Teorie, tecniche ed esperienze nei processi di verifica e valutazione dei Servizi e Progetti Immateriali

 LA VALUTAZIONE (v.originale )

La valutazione è parte e pacchetto dell’istruzione. Tuttavia può essere sperimentata come una difficoltà ed una intrusione inutile. Noi esaminiamo la teoria e la pratica della valutazione ed alcuni dei punti chiave per gli educatori non formali. In particolare, esaminiamo gli educatori come conoscitori e critici, ed il modo in cui possono approfondire la loro teoria base e diventare ricercatori nella pratica.

Molto è stato scritto sulla valutazione nella formazione, la maggior parte è fuorviante e confusa. Molti educatori non formali sono sospettosi della valutazione perché la considerano come qualcosa che è imposta dall’esterno. E’ qualcosa che ci viene chiesto di fare, o che la gente ci impone di fare. Secondo i commenti di Gitlin e Smyth (1989), dal suo significato di origine latina di “rafforzare” o “acquisire potere”, il termine valutazione ha acquisito un risvolto numerico – ora è ampliamente usato per la misurazione delle cose – e in tale processo può facilmente scivolare nel divenire il fine piuttosto che il mezzo.

In questo dibattito sulla valutazione noi focalizzeremo la nostra attenzione su come possiamo riportare al centro del processo le questioni sul valore ( piuttosto che sul significato numerico). La valutazione è parte  e pacchetto dell’istruzione. Noi per essere degli educatori non formali, siamo costantemente chiamati a fare giudizi, a fare teoria, ed a capire se ciò che sta accadendo sia un bene. Noi, secondo le parole di Elliot W. Eisner, dobbiamo essere conoscitori e critici. In questa parte noi esploriamo alcune dimensioni importanti di questo processo; le teorie in questione; l’importanza del considerarci ricercatori d’azione; ed alcune questioni ed opportunità della valutazione nella educazione non formale. Comunque, per prima cosa, dobbiamo spendere un po’ di tempo sul concetto di valutazione.

La valutazione

Per far capire il significato della valutazione voglio esplorare tre dimensioni o distinzioni basilari.

Valutazione del programma o della pratica? In primo luogo, è utile fare una distinzione tra valutazione del programma  o del progetto, e valutazione della pratica.

Valutazione del programma o del progetto. Questa forma di valutazione si occupa tipicamente di fare giudizi sull’efficacia, sull’efficienza e sulla sostenibilità economica di parti del lavoro. In questo modo, la valutazione è essenzialmente uno strumento di amministrazione. Vengono fatti giudizi allo scopo di ricompensare l’ente o i lavoratori, e/o per fornire loro un feedback così che il futuro lavoro possa essere migliorato o modificato.

La prima può esser ben correlata ad alcune forme di pagamento per risultati come il dare indennità per attività di successo, l’invocare clausole di pena per coloro i quali non si considerino aver raggiunto criteri oggettivi, ed alle decisioni per dare ulteriori finanziamenti. La seconda è importante è necessaria per lo sviluppo del lavoro.

Valutazione della pratica. Questa forma di valutazione è diretta all’aumento del lavoro intrapreso con particolari individui e gruppi, ed allo sviluppo dei partecipanti (incluso l’educatore non formale). Questa tende ad essere parte integrante del processo di lavoro. Per rispondere ad una situazione i lavoratori devono comprendere cosa stanno facendo, e come possono intervenire (o non intervenire) al meglio. Allo stesso modo, altri partecipanti potrebbero essere incoraggiati o assumersi l’onere di fare giudizi sulla situazione. In altre parole, essi valutano la situazione ed il loro ruolo. Tale valutazione viene spesso descritta come educativa o pedagogica dato che cerca di promuovere l’apprendimento. Ma questo è solo una parte del processo. L’apprendimento coinvolto è rivolto al futuro o ad ulteriori azioni. Essa si conforma anche ad alcuni valori ed impegni (gli educatori non formali devono essere apprezzati per ciò che potrebbero fare per lo sviluppo umano e per il ‘bene’). Per questa ragione possiamo dire che l’approccio tratta della prassi-azione che è nota e compiuta.

Queste due forme di valutazione prenderanno direzioni diverse. Entrambi sono necessarie – ma come verranno considerate dipenderà dalle prossime due dimensioni.

