La mente multiforme (fonte)

Per quanto si possano costruire modelli computazionali della mente bisogna dire che le prestazioni della mente umana sono veramente notevoli.

E’ possibile cogliere alcuni aspetti delle capacità di elaborazione della mente ma si rimane stupefatti delle incredibili risorse di cui la mente umana dispone.

La mente umana contiene e manipola una quantità enorme di informazioni.

Supponiamo di avere a disposizione un robot e di ordinargli di andare a prenderci un caffè al bar. Il compito sembra banale ma ad una analisi attenta di che cosa questo implichi ci si rende conto che il robot dovrebbe avere a disposizione una grande quantità di informazioni per poter assolvere a questo compito.

Dovrebbe districarsi nelle molteplici possibilità specifiche solo per trovare la via per raggiungere il bar, saper uscire dalla porta, scegliere la direzione giusta per la strada, saper riconoscere l’entrata del bar e così via.

Occorrerebbe inserire nella memoria del robot una quantità enorme di informazioni sul mondo in cui deve agire e questo prima ancora delle difficoltà di coordinare i movimenti necessari all’azione.

Inoltre quando si parla del cervello si pensa ad un cervello astratto che in realtà non esiste, in quanto esistono tanti cervelli quante sono le persone sulla terra.

La rappresentazione che la scienza attuale ci fornisce del cervello è quella di un cervello medio, con una struttura e funzioni comuni agli uomini e alle donne di tutta la terra. Il cervello, che è stato studiato e su cui sono state ottenute le conoscenze più importanti, è quello dell’uomo del duemila, ma si ritiene che sia lo stesso cervello di cui è dotata la specie umana da decine di millenni.

Ma i cervelli reali degli individui sono uno differente dall’altro.

Per indagare la varietà dell’organizzazione funzionale del cervello umano non ci si può basare soltanto sui resoconti specialistici delle neuroscienze e della psicologia.

Queste scienze tendono ad annullare le differenze, vorrebbero descrivere un cervello e una mente universali, ma nella realtà esistono cervelli e menti particolari.

Esistono cervelli che mostrano una ricchezza funzionale insospettata oppure estremamente specifica rispetto ad un determinato compito.

Si possono delineare due capacità distinte del cervello: la funzione verbale, comprendere ed esprimersi nel linguaggio, e la funzione visivo-spaziale, realizzare le trasformazioni bi-tridimensionali, riconoscere forme complesse, riconoscere le facce, ecc. Questa distinzione fondamentale è legata alla specializzazione funzionale dei due emisferi cerebrali del cervello umano.

L’emisfero sinistro ha le funzioni verbali, il destro le funzioni visivo-spaziali.

I due emisferi sono tra loro anatomicamente separati, ma comunicano ed interagiscono tramite fasci di fibre nervose.

Tale specializzazione nei due emisferi si verifica nella stragrande maggioranza degli individui ed esiste una relazione tra la specializzazione emisferica e la dominanza della mano. Alcuni neuropsicologi ritengono che in un gruppo di mancini le due funzioni siano rappresentate in entrambi gli emisferi cerebrali: ogni emisfero potrebbe compiere la funzione sia verbale che quella visivo-spaziale.

Un dato interessante riguarda la presenza di un alto numero di mancini tra gli artisti.

Nei mancini nei quali l’emisfero sinistro è specializzato per il linguaggi, come nella maggior parte degli individui, l’emisfero destro, specializzato nelle funzioni visivo-spaziali, controlla direttamente la mano sinistra.

Esistono persone che conoscono diverse lingue e studi sulle afasie hanno mostrato come una lingua possa coinvolgere zone del cervello differenti da una lingua diversa.

Esistono persone in grado di eseguire a mente complicati calcoli matematici e persone che possiedono una memoria straordinaria.

