Stimolo autunno - 2009 Il lavoro rifiutato e le politiche attive mai nate (E.Georgiakis) La disoccupazione aumenta a vista d'occhio. Se torniamo a fare i conti come un tempo, quando un precario che lavorava tre mesi all'anno non era conteggiato fra gli occupati, scopriamo che la disoccupazione è più vicina al 20% che al 10%. Il paradosso è che a fronte di questa disoccupazione dilagante, abbiamo quasi 4 milioni di immigrati "regolari". Quattro milioni di immigrati che ormai sono regolarizzati come lavoratori dipendenti, prevalentemente in alcuni tipi di mansioni: contadini, manovali ed operai poco qualificati, badanti, domestici e infermieri. Queste mansioni sono fra quelle che "gli italiani non vogliono più svolgere". In un mercato del lavoro razionale, se un tipo di mansione non trova addetti, le imprese cambiano le caratteristiche della mansione. Se un lavoro è pericoloso si investono soldi per aumentare la sicurezza. Se un lavoro è logorante si riduce la durata dei turni. Se un lavoro è in estinzione, gli si aumentano la retribuzione o i benefici. Poi ci sarebbero le politiche attive per l'occupazione. Cioè quegli interventi che possono essere fatti dallo Stato o dagli enti locali per promuovere o rafforzare mansioni, mestieri, professioni o attività in crisi. C'erano dei motivi se i giovani italiani hanno rifiutato certi lavori che poi sono stati svolti dagli immigrati, prima irregolari poi regolarizzati proprio attraverso il lavoro. I lavori rifiutati sono poco retribuiti, quindi una politica attiva avrebbe potuto integrare le retribuzioni di contadini e manovali italiani, con premi, benefici e sgravi fiscali. Per esempio, siccome una retribuzione bassa oggi non consente l'affitto di una casa, la politica avrebbe potuto legare la costruzione e l'assegnazione di case popolari a coloro che svolgevano mansioni di contadino o manovale. I lavori rifiutati sono quelli che richiedono particolari sacrifici.
Il lavoro infermieristico per esempio è molto duro sia nell'iter
formativo che nella fase operativa. Tuttavia, come mai per diventare
medico ci sono state per anni domande all'università molto
superiori ai posti disponibili, mentre per trovare infermieri abbiamo
dovuto importare persone dall'africa? Perchè un medico generico
guadagna 5 volte quello che guadagna un infermiere generico, con soli
2 anni di differenza nella durata dell'iter formativo. Sarebbe bastato
trovare il modo di restringere questa forbice economica o di promuovere
e facilitare l'accesso degli italiani alla scuole per infermieri.
Oggi, che accedere a medicina è più difficile, le domande
per entrare nei corsi per infermeiri aumentano. Le politiche attive non hanno solo l'obiettivo di promuovere le mansioni meno gradite, ma anche quello di sostituirle con nuovi lavori più apprezzati. L'entrata dell'Occidente nell'evo immateriale ha aperto porte prima inimmaginabili. La prima è quella della telematica, che in Italia non si è ancora aperta. Il mercato del lavoro telematico è asfittico, sregolato, sostanzialmente centrato sull'incompetenza e la improvvisazione. Questa asfissia, oltre ad un maggiore sviluppo economico ci ha fatto perdere più di 1 milione di posti di lavoro. La seconda porta è quella dell'economia verde. Siamo in ritardo di trent'anni nello sviluppo di questo mercato del lavoro, con un altro milione di posti di lavoro appetibili mai creati. La terza porta è quella dei servizi alla persona e la quarta è quella dei servizi artistici e culturali. Invece di sviluppare questi due settori facendone mercati professionali e produttori di ricchezza, si è preferito consegnarli nelle mani di un finto volontariato assistito, col risultato che oggi abbiamo qui due milioni di posti di lavoro precari e "neri", invece che due milioni di posti di lavoro effettivi. Le politiche attive hanno scarso impatto se nessuno ne viene a conoscenza. Le iniziative a sostegno dei lavori dunque dovevavo essere pubblicizzate in tutti i modi e sostenute con specifici percorsi di orientamento e di formazione. Che nessuno ha mai pensato di fare. La politiche attive hanno un costo, ma quanto ci costa il fenomeno immigrazione, in termini sociali ed economici? |