Il principio di causalità (Fonte)

Il principio di causalità nasce dall'idea che i fenomeni si susseguano unicamente in un processo di causa-effetto, e tutto ciò che non risponde a questa legge è dovuto al caso.

L'osservazione empirica (il metodo sperimentale inventato da Galileo Galilei di interrogare la natura mediante gli esperimenti) ci guida nell'individuazione dei nessi causali che sottostanno ai fenomeni che osserviamo.

Attraverso l'analisi delle cause è possibile (secondo la nostra visione) comprendere i meccanismi di funzionamento del mondo. La nostra convinzione è che , l'intelligibilità razionale della realtà abbia una validità assoluta e il fattore limitante non sia intrinseco alla natura (è cioè limitato lo strumento razionale per comprendere la realtà) ma estrinseco, cioè relativo alla nostra capacità di interpretare la realtà in termini esclusivamente razionali. A questa profonda convinzione dobbiamo la presunta superiorità di cui godono le cosidette Scienze Esatte (Fisica, Matematica per esempio) rispetto alle Scienze Umane (Psicologia, Medicina, ecc.) quasi che le seconde, le Scienze Umane, non siano così abili nell'individuare il filo razionale che lega i fenomeni, che invece pare tanto chiaro in una disciplina che come la Fisica è alla base della nostra conoscenza del mondo. Non per niente classifichiamo alcune Scienze Esatte, come a dire che non sempre possiamo avere soddisfatta la nostra esigenza di razionalità.

Il metodo di indagine sperimentale della natura porta ad un'interpretazione deterministica della realtà. Nella misura in cui riusciamo a conoscere lo stato di un sistema possiamo predire, sulla base del principio di causalità, quale sarà l'evoluzione temporale di quel sistema. Questa affermazione sarà tanto più vera quanto più si riuscirà a isolare e confinare l'oggetto dello studio da influenze esterne. La tecnica oggi ci mostra quanta abilità abbiamo raggiunto nella conoscenza meccanicistica del reale, basta osservare il livello e il contenuto tecnologico degli strumenti che adoperiamo ogni giorno dal computer al telefonino.
Ma fino a che punto regge l'interpretazione causale della realtà? Se portata alle estreme conseguenze si arriva ad un conflitto con il libero arbitrio. In questi termini:
Ognuno di noi si percepisce, in quanto individuo, libero entro certi limiti di autodeterminarsi. Ma se tutto il mondo segue delle leggi puramente causali, supponendo di conoscere le leggi che regolano l'evoluzione temporale del mondo e le condizioni ad un certo istante (le condizioni iniziali) saremo in grado di predire il futuro di tutto il mondo ... compreso noi stessi. Ciò ha fatto pensare alcuni (i fautori più accesi di un'interpretazione deterministica della realtà) che la nostra autodeterminazione sia in realtà solo apparente e illusoria contrariamente a quello che ci sembra di percepire.

Per fortuna ci viene incontro il principio di indeterminazione di Heisemberg. Il quale ci dice che le leggi deterministiche valgono sì, ma che non le possiamo applicare perchè non possiamo conoscere con precisione assoluta lo stato del sistema. L'indeterminazione con cui possiamo conoscere la posizione e la velocità di una particella non sono più una mancanza degli strumenti di misura ma sono delle caratteristiche intrinseche alla natura: la natura in un certo senso si ribella ad essere conosciuta e si riserva un margine di libertà. Dal principio di indeterminazione di Heisemberg risorge magicamente la nostra autodeterminazione: consideriamo un sistema che contenga un soggetto cosciente. Se fossimo in grado di predire deterministicamente l'evoluzione del sistema avremmo che il soggetto non si autodetermina, con un evidente assurdo. (E' per questo motivo che gli studi sulla consapevolezza e il funzionamento della mente collegano le caratteristiche del soggetto cosciente all'indeterminazione quantistica.)