Valutazione sommativa o formativa? La valutazione può essere sommativa o formativa. La valutazione può essere diretta, principalmente, verso uno dei due fini.

Rendere in grado le persone e gli enti di fare giudizi sul lavoro intrapreso; di identificare la loro conoscenza, i loro atteggiamenti, ed abilità, ed di capire i cambiamenti che sono avvenuti in queste; e di  incrementare le loro abilità a valutare il loro apprendimento e le loro prestazioni ( valutazione formativa).

Rendere in grado le persone e gli enti di dimostrare che hanno realizzato gli obiettivi del programma o del progetto, o di dimostrare che hanno raggiunto il risultato richiesto (valutazione sommativa).

Entrambe possono essere applicate al programma o al lavoro di un individuo. La nostra esperienza sulla valutazione deve essere, con molta probabilità, differente a seconda dello scopo principale. Ad esempio, probabilmente, noi saremo meno sulle difensive per le nostre attività se dovranno fornire un feedback per lo sviluppo di programmi o della pratica.

Tale valutazione non è necessariamente un esercizio facile, e potremmo sperimentarla proprio come una punizione – soprattutto se ci viene imposta. Spesso ci si dirige molto di più verso una valutazione sommativa. Questo può significare la differenza tra avere un lavoro ed essere disoccupato.

Valutazione bancaria o dialogica? Per ultimo, è necessario esaminare la misura in cui la valutazione è dialogica. Come abbiamo già visto gran parte della valutazione viene imposta o richiesta da persone esterne alla situazione. Il tipo di relazione tra coloro che richiedono la valutazione e coloro che vengono valutati è, in tal modo, di fondamentale importanza. A questo punto ci potrebbe essere utile utilizzare due modelli contrapposti. Noi possiamo, utilmente, mettere a confronto il modello dominante o tradizionale che tende a considerare le persone coinvolte in un progetto come oggetti, con un approccio dialogico alternativo che considera tutti i personaggi coinvolti come soggetti. Tale divisione ha molte affinità con la distinzione di Freire’s (1972) tra modello bancario o dialogico della formazione.

Rowlands sulla valutazione tradizionale (bancaria) e alternativa (dialogica).

Joanna Rowlands ci ha fornito un utile sommario di questi approcci alla valutazione. Si è occupata, principalmente, della valutazione dei progetti di sviluppo sociale.

Le caratteristiche dell’approccio tradizionale (bancario) della valutazione.

1)         Una ricerca di oggettività ed un “approccio scientifico” attraverso procedure standardizzate. I valori utilizzati in questo approccio…. spesso riflettono le priorità di chi fa valutazione.

2)         Una super-dipendenza da misure quantitative. Gli aspetti qualitativi.., essendo difficili da misure, tendono ad essere ignorati.

3)         Un alto grado di controllo direttivo, per cui i responsabili possono influenzare le domande che vengono fatte….Altre persone, che potrebbero essere influenzate dalle conclusioni sulla valutazione, potrebbero avere poco input, sia a conformarsi alle domande fatte che a riflettere sulle conclusioni.

4)         Di solito i membri esterni hanno stipulato un contratto per essere valutatori credendo che questo aumenterà l’oggettività, e coloro che “vengono valutati” potrebbero avere una percezione negativa di loro.

Le caratteristiche dell’approccio (dialogico) alternativo alla valutazione.

1)       La valutazione è considerata parte integrante dello sviluppo o del processo di cambiamento ed implica “riflessione-azione”. La soggettività è riconosciuta ed apprezzata.

2)       Vi è un’attenzione per il dialogo, per l’indagine piuttosto che per la misurazione, vi è la tendenza ad utilizzare metodi meno convenzionali come interviste non strutturate e l’osservazione partecipata.

3)       Lo si affronta come un “processo di rafforzamento” piuttosto che un controllo da parte di un corpo esterno. Si riconosce che individui e gruppi differenti avranno diverse percezioni. Vengono valutate la negoziazione ed il consenso occupandosi del processo della valutazione, delle conclusioni raggiunte e delle raccomandazioni fatte.

4)       Colui che fa valutazione acquisisce il ruolo di facilitatore piuttosto che essere un estraneo oggettivo e neutrale. Tale valutazione può essere ben intrapresa da “membri interni”- persone coinvolte direttamente nel progetto o nel programma.

Adattato da Joanna Rowlands (1991) “How do we know it is working? The evaluation of social development projects”, e discusso in Rubin (1995: 17-23).

