SCUOLA / UNA CATEGORIA IN CRISI: È SCOPPIATO IL PROFESSORE. UN'INCHIESTA DE L'ESPRESSO RIVELA LE ANSIE E LE FRUSTRAZIONI DEI DOCENTI ITALIANI. CHE SI AFFIDANO SEMPRE DI PIÙ AGLI PSICOFARMACI. E TU COSA NE PENSI? RACCONTA LA TUA ESPERIENZA (di Fiamma Tinelli, da L'Espresso del 9/10/2003) |
Stressati. Frustrati. E con tanta angoscia addosso da dover ricorrere
sempre più spesso all'uso di psicofarmaci. Eccoli, gli insegnanti
italiani. Non tutti, certo. Ma sempre di più. Si chiama Burnout
Syndrome, all'inglese (burnout: bruciato, scoppiato). È uno
stato di grave stress che si manifesta con ansia, depressione, patologie
psicosomatiche. Ed è sempre più frequente, dalle materne
fino ai licei. Lo dichiara la Fondazione Iard, che da anni si occupa
di indagini psico-sociali nel mondo della didattica, e che ha appena
concluso una ricerca, intervistando più di 1.200 insegnanti.
"Il campanello d'allarme è suonato un anno fa, quando
abbiamo tirato le fila di uno studio sulle condizioni di stress
di diverse categorie di lavoratori", spiega Vittorio Lodolo
D'Oria, medico Inpdap e membro delle commissioni incaricate di valutare
le domande di pensionamento antic ipato per motivi di salute. "Il
confronto fra le categorie
CRISI DI PANICO DAVANTI ALLA LAVAGNA TRE INSEGNANTI, TRE STORIE. "SENZA PSICOFARMACI NON AVREI POTUTO LAVORARE" ROBERTA G. 50 ANNI , MAESTRA ELEMENTARE A MILANO "Paura. Nell'ultimo anno, la sensazione dominante è stata questa. Un nodo alla gola, il respiro tagliato: entrare il classe era un incubo. È cominciato quattro anni fa, quando è arrivato in classe un ragazzino rom. Una situazione disastrosa in famiglia, fratelli coinvolti in storie di droga. Era violento con gli altri bambini, mi derideva. Ho segnalato la cosa al dirigente scolastico, mi dicevano: porta pazienza. E continuavo con la tachicardia, mi mancava il fiato. In quinta il bambino ha cominciato a minacciarmi: "So dove abiti, vengo con i miei fratelli". Un giorno ho avuto un attacco di panico di fronte alla lavagna: non so come ho fatto a restare in piedi. Ho chiesto una visita medica, e per la prima volta ho sentito parlare di burnout. Mi hanno dato sette mesi di inabilità. Ora sono fuori dalla scuola, sto meglio, tra poco andrò in pensione". ELISA P. 42 ANNI PROFESSORESSA DI MATEMATICA IN UNA SCUOLA MEDIA DI GENOVA. "È cominciato tutto tre anni fa. Nella nostra scuola
è arrivata una collega di italiano e i rapporti con lei si
sono subito rivelati difficili. Mi contraddiceva davanti ai genitori,
faceva battute su di me al preside. Il primo anno ho cercato di
capire cosa c´era alla base dei suoi comportamenti, il secondo
l´ho affrontata. Nessun risultato. Intanto cominciavo a perdere
il sonno, a sentirmi ansiosa. Ho avuto qualche episodio di vertigini.
E l´estate scorsa, in vacanza, ho cominciato ad avere attacchi
di panico. Fino all´ultimo, terribile, che mi ha colta in
aereo. Appena atterrati, mio marito ha chiamato il medico: "Lei
è un po´ stanca e ha paura di volare. Prenda queste
gocce". Paura di volare io? Mai successo. Ma le gocce le ho
prese e sono stata meglio. Qualche BENEDETTA D. 53 ANNI, DOCENTE DI SCIENZE IN UN LICEO DELLA PROVINCIA DI NAPOLI. "Io nella sindrome di burnout ci sono ancora dentro. Nella
scuola in cui lavoravo fino a un anno fa, nel 2000 è arrivato
un nuovo preside. Ha cominciato subito a corteggiarmi con insistenza,
e io gli ho fatto capire che non gradivo le sue attenzioni. Dopo
pochi mesi, le prime rappresaglie: un ritardo minimo alla riunione,
un´inesattezza sul registro, qualsiasi cosa giustificava una
lettera disciplinare. Ne ho ricevute 15. Cercavo il sostegno dei
colleghi, ma niente: avevano paura di essere coinvolti. Sono rimasta
completamente sola. E sono entrata in depressione: senza psicofarmaci
non sarei riuscita a lavorare. Tutte le mattine, prima di andare
a scuola, piangevo: non solo per il sopruso del preside, ma per
il vuoto che mi hanno fatto intorno i colleghi, il ISTRUZIONI PER POST-SCHIZZATI COME LIBERARE LA MENTE DALLE OSSESSIONI: UN LIBRETTO DIVENTA UN CASO di Edmondo Berselli Chi è il professor Giulio Cesare Giacobbe, e perché si parla di lui? Semplice, è l´autore di un pamphlet (edito da Ponte alle Grazie), 124 pagine e 9 euro che promettono di rovesciarvi l´esistenza. Appena apparso in libreria ha bruciato la prima tiratura. Sarà per il titolo: ´Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita´. Letteratura trash? Manualistica cheap?"Una sciocchezza", secondo l´autore: "A giudicare dal titolo, questo libro sembra una belinata". Dal che si capisce che Giulio Cesare Giacobbe opera a Genova. A Genova si è laureato in filosofia, poi