Si è
discusso molto delle cause dei balcanismi: influenza culturale
bizantina, nomadismo diffuso sullo stesso
territorio e conseguente plurilinguismo, oppure influenze
del sostrato di lingue estinte come il dacio o il getico?
Due dei tratti balcanici sono lesplicitazione delle
subordinate (del tipo di io voglio chio canti, invece
di io
voglio cantare, o io posso chio canti invece di io posso
cantare), e la formazione del futuro perifrastico con una
forma compressa del verbo volere seguita dallinfinito,
un po come succede in inglese: in rumeno si dice eu
voi
canta, [io] canterò, contro eu vreau sa cant, io voglio
cantare (letteralmente io voglio ch[io] canti, con un
congiuntivo neo-latino nella subordinata), in serbo ja eu
pevati, io canterò, contro ja ho eu, da pevam, voglio
cantare (letteralmente voglio chio canto, eu è
la forma compressa di ho eu, voglio. Anche il greco moderno
si serve di una forma del verbo volere compressa al punto
di essere ormai invariabile, tha al posto di thélo,
voglio; il verbo principale non sta allinfinito, bensì
allaoristo (5), e dunque è coniugato: tha páo,
andrò, ossia grossomodo: vo vado. Il passato
serbo è solo perifrastico come nello sloveno
e nel russo, ma il romeno si ricorda delle sue origini latine,
e ha unarticolazione del passato simile a quella dellitaliano.
Ben articolato è anche il passato del greco moderno.
Le tendenze che si confermano sono dunque: al futuro cè
minor ricchezza di tempi e uso frequente di forme perifrastiche,
il futuro viene spesso sostituito e confuso con il presente.
Continuiamo.
Prima di ritornare a una lingua indoeuropea geograficamente
distante, il persiano, vediamo qualche esempio non-indoeuropeo.
In ungherese il futuro è di nuovo perifrastico e si
serve del verbo fog, pigliare (o anche accingersi), menni
fog, andrà, [ad] andare si accinge, ma le grammatiche
si affrettano a consigliarvi di usare il presente tutte le
volte che ciò non provochi ambiguità: insomma
in ungherese il futuro (6) cè e non cè.
Senza provocar sorprese, in ungherese esiste invece un passato
serio, non perifrastico e va da sé non
sostituibile dal presente.
Veniamo a una lingua semita, lebraico, o meglio livrit
che si parla oggi nello stato di Israele. Il sistema verbale
dellivrit semplifica e razionalizza quello
dellebraico biblico: non dimentichiamo che lebraico
è una lingua morta fatta resuscitare dopo un millennio
e mezzo almeno. Già la pronuncia dellivrit è
un bel problema: la radio israeliana, Kol Israel (la Voce
dIsraele), si è servita metodicamente di ebrei
yemeniti che padroneggiavano il consonantismo gutturale semita
in maniera da renderlo familiare a chi fosse appena salito
in Eretz Israel dallEuropa Centrale, dove ci si può
accontentare delle approssimazioni fonetiche del rabbino,
sempre che si frequenti la sinagoga
Non stupirà
che in una lingua che in una certa misura è stata creata
a tavolino in epoca moderna la tripartizione passato
presente futuro sia inappuntabilmente razionale: ani
kaniti, io comprai, ani koné, io compro, (ma alla lettera
io [sono] comprante), ani eknè, io comprerò.(7)
Come nelle lingue slave, anche in ebraico ci sono pochi tempi,
ma stavolta manca anche la dicotomia perfettivo / imperfettivo:
prima di scandalizzarvi riflettete al fatto che le lingue
semite sono state più che sufficienti a Dio per parlarci,
ed è dunque del tutto inverosimile che esse siano difettose!
Evidentemente i congegni logici delle lingue naturali da una
parte tendono a essere ridondanti e irrazionali, e dallaltra
cè sempre qualche sistema ingegnoso a compensare
le carenze apparenti.
Passo a una lingua uralo-altaica, il turco, che è o
dovrebbe essere la lingua preferita dai logici: perfino i
linguisti puri, come Edward Sapir, ne hanno sottolineato esplicitamente
la bellezza formale e la semplice logicità.
In turco la subordinazione viene sostituita dalla parentesizzazione:
come in matematica, dove parantesizziamo una formula e la
inseriamo in una formula più complessa, che poi può
venir a sua volta parentesizzata e inserita in una maxi-formula,
o come nei linguaggi di programmazione, che hanno i cicli,
i cicli inseriti nei cicli
ma torniamo al futuro. Il
verbo turco (ovviamente in turco non esistono verbi irregolari:
esistono forse istruzioni irregolari in Prolog?), grazie alla
struttura agglutinante della lingua, ha un numero di tempi
che sembra sfuggire al conto: il significato, o meglio la
sfumatura del significato, vengono ottenuti aggiungendo via
via postfissi al tema: così al tema di venire, gel,
potete incollare postfissi del passato come mi o di, il primo
fa capire che non avete sperimentato di persona ciò
di cui parlate, gelmi , a quanto mi dicono è venuto,
contro geldi, è venuto e lo so di certo perché
lho visto venire. Ma poi ci sono anche gelmi ti e perfino
geldiydi con due postfissi del passato uno dietro laltro
(uno agglutinato allaltro; la d di di si
desonorizza in t dopo mi , la y è un tampone
eufonico fra le due di), e poi
mi limiterò a
raccontarvi un episodio personale: quando ho cominciato a
studiare turco prendevo lezioni da uno studente della SISSA
proveniente da Istanbul.