Noi possiamo considerare, in questi modelli contrapposti, questioni importanti sul potere e sul controllo, e sul modo con cui vengono considerate le questioni coinvolte direttamente nei programmi e nei progetti.

La valutazione dialogica pone direttamente la responsabilità della valutazione stessa sugli educatori e su altri partecipanti al setting (Jeffs e Smith 1999:74).

Essere conoscitori e critici.

L’educazione non formale implica di più rispetto al semplice guadagnare ed esercitare conoscenza tecnica ed abilità. Dipende, anche, se noi coltiviamo un tipo di abilità artistica. In tal senso gli educatori non sono dei tecnici che applicano le loro abilità per eseguire un piano o un progetto, essi sono artisti che sono in grado di improvvisare ed ideare nuovi modi di guardare ai fatti.

Noi dobbiamo lavorare all’interno di un’idea personale ma condivisa del “bene”- un apprezzamento di quello che potrebbe determinare lo sviluppo ed il benessere dell’essere umano. (vedi Jeffs e Smith 1990). Cosa c’è di più, c’è poco che sia abituale o prevedibile nel nostro lavoro. Di conseguenza, centrale a quello che facciamo come educatori è l’abilità a “pensare sui nostri piedi”. L’educazione non formale è guidata dal dialogo e da certi valori ed impegni (Jeffs e Smith 1999:65).

 
Ovale: Valutare


Noi valutiamo cosa potremmo fare ed il nostro ruolo

Ovale: Dedicarsi
 
Ci dedichiamo al dialogo                                                                               

Ovale: Domandare
 

Questo fa sorgere domande                                                               

Ovale: Considerare
 


Consideriamo le domande in relazione a                                                         

ciò che noi consideriamo possa contribuire allo sviluppo dell’essere umano

Ovale: Sviluppare
 


Ciò ci consente di sviluppare una risposta                                             

Suona un po’ pretenzioso descrivere l’educazione non formale come un’arte. Può anche apparire lezioso. Ma questo è un punto serio. Quando ascoltiamo altri educatori, ad esempio nelle riunioni di equipe, o abbiamo la possibilità di osservarli in azione, inevitabilmente facciamo dei giudizi sulle loro abilità. Ad un livello, ad esempio, potremmo essere impressionati dalla conoscenza del sistema di supporto del reddito di qualcuno o dagli effetti di droghe differenti. Comunque tale conoscenza è inutile se non può essere utilizzata nel modo migliore. Noi possiamo essere informati e far ricorso ad una gamma di tecniche, tuttavia la cosa che ci rende speciali è il modo con cui siamo in grado di combinarle e di improvvisare riguardo ad una situazione particolare. Questa è la qualità che stiamo descrivendo come abilità artistica.

Per Donald Schon (1987: 13) l’abilità artistica è un esercizio dell’intelligenza, un tipo di conoscenza. Utilizzando la nostra esperienza noi siamo in grado di sviluppare il massimo, per esempio, sul lavoro di gruppo o sul lavoro con un individuo. In altre parole, noi impariamo ad apprezzare – ad essere consapevoli ed a capire – quello che abbiamo sperimentato. Noi diventiamo ciò che Eisner (1985; 1998) descrive come “conoscitori”. Ciò coinvolge qualità molto differenti da quelle richieste dai modelli dominanti della valutazione.

La conoscenza è l’arte dell’apprezzamento. Può

essere visualizzata in ogni ambito in cui il carattere, l’importazione, o il valore degli oggetti, delle situazioni e delle prestazioni sia distribuito e

variabile, inclusa la pratica educativa (Eisner 1998 : 63).

La parola conoscenza deriva dal latino cognoscere, conoscere (Eisner 1998: 6). Essa implica la capacità di osservare, non soltanto di guardare. Per fare ciò dobbiamo sviluppare la capacità di nominare ed apprezzare le differenti dimensioni delle situazioni e delle esperienze ed il modo in cui sono collegate tra di loro. Noi dobbiamo essere in grado di far ricorso e di utilizzare una vasta gamma di informazioni. Dobbiamo, anche, essere in grado di disporre le nostre esperienze ed interpretazioni in un contesto più vasto, e di collegarle con i nostri valori ed impegni.

La conoscenza è qualcosa che deve essere costruita- ma non è un esercizio tecnico. Riunire degli elementi differenti in un tutto implica abilità artistica.

