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Pubblico vs privato, o "sociale" vs "oligarchico"(Ektor Georgiakis)

Sta tornado di moda (per esempio sul tema dell'acqua) un dibattito tipico degli anni Sessanta e Settanta: quello fra pubblico e privato. L'assunto ideologico che sta dietro a queste parole è che il "privato" è "sottratto" alla collettività, risponde a interessi individuali, confligge col benessere generale; mentre il "pubblico" è controllabile, diretto all'interesse e al benessere generale. E' dubbio che questo assunto sia mai stato vero, ma è certo che oggi sembra palesemente falso. La società post-moderna occidentale è dominata da un'oligarchia, suddivisa in bande e cordate, che usano sia il pubblico sia il privato indifferentemente per tutelare e promuovere i propri interessi.

Il privato è sempre più a proprietà collettiva, anche se controllato da oligarchie. Banche, assicurazioni, multinazionali, fondi pensione e d'investimento, fondazioni bancarie, sono società per azioni possedute da un largo numero di individui. La loro dimensione inoltre le pone al centro di reti enormi di interessi, tutti privati, che spesso si comportano come agenzie ostili alla collettività. I numerosi esempi di indifferenza ambientale, di monopoli mascherati, di lobbysmo corruttore sono evidenti prove della natura anti-collettiva del privato. Il mitico "mercato" che nella letteratura del secolo scorso doveva mettere il consumatore nel ruolo di sovrano e trovare da solo un giusto equilibrio dei prezzi e degli utili, è uscito dall'orizzonte della società post-moderna occidentale. Le oligarchie dominanti aumentano il loro potere sul consumatore e il "mercato" diventa sempre più una mera espressione retorica. In questa deriva, anche la mitica efficienza del privato si traduce in maggiore capacità di sfruttamento del lavoro. Questa natura anti-collettiva non esonera il privato dal ricorso costante al sostegno politico che si traduce in esenzioni, rimborsi, prestiti, finanziamenti, aiuti, provvidenze, salvataggi, protezionismi.

D'altro canto il pubblico è sempre più privatizzato. Nel senso di essere controllato da oligarchie (quando non addirittura da famiglie - essendo spesso le cariche simil-ereditarie); del tutto esonerato dal controllo sociale; sostanzialmente refrattario al minimo rispetto del cittadino. Il mitico ruolo del pubblico come regolatore ed equilibratore "impersonale" si traduce in concreto in un ruolo di complicità o competizione con lo pseudo-privato, per la spartizione del "bottino". I mitici concetti di cittadino sovrano e interesse generale si sono tramutati in una realtà di sudditanza e corporativismo famelico. L'opacità del cosiddetto pubblico è pari o superiore a quella del privato: coloro che controllano il bilancio di un Ente locale non sono di più di coloro che controllano il bilancio di una multinazionale. La partecipazione alle decisioni, che doveva essere uno dei caratteri peculiari del "pubblico", si è ridotta alla farsa elettorale, dalla quale sempre maggiori porzioni di società si astengono.

Pubblico e privato sono oggi solo due forme analoghe della competizione oligarchica e corporativa. Affidare un bisogno generale al privato significa sottometterlo al dominio della logica del profitto per pochi. Affidare un bisogno generale al pubblico significa sottometterlo alla logica del potere per pochi. Il privato si caratterizza per la ricerca del potere attraverso il profitto; il pubblico si distingue per la ricerca del profitt attraverso il potere.

Il conflitto principale dei prossimi anni sarà fra due paradigmi diversi: sociale contro oligarchico. Usiamo questi termini in attesa di inventarne di nuovi, e senza alcun riferimento ai significati che questi termi hanno nel linguaggio corrente. Il sociale è l'area del socius, dell'Altro e del diverso come essenziale e necessario, del noi come cerchio più ampio possibile e a carattere inclusivo. L'oligarchico è l'area dei pochi, degli Altri e dei diversi come nemici o competitori, del noi come famiglia, confraternita, setta, a raggio limitato e a carattere escludente.

I fattori distintivi dei paradigmi "sociale" ed "oligarchico" sono tanti, ma i principali sono cinque:

  • Sovranità vs. Sudditanza del cittadino/cliente
    E' insignificante se l'istituzione sia pubblica o privata, posseduta o gestita da un signolo, un gruppo o un collettivo. Ciò che conta è che il cittadino/cliente, come singolo e come società, ne sia concretamente il sovrano. Il discrimine è la salvaguardia dell'interesse della generalità e non della corporazione dominante.
  • Universalità vs. Famigliarità
    La sovranità del cittadino/cliente può essere riservata ai "famigliari", i vicini, i complici o può essere estesa all'universo dei soggetti. La personalizzazione della logica oligarchica è individuale, quella della logica sociale è universale. Oligarchico è ciò che è sensibile alle esigenze individuali dei propri membri. Definiamo sociale ciò che è attento alle esigenze individuali di tutti.
  • Trasparenza/opacità
    E' sociale quando è trasparente, accessibile, divulgato. E l'onere di questo carattere è dell'istituzione, non del cittadino/cliente. L'oligarchico è opaco, riservato, segreto. La conoscenza è esoterica ed a totale carico del cittadino/cliente.
  • Partecipazione/Esclusione
    Chiamiamo sociale ciò che si distingue per gli ampi spazi di partecipazione, è inclusivo, accessibile, aperto. Oligarchico ciò che è a partecipazione limitata, escludente, selettivo, chiuso.
  • Responsabilità/irresponsabilità
    Sociale è responsabile (capace di rispondere), risponde di quello che fa alla tribuna di osservatori la più vasta possibile, è aperto alle ispezioni, dà spiegazioni. Definiamo oligarchico ciò che non dà risposte, che accetta solo il giudizio "dei pari", che si sottrae all'interrogazione.