Ci sono stati casi di persone che sono state costrette a vivere in condizioni di isolamento e carenza di stimoli che hanno mostrato di possedere incredibili abilità in compiti specifici come per esempio il disegno artistico.

Ogni cervello è unico e particolare.

Esistono alcune funzioni caratteristiche della mente che non si vede come sia possibile riprodurle o simularle a computer.

L’intelligenza che si riesce a produrre con una macchina può scaturire solamente da correlazioni tra le informazioni memorizzate e non si vede come sia possibile che tali informazioni si organizzino in una funzione globale ed unitaria come quella che opera nelle menti delle persone.

Cercando di riprodurre le funzionalità del cervello tramite computer bisogna tenere presente che non tutte le prestazioni sono uguali in individui diversi, in particolare occorre rilevare anche l’influenza di fattori culturali.

L’influenza di fattori culturali sull’organizzazione cerebrale può essere illustrata considerando come la percezione dei colori vari da cultura a cultura e da individuo a individuo. Bisogna premettere che la percezione dell’ambiente esterno non è un fenomeno semplice, una risposta automatica dei sistemi sensoriali agli stimoli esterni.

La percezione richiede l’attività integrata di varie strutture cerebrali, oltre che dei recettori specifici, la retina nell’occhio per la visione e la coclea nell’orecchio per l’udito. La percezione dei colori è forse l’esempio più evidente della complessità della percezione, alla quale concorrono fattori neurofisiologici e fattori culturali.

Nelle lingue di società primitive si riscontrano solo i nomi per il bianco e per il nero, solo passando a culture più evolute compaiono il rosso il verde e il blu.

In culture ancora più evolute si presentano altri nomi sempre più specifici.

Lo studio delle lingue dimostra un continuo accrescimento di termini specifici per i colori, lo stadio di evoluzione può essere considerato un indice del livello culturale del gruppo etnico relativo.

L’aumento o la diminuzione dei termini dei colori in una lingua non indica che vi sono differenze fisiologiche nella capacità di percepire le differenze di lunghezza d’onda della luce, ma riguarda solo l’attribuzione di nomi specifici.

Tuttavia osservando il comportamento di bambini piccoli sembrerebbe che vi sia nella percezione un aspetto fisiologico che ha influenzato la cultura; non mancherebbe il vocabolario, ma proprio la capacità di vedere il rosso, il verde, il giallo e tutti gli altri colori. Secondo alcuni ricercatori nei primi mesi di vita il mondo sarebbe proprio in bianco e nero.

Nel corpo genicolato laterale, una struttura sottocorticale, vi sono tre gruppi di cellule: il primo risponde alle variazioni di luminosità, dal buio alla luce, il secondo gruppo risponde al rosso e al verde e il terzo gruppo al giallo e al blu.

Dall’interazione tra le risposte fornite da questi due gruppi di cellule sensibili alla lunghezza d’onda deriverebbe la percezione e la discriminazione dei colori.

Dopo i quattro mesi la percezione del colore nel bambino è simile a quella dell’adulto.

E’ stato valutato che un uomo sa distinguere, ma certo non denominare, oltre 7 milioni di tonalità di colore.

Dal momento in cui un individuo possiede un vocabolario per i colori, il mondo colorato che egli percepisce viene frammentato e incanalato in nomi, la cui varietà e ricchezza possono aumentare per fattori culturali e sociali.

A livello linguistico, strettamente individuale possono porsi problemi del tipo: il rosso per me è anche lo stesso rosso per te?

Questo stesso problema filosofico si pone in maniera del tutto generale per qualsivoglia percezione comunicata tramite il linguaggio.

Vi sono delle intere popolazioni che per motivi genetici non distinguono il verde dal blu e usano uno stesso nome per entrambi i colori. Si tratta di popolazioni che vivono nelle regioni tropicali ed equatoriali, dove la luce solare è particolarmente ricca di componenti ultraviolette. Per un meccanismo genetico nell’occhio di questi individui si è prodotta una speciale pigmentazione difensiva che assorbe i raggi ultravioletti. I recettori della retina selettivi al verde e al blu non riescono così a operare un’analisi distinta dei colori nella gamma delle lunghezze d’onda corte.