Comunque, è necessario che gli educatori diventino qualcosa in più rispetto a dei conoscitori. E’ necessario diventare critici.

Se la conoscenza è l’arte dell’apprezzamento, la critica è l’arte della rivelazione. La critica, come ha precisato Dewey in “Art as Experience” presenta come suo fine la rieducazione della percezione. Il compito del critico e di aiutarci ad osservare.

Così..la conoscenza fornisce la critica al relativo argomento.

La conoscenza è privata, ma la critica è pubblica. E’ semplicemente necessario che i conoscitori apprezzino ciò che incontrano. Comunque, i critici devono rendere chiare queste qualità attraverso l’uso artistico della rivelazione critica (Eisner 1985: 92-93).

 

Ci si può rivolgere alla critica come al processo che rende in grado gli altri di osservare le qualità di qualcosa. Come ha espresso Eisner (1998: 6) “la funzione della critica efficace come ostetrica della percezione”. La aiuta a nascere, inseguito la perfeziona e l’aiuta a divenire più profonda. Così, per coloro che vogliono essere educatori il significato di questo è chiaro. E’ anche necessario che gli educatori sviluppino la capacità di lavorare con gli altri così che possano scoprire la verità nelle situazioni, nelle esperienze e nel fenomeno.

Gli educatori come ricercatori di azione.

Schon (1987) parla dei professionisti come “ricercatori in un contesto pratico”. Come affermano Bogdan e Biklen (1992: 223) “la ricerca è uno stato d’animo- una prospettiva che porta le persone verso gli oggetti e le attività”. Per loro, e per noi qui, è qualcosa che possiamo tutti intraprendere. Non è limitata alle persone con una formazione lunga e specialistica. Essa implica (Stringer 1999: 5):

·        Un problema da studiare

·        Un processo di indagine

·        Spiegazioni che rendono in grado le persone di capire la natura del problema

All’interno della tradizione della ricerca azione ci sono due orientamenti di base. La tradizione britannica – in particolare quella collegata alla formazione – tende a considerare la ricerca azione  come una ricerca orientata al miglioramento della pratica diretta. Per esempio, Carr e Kemmis forniscono una definizione classica:

La ricerca azione è semplicemente una forma di indagine auto-riflessiva intrapresa dai partecipanti ad una situazione sociale, allo scopo di migliorare la razionalità e l’esattezza  delle loro azioni, della loro comprensione di queste azioni, e delle situazioni nelle quali le azioni vengono eseguite (Carr e Kemmis 1986:162).

 

La seconda tradizione, forse si avvicina più ampliamente al campo dell’assistenza sociale – e certamente, è la più vasta interpretazione negli Stati Uniti- considera la ricerca azione come “la raccolta sistematica di informazioni che è destinata a provocare il cambiamento sociale” (Bogdan e Biklen 1992: 223). Bogdan e Biklen continuano dicendo che gli esperti in questo campo ordinano prove e dati per rivelare pratiche ingiuste o pericoli ambientali e suggeriscono azioni per il cambiamento. Questa è stata inclusa nelle tradizioni dell’azione dei cittadini e nell’organizzazione della comunità, ma negli anni più recenti è stata adottata dai lavoratori in campi molto differenti.

Per molti aspetti tale distinzione riflette quella che abbiamo già utilizzato tra la valutazione del programma e la valutazione della pratica. Per ultimo ci possiamo, a ragione, proporre di esaminare una particolare parte del lavoro. Possiamo pensare ad esso come ad uno studio della causa – un esame dettagliato di un setting , o di un singolo soggetto, di una singolo depositario di documenti, o di un particolare evento (Merriam 1988). Noi possiamo esaminare ciò che abbiamo fatto in qualità di educatori, quali erano i nostri scopi ed i nostri interessi, come abbiamo agito: cosa abbiamo pensato e provato e così via. Possiamo guardare cosa è successo agli altri partecipanti, le conversazioni e le interazioni che hanno avuto luogo; quello che la gente può avere imparato e come ciò può avere influenzato il loro comportamento. Facendo questo, possiamo sviluppare la nostra abilità come conoscitori e critici. Possiamo migliorare quello che siamo in grado di carpire dagli incontri futuri.

