta alla sindrome di burn-out dipendono da numerosi fattori sociali e culturali. Alcuni di questi fattori sono stati messi in evidenza da C. Cherniss nella sua importante opera del 1983 sul burn-out (Cherniss, 1986; Rossati, Magro, 1999):
    a) Incremento della domanda
    La disgregazione del tessuto sociale comporta un grave aumento delle varie forme di disagio psicosociale e quindi un aumento della domanda ai servizi sociali. Gli operatori sociali si trovano a fronteggiare un maggior numero di utenti con maggiori problemi, spesso senza un proporzionale aumento delle risorse a loro disposizione. Questa situazione aumenta lo stress degli operatori e può portare al burn-out.
    b) Diminuzione del sostegno informale
    Contemporaneamente all'aumento del disagio, si verifica una diminuzione o una scomparsa totale delle istituzioni informali di sostegno sociale: per esempio, è scomparso il poliziotto di quartiere che rappresentava una guida morale oltre che un tutore della legge (soprattutto negli Stati Uniti); anche la parrocchia non possiede la stessa influenza morale e psicologica di un tempo. Così, tutto il sostegno sociale e psicologico dei soggetti disagiati è a carico delle istituzioni formali: i Centri di Igiene Mentale, i Servizi per i tossicodipendenti, le comunità . Di conseguenza, lo stress degli operatori delle istituzioni formali tende ad aumentare.
    c) Sfiducia da parte degli utenti
    Gli utenti non hanno più fiducia nei servizi sociali e nei loro addetti. Sono costretti a ricorrervi spesso, ma si rivolgono ai servizi con astio e aggressività . Anche questo favorisce il passaggio da stress a burn-out.
    d) Svalutazione del lavoro in se stesso
    Un quarto aspetto da prendere in considerazione è la svalutazione sociale del lavoro in se stesso a favore del successo personale e del guadagno economico, con conseguente svalutazione di tutte le professioni sociali - professioni notoriamente poco pagate, nell'ambito delle quali il successo personale è molto relativo - ma in particolare della professione degli insegnanti, verso i quali l'atteggiamento della società  è mutato nel tempo e oggi è diventato opprimente e aggressivo (Rossati, Magro 1999).

    IL MONITORAGGIO DEI LIVELLI DI STRESS NELLO STAFF ALL'INTERNO DEI NUCLEI RSA
    Recentemente, in una ricerca condotta presso l'Istituto Geriatrico "C.Golgi" di Abbiategrasso, gli autori, Vitali, Guaita, Lionello (2004, 2005) analizzano i livelli di stress nello staff dei nuclei Alzheimer. Lo scopo del loro lavoro è da un lato individuare le correlazioni esistenti tra il ricovero in unità  speciali di cura e stress dei familiari, dall'altro valutare il punto di vista dello staff attraverso la misurazione dello stress e il giudizio sulle condizioni di lavoro all'interno delle stesse unità .
    MATERIALI E METODI
    Il periodo nel quale si è svolto il monitoraggio nei suddetti nuclei Alzheimer è compreso tra dicembre 2001 e aprile 2003, e durante tale periodo sono stati valutati 9 Infermieri professionali e 45 Addetti all'Assistenza, attraverso la somministrazione di 174 interviste di prima valutazione, 149 scale di valutazione RSS (Relative Stress Scale), 88 rivalutazioni con RSS, 80 valutazioni clinico-funzionali di pazienti, 54 questionari somministrati allo staff. Il personale e i familiari appartenevano ai nuclei di degenza temporanea e di lungo-degenza dell'Istituto Geriatrico. Dopo l'esecuzione di un intervento di miglioramento ambientale di uno dei due reparti di lungo-degenza Alzheimer è stato riproposto il questionario di valutazione. Una terza fase è stata condotta nell'estate del 2004 attraverso la somministrazione di un questionario anonimo somministrato a 20 Infermieri Professionali e 79 Addetti all'Assistenza.
    RISULTATI
    Per quanto concerne lo staff del settore Alzheimer risulta una correlazione inversa significativa tra anzianità  di lavoro e livelli di stress: per anzianità  di lavoro maggiori si evidenziano valori di stress più bassi. Questo potrebbe significare, sostengono gli autori che lo sviluppo di competenze specifiche connesse con l'esperienza lavorativa, e parallelamente, formativa consente agli operatori di tollerare meglio situazioni potenzialmente stressanti e facilita l'adattamento al proprio ruolo, proprio come accade per i familiari, che sembrano adattarsi al ruolo in funzione della durata del periodo di caregiving.
    Inoltre, chi tra il personale ritiene che il rapporto con i familiari sia utile percepisce il proprio lavoro come interessantenell'85% dei casi, coloro che invece ritengono problematico il contatto con i parenti, percepiscono come interessante il proprio lavoro solo nel 62% dei casi.
    Si evidenzia anche, che fattori esterni al lavoro possono influenzare la capacità  dello staff di condividere l'esperienza del caregiving con i familiari e di percepire positivamente il rapporto con essi. Infatti anche nella letteratura presa in esame si rileva che il giudizio sul lavoro è fortemente influenzato dai fattori di contesto sia familiari che ambientali. Infatti chi ha una situazione familiare ottima, trova nell'80% dei casi il lavoro interessante, mentre chi ha una situazione familiare buona lo percepisce come tale nell'82%, chi ha una situazione sufficiente nel 65% e chi ha una situazione mediocre trovava stressante il lavoro nel 100% dei casi.
