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STIMOLO Inverno 2005 -2006
PRIVACY: PROTEZIONE O SISTEMA POLIZIESCO? M.Sberna
Entro i primi mesi del 2006, la legge sulla privacy obbligherà tutti coloro che hanno un qualche tipo di attività – con o senza scopo di lucro, produttiva o culturale - ad adottare un sistema di sicurezza e di protezione dei dati personali e sensibili di altri cittadini o società, organizzazioni, ecc. che si trovano nei loro archivi.

Le motivazioni addotte per giustificare questi provvedimenti sono contradditorie e piuttosto discutibili. Ognuno è obbligato a concedere o a richiedere il consenso all’uso di “dati personali e/o sensibili” ad ogni passo: per fare l’analisi del sangue; per aprire il conto in banca; per far parte di una Onlus; per inviare una fattura; per ricevere informazioni tramite posta elettronica; per stare sull’elenco telefonico di un qualsiasi gestore. Sono solo alcuni dei possibili esempi. Ma ci sono situazioni in cui accedere ad un indirizzo è utile sia per chi ne entra in possesso, sia per il “detentore”; così come può essere spiacevole che anche chi è autorizzato dalla legge, entri, a volte con violenza, nella vita quotidiana delle persone. Anzi questa opportunità pare quasi un abuso, soprattutto rispetto a quei contesti nei quali l’esistenza del segreto professionale garantiva già in passato la riservatezza. In campo sanitario, psicologico/psicoterapeutico, giudiziario, la protezione dell’utente/cliente e della sua vita privata, fanno parte delle norme deontologiche di comportamento. Può accadere che questo non garantisca da una “fuga di notizie”, ma ciò dipende dalla correttezza e dalla serietà dei singoli professionisti, che neppure una legge punitiva può garantire.

Fino ad oggi, in molti casi le informazioni, anche le più delicate, sono state di dominio pubblico per la mancanza di sensibilità degli addetti ai lavori, che non si preoccupavano in alcun modo del comune sentimento del pudore degli altri. Ora tutto questo avverrà col consenso dell’interessato perché il rispetto della legge richiederebbe investimenti economici di una certa consistenza attualmente impensati. Un esempio per tutti: quante volte un medico ospedaliero fa l’anamnesi di un paziente in corsia? O lo visita e comunica con lui in merito alla sua situazione di salute davanti a tutti gli altri ricoverati? E le comunicazioni del personale paramedico a proposito del “Letto 23” davanti ad altri pazienti (che sia in corsia, in sala d’aspetto o in corridoio dell’ospedale)? Quante volte stando in fila allo sportello di una banca o di un ufficio postale, pur rispettando la “linea gialla” (da non oltrepassare per garantire la riservatezza!) e pur non volendo origliare, si ascoltano informazioni sugli affari altrui? Per ovviare a queste situazioni occorrerebbero modificazioni strutturali degli immobili: in ospedale ci vorrebbero per tutti stanze singole. In banca o alla Posta sarebbero necessari almeno spazi ampi che garantiscano una distanza decente, che impedisce di capire le parole, se non di sentire il suono della voce.

Ma tant’è! Persino gli studi dei medici condotti non sono insonorizzati (nonostante le ville da miliardo che ne sono sede).

Dunque, difficilmente si potranno superare queste situazioni che in alcuni casi sono spiacevoli ed imbarazzanti. Va detto che, per chi avesse cattive intenzioni, la legge rappresenta solo un ostacolo, ma non l’impedimento insuperabile ad acquisire le informazioni volute. A questo si aggiunga che esistono numerosi casi previsti dalla legge sulla privacy, e anche da altre su questo tema, che consentono non solo di acquisire, ma anche di utilizzare le informazioni persino “a danno” del cittadino. I“buoni” non stanno tutti e solo fra coloro che devono garantire l’ordine e la sicurezza, che si tratti di poliziotti o di addetti ai bagagli negli aeroporti, così come alcuni comportamenti non dovrebbero essere ammessi in nessun caso e per nessun motivo aldilà delle leggi esistenti.

In più le eccezioni consentite alla regola sono talmente tante da trasformare qualsiasi individuo in sorvegliato speciale. Satelliti che leggono le targhe, telecamere che controllano il traffico o i clienti di una gioielleria, intercettazioni telefoniche o ambientali, programmi informatici che “risucchiano” attraverso i collegamenti di Internet non solo i messaggi di posta elettronica, ma anche il lavoro svolto attraverso il computer, censimenti periodici, tessere di fidelizzazione ai negozi, supermercati in testa……

Insomma, a chi e perché serve effettivamente tutto questo? Ecco alcune ipotesi:

a- ad estendere il controllo e la diffidenza reciproca fra i cittadini
b- ad aumentare il numero degli “addetti ai lavori” che offrono le loro prestazioni gratuitamente
c- a stimolare la pratica della delazione
d- ad indurre comportamenti omologati
e- a rendere incontrollabile il potere di alcuni su altri
f- ad aumentare la burocrazia.

Prima o poi si arriverà ad un dilemma radicale per definire cosa sia “bene” e cosa “male”.

Ne derivano una serie di conseguenze: a chi spetterà stabilirlo? Quali saranno i principi ai quali attenersi e saranno assoluti, cioè applicabili ad ogni contesto, o avranno le solite varianti (tipo: si può uccidere in guerra e per legittima difesa)? Dove verrà posto il confine fra ciò che il cittadino deve delegare in nome della convivenza comune e ciò che spetta al suo libero arbitrio? Come si distinguerà uno stato totalitario da uno democratico? E così via, a cascata.

La prospettiva è preoccupante, tanto più che ci sono già segnali di comportamenti di dubbia collocazione.

Questa storia della privacy mi pare rappresenti nei fatti una ulteriore invasione dello Stato nella vita privata dei cittadini ed un modo per controllarne i comportamenti che non possono trovare giustificazione nella motivazione protettiva: non siamo tutti incapaci di difenderci – se ce ne fosse bisogno - né siamo privi di mezzi per farlo attraverso la innumerevole varietà di leggi e regolamenti che già esistono. (Metti la tua opinione qui sotto!)

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