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Manuale per i candidati alla selezione: per operatori dell'Immateriale in cerca del primo lavoro.

1. Qual è il Tuo vantaggio competitivo?
I giovani operatori dell'immateriale, neo-diplomati, laureandi o laureati in cerca di un lavoro sono quasi sempre all'oscuro di ciò che il mercato chiede loro. La inveterata abitudine mentale ai Concorsi o alle assunzioni per affiliazione, ha fatto perdere di vista gli elementi basici per i quali un datore di lavoro offre o meno un posto di lavoro o una collaborazione.
L'idea che guida molti giovani operatori è quella di prendere un diploma superiore o di laurea, magari con una buona votazione, e ottenere per ciò stesso un diritto all'inserimento al lavoro. L'accento viene posto sul possesso di contenuti inerenti la figura professionale cui il candidato aspira. Nei casi migliori, i laureati in psicologia chiedono un posto da psicologo perché hanno studiato bene Freud, i gestaltisti, le tecniche di somministrazione di un test. I laureati in scienze della Formazione chiedono un posto come formatore sulla base del fatto che hanno studiato bene qualche autore o che hanno fatto qualche mese di stage presso un'impresa. Gli educatori mostrano il loro diploma professionale o la loro laurea, il che dovrebbe bastare.
Insomma tutti puntano essenzialmente sui contenuti dell'iter scolastico compiuto. In realtà l'attestato, la votazione di diploma, i contenuti posseduti sono un elemento molto marginale nella valutazione di un candidato. Tutti conosciamo bene la scuola italiana. E tutti sappiamo che i curricula non hanno quasi riferimento con la pratica lavorativa e le votazioni non rispecchiamo che per caso il reale valore dell'allievo. Oltre a ciò, il problema è che, nei casi migliore tutti i candidati hanno le stesse caratteristiche. Migliaia di psicologi, formatori, educatori, animatori e operatori dell'immateriale in genere hanno un curriculum identico. Cosa dovrebbe spingere un selezionatore a scegliere l'uno o l'altro candidato? Quali sono gli elementi che fanno di un individuo una entità speciale, diversa dalle altre, meritevole di un inserimento in quella organizzazione, al posto delle altre decine che si presentano? Perché un selezionatore deve preferire questo candidato ad un altro? La vicenda di solito cade nel sistema delle raccomandazioni, nella mera casualità, o in variabili molto arbitrarie come l'estetica, l'atteggiamento servile, la simpatia emanata dal candidato. Ciò che i giovani in cerca di lavoro trascurano è di dotarsi di un personale "vantaggi competitivo". Cioè un elemento personale in più, che distingue il soggetto A dal soggetto B, facendo propendere il selezionatore per un candidato sui centro che esamina.

2. Il curriculum

Il curriculum scritto riveste molta importanza, perché è di solito la carta d'identità del candidato. Ormai esistono molte pubblicazioni e molti servizi che insegnano come stendere un curriculum in via formale. Qui dunque ci soffermeremo sulle questioni di contenuto.

3. Il Sapere
E' opinione corrente che indicare una laurea o un diploma indichi ipso facto anche il sapere del candidato. Questo è sempre meno esatto, in un'epoca come la nostra nella quale i curricula tendono a frazionarsi e articolarsi. Per dare un'idea del sapere del candidato non è tanto importante il tipo di diploma finale, quanto l'indirizzo, gli esami sostenuti, i seminari o laboratori frequentati, l'argomento della tesi. In molti casi può essere importante segnalare il o i docenti, coi quali si è appresa una disciplina. Per esempio, se il candidato chiede un lavoro come formatore, è diverso indicare di aver seguito seminari specialistici con un docente arcinoto che ha scritto centinaia di pubblicazioni, o con l'anonimo professore ignoto ai più.
Tuttavia la questione importante, anche se può sembrare strano, non è il sapere dimostrato da un titolo formale, scolastico o accademico. Sia perché decine di candidati in genere hanno lo stesso titolo formale, sia perché tutti sanno che i titoli formali in Italia sono spesso il risultato di una serie di equivoci e piccoli trucchi. Sono altri i saperi che fanno la differenza, cioè forniscono un vantaggio competitivo.
4. Il Saper Essere
Oggi più che un tempo, il vantaggio competitivo deriva dalle competenze psicologiche. Il saper ed il saper fare sono obiettivi facilmente raggiungibili anche sul posto di lavoro, se un giovane dispone delle capacità emozionali adeguate. Il saper essere è invece un insieme di competenze che acquisisce in molto tempo e non senza difficoltà. I giovani spendono anni per imparare la matematica, la letteratura inglese o la biologia, ma investono pochissimo nella "scultura del Sé". La crisi delle tradizionali agenzie educative (scuola e famiglia in primis) ha reso il processo di costruzione psicologica un percorso casuale e fortuito. Resta il fatto che oggi, la scelta di un candidato invece che un altro si basa sull'esistenza di competenze psicologiche, come le seguenti. Chi manda un curriculum deve tenerlo presente e segnalarne, magari con qualche pezza giustificativa (corsi ad hoc, esperienze lavorative o extra-lavoative ecc.), il possesso.