ha studiato psicologia in California, e adesso sempre all´Università genovese ha la cattedra di Fondamenti delle discipline psicologiche orientali. Belinata o no, il libro è "un manuale pratico di autoprevenzione e autoterapia delle nevrosi". E qui bisogna storicizzare. Perché la vicenda degli ultimi quarant´anni è costellata di autori eccentrici, sulle cui opere diverse generazioni hanno cercato e smarrito un equilibrio mentale. I pre e post-sessantottini si sono perduti nelle teorie di Wilhelm Reich, altri si sono divertiti con gli estremismi simbolici di Groddeck. Ma forse il testo più classico è quello di Robert Pirsig, ´Lo Zen e l´arte della manutenzione della motocicletta´: il quale, con la scusa di raccontare viaggi, esperienze mentali e motociclette, divulgava tutta la storia della filosofia. Ma opere di questo tipo andavano bene allorché la figura sessantottesca del ´giovane´ era altamente culturalizzata. Ma con le generazioni di oggi, con gli ´addict´ della sega mentale che affollano le università, ci voleva un testo sacro diverso. Eccolo a voi. "Questo libro l´ho scritto sollecitato dai miei studenti", dice Giacobbe. E in effetti l´opera ha una storia singolare. Era circolata nelle librerie genovesi in forma di dispensa, vendendo semi-clandestinamente qualche migliaio di copie. Alla fine, richiamato dal tam tam, uno scopritore di talenti editoriali lo ha portato nel gruppo Longanesi. Il tempo di stamparlo e di farlo uscire, e il libro è stato preso d´assalto. Evidentemente le seghe mentali sono una malattia diffusa. Anzi, diffusissima. Il professor Giacobbe si rivolge a un target medio di studenti, le cui seghe mentali medie sono del tipo semplice. Lei me la darà? Lui mi tradisce? Di suo, Giacobbe ci mette una propensione per le spiritosate, una voglia goliardica esplicita, un retrogusto forse paternalista del tipo ´istruisce e diverte´. Che cosa siano le seghe mentali è presto detto. Pensare fa male. Il pensiero si rivela fin troppo spesso una sega mentale. È vero che ci sono seghe mentali positive, quelle che generano l´arte, la scienza, la letteratura. Ma sono rarità. In genere la sega mentale è malefica. È un pensiero ossessivo che genera sofferenza, è la concezione autistica secondo cui il mondo è un´illusione, e la realtà esiste solo in quanto noi la pensiamo. Diciamolo meglio: "Le seghe mentali non sono altro che la riproduzione iterata e automatica di pensieri portatori di una qualche tensione, cioè di sofferenza, generata da uno stato di paura, ossia di allarme nei confronti di qualcosa, che il nostro cervello ritiene pericoloso per la nostra incolumità, il più delle volte non reale, ma simbolica". Resta solo da vedere qual è la ricetta per smettere. Be´, è facile. Bisogna fermare il pensiero. Ci si concentra su un oggetto, sulla realtà circostante, si diventa ´osservatori´, e l´ossessione si allenta. Dopo di che, ci sono passi successivi, che sono quelli classici della meditazione orientale. I mantra, la respirazione, l´ascesi spirituale buddista, lo Yoga. Sempre con una dose d´ironia, perché anche lo scopo ultimo della contemplazione può risultare controverso: "Se ti accanisci a raggiungerlo, crei tensione e ricadi nella trappola della nevrosi: cioè delle seghe mentali". Il successo del libro di Giacobbe implica un pubblico ricettivo. Si può quindi presumere che esistano larghe fasce di italiani, giovani e adulti, afflitti dalla varia fenomenologia delle seghe mentali. Tutta gente che sta cercando di sopravvivere nella turbolenza contemporanea, e nel tentativo di riuscirci si inventa fantasmi intellettuali e fissazioni neurotiche. Per questi soggetti clinici, ´Come smettere di farsi le seghe mentali´ risulterà un saggio imperdibile. Perché offre terapie in apparenza semplici, come se la felicità, o la cessazione del dolore, fosse a portata di mano. E poi, come ricorda proprio l´autore, tutti i mantra vengono potenziati se hanno un contenuto religioso o evocativo. Ripetere ´Mio Dio´ anziché ´Coca-Cola´ funziona meglio e produce migliori risultati, se ci si crede. E l´autore, per l´appunto ci crede. Logico allora che la verità trovi un pubblico. Se l´autore ha fede, avranno fede anche i suoi studenti. Ci crederà una platea più vasta di afflitti dalla sindrome della sega mentale. Ci crederanno coloro che pensano che la nostra civiltà deterministica è tutta sbagliata, i no global in chiave new age, gli spiriti romantici, gli ayurvedici. Magia che funziona. Perché l´importante è smettere di farsele, le seghe mentali. Oppure, aggiungerne una nuova. In attesa del prossimo manuale, e della prossima inevitabile ossessione. |