Quando valutiamo un programma o un progetto noi possiamo chiedere agli altri partecipanti di unirsi a noi per esaminare e giudicare i processi in cui sono stati coinvolti ( specialmente se ci occupiamo di un metodo più dialogico alla valutazione). La nostra preoccupazione è di raccogliere informazioni, di riflettere su queste, e di fare alcuni giudizi sul valore del progetto o del programma, e su come può essere migliorato. Questo ci pone nell’ambito  di quello che un gran numero di scrittori ha chiamato ricerca azione basata sulla comunità. Abbiamo proposto sotto un esempio di questo.

Stringer a proposito della ricerca azione basata sulla comunità

La premessa fondamentale della ricerca azione basata sulla comunità è che comincia con un interesse per i problemi di un gruppo, di una comunità o di una organizzazione. Il suo scopo è di aiutare le persone ad estendere la loro comprensione su ciò che gli avviene ed anche di risolvere i problemi che affrontano….

La ricerca azione basata sulla comunità è sempre rappresentata attraverso un esplicito insieme di valori sociali. In contesti moderni di democrazia sociale, viene considerata come un processo di inchiesta che presenta le seguenti caratteristiche:

·        E’ democratica, rende possibile la partecipazione di tutte la persone.

 

·        E’ equa, riconosce il valore dell’uguaglianza delle persone

 

·        E’ liberale, fornisce la libertà da condizioni oppressive e debilitanti. Migliora la vita permettendo l’espressione dell’intero potenziale umano delle persone.

                                                                                                    (Stringer 1999: 9-10)

Il processo della ricerca azione

La ricerca azione lavora con tre fasi di base:

Osservazione – sviluppa un’immagine e raccoglie informazioni. Quando valutiamo noi definiamo e descriviamo il problema che deve essere indagato ed il contesto in cui è collocato. Noi descriviamo anche quello che tutti i partecipanti (educatori, membri del gruppo, organizzatori…) hanno fatto.

Riflessione -attraverso l’interpretazione e la spiegazione. Quando valutiamo noi analizziamo ed interpretiamo la situazione. Riflettiamo su ciò che hanno fatto i partecipanti.Osserviamo gli ambiti di successo ed ogni carenza, questione o problema.

Azione – risolve le questioni ed i problemi. Nella valutazione noi giudichiamo il valore, l’efficacia, l’appropriatezza ed i risultati di quelle attività. Noi agiamo per formulare soluzioni ad ogni problema.

                                                                                      (Stringer 199: 18; 43-44; 160)

Noi potremmo essere in contrasto con un più tradizionale, bancario, stile di ricerca nella quale un membro esterno (o proprio gli educatori che lavorano per conto loro) raccolgono informazioni, le organizzano e giungono a certe conclusioni come al successo o all’insuccesso del lavoro.

Alcune questioni  sulla valutazione dell’educazione non formale

In anni recenti gli educatori non formali sono stati sottoposti a grande pressione per fornire “indicatori di potenza”, “criteri qualitativi”, “ misure oggettive del successo” ed “adeguati criteri di valutazione”. Questo lavoro con i giovani è stato incoraggiato per mostrare come i giovani  si sono sviluppati “sotto l’aspetto personale e sociale attraverso la partecipazione”. Noi affrontiamo un gran numero di problemi quando ci viene chiesto di avvicinarci al nostro lavoro in tale modo. Come abbiamo già visto, il nostro modo di lavorare come educatori non formali ci pone in una prospettiva più dialogica. La valutazione del nostro lavoro in modo più burocratico e meno comprensivo può ben compromettere e rovinare il nostro lavoro.

Ci sono anche alcuni problemi pratici di base. Qua esaminiamo quattro questioni particolari identificati da Jeffs e Smith (1999: 75-6) riguardo alle valutazioni del programma o del progetto.

Il problema delle influenze multiple. Non possono essere analizzate facilmente le differenti cose che influenzano il modo in cui le persone si comportano. Per esempio un educatore non formale che lavora ad un progetto per ridurre il crimine giovanile in due tenute, potrebbe notare che quello con un club della gioventù che apre ogni sera nei giorni lavorativi  presenta meno crimine rispetto alla tenuta senza tale provvedimento. Ma questa differenza, se anche esiste, cosa vuol dimostrare? Potrebbe essere spiegata, come ha dimostrato la ricerca, tramite la differenza nelle norme delle scuole locali, delle pratiche di sorveglianza, degli alloggi, dei tassi di disoccupazione, e della volontà delle persone a segnalare i reati.