Come la percezione dei colori anche la percezione della musica può essere differenziata su diversi livelli di elaborazione.

Quello che accade nel cervello del musicista in relazione alla musica è un insieme molto complesso di funzioni che possono essere separate, ma che interagiscono strettamente tra di loro. Questo sistema di funzioni o sistema funzionale comprende almeno i seguenti processi fondamentali: creare un brano musicale, valutarlo esteticamente, leggerlo, comporlo e scriverlo, eseguirlo con uno strumento e infine in alcuni casi dirigerne l’esecuzione da parte di una orchestra. Questi processi dipendono da aree cerebrali diverse, sia nell’emisfero destro che in quello sinistro, e praticamente si può affermare che nella produzione musicale ad alto livello è interessato tutto il cervello. Qualora un’area cerebrale sia distrutta, gli esiti sul piano della produzione musicale potranno essere diversi: si perderà la capacità di comporre, di eseguire oppure di apprezzare un brano musicale.

La musica non è un sistema staccato dal resto delle funzioni cerebrali: nell’esperienza musicale si combinano le percezioni uditive con quelle visive e corporee.

Un brano musicale può evocare una serie di sensazioni cromatiche accompagnate da stati emotivi a loro volta associati a ricordi personali.

Negli studi sui rapporti tra suono e colori alcuni parlano di sincronizzazione dei sensi per indicare il processo di integrazione tra le varie modalità sensoriali, visive, uditive, tattili, che caratterizza la vita mentale dell’uomo.

Per alcuni ricercatori, la sincronizzazione tra udito e visione, tra suoni e colori è un fenomeno che risale a un’epoca in cui le sensazioni sarebbero state indifferenziate, prima di una loro canalizzazione in organi speciali di senso.

Questo mondo indistinto di sensazioni è difficilmente verbalizzabile, ma lo si può comunque provare durante la percezione della musica, quando tutto il corpo e lo spirito vibrano in un intreccio indeterminato di suoni, immagini visive, colori, emozioni e ricordi.

La mano destra, come nella scrittura, è stata dominante nell’esecuzione della musica con uno strumento musicale.

Quando si usano entrambe le mani in compiti complessi, come per esempio suonare un pianoforte, risulta ancora dominante l’emisfero cerebrale sinistro, ma si può immaginare come il lavoro del cervello nell’esecuzione di un brano musicale sia tra i più complessi: i due emisferi cerebrali cooperano, ciascuno nelle proprie specifiche funzioni creative ed espressive, traducendo in una sequenza di movimenti integrati delle due mani il prodotto musicale.

In generale i due emisferi cerebrali cooperano quando elaborano della musica.

Sebbene l’emisfero sinistro sia importante nell’articolazione espressiva della musica, ci si sente spinti dal considerare l’emisfero cerebrale destro come la struttura necessaria, indispensabile per la sua creazione.

Esistono prove evidenti della dissociazione tra linguaggio verbale e linguaggio musicale.

Il cervello di un musicista ha un’organizzazione molto complessa che richiede la collaborazione dei due emisferi, organizzazione che è cambiata nel tempo con l’evoluzione della produzione musicale e della strumentazione.

L’uso integrato delle due mani è divenuto gradualmente una condizione essenziale nella esecuzione, programmata e controllata nella sua scansione temporale dall’emisfero sinistro. L’emisfero destro è tuttavia la parte del cervello essenziale per la creatività musicale.

Quando si interpellano gli anatomisti, si hanno risposte molto scettiche sulla possibilità che si possa correlare la forma o la composizione cellulare del cervello alle grandi capacità politiche, artistiche, letterarie o scientifiche di un individuo.

