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Il mito del merito (Guglielmo Colombi)
Da un po' di tempo il regime ripete il mantra della parola "merito" come se il suo significato fosse ovvio e tutti lo capissero. La scuola deve premiare il merito, gli insegnanti devono essere retribuiti in base al merito, il lavoro deve riconoscere il merito. In realtà nessuno sa dire cosa significa "merito" e come possa essere valutato. Il fatto è che le parole hanno un significato condiviso in una società compatta e solida. Nell'attuale società liquida e disgregata le parole hanno molteplici significati e spesso contradditori.

Prima della scuola dell'Obbligo le scuole meritevoli erano quelle più severe e con più bocciati. Andare alle Scuole Medie era un privilegio d'èlite, quindi le scuole "serie" erano le migliori nella selezione. Andare al Liceo significava prepararsi a diventare membro della "classe dirigente", quindi le scuole Superiori più severe nella selezione erano le più meritevoli.
Dopo la scuola dell'Obbligo il concetto di merito si è ribaltato. Le scuole migliori erano quelle che promuovevano di più. Un processo parallelo ha subito il concetto di merito degli allievi. Prima della scuola dell'Obbligo il merito si fondava sulla disciplina e sulla memoria. Il voto di "condotta" faceva media e le poesie e le date da memorizzare erano in quantità illimitata. Dopo la scuola dell'Obbligo il merito era calcolato sul grado di creatività, autonomia e socializzazione. La puntigliosa memoria è diventata un mezzo demerito, spesso vista come "ripetizione a pappagallo".
Un processo simile è avvenuto all'università. Fino agli anni 60-70 l'università più meritevole era quella più severa. L'allievo più meritevole era quello che sapeva di più e meglio. Poi è arrivata l'università di massa dove il merito era quello della quantità di studenti. L'allievo più meritevole è diventato quello che frequenta e paga le tasse. Oggi tutti gli allievi sono meritevoli perchè le università non possono permettersi di perdere studenti. Presentarsi agli esami è già un merito che raramente viene sancito con una bocciatura. Abbiamo anche finto di applicare il merito ai professori, legandolo al numero delle pubblicazioni. Risultato: i padroni del merito sono le case editrici che pubblicano solo gli articoli e i libri dei professori che le fanno comperare all'università e agli studenti.

Nel lavoro, il concetto di merito è relativamente facile per le mansioni immediatamente legate ai risultati. Meritevole è il riparatore che ripara il guasto; il venditore che vende di più; il ricercatore che offre risultati. Putroppo i lavori visibilmente legati ai risultati sono la minoranza. La gran parte dei lavori o non ha alcun legame coi risultati o ha un legame condizionato dall'organizzazione, dalle norme, dal mercato. Nella maggioranza dei casi non è possibile collegare il merito a qualcosa di diverso dall'arbitrio di chi lo valuta. Quindi, nel merito entrano concetti come il "comportamento normale", il rispetto delle regole, la fedeltà, la sottomissione ai capi: tutte qualità senza legami coi risultati e che rendono impossibile ogni differenzazione fra i singoli individui.
Come valutare il merito del bidello? O dell'impiegato dell'anagrafe? O dell'operaio alla catena di montaggio? O del capo-reparto del supermercato ?
Qualche sempliciotto ha pensato di definire il merito di un ospedale col numero dei decessi fra i pazienti. Per evitare i decessi gli ospedali possono diventare migliori, quindi più meritevoli, oppure possono impegnarsi solo in casi facili e dirottare altrove i casi disperati.

Il termine "merito" deriva dal latino "meritum": cosa meritata, ricompensa, premio. L'etimo è lo stesso di "meretrice" Il che rimanda ad una accezione del termine fondata sul compiacimento: è più meritevole chi meglio soddisfa le pretese e le aspettative di chi giudica.