    Tra gli elementi contestuali ha importanza però anche la qualità  dello spazio di degenza/lavoro, sia per lo staff che per i familiari dei malati. Lo si può constatare osservando i mutamenti intervenuti prima e dopo l'intervento di miglioramento ambientale in uno dei due nuclei Alzheimer. Infatti nella ricerca si è rilevato una riduzione dello stress percepito dallo staff ed è migliorato il giudizio dei familiari in relazione alla qualità  delle cure ricevute, dell'impegno degli operatori e della qualità  assistenziale.
PARTE 2

LA GESTIONE DEL BURN-OUT: GLI INTERVENTI POSSIBILI
Il cambiamento di atteggiamento verso le persone, spesso inconsapevole, che segue a una fase di squilibrio tra le risorse personali disponibili e le richieste percepite, con vissuti di ansia, tensione e irritabilità , può portare l'operatore ad adottare un modello lavorativo stereotipato, caratterizzato da procedure rigide e standardizzate. La scelta di questo modello, che aiuta a ridurre o annulla completamente il rischio di coinvolgimento e di identificazione, non sembra però essere la soluzione allo stato di disagio in quanto non agisce sulle cause che lo determinano.
Un intervento che può invece avere un valore preventivo è quello formativo. Rispetto al tema degli interventi formativi, Leiter (Maslach, Leiter, 1999) mise in relazione di proporzionalità  diretta l'incidenza del burn-out e il lasso di tempo intercorso dall'ultimo corso di aggiornamento professionale. Infatti l'intervento di formazione può facilitare nell'operatore il riconoscimento di alcune variabili esterne e interne di rischio insite nelle professioni di aiuto: problemi emotivi personali irrisolti, correlati con le esperienze del paziente, l'eccessiva identificazione, la personale sensibilità  alla sofferenza altrui, la continua esposizione all'esperienza dolorosa dell'altro. La formazione può anche rappresentare un importante sostegno al processo di separazione dall'angoscia del paziente e alla soddisfazione per il lavoro.
Al di là  della formazione, è necessario che vi sia una buona organizzazione capace di impedire la nascita di quei fattori ambientali che facilitano la comparsa del burn-out.
Maslach ritiene che la gestione del fenomeno sia possibile a livello individuale e a livello socio-istituzionale.
LA GESTIONE INDIVIDUALE
Maslach (1992) propone alcune tecniche per far fronte alla situazione: alcune implicano il proprio stile di lavoro, altre invece sono dirette e focalizzate sullo stile di vita.
** Tecniche relative allo stile di lavoro:
- "Stabilire degli obiettivi realistici": gli operatori professionisti dell'aiuto tendono spesso a ideali elevati, ma i possibili risultati del proprio lavoro devono essere ben definiti in termini concreti. Insita nella definizione di mete realistiche c'è il riconoscimento dei propri limiti oltre che delle proprie capacità .
- "Fare la stessa cosa in modo diverso": riuscire a modificare la metodologia di lavoro senza modificare l'attività  professionale. se l'operatore modifica la routine di lavoro (anche i compiti quotidiani più comuni possono essere gestiti in modo diverso), può modificare la sua sensazione di essere fossilizzato, inerme, impotente, elementi che poi si traducono in frustrazione e ansia , inoltre l'operatore potrà  avere una maggior senso di autonomia e libertà .
- "Creare dei momenti di pausa": ovvero un breve intervallo da inserire nel contatto con gli utenti. Deve essere una pausa rigenerante, in cui la persona può rallentare il ritmo. Le pause ufficiali dal lavoro (pausa per il caffè, per il pranzo), rappresentano uno procedura standard nella maggior parte dei luoghi di lavoro. Possono costituire opportunità  ideali per la ricarica emozionale, ma sfortunatamente qualche volta sono usate male e in modo da aggravare il burn-out (es. se l'operatore nella pausa ne approfitta per recuperare del lavoro arretrato).
- "Prendere la cose con più distacco": l'autrice suggerisce, quando la situazioni e inizia a farsi molto intensa, di fare un passo indietro e osservarla in termini più astratti e intellettuali, "oggettivando" la situazione stessa. Inoltre, l'eccessivo coinvolgimento emozionale può anche essere ridotto se il lavoratore terminato l'orario di lavoro, non presta più i suoi pensieri per analizzare e considerare anche a casa, i problemi degli utenti.
** Tecniche relative allo stile di vita
- "Accentuare i lati positivi". Le relazioni di aiuto tendono alla negatività , molto spesso i problemi passano in primo piano e si focalizza soltanto l'aspetto legato alle difficoltà . L'autrice sostiene invece l'importanza, per controbilanciare questa tendenza alla negatività , di mettere attivamente in risalto quanto c'è di buono, di piacevole o di soddisfacente nel contatto con gli altri. Risulta fondamentale che l'individuo, sappia creare l'occasione perchè avvengano cose positive, l'occasione per il feedback positivo, la cui rilevanza è già  stata indicata.
- "Conoscere sè stessi", privilegiando l'autoanalisi (purchè, sostiene l'autrice, essa sia costruttiva, non distruttiva) allo scopo di individuare capacità  e debolezze personali, attraverso l'auto-osservazione.