Si è dimostrata infondata la tesi che vi sia un rapporto diretto tra la grandezza e il peso del cervello e l’intelligenza.

Alcuni sostengono che invece del peso occorra considerare la morfologia del cervello in particolare la forma e l’estensione delle circonvoluzioni, le pieghe che si vedono sulla superficie cerebrale.

I matematici e i fisici hanno sempre affascinato per la loro aria da sognatori distratti, immersi in una profonda riflessione sui problemi.

Una caratteristica che ha colpito per la sua singolarità e ricorrenza in questi scienziati è l’improvvisa visione della soluzione di un problema su cui si stavano affannando da tempo. Di fronte al pensiero si pongono tanti frammenti che apparentemente sono sconnessi tra di loro, poi all’improvviso si vede la soluzione, gli elementi si legano tra di loro, si ricompongono in una unità, in una struttura organizzata che precedentemente non era letteralmente visibile.

"Per me non c’è dubbio che il nostro pensiero proceda in massima parte senza far uso di segni, parole, e anzi assai spesso inconsapevolmente, i segni intervengono nella comunicazione, non è affatto necessario che un concetto sia connesso con un segno riproducibile e riconoscibile coi sensi, una parola; ma quando ciò accade, il pensiero diventa comunicabile" (A. Einstein).

Alcuni ricercatori insistono sui processi dell’immaginazione e sul ruolo delle immagini visive nella creatività scientifica; le testimonianze degli scienziati in proposito sono molteplici. In effetti lo sviluppo della fisica in questo secolo ha messo in evidenza l’importanza della visualizzazione mentale nel trattare fenomeni non visibili con i propri occhi. Il mondo del fisico è diventato sempre più invisibile agli occhi e allo stesso tempo sempre meno descrivibile a parole.

Spesso un oratore impiega diversi minuti per sviluppare un unico pensiero appunto perché questo è contenuto nella sua mente come un tutto globale e unitario e non si costituisce un po’ per volta per singole unità, come si costituisce invece il linguaggio. Quello che nel pensiero è contenuto simultaneamente, sul piano del linguaggio si esplica in ordine di successione. Il passaggio dal pensiero al linguaggio è un processo molto complesso che presuppone un frazionamento del pensiero e una sua reintegrazione ed espressione in più parole.

Come simulare questo processo con un algoritmo eseguibile a calcolatore è veramente un notevole rompicapo.

Ecco riportato di seguito un colloquio con una entità virtuale (Spock).

Una entità virtuale è un programma progettato per rispondere in maniera pertinente a delle domande fatte da un utente umano.

Fino a che punto l’entità virtuale mostra di capire il senso del colloquio?

Utente: di che colore è il terreno di marte?

Spock: il terreno di marte è precisamente di colore rosso.

Utente: Sai cos'è il suolo?

Spock: no cos'è, il suolo?

u: il suolo è il terreno

S: ho capito

u: sai cos'è il suolo?

S: il suolo è il terreno.

u: di che colore è il suolo di marte?

S: non so cos'è, il suolo di marte.

Questo colloquio mostra in maniera evidente quali siano le difficoltà che deve risolvere il cervello nel normale processo di comunicazione verbale.

La mente deve tener conto di ogni relazione esistente tra le parole oggetto del discorso e di ogni relazione tra gli oggetti del mondo e questo è veramente difficile da simulare a calcolatore.

I procedimenti di elaborazione dei dati sensoriali da parte del sistema nervoso centrale possono portare a rappresentazioni diverse. Ad esempio una collezione di oggetti può essere vista come strutturata, come formante una entità unica che è indipendente dagli oggetti che la formano, oppure come elementi singoli senza rapporto tra di loro. La forma dell’insieme ha un significato nuovo o un significato in più rispetto ai singoli oggetti.

Le diverse modalità di funzionamento cerebrale, individuate a livello percettivo, continuano ad operare anche quando il pensiero si allontana dai dati immediati della sensazione per affrontare o per costruire dimensioni più astratte.

