Mediazione: una prospettiva vecchia o nuova?
Il termine mediazione deriva dal tardo latino mediatio-onis
che a sua volta trae origine dal verbo mediare, essere
nel mezzo, interporsi, mantenersi in una via
intermedia; tale parola si mostra particolarmente adatta a indicare
un processo mirato a fare evolvere dinamicamente una situazione di
conflitto, aprendo canali di comunicazione precedentemente bloccati.
Sono state proposte numerose definizioni delle pratiche di mediazione,
quella da me scelta è la seguente: la mediazione è
un processo attraverso il quale due o più parti si rivolgono
liberamente a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti
indesiderabili di un grave conflitto. La mediazione mira a ristabilire
il dialogo tra le parti per poter raggiungere un obiettivo concreto:
la realizzazione di un progetto di riorganizzazione delle relazioni
che risulti il più possibile soddisfacente per tutti.
Lobiettivo finale della mediazione si realizza una volta che
le parti si sianocreativamente riappropriate, nellinteresse
proprio e di tutti i soggetti coinvolti, della propria attiva e responsabile
capacità decisionale1.
I primi segnali del suo imponente sviluppo si sono avuti negli Stati
Uniti; infatti la nascita ufficiale della mediazione si colloca intorno
al 1913, inizialmente venne introdotta nel Dipartimento del lavoro
attraverso il servizio di conciliazione: si rivelò molto efficace
per la risoluzione di controversie lavorative. La mediazione fu inserita
anche in cause civili e nella fattispecie in materia di divorzio (mediazione
di divorzio). Tale salto di qualità avvenne nel 1972 ad opera
di Jim Coogler, un avvocato di Atlanta in Georgia. Coogler nell
introduzione al suo libro 2 scrive:
«Mi sento debitore verso la mia ex-moglie e i due avvocati
che ci hanno rappresentato nella nostra causa di divorzio per avermi
reso consapevole della necessità cruciale di un modo più
razionale e più civile di dividere le nostre strade
».
A partire dagli
anni Settanta e con maggiore enfasi negli anni Ottanta, la parola
e il concetto di mediazione sono andati diffondendosi in Europa con
ampiezza e profondità sempre crescenti, tanto da indurre Jean-François
Six (1990) a definire questo periodo come il decennio della
mediazione3 . Si media nelle crisi industriali e politiche,
nelle cause legali, in occasione di modifiche legislative. Si media
nei rapporti fra il cittadino e le istituzioni, nelle carceri e in
ambito scolastico.
In Europa, la Francia e il Regno Unito da lungo tempo utilizzano la
mediazione e posseggono una legislazione particolarmente avanzata
a riguardo. In Francia agisce da tempo il mediateur de la republique,
che cerca di facilitare i rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione,
svolgendo quella che nei paesi del nord Europa è la funzione
dell ombudsman; in Spagna esiste, oramai da tempo il defensor
del pueblo, e in Cina la mediazione viene affidata ai milleottocento
comitati popolari di
conciliazione che operano a livello di quartiere, di villaggio
o di fabbrica.
Linteresse dellItalia per la mediazione e le sue prospettive
è piuttosto recente.
Nel 1987 comincia lavventura della novella professione, con
la fondazione dellassociazione denominata Ge.A. (Genitori Ancora)
a Milano, ad opera di Fulvio Scaparro e Irene Bernardini. Nello stesso
anno, nasce a Torino Ge.S. (Genitori Sempre), fondato da Sonia Rallo,
con lo scopo di sostenere genitori e figli nelle delicate situazioni
di separazione e divorzio, attraverso la mediazione. Nel 1990 si pianifica,
allUniversità La Sapienza di Roma, la formazione di centri
di mediazione,
cercando di trovare un accordo con la Pretura. La promotrice di questa
iniziativa è Silvia Mazzoni. Negli anni 1993 e 1994 prende
il via anche a Genova il progetto di un centro di formazione alla
mediazione, a cura di Lia Mastrapaolo. Poi è la volta di Bari
e nel 1996 anche la Sardegna è coinvolta in questa campagna
di sensibilizzazione alla mediazione con Savina Pinna.