Gli esperimenti sulle particelle rivelano entro certi limiti l'inesistenza di un principio causale e una pressochè completa libertà statistica dei risultati degli esperimenti. Nel senso che 100 elettroni lanciati tutti con la stessa direzione e la stessa velocità andranno in 100 posti differenti diversamente da una palla di biliardo che finirà nella stessa buca tutte e 100 le volte (ammesso che siamo precisi nell'indirizzarla). E la nostra idea di predire l'evoluzione del sistema preparandolo in un certo stato? Sappiamo che temporalmente a certe premesse seguono certi risultati, e l'osservazione che cronologicamente le cose vadano sempre così ci induce a pensare che ci sia un nesso casuale. Il senso comune ci guida in questa direzione per i fatti della vita di tutti i giorni, nessuno ne dubiterebbe. Questo non sembra più vero per la struttura fine della realtà, la fisica delle particelle, campo di indagine della Meccanica Quantistica. Ma allora dov'è l'inghippo, dove sbagliamo: a grandi dimensioni sappiamo che funziona l'analisi causa - effetto, e dove va a finire quando andiamo alle dimensioni dell'elettrone e ci scontriamo con l'indeterminazione di Heisemberg che ci fa cambiare ogni volta il risultato dell'esperimento? Dobbiamo rinunciare alla causalità? Non vale più? Perchè non vale più?

La causalità non è l'unico principio a cui risponde la realtà, che nella sua intima essenza rivela un livello di libertà acausale che non siamo preparati a trattare con i nostri metodi di analisi e che attribuiamo al caso. Inoltre, fatto molto importante, la causalità è un fenomeno che ha a che fare con la regolarità e che non può essere  in accordo con la presenza di un soggetto cosciente che come abbiamo visto è impossibile da modellare in termini deterministico / causali. Dato che pensiamo in termini unicamente causali, è per questo che nella nostra cultura separiamo le scienze di serie A (le Scienze Esatte) dalle scienze di serie B (le Scienze Umane). La presenza del soggetto cosciente (tanto più importante quanto più è umana la scienza) impedisce e/o disturba l'analisi causale / deterministica dei fenomeni, impedendo ovviamente di predire propriamente il comportamento o l'evoluzione temporale di un sistema.

L'analisi causale non ha sussistenza nella realtà, si origina nel nostro modo di guardare ad essa, ma non esaurisce l'analisi del reale. Questo ci dice la Meccanica Quantistica. Noi abbiamo bisogno, ricerchiamo una regolarità nei fenomeni e quindi impostiamo la nostra analisi in termini causali, ma non è corretto presupporre che la causalità stia nell'oggetto in studio, nella natura. Al solito, è come guardare attraverso due lenti rosse e dire che tutto è colorato di rosso.  Il fatto che non disponiamo di altri strumenti di analisi al di fuori della causalità non significa che dobbiamo adeguare per forza il reale al nostro modo di pensare.

Ancora una volta la Meccanica Quantistica ci indica quanto della profonda natura della realtà provenga dalla realtà stessa e quanto invece dipenda dal nostro modo di indagare. L'evidenza sembra suggerirci che l'analisi causale è un'ipotesi di lavoro che ha il suo campo di applicabilità, ma che non può essere estesa a unica interprete dei fenomeni naturali, in quanto l'intima natura dei fenomeni a certi livelli è di natura non causale.

Qualsiasi occidentale si ribella a questa interpretazione. Noi mettiamo la causalità prima di ogni altro nell'interpretare la realtà. Rinunciare al principio di causalità sarebbe per la nostra sensibilità di uomini di scienza come ricadere nel medioevo delle credenze e delle superstizioni. Einstein comprese molto presto questa situazione, e progettò un esperimento ideale  per chiarire che, alla luce di queste considerazioni, non si poteva considerare la Meccanica Quantistica come una vera teoria fisica.

Einstein ideò insieme con due colleghi l'esperimento EPR (dal nome dei tre autori dell'articolo, Einstein, Podolski e Rosen), che rimase come una spina nel fianco di chi avesse voluto tentare una lettura di insieme della vecchia fisica e della Meccanica Quantistica. Negli anni '60 John Bell, un fisico irlandese, rielaborò le idee dell'esperimento EPR e le riformulò in modo da permettere una verifica sperimentale, per sciogliere una volta per tutte il dubbio su chi avesse ragione, se Einstein o la Meccanica Quantistica.  Nel 1983 Alain Aspect all'Università di Parigi effettuò l'esperimento di verifica del Teorema di Bell.