5. Il Saper Fare aspecifico

6. Il Saper Fare (per professione)
Questo è un aspetto che di solito viene trascurato. Chi presenta un curriculum crede che basti parlare di Laurea in Psicologia o Diploma di Perito Turistico. Chi assume forza lavoro ha scarso o nullo interesse per il tipo di diploma del candidato, o meglio, considera il diploma come un pre-requisito. Un diploma di Maturità o di Laurea è per alcuni lavori anche obbligatorio, ma non dice nulla di ciò che il candidato effettivamente sa fare. Non interessa tanto sapere se avete una Laurea in Sociologia, ma se sapete fare una ricerca sul campo e con quali tecniche. La Laurea in Psicologia serve a poco se non potete dichiarare di saper fare bene dei colloqui clinici, dei test o dei gruppi di assestment. Il diploma di Educatore è una bella cosa ma al selezionatore interessa di più sapere quali tecniche educative padroneggiate. La Laurea in Scienze della Formazione è poco significativa se non dichiarate di sapere condurre un gruppo in un setting formativo o fare un progetto di formazione. Ogni lavoro per il quale si inoltra una domanda richiede due o tre conoscenze tecniche specifiche, che costituiscono la giustificazione per un inserimento. Se queste mancano, è evidente lo svantaggio competitivo.

7. Il Colloquio
Solitamente, se il curriculum è passabile, si viene invitati ad un colloquio, individuale o di gruppo. Qui si gioca la vera partita, perché in genere su 100 curricula pervenuti, 20 persone entrano concretamente in competizione per il lavoro offerto. Il problema è dunque il seguente: cosa rende il candidato, il cui curriculum assomiglia ad altri 20 selezionati, talmente speciale da meritare l'inserimento ?

