GLI ALBERI DI CONOSCENZA
(Giovanni Caldara)
L’IDEA
Il progetto Les arbres de connaissances nasce
da una riflessione che, dalla fine degli anni ottanta, intende individuare
e studiare le contraddizioni della società contemporanea: si
tratta di osservare che mentre è in atto il processo della sua
dissoluzione a opera delle trasformazioni informatiche, non vengono
meno le categorie tipiche della società industriale (capitale,
lavoro, società rappresentativa). Si assiste, in altre parole,
a una società sempre più molecolarizzata, insofferente
alle vecchie forme di associazione – ritenute troppo rigide e anguste
–, ma incapace nello stesso tempo di estirpare la naturale propensione
dell’uomo all’autorganizzazione. Nella ricerca piuttosto di nuove espressioni;
gli strumenti tecnologici appaiono come il possibile punto di partenza
per valorizzare in maniera nuova le competenze dei singoli individui
piuttosto che i responsabili dell’accelerazione del processo di disgregazione.
È difatti la centralità dell’individuo,
per Pierre Levy, l’unica via percorribile per la fondazione della comunità
del domani. L’idea di coscienza collettiva nasce da qui: dall’acquisizione
della liberazione delle energie e delle potenzialità dei singoli
come criteri di ricerca e di valore.
E dall’impiego degli strumenti ritenuti responsabili
della frantumazione del tessuto sociale nasce il progetto degli alberi
di conoscenza.
IL PROGETTO
Gli alberi di conoscenza si propongono come
sistemi capaci di valorizzare le competenze all’interno delle varie
comunità.
Il progetto, sostenuto da Edith Cresson allora commissario
europeo per l’educazione, s’è diffuso attorno alla metà
degli anni novanta in Francia e in alcuni altri paesi, all’interno di
realtà aziendali e in contesti scolastico/ricreativi.
I presupposti del progetto sono così riassumibili:
- Ognuno sa qualcosa
- Nessuno sa tutto
- Il sapere è immanente ai diversi collettivi umani
- Il valore di una competenza dipende dal contesto.
L’accento è posto sull’idea di "comunità",
vera e propria chiave di volta in base alla quale valutare e commisurare
i saperi posseduti dall’individuo. Il tentativo è quello di trovare
un linguaggio comune di negoziazione tra individui (che offrono delle
competenze), aziende (che ne ricercano) e formatori (che ne facilitano
l’apprendimento).
Gli alberi di conoscenza vogliono essere un
modello di autorganizzazione incentrato su una formazione permanente,
intesa come elemento indispensabile per la crescita dell’economia della
conoscenza che, in quanto tale, deve essere senza inflazione e senza
sfruttamento.
La comunità è dunque rappresentata da
un albero.
Ogni persona si caratterizza dall’insieme di competenze
che possiede. Da quelle elementari a quelle più sofisticate.
Ogni competenza è rappresentata da un’icona.
Se ora si considerano le diverse competenze in relazione
a quelle possedute dai vari elementi della comunità si avrà
una rappresentazione che sarà così costituita:
- nella parte bassa dell’albero si troveranno le competenze più
diffuse nella comunità: quelle acquisite come prime e che hanno
poi permesso la nascita delle altre.
- nella parte alta dell’albero si troveranno invece le competenze
che costituiscono i saperi in cui la comunità eccelle.
L’impianto degli alberi di conoscenza lascia trapelare
l’idea di fare delle istituzioni non più il governo della società,
ma l’amministratore del carattere pubblico dell’intelligenza collettiva.
Come si realizza concretamente il progetto?
Da un punto di vista pratico, l’albero è costituito
da un insieme di competenze dette blasoni. Ciascun blasone definisce
le abilità acquisite da ogni suo possessore. L’azienda o l’ente
alla ricerca di particolari competenze accede a una "banca di
profili" che permette di individuare i saperi disponibili.
Una volta verificata la corrispondenza tra questi e le esigenze dell’azienda,
la società entra direttamente in contatto con i possessori delle
diverse competenze tramite un database.
Ognuno può acquisire le competenze richieste,
superando la prova stabilita dal brevetto che la caratterizza.
Se tutti i criteri di valore sono fondati sull’uso,
significa che sono relativi a una comunità e sono a essa immanenti.
La natura della comunità è data dalle competenze espresse.
Ed essendo la comunità in continua evoluzione, ne segue che tutti
i tipi di competenze, compresi i saperi non formalizzati, possono essere
riconosciuti. Il problema della valutazione delle competenze diviene
quindi fondamentale.
Nel progetto degli alberi di conoscenze ogni
persona può accedere ai profili che stabiliscono quali prove
sono necessarie per ottenere un determinato blasone. E, per principio,
ognuno può arricchire l’albero con un sapere che possiede, ma
che non è stato ancora valorizzato e quindi espresso.
Se un membro della collettività ritiene di possedere
una competenza non presente nella comunità può depositare
un brevetto che contenga una prova con la quale questa
può essere ottenuta.
Il disegno è semplice: depositare una prova
implica riconoscere come "universali" dei criteri di valutazione.
Almeno all’interno della singola comunità.
Gli alberi di conoscenza postulano che lo spazio di
referenza per ogni competenza è una comunità di vita.
Il valore di un brevetto è dato dal valore che per la comunità
riveste una determinata competenza per la sua conservazione e il suo
sviluppo.
Ma se si evita la deriva di considerare le comunità
come un insieme di isole autarchiche e incomunicanti, come evitare che
dei brevetti validi in un determinato contesto siano del tutto inutili
in uno diverso?
Per Levy ogni tipo di valutazione è di tipo
empirico–induttivo. Il problema è come pretendere
di sostituire un sistema di certificazione, retto da regole precise
e definite, con un sistema completamente induttivo che rinvii cioè
l’attribuzione di cosa è "sapere" a un collettivo di
persone la cui unica legittimità è quella di partecipare
alla costruzione dell’albero di conoscenza.
Come uscire dall’impasse per cui l’universalità
della legge non è che una gabbia incapace di valorizzare le peculiarità,
mentre le regole locali valorizzano sì le specificità,
ma sono incapaci di sorpassare il gruppo che le adotta e le definisce?
La risposta di Levy è teorica: le leggi riconosciute
da ogni comunità sono sempre particolari. È nella natura
stessa di ogni "affermazione" essere particolare. Una legge
universale è tale se in essa si riconosce "qui e ora"
una pluralità di persone. Questo implica che a ogni cambiamento
segue una modificazione dei criteri di valutazione.
I criteri non possono quindi essere stabiliti una volta
per tutte a priori.
L’unica strada percorribile, per Levy, rimane quella
di comunicare con gli altri sulla base dello scambio del sapere
relativizzando il non sapere.
…per saperne di più…
P. Levy, M. Authier, Gli alberi di conoscenze,
Feltrinelli,1998
P. Levy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano, 1996
J. Teissier, Arbres de connaissance, controverses expériences ,
sta in " Evaluation ", CEREQ, luglio, 1998
http://www.cortex-culturemploi.com
http:///www.triviun.fr
http://www.mds-agde.org/Formation/Arbre_connaissances/menu_arbres.htm
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