- "Riposo e rilassamento": per alleviare tutta quella serie di sintomi fisici che sono caratteristici di chi è sottoposto ad uno stress cronico e che comprendono tensione muscolare, aumento della pressione sanguigna, disturbi allo stomaco.
- "Tracciare i confini": Maslach afferma che le persone che lavorano in ambienti ad elevata pressione emozionale hanno bisogno di elevata decompressione: uscire completamente dall'alta pressione dall'ambiente di lavoro prima di poter entrare nella "pressione normale" della vita privata. Molte attività  di decompressione non contemplano l'esercizio mentale, mentre lo è l'esercizio fisico, ricercando ad esempio uno spazio di solitudine.
Banalmente, ma indispensabile, tracciare dei confini netti tra lavoro e casa significa che terminato l'orario di lavoro, ci si allontana sia in senso fisico che psicologico.
Infine l'autrice sottolinea l'importanza di coltivare una vita propria oltre il lavoro, verificando nelle sue ricerche ad esempio che le persone che godono di una ricca vita emotiva e coltivano una famiglia, sono meno vulnerabili al rischio di burn-out.
LA GESTIONE A LIVELLO SOCIO-ISTITUZIONALE- "Ricercare la solidarietà  tra colleghi, basata sulla fiducia". I colleghi infatti rappresentano una inesauribile fonte di aiuto, di conforto e sostegno emozionale, di comprensione della situazione in atto e inoltre riprestano per effettuare comparazioni rispetto ai propri sentimenti e alle proprie azioni, quando non si ritengono più appropriate e opportune. Inoltre i colleghi possono rappresentare la fonte per le gratificazioni e i feedback positivi.
- "Partecipare alle decisioni e alle attività  del gruppo", pur mantenendo la propria identità .
- "Apportare modifiche all'ambiente di lavoro". Operare modifiche e determinare miglioramenti nel posto di lavoro rientra effettivamente nella sfera delle possibilità , contrariamente allo scetticismo spesso manifestato per cui le organizzazioni sarebbero troppo grandi e i loro sistemi troppo consolidati per poterli cambiare: è più facile adeguarsi allo status quo, sino a che questo non esige un prezzo troppo alto, in termini di avvicendamento del personale, assenteismo, prestazioni scadenti. Le idee nuove possono arrivare dall'interno, essere suggerite dal personale o dall'amministrazione, ma anche provenire da consulenti esterni, in particolare quando i dipendenti sono troppo toccati dal problema per riuscire a vedere obiettivamente soluzioni possibili.
Tra le proposte più diffuse per qualsiasi problema, compreso il burn-out, si rileva la richiesta di più personale, più fondi, più tempo, più attrezzature. Indubbiamente una maggiore quantità  di tali risorse allevierebbe parte delle pressioni che producono il burn-out, tuttavia la possibilità  di ottenere più risorse in questi tempi di restrizioni economiche è altamente improbabile.
Si può pertanto agire e modificare l'organizzazione del lavoro, operando ad esempio una ridistribuzione del lavoro in maniera da evitare sovraccarichi e situazioni stressogene, rendendo il lavoro più vario e interessante. Ad esempio si possono alternare compiti che impegnano molto le energie emozionali a compiti non impegnativi in grado di controbilanciare i primi.
L'autrice rileva inoltre la possibilità  di agire sul burn-out, modificando il rapporto con gli utenti, dopo aver identificato quegli aspetti del contatto che potrebbero provocare tensione emozionale. Purchè un cambiamento sia efficace deve essere ovviamente costruito su misura per le esigenze e le caratteristiche specifiche dell'organizzazione. Maslach ad esempio riporta che una fonte di tensione nel contatto tra operatori e clienti è la discrepanza tra obiettivi e aspettative. A ciò si potrebbe rimediare rendendo le comunicazioni molto più dirette, chiare. Si possono esplicitare quelle aspettative spesso poco espresse e avere maggiore chiarezza nella presentazione degli obiettivi, che talvolta appaiono confusi.

VALUTAZIONE DEL LIVELLO DI BURN-OUT NEL LAVORO DI CURA CON ANZIANI ISTITUZIONALIZZATI

Alcuni autori (Fabbo, Bedini et al., 2005) hanno svolto una ricerca presso una Residenza per anziani in provincia di Reggio Emilia con l'intento di verificare la possibile presenza di burn-out all'interno della stessa e l'eventuale miglioramento di questa situazione tra il personale, in rapporto all'introduzione in struttura di un programma riabilitativo.
Il programma prevedeva l'utilizzo di tecniche di Reality Orientation Therapy e di Terapia Occupazionale rivolta agli anziani che presentavano decadimento cognitivo di grado moderato-severo; tale evento era teso a migliorare la performance psicofisica degli ospiti. Il livello di burn-out è stato misurato mediante l'utilizzo della Maslach Burnout Inventory, strumento che misura i tre aspetti della sindrome: esaurimento emotivo, depersonalizzazione, mancanza di realizzazione personale. La scala è stata somministrata dagli autori a tutto il personale della struttura (operatori sanitari e sociali) prima dell'inizio del programma terapeutico rivolto agli ospiti e ripetuta a 3 mesi di distanza alla fine del primo ciclo delle terapie stesse.