I problemi dell’effetto indiretto. Non si identificano facilmente  coloro che possono esser stati influenzati dal lavoro degli educatori non formali. Potrebbe essere possibile elencare coloro con i quali abbiamo lavorato direttamente nel corso del tempo. Comunque, la maggior parte dei contatti sono sporadici e possono assumere persino la forma di singoli incontri. Proprio per questo,  l’effetto indiretto è quasi impossibile da misurare. I nostri sforzi possono provocare cambiamenti significativi nella vita delle persone con cui non lavoriamo. Ciò può accadere mentre quelli con cui lavoriamo direttamente si sviluppano. Considerate per esempio, il riflesso che abbiamo sulle conversazioni con gli altri o sulle idee che acquisiamo indirettamente. Una buona educazione non formale mira a realizzare un effetto di ondulazione. Noi speriamo di incoraggiare l’apprendimento attraverso il dialogo e l’esempio, e possiamo avere soltanto un’idea limitata di quello che potrebbe essere il vero effetto.

Il problema delle prove. Il cambiamento può essere controllato raramente anche su una base individuale. Per esempio, gli educatori non formali, che pongono l’attenzione sull’abuso di alcool all’interno di un gruppo particolare, possono affrontare un problema insormontabile se sfidati a fornire prova di successo. Non potranno misurare i livelli di uso prima dell’intervento, durante il contatto o successivo al completamento del loro intervento. Alla fine tutto quello che l’educatore potrà offrire, nei migliori dei casi, è una prova vaga riguardo al contatto o materiale poco chiaro.

Il problema della scala cronologica. Il cambiamento del genere di cui si sono occupati gli educatori non formali non avviene durante la notte. I cambiamenti nei valori e le modalità con cui le persone apprezzano sé stesse e gli altri, sono notoriamente difficili da identificare – specialmente nel momento in cui avvengono. Ciò che può sembrare normale in un momento, col senno di poi, può essere riconosciuto come speciale.

Ci sono due percorsi classici intorno a tali problemi pratici. Noi possiamo utilizzarli entrambi in qualità di educatori non formali.

Il primo percorso deve intraprendere il tipo di ricerca azione partecipata che abbiamo discusso qui. Quando erigiamo ed eseguiamo programmi e progetti possiamo fin dall’inizio collegare ricerca partecipata e valutazione. La rendiamo parte del nostro modo di lavorare. I partecipanti sono abitualmente coinvolti nella valutazione. Li incoraggiamo a pensare ai processi a cui hanno partecipato ed al modo in cui sono cambiati e così via. Ciò può essere fatto secondo le modalità che si adattano al funzionamento generale delle cose che noi facciamo in qualità di educatori non formali.

Il secondo percorso deve fare i collegamenti tra le nostre attività di educatori non formali e la letteratura della ricerca generale. A tal proposito un esempio è l’appartenenza ad un gruppo o ad un club. Potremmo trovare difficile identificare i benefici concreti per le persone, derivanti dall’essere membri di un gruppo particolare, quale una squadra di calcio o un club sociale. Comunque, ciò che possiamo fare e di considerare, per tali questioni, la ricerca generale. Ad esempio, noi sappiamo che la partecipazione a tali gruppi sviluppa il capitale sociale. Abbiamo prove che:

in quei paesi dove lo stato investe di più in impianti culturali e sportivi, i giovani reagiscono investendo la maggior parte del loro tempo in tali attività (Gauthier e Furstenberg 2001);

più la gente è coinvolta in attività strutturate di svago, in buoni contatti sociali con gli amici e nella partecipazione alle arti, ad attività culturali ed allo sport, di più, probabilmente, agirà bene dal punto di vista educativo, e di meno sarà coinvolta nella delinquenza a basso livello (Larson e Verma 1999).

Sembra che ci sia una forte relazione tra il possesso di un capitale sociale ed una salute migliore. “Come regola pratica se non appartieni ad alcun gruppo ma decidi di unirti a qualcuno, riduci a metà il rischio di morire per l’anno successivo. Se fumate e non appartenete ad alcun gruppo, dovete fare statisticamente testa o croce se dovreste smettere di fumare o iniziare ad unirvi ad un gruppo” (nello stesso: 331). La presenza regolare di un club, far volontariato, intrattenere, o la presenza della chiesa è equivalente alla felicità di ottenere una laurea o a più del raddoppio del proprio reddito. Le relazioni civiche rivali  delle unioni e della ricchezza sono preannunciatrici di felicità di vita. (Putnam 2000: 333).