Le informazioni genetiche non sono sufficienti a stabilire i collegamenti tra i miliardi di neuroni e a costruire tra le cellule che sono alla base delle mappe cerebrali tutto quel complesso di reti intercomunicanti per mezzo di segnali chimici ed elettrici che determinano le attività cognitive ed intellettive. Queste si stabiliscono sulla base e sotto l’influenza di informazioni e di stimoli nella interazione col mondo esterno. Non esiste perciò un cervello simile ad un altro: fra i miliardi di miliardi di connessioni possibili tra i neuroni è la selezione naturale, l’evento occasionale, il rapporto con l’ambiente e la storia dell’individuo a determinare individualmente quali connessioni si vengono a creare e quali rimarranno per sempre silenti.

Una caratteristica particolare del linguaggio è che possiamo parlare, dato il tipo di apparato vocale di cui siamo provvisti, emettendo un suono dopo l’altro, serialmente, ed è in questo modo che organizziamo mentalmente le parole.

Non è possibile dire o pensare due parole contemporaneamente!

Esiste poi un’altra caratteristica da tenere presente: la forma simbolica.

I nomi stanno al posto delle cose e tra la forma del nome o la struttura completa di una frase e la forma reale di ciò che si vuol rappresentare, non c’è nessuna attinenza.

Nell’analizzare il contenuto della propria area visiva l’emisfero sinistro non domina contemporaneamente tutti gli elementi, in modo da ricavarne le mutue relazioni spaziali e da queste ulteriori significati, ma procede piuttosto analiticamente, particolare dopo particolare, associando ad ogni parola il significato dovuto e collegando i vari significati secondo una logica di tipo aristotelico, secondo quelli che dovrebbero essere i dettami della logica classica.

L’emisfero destro è invece più abile del sinistro nello stabilire tra gli elementi del pattern visivo relazioni spaziali, con una indagine nella quale sono presenti nello stesso tempo all’osservazione tutti gli elementi che formano la rappresentazione.

Questa contemporaneità nell’indagine e nel confronto è necessaria quando si devono stabilire le relazioni tra ogni elemento percepito e tutti gli altri.

Nel mondo reale ogni cosa può essere in relazione con qualsiasi altra e il cervello si deve districare in questo marasma di informazioni correlate; per far questo utilizza sia modalità di elaborazione sequenziale sia parallela.

La cultura di cui ormai è impregnata la nostra vita sociale, rende difficile scorgere come momenti separati del pensiero quello della valutazione globale di un insieme di oggetti, quasi fosse un soppesare con la mente, e quello invece in cui si passa al conteggio sequenziale degli elementi. Questi due aspetti si fondono e si intersecano nel modo usuale di operare della mente ma sono modalità di elaborazione distinte e complementari.

Volendo simulare le prestazioni del cervello occorre utilizzare entrambi questi paradigmi: sia l’aspetto sequenziale che quello parallelo della elaborazione cerebrale.

Nelle modalità del pensiero logico-analitico, in gran parte trattato con processi verbali, il significato complessivo viene costruito con un montaggio, nel quale le varie parti del pensato vengono unite con implicazioni logiche fino a formare un tutto accettabile e coerente.

Nel processo sintetico-immaginativo, invece, le cose funzionano in modo sostanzialmente opposto.

Nel pensiero concreto, o per immagini, tutti gli elementi sono strettamente compenetrati gli uni negli altri, uniti in quadri in continuo movimento, e formano un flusso ininterrotto di immagini e sensazioni fisiche. Non vi sono parole che devono essere collegate fra di loro per costruire una proposizione compiuta né vi sono significati definiti singolarmente da unire per costruire sequenzialmente un significato più ampio. Vi è invece una rappresentazione globale, immediata, di una realtà, effettuata mediante l’uso di riferimenti mentali che possono essere classificati sotto il nome generico di immagini mentali o isomorfismi.