I risultati ottenuti in questa ricerca evidenziano delle modificazioni di atteggiamento del personale tra la prima e la seconda valutazione; in particolare per quanto riguarda l'esaurimento emotivo si nota un decremento: dal 28% di soggetti con basso esaurimento emotivo (EE) ad un 36% alla seconda valutazione; i soggetti con medio EE passano dal 42% al 36%, mentre i soggetti con alto EE calano dal 30% al 28% e questo denota chiaramente una riduzione dello stesso.
Anche per quanto riguarda la depersonalizzazione (DP) si è verificata una modificazione dei valori: la quota di soggetti con bassa DP passa dal 44% al 60%, i soggetti con media DP passano dal 28% al 16% mentre la percentuale dei soggetti con alta DP scende dal 28% al 24%. Tali valori indicano un attenuarsi di questo tipo di sensazione da parte degli operatori. Allo stesso modo analizzando il senso della realizzazione personale (PA), l'aumento dei valori rilevati indica un incremento di questa, a suggerire un netto miglioramento della percezione dell'importanza del proprio ruolo nell'ambito della propria professionalità . Infatti la percentuale dei soggetti con bassa PA passa dal 78% al 48%, la percentuale dei soggetti con media PA passa dal 26% al 32%, mentre si nota un incremento significativo dei soggetti con alta PA, dal 5% al 20%.
Lavorare con gli anziani, affermano gli autori aumenta il rischio di burn-out per le peculiari caratteristiche di questo tipo di utenti: sono spesso fragili, hanno più patologie croniche che tendono a peggiorare, mettono spesso a rischio la loro autosufficienza. Chi lavora con gli anziani spesso si sente impotente di fronte a tutte queste problematiche e si sente incapace di portare valido aiuto. Se questi sentimenti si instaurano nell'operatore, progressivamente affiora un senso di inadeguatezza che "apre le porte2 alla frustrazione in campo professionale e di conseguenza al burn-out. I risultati di questa ricerca però inducono a ritenere che l'introduzione di un programma terapeutico riabilitativo rivolto ai pazienti con decadimento cognitivo, determinando un miglioramento della performance psicofisica dei pazienti, abbia influito positivamente sul personale. Infatti i miglioramenti che si sono registrati nei pazienti trattati da un lato hanno reso più gradevole il lavoro di assistenza da parte degli operatori e, dall'altro hanno rafforzato il senso di autostima degli operatori stessi in quanto tutto il personale ha contribuito attivamente al recupero dei pazienti partecipando alla parte informale delle terapie applicate.

SUPPORTO SOCIALE E BURN OUT

J. Halbesleben (2006), ha realizzato una ricerca della letteratura presente in materia di burn out e una meta-analisi relativamente all'argomento del supporto sociale, considerando tutti gli studi e le analisi sperimentali che prendono in considerazione una correlazione tra questi due elementi. Egli ha preso in esame tutti gli studi in cui si misurava il livello di burn out, sia attraverso la scala MBI, ma anche attraverso altri tipi di scale, come l'Oldenburg Burnout Inventory, analizzando la corrispondenza tra gli items presenti nelle diverse scale. Il punto di partenza è rappresentato dal modello COR (Conservation of Resources Model) del burn out, proposto da Hobfoll (1988). Secondo tale modello si teorizza una specifica relazione tra il supporto sociale e il burn out. L'autore empiricamente sviluppò una lista di 74 risorse rilevanti suddividendole in due gruppi:
- le risorse sociali relative all'ambiente di lavoro, come il sostegno tra colleghi, oppure la possibilità  di sentirsi compresi dai superiori;
- le risorse sociali relative all'ambiente extralavorativo, come la presenza di relazioni significative, con un partner, con i figli, con amici.
L'autore sosteneva che le risorse sociali sono molto importanti perchè contribuiscono a rinforzare quegli aspetti positivi di sè, soprattutto nella criticità  del momento in cui, la persona sta vivendo forti tensioni e si sente minacciato di subire delle perdite (capacità  lavorativa, relazionale, legate all'immagine di sè e al proprio senso di autoefficacia e conseguentemente alla propria autostima).
Nonostante sia largamente diffusa la convinzione che il supporto sociale è associato ad un basso livello di burn out, in realtà  la precisa natura di tale corrispondenza, in relazione anche agli aspetti multidimensionali della sindrome di burn out, non è ancora stata precisamente delineata.
Halbesleben, in questa meta-analisi si propone pertanto di analizzare l'effetto relativo e specifico delle diverse fonti di supporto sociale alle quali un lavoratore a rischio può attingere, proprio in relazione alle tre diverse dimensioni del burn out: esaurimento emozionale, spersonalizzazione, senso di una ridotta realizzazione personale (Maslach, 1982, 1993).
L'autore secondo i risultati della sua ricerca ha concluso che in generale il supporto sociale non è correlato differentemente alle tre dimensioni del burn out, nonostante, se ci si sofferma ad esaminare l'interazione tra le diverse fonti si supporto sociale e le tre dimensioni della sindrome, appaia che il sostegno in ambito lavorativo è più strettamente correlato alla presenza della dimensione "esaurimento emozionale", mentre le risorse esterne all'ambito lavorativo sembrano maggiormente in relazione alle dimensioni "depersonalizzazione" e "ridotta realizzazione personale".