Tale approccio può funzionare dove c’è un po’ di libertà nel modo in cui potete rispondere ai finanziatori e ad altri riguardo alla valutazione. Dove si è costretti a compilare i moduli che richiedono risposte ad un certo numero di domande noi possiamo ancora usare le valutazioni che abbiamo intrapreso in modo partecipato – e ci può essere persino spazio per introdurre alcuni riferimenti nella letteratura più vasta. Qua il punto chiave è di ricordarsi che siamo educatori – e che abbiamo una responsabilità a promuovere l’apprendimento, non solo fra quelli con cui lavoriamo in un progetto o in un programma , ma anche tra i finanziatori, i responsabili ed i politici. Dobbiamo considerare le loro richieste di informazione come opportunità che operano per aumentare il loro apprezzamento ed a capire i problemi e le questioni della educazione non formale, con cui noi lavoriamo.

Un modello per la pratica valutativa.

Qua possiamo ricorrere al tipo di domande che ci saremmo potuti fare riguardo alla nostra pratica ed alla parti di lavoro che intraprendiamo. Qua possiamo considerare alcune delle domande chiave identificate da Jeffs e Smith (1999).

Jeffs  e Smith sulla valutazione dell’educazione non formale.

Considerando le seguenti dimensioni – e come sono collegate fra loro – noi possiamo iniziare a giudicare o a valutare gli eventi e le esperienze.

 Facciamo questo considerando la nostra comprensione di ciò che determina lo sviluppo umano e del nostro ruolo. Inoltre abbiamo alcune basi su cui prendere le decisioni sul nostro prossimo passo o per pianificare strategie.

Interazioni. Quali sono le loro caratteristiche? Per quali scopi servono? Cosa gli ha dato inizio? In che misura erano educative? Si sono mantenute? Riflettono il genere di valori che stiamo tentando di incoraggiare?

Punto centrale. Quali questioni ed argomenti determinano il punto centrale della conversazione? Quali di questi vengono iniziati da noi, e quali da altri? Quali sono gli argomenti e le preoccupazioni più comuni?

Setting. Dove viene intrapreso il lavoro? Quale setting fisico stimola meglio la conversazione? Qual è l’impatto del setting sull’argomento, sul carattere di quelli con cui lavoriamo e sulla qualità dell’interazione?

Obiettivi. Noi in quanto educatori, come abbiamo pianificato di raggiungere i nostri obiettivi? Chi li ha stabiliti? Quali movimenti abbiamo fatto? Come, all’occorrenza, sono stati alterati e chi li ha influenzati? Che strategie avevano gli altri? Come sono cambiati?

Risultati.Furono stabiliti risultati e se così da chi? Quale sembrava essere il risultato per i differenti partecipanti? Cosa abbiamo appreso dal nostro impegno? Ci sono questioni e domande a cui ci dobbiamo rivolgere? Chi deve sapere questo?

                                                                                                (Jeffs e Smith 1999: 77)

Quando esaminiamo queste questioni dobbiamo essere consapevoli dei nostri valori ed impegni in quanto educatori non formali. In particolare, noi dobbiamo coinvolgere quelli con cui stiamo lavorando ad esaminare tali questioni.

Conclusione

Lo scopo della valutazione, secondo Everitt ed altri (1992: 129) è di  riflettere criticamente sull’efficacia  della pratica personale e professionale. Deve contribuire allo sviluppo del “bene” piuttosto che della pratica “corretta”.

Una volta che le modalità strumentali e tecniche della valutazione dell’insegnamento vengono a mancare sono i generi di rapporti educativi che permettono di fare domande morali, etiche e politiche sulla “correttezza” delle azioni. Quando si basano sulle relazioni educative (distinte da quelle direttive), le pratiche valutative si preoccupano di abbattere i silenzi strutturati e riducono i pregiudizi (Gitlin e Smyth 1989: 161).

La valutazione non è soprattutto conteggio e misura delle cose. Richiede apprezzamento – e per fare ciò noi ci dobbiamo sviluppare  come conoscitori e critici. Ci dobbiamo anche accertare che tale processo di “osservazione, riflessione ed azione” sia partecipativo.