Gli isomorfismi mentali sono strumenti che conferiscono potenza creativa e genialità al pensiero umano, caratteristiche per ora non riproducibili da nessuna macchina, neanche dal calcolatore più sofisticato.

Le immagini con cui pensiamo non si susseguono come fotogrammi di una pellicola o come le parole di una frase ma si trasformano l’una nell’altra con una velocità che rende impossibile il tentativo di seguirne i movimenti.

La maggior parte di questo processo non è cosciente.

Queste due modalità di pensiero hanno forti caratteri di complementarietà e sono irriducibili l’uno all’altro.

La riflessione non consiste nel solo ripiegarsi della mente su se stessa, ma si compone di un complesso gioco di rimandi tra i contenuti delle diverse modalità cognitive, su cui il pensiero può mettersi a rimbalzare come un raggio di luce riflesso tra due specchi.

Esiste una tendenza dei processi globali a pensare strutturando blocchi d’informazione, partendo dal materiale percettivo immediato, per estendere il processo in una sorta di ricorsività, costruendo moduli sempre più ampi, in cui gli elementi costituenti sono blocchi più piccoli.

Nel pensiero per immagini si realizza un movimento ricorsivo, che agisce continuamente sul materiale in formazione strutturandolo a livelli diversi ma secondo modalità che sono sempre le stesse.

Esistono due momenti importanti nello svolgersi del nostro pensiero: quello in cui oggetti in entrata nel nostro sistema percettivo sotto forma di parole vengono rappresentati anche sotto forma di immagini, e quello in cui immagini elaborate dalla mente hanno una loro rappresentazione in forma verbale.

Le difficoltà che incontriamo fin da bambini per salire dalle immagini concrete ai significati profondi delle metafore, o comunque delle figure retoriche usate, sono legate all’uso comune delle parole, nel quale astrazione e generalizzazione giocano un ruolo fondamentale.

Con l’uso impariamo che una stessa cosa può essere designata con parole diverse o che l’alone di connotazioni e di immagini che ogni parola si porta dietro può avere un’intersezione comune con quelle di altri vocaboli.

Contemporaneamente viene costruita quella rete sempre più fitta di associazioni che ci permette di arrivare ai significati più nascosti o complessi di una frase.

Il metodo scientifico dell’astrazione è molto efficace e potente, ma comporta un prezzo da pagare. Via via che definiamo con maggior precisione il nostro sistema di concetti, che lo rendiamo più efficiente e ne stabiliamo le connessioni interne in modo sempre più rigoroso, esso si distacca sempre più dal mondo reale.

Non possiamo descrivere pienamente l'indescrivibile, indefinibile aspetto della Realtà. L'aspetto descrivibile della Realtà è ciò che possiamo descrivere e definire. Così se dobbiamo pensare o parlare di qualcosa, possiamo farlo solo in riferimento a ciò che è pensabile o esprimibile ovvero distinguibile. Allora descriviamo pure il regno del descrivibile. Ma allo stesso tempo non dimentichiamo che la distinzione non è reale in assoluto e che il mondo pensabile ignora il regno indescrivibile dell'indistinto e della sua natura ineffabile.

Dal momento che non vi è alcun altro approccio alla conoscenza della realtà tranne quello dei simboli, non possiamo far altro che usare simboli matematici grazie al loro significato di certezza indistruttibile.

Ma non tutto può essere espresso nel linguaggio rigoroso della matematica, esiste in intero mondo di informazioni che conosciamo esclusivamente in una modalità sensoriale, analogica, metaforica e globale che caratterizza il modo di percepire e pensare degli esseri umani.