L'autore riporta quanto affermato da Leiter (1993), secondo cui la "depersonalizzazione" e "il ridotto senso di realizzazione personale" appaiono conseguentemente alla prima comparsa dell'esaurimento emozionale, quindi quest'ultimo elemento sarebbe strettamente legato alla risorsa del supporto sociale, tanto che gli effetti del sostegno in ambito lavorativo hanno un'influenza positiva diretta sull'esaurimento emozionale, contribuendo ad una sua diminuzione e solo indirettamente, in un secondo tempo hanno un'influenza anche sul senso di ridotta realizzazione personale e la depersonalizzazione. In altri termini, l'individuo cercherebbe aiuto e sostegno all'esterno dell'ambito professionale solo dopo aver raggiunto la fase della "depersonalizzazione e del senso di ridotta realizzazione personale" in seguito alla sperimentazione di un vissuto di esaurimento emozionale.
L'autore sostiene pertanto che esiste un'area di implicazione per la "conservazione e l'utilizzo" (COR Model) delle risorse di sostegno sociale, ma essa necessita ancora di definizioni più chiare e accurate. Tra i limiti della sua analisi ad esempio egli rileva la difficoltà  di interpretare e distinguere tra le risorse non lavorative che forniscono supporto alla persona in condizione di burn out, da quelle "risorse" che rappresentano contemporaneamente anche la fonte di stress, sia a causa di difficoltà  vissute a loro volta in ambito lavorativo, o in ambito familiare. Inoltre appare particolarmente complesso separare gli effetti del supporto sociale presente in ambito lavorativo da quello presente in ambito extra-lavorativo, considerando che esiste una profonda integrazione sociale dei ruoli professionale e non professionale in ogni persona attiva in questi due fronti.

LA PREVENZIONE DEL BURN-OUT

Bernstein e Halaszyn illustrano le seguenti responsabilità  ( Bernstein, Halaszyn, 1999):
LE RESPONSABILITA' DEL SINGOLO
a) Responsabilità  verso se stesso:
- Conoscere le proprie motivazioni: perchè si è scelta questa professione?
- Conoscere i propri limiti (fallimenti, errori, antipatie, automatismi, bisogni) e i limiti del servizio (poco denaro, poca conoscenza, scelte non facili);
- adeguare le proprie aspettative alla realtà  (di se stessi, del servizio, degli utenti);
- «pensare positivo» senza farsi sopraffare dai pensieri irrazionali controproducenti (cioè da quello che W. R. Fairbairn chiama il "sabotatore interno");
- badare alla salute fisica;
- controllare lo stress:
## stabilire obiettivi chiari e precisi per il controllo dello stress;
## programmare le strategie per raggiungere tali obiettivi (il controllo dello stress non può essere improvvisato, va pianificato per tempo);
## realizzare con gradualità  ciò che si è programmato;
## verificare regolarmente obiettivi e strategie (nel tempo cambia lo stress e di conseguenza devono cambiare le modalità  con cui lo si controlla);
## gratificarsi per i risultati ottenuti nel controllare lo stress;
- programmare la propria crescita professionale e personale: frequentare corsi universitari, corsi di aggiornamento, workshop, seminari; entrare in organizzazioni professionali o avviarne.
b) Responsabilità  verso gli utenti
La parola chiave è: professionalità . Più un operatore è professionale nei confronti degli utenti, maggiori sono le probabilità  che non vada in burn-out. La "professionalità " comprende, tra le altre cose: rispetto, cortesia, assenza di giudizi morali, concretezza, interventi il meno invasivi possibile, atteggiamento proattivo, assenza di coinvolgimento sentimentale. La mancanza di professionalità  provoca sensi di colpa e autosvalutazione, quindi stress e, a lungo andare, burn-out.
c) Responsabilità  verso i colleghi
- Usare rispetto e cortesia;
- Comunicare in modo completo ed efficace:
## Ascoltare con attenzione, riformulando le idee dell'interlocutore e verificando le proprie percezioni;
## essere attenti alla comunicazione non verbale;
## essere attenti al contenuto emozionale del linguaggio;
## utilizzare esempi concreti;
## evitare il gergo professionale;
## mettere per scritto gli accordi raggiunti;
## dire solo ciò che può essere reso pubblico;
## usare il feedback in modo efficace;
## essere chiari (vincendo la paura di prendere posizione, di disconfermare le aspettative degli altri, di non piacere, ecc.);
## chiedere aiuto all'interlocutore se non si riesce a comunicare adeguatamente con lui;
- Evitare, se possibile, le relazioni sentimentali/sessuali.
d) Responsabilità  verso i superiori
- Usare rispetto, cortesia, comunicazione completa ed efficace (come nei confronti dei colleghi);
- utilizzare una certa diplomazia;
- stabilire un rapporto del tipo "adulto-adulto"; evitare di rapportarsi come "bambini" nei confronti di un "genitore";
- non aspettarsi un rapporto di amicizia al di fuori dell'ambiente di lavoro.
LA PREVENZIONE PRIMARIA
In ambito di selezione del personale, la prevenzione consiste nell'individuare gli operatori "a rischio" di burn-out. Gli operatori "a rischio" sono quelli le cui caratteristiche di personalità  sono le stesse che possono diventare fattori soggettivi di stress.
Dopo aver individuato tali operatori tra i candidati, i responsabili della selezione possono: a) escludere i candidati; b) selezionare i candidati e costruire un progetto individuale di prevenzione per ciascun operatore "a rischio".