La mediazione in quanto capacità di condurre due o più
persone alla gestione della contesa non è, come si potrebbe
pensare, uninvenzione delluomo moderno, ma affonda le
sue radici nel lontano Oriente. Nel V secolo a.C., in una Cina sconvolta
dai conflitti per le successioni e illuminata dalla figura sempre
presente del filosofo Confucio, ci si affidava alla mediazione per
ripristinare e mantenere delle relazioni pacifiche tra gli abitanti
dei piccoli centri. Così pure gli anziani saggi dei villaggi
giapponesi assumevano le vesti di mediatore per reintrodurre quellordine
modificato da eventi conflittuali. Anche nellantica Grecia si
può ritrovare la figura del mediatore che nelle situazioni
critiche faceva da intermediario, spesso tra il singolo e la comunità,
e si adoperava per raggiungere un accordo scavalcando luso della
violenza. In Grecia non era raro trovare conflitti tra le città
che venivano gestiti da altre città. Non era raro imbattersi
in città greche di minor importanza, le quali si offrivano
per mediare le controversie tra le grandi città-stato di Sparta
e di Atene. Anche i rappresentanti delle chiese e delle religioni
hanno spesso assunto una funzione conciliatrice nei
conflitti. Nel Vangelo secondo Matteo (18,15-17) si racconta come
Gesù consigli lintervento di una o due persone esterne
quando uninfrazione non può essere regolata direttamente
dalle parti.
La mediazione è una prospettiva sia vecchia che nuova, ma anche
uno strumento vivo che non deve permettersi di arrestare la sua crescita.
Riprende molti aspetti già utilizzati in passato; infatti,
cerca di gestire i conflitti senza portarli direttamente davanti ad
un tribunale o senza limpiego di provvedimenti sanzionatori,
scegliendo un intervento mediativo (non giudicante) di una persona
imparziale in grado di far comunicare, in maniera costruttiva, le
parti.
Se il conflitto appartiene alla natura umana ed è utopico pensare
ad un mondo senza conflitti, oggi la mediazione si pone come una delle
possibili alternative per ridurre gli effetti indesiderabili e distruttivi
di una situazione conflittuale. Nel conflitto esiste unopportunità
di sviluppo e crescita, non deve essere messo a tacere o curato, come
un male della società, piuttosto controllato e gestito perché
è un segnale (sintomo) per ridefinire la situazione.
Di certo latto mediativo punta a mettere le parti nella condizione
di uscire da situazioni di impasse, effettuando un graduale passaggio
da uno stato di confusione e di sofferenza, originato dal conflitto,
ad una condizione di nuovo equilibrio.
Nella società moderna, troppe volte demandiamo la responsabilità
dei nostri conflitti a degli specialisti; da una parte se ne occupano
gli psicoterapeuti o altre figure professionali (questo può
andar bene se si indaga sul passato e leziologia del conflitto
è interna più che esterna), dallaltra ci si libera
dei conflitti affidandoli ad avvocati (questo può andar bene
se si cerca di ottenere il miglior guadagno economico possibile).
Con tali atteggiamenti, in realtà non apportiamo alcuna crescita,
ma solo blocchi e false soluzioni. Chi, più delle
parti in causa, ha una precisa conoscenza del conflitto e delle circostanze
che lo hanno causato, nonché delle strategie per poterlo fronteggiare?
È di certo una domanda retorica a cui la mediazione da una
decisa risposta.
Esiste un problema da dover affrontare; le parti, troppo coinvolte
nel conflitto, dopo aver schierato tutte le loro issues, si trovano
nellimpossibilità di dare spazio alle loro capacità
espressive e molto spesso anche decisionali. La situazione può
cambiare se terzi non giudicanti e imparziali, in funzione di mediatori,
interrompono il processo di inasprimento e mostrano ai contendenti
la strada per poter arrivare a percorsi costruttivi. Le soluzioni
autoritarie dissimulano il problema, soffocano richieste
ritenute legittime, e aumentano in questo modo il potenziale di conflitto
alla base. Il conflitto riemergerà (forse modificato) da qualche
altra parte!
La mediazione si pone lobiettivo di portare le parti interessate
a gestire il conflitto. Lobiettivo è quello di rendere
gli individui protagonisti delle proprie scelte future. Richiede di
non decidere per gli altri: gli antagonisti devono trovare essi stessi
per loro stessi la soluzione dei propri problemi. Due esseri
liberi, ancorché contrapposti, devono trovare da loro stessi
la via di uscita dalla propria impasse.