  • La forma: puntualità, documentazione, aspetto
    E' banale ma va detto. Presentarsi ad un appuntamento in ritardo o peggio, sbagliare giorno, è gravissimo; presentarsi troppo in anticipo fornisce un'immagine di ansia. Occorre essere presenti all'appuntamento con 5/10 minuti di anticipo. Nella cartella o borsetta va messa l'intera documentazione che prevedibilmente sarà collegata al colloquio: copia del curriculum, certificati da allegare, copie di eventuali lavori svolti (come la tesi di Laurea o Diploma). Può darsi che non venga richiesto niente, ma fa una pessima impressione quando nel corso del colloquio si parla di un articolo pubblicato, dire che lo si è lasciato a casa. Infine, ma non meno importante è l'aspetto. Occorre ricordarsi che l'abito fa il monaco e che un selezionatore non può fare a meno di trarre delle ipotesi da ciò che vede. Barbe, baffi, capelli, trucco, vestito, scarpe, gioielli, borse, giornali sottobraccio comunicano sempre qualcosa. Va sempre ricordato che ogni selezionatore medio ha avuto una qualche formazione o esperienza nella lettura delle comunicazioni non verbali. Il candidato deve pensare se ciò che mostra è coerente con ciò che vuole che l'esaminatore veda o che il selezionatore potrebbe voler vedere. Non ci sono regole in questo campo, perché tutto dipende dal settore di lavoro e dalla tipologia dell'ente assuntore, oltre che dalle intenzioni del candidato. Tuttavia va ricordato che ogni messaggio non verbale stimola una decodifica e che questa non sempre è coerente con il significato che l'emittente voleva dare. Una cravatta può voler dire "sono un ottimo funzionario" ma anche "sono un bacchettone". Una minigonna molto corta può significare "sono una donna autonoma e moderna" ma anche "voglio sedurti, così mi assumi". Una 24 ore comunica cose diverse da uno zainetto; un paio di Nike producono reazioni diverse da un paio di scarpe col tacco a spillo.
  • Conoscenza del settore
    Quando mi è capitato di selezionare formatori non ho mai mancato di chiedere qual era l'ultimo libro, la rivista, l'articolo del settore che avevano letto: bastava questa domanda per ridurre il numero dei candidati da 10 a 2. Otto su dieci non facevano altro che balbettare. In qualsiasi settore stiamo cercando lavoro, è bene dare al selezionatore l'impressione che quel settore rappresenti un nostro effettivo interesse. E questo si traduce in letture aggiornate, conoscenza delle riviste principali e delle associazioni di categoria più note, partecipazione a Convegni del settore. Qual è il vantaggio competitivo di venti candidati nessuno dei quali mostra di conoscere alcunché del settore in cui chiede di entrare?
  • Conoscenza dell'interlocutore
    Un sotto capitolo della conoscenza del settore è quello che riguarda la conoscenza dell'interlocutore. Chi vuole l'inserimento in un'impresa deve avere una conoscenza sommaria della stessa, nel panorama del comparto produttivo cui appartiene. Non si può chiedere un'assunzione alla FIAT e lasciarsi scappare che ci piacerebbe produrre auto come la Skoda. Non si può aspirare all'inserimento presso la KODAK e affermare che abbiamo una grande esperienza nel negozio di sviluppo e stampa che abbiamo sotto casa. Eppure questo avviene ogni giorno. Certo, magari non si tratta sempre di imprese così famose, ma anche organizzazioni meno famose hanno nel loro comparto un ruolo di leadership, magari di avanguardia, e non apprezzano il fatto che parliate con entusiasmo o magari con spocchia di imprese concorrenti. Se l'impresa in cui volete inserirvi gestisce da tempo una scuola di specializzazione, non è intelligente magnificare una scuola concorrente, o, se si vuole fare, almeno occorre cercare una buona scusa per aver scelto di formarsi altrove. Il fatto è che spesso i candidati non sanno nulla dell'ente presso cui si recano a fare un colloquio, né fanno alcuno sforzo per informarsi prima. E quando capita la fortuna di poter consultare del materiale prima, questo viene scorso in tutta fretta, senza precise attenzioni. Un vantaggio competitivo consiste certamente nel dimostrare al selezionatore che si conosce l'organizzazione per la quale ci si è candidati, che se ne è studiata la configurazione e la posizione nel mercato, che si è inviata domanda a quella impresa proprio perché la si conosceva.
  • Comunicazione
    Un colloquio di selezione è prima di tutto un colloquio, cioè un dialogo fra due o più persone che cercano di conoscersi, per valutare le reciproche compatibilità. Il tutto si basa su parole e su gesti, e a volte anche su performances (quando è prevista qualche prova). Parlare e comunicare in modo non verbale, osservare e ascoltare, è il modo con cui il selezionatore cerca di valutare se il candidato va bene per l'organizzazione, e quest'ultimo cerca di valutare se l'offerta di lavoro è quella che fa per lui. Comunicare significa "mettere in comune", non imbrogliare, né subire, né litigare. Moltissimi candidati non sanno cosa significa comunicare e mettono in atto strani comportamenti. In genere di tre categorie: quelli che barano spudoratamente; quelli che si mettono sdraiati davanti al selezionatore; quelli che vedono nell'interlocutore il nemico. I difetti principali di questi tre tipi di comportamento sono di:

Un addetto alla selezione può essere stupido e impreparato, ma le centinaia di candidati che vede fanno di lui un soggetto da non sottovalutare. E' raro che non si accorga se il candidato mente; è raro che giudichi positivamente un candidato servile, che "non fa domande per non disturbare", che si mostra d'accordo su ogni affermazione del selezionatore; è difficile che non capisca che il candidato vuole solo "un posto" e se ne frega di quale o dove sia. Ammettiamo di riuscire a ingannare il selezionatore, facendogli credere che siamo esattamente la persona che cercava, mentre non è così. Per lui si tratta di un piccolo neo, un meno in un statistica che, su centinaia di casi, non conta. Per il candidato inserito nella posizione sbagliata, l'errore non sarà altrettanto insignificante: mesi di disadattamento, frustrazioni, figuracce, conflitti e se va male, ricerca di un nuovo lavoro dopo un anno. Infine, se il colloquio si basa su una buona comunicazione, anche senza sfociare in un inserimento ora, potrebbe diventare la base per un' occasione futura. Il selezionatore non è il nemico, ma un operatore che cerca di fare meglio che può il suo mestiere. Va ricordato che chi seleziona tiene sempre una piccola o grande banca delle risorse, da usare all'occorrenza.
Ciò premesso si apre qui il grande capitolo delle capacità psicologiche dei candidati, che abbiamo già elencato nel paragrafo del "saper essere". La comunicazione interpersonale e di gruppo è sempre la prova del livello di possesso delle capacità di relazione, di autonomia, di responsabilità e di iniziativa, sopra citate.
Guardare in faccia l'interlocutore, ascoltare con attenzione, usare un tono di voce sereno ma non motonono, non mostrare tic o posture corporee eccentriche, sono piccoli accorgimenti di comunicazione non verbale che valgono in ogni relazione, e quindi da tenere presenti nei colloqui di selezione. Ma è importante anche:

8. Contratto
Un colloquio di selezione ha sempre come obiettivo un contratto fra due soggetti: i candidato e il selezionatore. Non si tratta di fare amicizia, ma di definire i contorni di un rapporto di lavoro. Molti candidati si dimenticano di chiedere quale compenso è previsto; quali sono gli orari di lavoro; quale la sede di lavoro e l'ufficio di destinazione; quali compiti vengono richiesti; quali percorsi di carriera sono possibili. In genere questi hanno anche idee confuse su cosa preferiscono fare e in che modo preferiscono lavorare. Cosa può dare questa impresa al candidato? Cosa può dare il candidato a questa impresa? Sono le due domande chiave attorno alle quali dovrebbe girare un colloquio di selezione. E sono domande che dovono porsi e porre sia il selezionatore sia il candidato.

9. Sapere cosa si vuole
Malgrado le migliaia di progetti per l'orientamento nella scuola, i servizi per l'orientamento di Comuni e Camere di commercio, la mole sterminata di informazioni accessibili, o forse proprio a causa di tutte queste cose, troviamo trentenni che ancora devono decidere cosa fanno da grandi. L'aumento di opzioni, senza una parallela maggiore maturità dei soggetti, provoca più spesso la paralisi che la scelta.. Più opzioni non significa scelte più libere ma scelte dilazionate. L'idea prevalente sembra quella dell'accumulo di esperienze eterogenee, in attesa di una scelta che non viene mai fatta con convinzione. Siccome i giovani considerano possibile ampliare a dismisura il loro orizzonte, e in effetti questo è realistico, ogni scelta viene fatta con un occhio sempre aperto sulle alternative. E' assente l'idea di fare una scelta seria, che vale per un po', fino a quando si cambia. Ogni scelta è fin da subito provvisoria. Può darsi che ciò sia appagante dal punto di vista del giovane, anche se non pullulano i soddisfatti. Di certo non lo è per un selezionatore che si trova a dover valutare curricula che sembrano percorsi casuali nella vita: dal corso di psicoterapia assertiva, al convegno sulla protezione delle foreste, al seminario sull'handicap alla ricerca sul parto in acqua sono solo alcune delle fantasiose tappe curruculari degli operatori dell'immateriale. L'impressione è che il candisato non sia affatto interessato a quel tipo di lavoro o a quel tipo di impresa per cui chiede l'inserimento, ma sia a caccia di un'ulteriore breve avventura, provvisoria e fatta con la mente altrove. Ciò per quanto riguarda la motivazione. La preparazione poi è sulla stessa linea di fragilità confusa. Decine di esperienze qua e là, con impegno svagato, non producono un sapere o un saper fare solidi.
Il candidato che vuole un inserimento tempestivo e soddisfacente, dovrebbe spendere tempo e danaro per un vero programma di orientamento, che lo aiuti a capirsi, a decidere cosa desidera ed a scegliere un percorso coerente con le prime due cose. La domanda che un candidato dovrebbe farsi (almeno fra sé) è la seguente: assumerei uno con la mia motivazione e la mia formazione, per questo lavoro?

10. Quindi, la formazione.
Infine, la formazione. Se ne fa tanta e di ogni tipo, ma troppo spesso di bassa qualità o eccentrica rispetto alla vocazione lavorativa. Anche qui, occorre imparare a scegliere (1). La responsabilità non è ovviamente solo dei giovani, ma il fatto è che loro sono i primi a pagare. Non è colpa loro se i grandi buro-pianificatori che in questi anni possiedono tutta la formazione italiana, non si sono accorti che mancano formatori competenti, esperti di web competenti, animatori competenti, ed hanno speso miliardi per formare bagnini, spazzini da spiaggia, disc-jokeys (2). E' semmai colpa loro il fatto che non si dedicano a ricerche mirate e accorte per scegliere la loro formazione, ma più spesso decidono in base alla vicinanza a casa, alla gratuità, o alla simpatia di questo o quel docente. Per un selezionatore un curriculum formativo, formale o post-diploma, è di valore se:

  • ha una durata consistente ( i corsi di 50 ore hanno raramente senso)
  • è fatto presso enti di formazione competenti e prestigiosi
  • è accompagnato da approfondimenti (ricerche, stages, letture, pubblicazioni, convegni)
  • sia gli studi sia gli approfondimenti sono coerenti fra loro e con la professione prescelta.