LA PREVENZIONE SECONDARIA
Sono poche le prove scientifiche che dimostrano l'efficacia delle misure di prevenzione nella sindrome di burn-out, anche se sono state individuate alcune valide strategie a seguito di un'attenta osservazione della routine giornaliera degli operatori assistenziali e dopo aver sperimentato alcune strategie per il trattamento della sindrome. Il successo di questi interventi dipende in gran parte da un ambiente organizzativo favorevole e dalla collaborazione a ogni livello (Quaderni di sanità  pubblica).
a) Tecniche specifiche di prevenzione
Mosher e Burti raccomandano le seguenti tecniche specifiche di prevenzione (Mosher, Burti 1991)
## Esercizi didattici mirati:
Come forma di prevenzione, l'èquipe può eseguire esercizi didattici centrati su argomenti specifici, nell'ambito dei quali l'esperto esterno, o uno specialista interno, può trasmettere nuove conoscenze e nuove tecniche finalizzate a ridurre lo stress professionale (in particolare la componente relativa all'utenza). E' compito del Direttore Sanitario garantire che i bisogni dell'èquipe ricevano risposta tempestiva e adeguata.
## Gruppo per la soluzione dei problemi ("gruppo staff")
Al bisogno, lo staff si riunisce in gruppo e affronta i problemi sorti tra gli operatori. Le riunioni riservate allo staff sono una sorta di "terapia" per gli operatori, che hanno modo di chiarirsi utilizzando momenti e spazi predefiniti. Il gruppo può essere condotto dal Direttore Sanitario ma, secondo Mosher e Burti, sarebbe preferibile un supervisore esterno. Questi incontri devono essere programmati per rispondere ai problemi che via via si presentano.
## Discussione dei casi problematici con consulente
Regolarmente l'èquipe si riunisce per discutere i casi difficili e complessi. L'incontro deve essere centrato sui problemi clinici (dei singoli utenti o di gruppi di utenti) e deve sostenere le posizioni individuali degli operatori, con le loro divergenze, senza perdere di vista l'obiettivo di far emergere alla fine un consenso di gruppo. E' opportuno che l'incontro venga condotto da un consulente che conosce gli utenti. Scopo principale degli incontri è di sviluppare approcci individualizzati ai problemi particolari di ogni utente ("programmazione terapeutica"). A seconda della tipologia dell'utenza, quando operatori e utenti concordano sull'utilità  di ascoltare il punto di vista degli utenti stessi, questi ultimi possono essere invitati a partecipare alla riunione.
## Apprendimento di nuove tecniche
L'apprendimento di nuove tecniche educative può avvenire in occasione di esercizi didattici mirati, in supervisione o durante le discussioni dei casi problematici. L'importante è che gli operatori mettano in pratica le nuove tecniche all'interno di gruppi di colleghi da cui si sentono appoggiati.
## Supervisione
La supervisione è uno dei momenti più importanti della prevenzione. Lo scopo è monitorare le condizioni psichiche degli operatori (relativamente all'ambito professionale).
## Feste
Le feste sono un altro modo per assicurare la coesione, la fiducia e il rispetto reciproco all'interno dell'èquipe. Le feste devono aver luogo al di fuori del setting professionale. Mosher e Burti raccomandano almeno due o tre feste serali all'anno.
## Amicizie
I rapporti di amicizia tra operatori al di fuori del setting rappresentano un altro metodo di prevenzione del burn-out. I Direttori devono considerare tali amicizie qualcosa di apprezzabile, ma che sostanzialmente non li riguarda.
b) Compiti specifici del Direttore
Secondo Bernstein e Halaszyn, il Direttore tecnico ha i seguenti obblighi nei confronti degli operatori (Bernstein, Halaszyn, 1999):
- Essere accessibile;
- essere coerente;
- chiarire gli obiettivi del servizio e i poteri degli operatori;
- rispettare tutti, anche gli operatori in disaccordo con lui;
- essere riservato;
- coinvolgere il più possibile gli operatori nelle decisioni;
- fornire un feedback completo ed efficace; tale feedback deve:
## essere proattivo (cioè deve mettere in risalto gli interventi che vanno continuati piuttosto che quelli da non ripetere);
## limitarsi a una situazione specifica;
## tenere da parte i sentimenti del Direttore;
## riguardare solo i comportamenti o le condizioni che dipendono dall'interlocutore;
## arrivare al momento giusto;
## includere una verifica di chiarezza (il Direttore domanda all'interlocutore di parafrasare quanto ha sentito);
- formare gli operatori con l'esempio;
- esprimersi in pubblico solo con parole di apprezzamento;
- criticare (costruttivamente) gli operatori solo in privato.
In particolare, secondo alcune indicazioni tratte dal Cherniss (1980, 1992) e Cherniss e Dantzig (1986), sarebbe importante applicare alcune strategie; la prima centrata sull'individuo a livello di staff, la seconda centrata sull'individuo a livello manageriale, la terza centrata sull'organizzazione:
## Gestione dello stress
I diversi approcci al trattamento o alla diminuzione del burn out dipendono notevolmente da tecniche elaborate nel settore della gestione dello stress, che affermano gli autori, hanno dimostrato di essere efficaci anche nella prevenzione della sindrome. Gli autori inoltre suggeriscono la necessità  di insegnare agli individui quelle che definiscono "tecniche di negoziazione organizzativa", che permettono all'individuo di risolvere i conflitti interpersonali che provocano tensioni, di superare limitazioni burocratiche e di garantire un adeguato sostegno per intraprendere iniziative nuove. Queste tecniche implicano un "modo di confrontarsi con le barriere e i conflitti organizzativi, che incoraggia un certo grado di distacco analitico e di riflessione attiva - un atteggiamento volto alla risoluzione dei problemi nell'ambito delle difficoltà  organizzative-".