Contrariamente alla posizione del giudice che decide in nome della
legge, il mediatore non decide al posto di altri4. Altresì,
la mediazione non deve essere imposta, ma voluta da entrambe o tutte
le parti. Difatti, un invio coatto non porta le parti a decidere liberamente
del proprio futuro, anzi le costringe ad una soluzione di convenienza
e non creduta; una decisione così presa, non fa altro che peggiorare
la situazione, in quanto un accordo non elaborato a sufficienza è
il modo migliore perché questultimo venga, prima o poi,
violato. Non tralasciamo il fatto che in alcuni casi la mediazione
è da
considerarsi unalternativa da escludere. Ed è per tali
aspetti che alcune mediazioni riescono bene ed altre no; talvolta
per volontà dei partecipanti (lutente è diverso
dal committente, oppure perché una delle parti o entrambe hanno
gravi problemi di personalità), talvolta delle variabili intervenienti
potrebbero inficiare i risulti della mediazione, talvolta ancora,
a causa del mediatore stesso. Il pericolo cui va incontro la mediazione,
inoltre, è quello di trasformarsi in unoperazione
di «buonismo» cioè di
più subdola conservazione, che non lascia spazio allevoluzione
dei sistemi e delle persone, impedendo -consapevolmente o inconsapevolmente-
la scelta della crescita (growth choice) pur nella salvaguardia dellidentità.5
La mediazione, inserita in un paradigma sistemico-relazionale, abbraccia
un approccio di tipo trasformativo e non di problem solving. Il percorso
mediativo ha precisi intenti educativi, gettando il seme del
cambiamento, non lascia mai le cose così
come stavano. Diventa una filosofia sociale che opta per la negoziazione
ragionata, offre un set/setting in grado di far incontrare i contrari
e di farli convivere, non di ignorarli o addirittura di sopprimerli,
consentendo la sfida del divenire, il passaggio da una condizione
allaltra, la trasformazione continua che è simbolo della
vita, luscita dalla sofferenza non perché la espelle
magicamente o la nega virtualmente, ma perché le offre un senso
più complessivo.6 Uno degli aspetti più importanti
della mediazione è proprio quello di far emergere lautoresponsabilizzazione
di ognuno e con essa la capacità di auto-gestione. In questa
prospettiva il percorso mediativo rientra nelle pratiche di educazione
degli adulti, è unattività educativa di tipo
clinico o psicopedagogico nel senso più pieno del termine.
Leducatore-mediatore pratica la maieutica dato che aiuta la
persona a tirar fuori (ex-ducere) le sue potenzialità (empowerment);
facilita nel soggetto, attraverso una nuova consapevolezza di sé,
il convincimento di essere in grado di trovare la propria strada.
Ovviamente la mediazione esige il cambiamento delle parti in conflitto,
la loro destrutturazione e futura strutturazione; sicché laddove
non cè cambiamento non ci può essere
educazione in atto e laddove non vi è negoziazione ragionata
7 del contrasto sociale e culturale non vi può essere
mediazione. La negoziazione ragionata spinge le persone in lite al
cambiamento, il quale può avvenire soltanto se esse sono disposte
ad ascoltarsi reciprocamente con attenzione, a porsi in una qualche
relazione che consenta di dare luogo ad una situazione terza
innovativa e risolutiva rispetto al punto di partenza, a riconoscersi
reciprocamente come interlocutori validi sul piano del rispetto e
della dignità.
Queste considerazioni portano nuovamente a porre in evidenza la valenza
fortemente educativa della pratica della mediazione; essa si presenta
come socialmente efficiente ai fini della capacità risolutiva
dei problemi, ma anche come pedagogicamente efficace ai fini del processo
auto-formativo delle persone, dal momento che queste ultime sono chiamate
a comunicare in modo adeguato per gestire
in prima persona il prodotto materiale finale della negoziazione cioè
laccordo raggiunto (termine ad quem). Attraverso una proposta
di tal genere il mediatore conduce lindividuo alla dereflessione,
cioè a leggersi in terza persona, a porre una distanza emotiva
fra sé e il proprio problema e allintenzione paradossa
che consiste nel portare mentalmente allestremo parossistico
una situazione difficile in modo da gestirla meglio nel concreto della
vita quotidiana.8 L'esperienza mediativa è, per sua
stessa natura, un "apprendimento" che agisce sulla sfera
degli atteggiamenti, dei comportamenti e delle emozioni; è
un lavoro di lifelong learning, proprio perché considera lindividuo
come unentità sempre in evoluzione e il conflitto diviene
in questa nuova prospettiva una condizione necessaria e fisiologica
della vita, esso con il dis-agio (mancanza di agio e di benessere)
che porta, spingendoci allazione, ci offre una condizione di
apprendimento e una futura promozione al cambiamento. La
mediazione non ha mai fine: è un percorso di «cura di
sé».
1
Castelli S., La mediazione: teorie e tecniche, RaffaelloCortina Editore,
Milano 1996, pag. 5.
2 Coogler J., Structured mediation in divorce settlement, Atlanta
1978.
3 Ibidem, pag. 1.
4 Castelli S., op. cit., pag.33.
5 Schettini B., Dentro il conflitto-oltre il conflitto: la
funzione educativa della mediazione sociale e culturale, in Iavarone
M.C., Sarracino V., Striano M., Questioni di pedagogia sociale, FrancoAngeli,
Milano 2000, pag. 97.
6 Ibidem, pag. 98.
7 Fisher R., Ury W., Larte del negoziato, trad. it., Mondatori,
Milano 1985.
8 Cfr.: Schettini B., Leducatore di strada. Teoria e metodologia
della formazione e dellintervento di rete, Pensa Multimedia,
Lecce 1998, pag. 31.
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