Ulteriore lettura e riferimenti

Per il momento ho elencato alcune guide alla valutazione. Successivamente aggiungerò un po’ più materiale contestuale riguardo alla valutazione nella educazione non formale.

Berk, R. A. and Rossi, P. H. (1990) Thinking About Program Evaluation, Newbury Park: Sage.128 pagine. Introduzione libera con capitoli sui concetti chiave nella ricerca sulla valutazione; progettazione dei programmi; esame dei programmi (usando una prospettiva cronologica). Utile bibliografia critica degli Stati Uniti.

Eisner, E. W. (1985) The Art of Educational Evaluation. A personal view, Barcombe: Falmer.272 pagine. Collezione meravigliosa di materiale sul rendere scientifico un programma di studi e sulle relative alternative. Buoni capitoli sulla disputa di Eisner sulla conoscenza educativa e sulla critica. Non un ricettario piuttosto un modo di orientarsi.

Eisner, E. W. (1998) The Enlightened Eye. Qualitative inquiry and the enhancement of educational practice, Upper Saddle River, NJ: Prentice Hall. 264 pagine. Nuova edizione di un classico del 1990 in cui Eisner gioca con le idee della conoscenza e della critica educativa. I capitoli esplorano queste idee, le domande di validità, il metodo e la valutazione. Un capitolo introduttivo esplora il pensiero qualitativo e la comprensione dell’essere umano ed i capitoli finali si rivolgono alle tensioni etiche, alle polemiche ed ai dilemmi; ed alla preparazione dei ricercatori qualitativi.

Everitt, A. and Hardiker, P. (1996) Evaluating for Good Practice, London: Macmillan. 223 pagine. Eccellente introduzione che si prende cura di evitare soluzioni e metodi tecnici. I capitoli esaminano gli scopi; fatti, verità e valori; attraverso la misura delle prestazioni; un metodo critico alla valutazione; la progettazione della valutazione critica; la generazione della prova; l’effettuazione di giudizi e del cambiamento.

Patton, M. Q. (1997) Utilization-Focused Evaluation. The new century text 3e, Thousand Oaks, Ca.: Sage. 452 pagine. Si sostiene che sia una rassegna completa e l’integrazione della letteratura sulla valutazione. Le sezioni centrano l’attenzione sull’uso della valutazione, focalizzandosi sulla valutazione; metodi adatti, realtà e praticabilità dell’utilizzo della valutazione messa a fuoco.

Rossi, P. H. and Freeman, H. (1993) Evaluation. A systematic approach 5e, Newbury Park, Ca.: Sage. 488 pagine. Guida pratica sui problemi di diagnostica attraverso la misurazione e l’analisi dei programmi. Include il materiale sulle procedure formative di valutazione, sull’etica pratica e sui costi benefici.

Stringer, E. T. (1999) Action Research 2e, Thousand Oaks, CA.: Sage. 229 + xxv pagine. Utile discussione su ricerca azione basata sulla comunità diretta ai professionisti.

Riferimenti

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Carr, W. and Kemmis, S. (1986) Becoming Critical. Education, knowledge and action research, Lewes: Falmer.

Freire, P. (1972) Pedagogy of the Oppressed, London: Penguin.

Gauthier, A. H. and Furstenberg, F. F. (2001) ‘Inequalities in the use of time by teenagers and young adults’ in K. Vleminckx and T. M. Smeeding (eds.) Child Well-being, Child Poverty and Child Policy in Modern Nations Bristol: Policy Press.

Gitlin, A. and Smyth, J. (1989) Teacher Evaluation. Critical education and transformative alternatives, Lewes: Falmer Press.

Jeffs, T. and Smith, M. (eds.) (1990) Using Informal Education, Buckingham: Open University Press.

Jeffs and Smith, M. K. (1999) Informal Education. Conversation, democracy and learning, Ticknall: Education Now Books.

Larson, R. W. and Vera, A. (1999) ‘How children and adolescents spend time across the world: work, play and developmental opportunities’ Psychological Bulletin 125(6).

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Putman, R. D. (2000) Bowling Alone: The collapse and revival of American community, New York: Simon and Schuster.

Rubin, F. (1995) A Basic Guide to Evaluation for Development Workers, Oxford: Oxfam.

Schön, D. A. (1983) The Reflective Practitioner. How professionals think in action, London: Temple Smith.

© Mark K. Smith 2001