Chi opera in contesti che offrono scarse possibilità  di esercitare un controllo personale sull'ambiente di lavoro è obbligato a ricorrere innanzitutto a metodi per affrontare la situazione centrati sull'individuo. Se il lavoratore non è in una posizione che gli permette di equilibrare il rapporto tra le richieste e le risorse intrinseche del lavoro. Questi metodi gli permettono di acquisire una maggiore tolleranza; le tecniche di gestione del tempo e gli esercizi di rilassamento possono aiutarlo in ciò.
Un gruppo di lavoro, sostengono ancora gli autori, in grado di offrire sostegno rappresenta uno strumento di incalcolabile valore per aiutare gli individui a gestire lo stress; insieme, i lavoratori sono in grado di elaborare metodiche efficaci per affrontare le richieste professionali, e il sostegno reciproco all'interno di un gruppo è di aiuto per reintegrare l'energia emotiva esaurita. Un gruppo di lavoro che sia di sostegno è inoltre in grado di controbilanciare l'impoverimento delle relazioni personali che può incrinare la capacità  degli operatori sanitari di sostenere delle relazioni terapeutiche. Anche Pines e Aronson (1998) individuano nella costruzione di un team, uno strumento valido per bloccare o alleviare il burn-out. Le reti di sostegno sociale, tra cui i colleghi della stessa organizzazione e gli operatori di gruppi professionali simili operanti in altre organizzazioni, rappresentano un mezzo per scambiare opinioni innovative sui compiti gestionali, far fronte alle tensioni e sviluppare un percorso professionale.
Si può intervenire per migliorare le capacità  dei singoli lavoratori di affrontare le situazioni, insegnando loro tecniche come il rilassamento progressivo dei muscoli. Gli interventi educativi volti all'incremento della tolleranza personale nei confronti delle tensioni professionali implica anche approcci cognitivi quali il training autogeno, il biofeedback, la desensibilizzazione sistematica. Il vantaggio di questo tipo di interventi è rappresentato dal costo relativamente economico, oltre che dal fatto di offrire ai lavoratori un momento di incontro e uno strumento motivazionale per il cambiamento a livello individuale. Lo svantaggio è rappresentato dall'attenzione prestata "alla vittima" più che all'organizzazione. I critici ritengono che gli interventi educativi rappresentino una forma di "colpevolizzazione della vittima", che solleva l'organizzazione dalle sue responsabilità . Cherniss (1992) sottolinea che questi interventi possano avere un'efficacia di breve durata, definendo questo come "temporary workshop high".
## Formazione dei supervisori
Risulta importante creare programmi di formazione manageriale e di sviluppo per il personale di supervisione, dedicando particolare attenzione a quegli aspetti del ruolo che creano maggiori difficoltà  ai professionisti. I supervisori possono essere sollecitati a elaborare uno stile più consultivo e a sviluppare maggiore attenzione e apertura alle indicazioni dei dipendenti. Un metodo indicato dagli autori per far sì che i lavoratori percepiscano l'interesse nei confronti delle loro idee e dei suggerimenti che possono offrire al manager è costituito dalla raccolta di feedback attraverso periodiche richieste anonime.
## Strategie centrate sull'organizzazione
Cox e Leiter (1992) hanno analizzato l'impatto degli ambienti professionali sugli individui dal punto di vista della salute dell'organizzazione. Hanno individuato tre diversi contesti che condizionano lo status psicologico dei lavoratori: il contesto relativo ai compiti, quello relativo alla risoluzione dei problemi e quello dello sviluppo.
- il contesto dei compiti riguarda l'elaborazione dei compiti e la loro significatività  che si ritiene critica per lo sviluppo della soddisfazione professionale e per rendimenti ottimali. Gli autori sostengono che la mediocrità  dei contesti relativi ai compiti in moti casi accresce l'esaurimento emotivo a causa dello spreco di energia dei lavoratori in compiti spesso privi di significato.
- il contesto relativo alla risoluzione dei problemi, riguarda i sistemi attraverso cui gli individui operano congiuntamente per affrontare i problemi e prendere le decisioni. Per ottenere contesti sani di risoluzione dei problemi è necessario possedere gli strumenti che permettono un processo decisionale globale e un sistema di comunicazioni efficace. Al contrario, quelli mediocri indeboliscono l'ambiente sociale dell'organizzazione e contribuiscono al senso di depersonalizzazione, oltre ad aggravare ulteriormente l'esaurimento emotivo. Il miglioramento del contesto di risoluzione dei problemi richiede interventi mirati alla costruzione di un gruppo, che stimolano la capacità  di elaborare dei membri del gruppo stesso, nonchè la formazione di supervisori per sviluppare la loro capacità  di delegare in modo efficace.