Gli elaboratori elettronici sono macchine seriali, ovvero compiono una sola operazione per volta. Il fatto che a noi sembri che facciano più cose insieme è dovuto alla loro estrema velocità nel portare a termine i compiti assegnati. Ad esempio, il personal che sto usando in questo istante ha una clock di 40 Mhz, il che significa che è in grado di compiere 40 milioni di operazioni al secondo. Ecco perché sembra che la tastiera funzioni contemporaneamente al monitor mentre la memoria immagazzina quello che scrivo. In realtà, il PC fa funzionare prima il monitor, poi legge quanto proviene dalla tastiera, poi lo memorizza, infine lo fa apparire sul monitor, e quindi ricomincia il ciclo. Il microprocessore però riesce a scambiare informazioni con le periferiche 40 milioni di volte in un secondo, e questo mi dà l'illusione che tutto avvenga nello stesso momento. Al contrario, noi esseri umani, come tutti gli altri organismi biologici, siamo "macchine" parallele, riusciamo cioè a fare più cose insieme, come ad esempio parlare, camminare e respirare senza soffocare né inciampare né dimenticare cosa stavamo dicendo.

Noi non assegniamo lo stesso grado di consapevolezza ad un gatto e ad un essere umano, ma appare evidente che il gatto assume comportamenti che presuppongono una certa capacità di osservare l'ambiente, di costruirsene una rappresentazione interna e di agire di conseguenza. Quando il gatto caccia il topo, diciamo che esso segue l'istinto, ma è ovvio che un'operazione complessa come quella del cacciare necessita di una forma, seppur primitiva, di intelligenza. Gli esseri umani elaborano forme più sofisticate di pensiero, come il pensiero razionale, o il pensiero intuitivo. Ma ciò che davvero distingue l'uomo dagli altri animali è il pensiero cosciente. Oltre ad una rappresentazione dell'ambiente, l'uomo è in grado di costruire una rappresentazione di se stesso, di avere coscienza della propria esistenza. E' in grado di formulare una frase come Cogito, ergo sum, penso dunque esisto. Io posso quindi affermare in tutta tranquillità di essere autocosciente e intelligente. Ma come faccio a sapere che gli altri esseri umani, i miei amici, le mie amiche, le persone che frequento sono anch'esse autocoscienti e intelligenti?

Semplice: lo deduco dal loro comportamento.

Da come rispondono agli stimoli dell'ambiente, alle domande che pongo loro.

Una prova diretta di essere in presenza di una autentica coscienza non è possibile, io sperimento la mia coscienza in un modo unico e particolare, nessun fenomeno fisico, nessuna esperienza fenomenica può essere della stessa natura della mia personale esperienza di autoconsapevolezza poiché ogni informazione esterna viene inevitabilmente mediata dai miei organi di senso e in tal modo viene persa quella caratteristica peculiare propria della consapevolezza di sé.

Un robot magistralmente programmato potrebbe comportarsi in tutto e per tutto come una persona cosciente, ma non essere affatto cosciente.

I calcolatori elettronici non sono coscienti, ma non solo, essi non possiedono nemmeno un briciolo di volontà, libero arbitrio, o come si usa dire, intenzionalità.

Le elaborazioni di simboli formali non hanno di per sé alcuna intenzionalità; sono assolutamente prive di senso; non sono neppure elaborazioni di simboli, poiché i simboli non simboleggiano nulla. Per usare il gergo dei linguisti, essi hanno una sintassi ma non hanno una semantica. L'intenzionalità che i calcolatori sembrano possedere è unicamente nella mente di coloro che li programmano e che li usano, di coloro che immettono gli ingressi e programmano le uscite.

L'identificazione del cervello con un computer trascura infatti una quantità di risultati che mostrano come il modo utilizzato dagli esseri umani e dagli animali per classificare gli oggetti e gli avvenimenti in categorie non ha niente a che vedere con la logica o con il calcolo. L'analisi dell'evoluzione, dello sviluppo e della struttura del cervello rende infatti estremamente improbabile l'ipotesi che esso funzioni come una macchina di Turing.