- Il contesto dello sviluppo riguarda i sistemi necessari per il miglioramento delle capacità  e delle possibilità  di carriera del personale, e comprende sia l'apprendimento intrinseco dell'attività  professionale stessa che specifiche possibilità  di formazione. Un forte contesto di sviluppo migliora la sensazione di efficacia professionale e di soddisfazione personale; un contesto debole provoca disperazione e apatia. Il miglioramento del contesto dello sviluppo richiede un'analisi approfondita dell'atteggiamento esplicito ed implicito dell'organizzazione nei confronti dello sviluppo delle abilità .
Per elaborare questi contesti di organizzazione è necessario che la direzione rivaluti i propri valori fondamentali e i propri modi di agire, ammettendo che il burn-out rappresenta una reazione a determinati aspetti del contesto dell'organizzazione stessa.

CONCLUSIONI: IL BURN OUT VERSO UN RICONOSCIMENTO ISTITUZIONALE
La sindrome del burn-out pur essendo conosciuta da tempo, come è stato descritto nel primo capitolo, non ha ancora ricevuto un'adeguata attenzione, è stata invece sottovalutata, banalizzata. Il burn-out non comporta rischi quali l'infortunio o la morte, diversamente da altri pericoli sul lavoro. Il deterioramento cronico dei sentimenti e delle abilità  nel corso del tempo non è evidente come una crisi immediata. Di conseguenza, si tende a sottovalutarne i rischi. Quando una persona inizia a manifestare i primi segnali di burn-out, non lo fa in modo eclatante, anzi tende a mantenere apparentemente gli stessi ritmi di lavoro, seppure non come prima, così da non minacciare la produttività  generale. Inizialmente infatti il burn-out appare solo la "lamentala" di un isolato individuo, che, non sa ammettere il proprio fallimento. Tale prospettiva è completamente errata.
Come già  analizzato, il burn-out non è una malattia che colpisce l'individuo, ma il segnale evidente di una grave disfunzione all'interno del luogo di lavoro. In tale contesto, esso merita una grande attenzione. I costi emotivi e finanziari sono troppo elevati per permettere che venga ignorato, il cambiamento e le modifiche da mettere in atto e programmare non coinvolgono in prima istanza il singolo individuo, quanto l'organizzazione, specialmente nell'attuale scenario socio-economico.
Il compito di realizzare e valutare gli interventi rivolti a gruppi di lavoro o politiche organizzative è estremamente impegnativo perchè è necessario delineare l'intervento dal punto di vista concettuale, elaborare modalità  che "attraggano" il sostegno dell'amministrazione, oltre che a individuare obiettivi di intervento specifici e valutabili e misurare queste "costruzioni concettuali". àˆ difficile, inoltre elaborare interventi standard in grado di adeguarsi alle condizioni specifiche di ogni singola organizzazione e che riflettano gli interessi delle persone più coinvolte. àˆ necessario sperimentare diversi tipi di intervento in contesti differenti prima di poter individuare i principi generali che regolino gli interventi relativi al burn-out (Quaderni di sanità  pubblica).
A livello istituzionale compare per la prima volta un primo segnale di attenzione e di riconoscimento della sindrome del burn-out, nel Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 dove essa rientra tra le "patologie da rischi emergenti".
Si riporta testualmente:
"Per quanto riguarda le malattie professionali, la loro valutazione include un rapporto stretto tra lo studio dei rischi attuali e pregressi e le tendenze in atto nelle patologie legate al lavoro.
Accanto alle patologie da rischi noti, acquistano sempre maggior rilievo le patologie da rischi emergenti, non necessariamente legate a rischi nuovi, rispetto alle quali sono iniziati approfondimenti soprattutto negli ultimi anni. Tra queste si segnalano:
- patologie dell'arto superiore da sovraccarico meccanico,
- patologie da fattori psico-sociali associate a stress (burn-out, mobbing, alterazione delle difese immunitarie e patologie cardiovascolari)
- patologie da sensibilizzazione,
- patologie da agenti biologici,
- patologie da composti chimici,
- tumori di origine professionale,
- effetti sulla salute dei fattori organizzativi del lavoro".
Tra gli obiettivi segnalati nel testo del Piano Sanitario Nazionale, si citano:
- "riduzione dei rischi per la salute e progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro,
- riduzione dei costi umani ed economici conseguenti ai danni della salute dei lavoratori,
- miglioramento dell'accertamento e dell'evidenziazione delle malattie professionali".
In conclusione, si ritiene che la sindrome di burn-out, che rappresenta un processo evolutivo che si instaura quando i livelli di tensione professionale sono eccessivi e prolungati, sia una patologia professionale molto complessa, legata alla presenza di molte variabili, di natura individuale, organizzativa e socio-istituzionale. àˆ inoltre una patologia da non sottovalutare e forse ancora poco studiata in modo accurato e analitico, nonostante sia conosciuta da decenni. Inoltre tutti i Servizi operanti in campo sociale dovrebbero fare consistenti investimenti per organizzare seriamente la prevenzione, superando una concezione ancora molto comune secondo la quale la sindrome di burn-out è una malattia del singolo. La prevenzione rimane probabilmente la migliore e più ottimale forma di investimento a lungo termine.
Citando le parole di Christina Maslach: «un grammo di prevenzione vale quanto mezzo chilo di cura» (Rossati, Magro, 1999).

 

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