Un giorno gli scrissi una mail perché avevo un problema
di sciatica: non camminerò per una settimana, gli scrissi
in turco. Rispose subito con le sue correzioni: il futuro
che avevo usato era stato agglutinato in maniera tale che
avevo finito col dire: non camminerò, ma potrei farlo
se mi ci impegnassi seriamente. Mi suggerì una più
felice ed apodittica agglutinazione: a prescindere dalle mie
intenzioni, dai miei sforzi e dalla mia buona volontà
non ci sarà modo per me di camminare. Sarò breve:
con una lingua simile (8) cercare che cosa sia carente o debole
è unimpresa vana: in turco cè tutto
quel che serve al passato, al presente, al futuro, a Platone,
a SantAgostino, a Nazým Hikmet e ai cybernauti
più esigenti.
Un modo
di dire turco recita: un gentiluomo parla in turco con la
famiglia, in arabo con Dio e in persiano con lamante.
E con questultima lingua - paradigma di tutto ciò
che è raffinato nella cultura islamica, a prescinder
dalla miseria dei tempi - che vorrei concludere il mio bestiario.
Il verbo persiano ha due temi, il tema del presente e quello
del passato: man mikonam, io faccio, contro man kardam, io
feci, dai temi kon e kard, rispettivamente (mi è un
prefisso che indica progressività e che è obbligatorio
al presente solo nel persiano moderno: Omar Khayym potrebbe
ben dire man konam; avrete già capito che in persiano
io facevo, progressivo, si dice man mikardam). Non solo non
cè nessun tema del futuro, ma le grammatiche
persiane, come quelle ungheresi, vi raccomandano di evitare
il futuro e di sostituirlo con il presente, fard mikonam,
domani farò, ma alla lettera domani faccio. Esiste
comunque un futuro perifrastico formato con lausiliare
volere e con una forma breve dellinfinito, man khoham
kard, ossia I will do, pari pari.
A Bolzano, sulla scorta delle indicazioni del grecista padovano,
scoprimmo un fatto che per me allora era
nuovo: le strutture logiche delle nostre lingue sono fossili
e riflettono una visione del mondo che è molto più
vicina a quella greca che a quella attuale. In generale le
strutture che servono a gestire il passato sono più
ricche, e cè una tendenza a riassorbire
il futuro nel passato: solo il passato ormai fuggito e il
presente già fuggente
sono reali, il futuro non ci appartiene, è nelle mani
degli dei, o di Dio. Ciò è confermato dalle
metafore spazio-temporali che noi usiamo intendo proprio
noi, badate, e non solo gli aymara. E linglese
a essere particolarmente chiaro: before vuol dire prima nel
tempo e davanti (ai nostri occhi), after vuol dire sia dopo
(lets agree we meet after the concert, ossia nel futuro)
sia dietro (he ran after me, but I couldnt see him because
I was looking straight ahead). Pensate alla coppia francese
avant, prima, o en avant, devant, davanti, o alla frase italiana
lievemente scorretta lorto sta dopo la casa, mentre
il giardino sta prima della casa, che chiunque di noi corregge
automaticamente in lorto sta dietro la casa, mentre
il giardino le sta davanti. Si potrebbe continuare, ma mi
accontenterò di listare opposizioni del tipo before,
avant nel tempo e before, devant, en avant nello spazio, riferendomi
ad alcune delle lingue del mio bestiario:
tedesco:
vor, bevor
sloveno: pred, pred
rumeno: înainte, înainte
serbo: prije, pred
ebraico: la radice triconsonantica qdm serve in entrambi i
casi, qodem, prima, qidmì, anteriore
turco: il tema ön serve in entrambi i casi, önce,
prima, önde, davanti
persiano: pish, pish
Insomma,
nella nostra visione del mondo è il futuro che ci sta
davanti pieno di promesse, ma le lingue di cui ci serviamo
per comunicare non si sono ancora rassegnate e ci costringono
a incongrui arcaismi. Come studioso di soft computing dovrei
essere esasperato per lirragionevolezza delle lingue
naturali che sono il nostro modello: sono ridondanti, ambigue
e, quasi non bastasse, sono restie allupdating, quando
si è fatta strada una nuova versione della
nostra visione del mondo non hanno nessuna fretta di aggiornare
i loro tools ormai fuori corso. E invece ne sono ammirato,
e sono profondamente convinto che anche le loro pecche spieghino
perché, con la nostra intelligenza naturale, noi siamo
così bravi a svolgere compiti che ai robot dotati di
intelligenza artificiale sembrano difficilissimi; né
mi stupisce, o tantomeno mi rattrista, che incompletezza,
incertezza, ambiguità, vaghezza siano concetti che
ormai pervadono la scienza moderna, a partire proprio dalla
logica e dalla matematica.
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5 O
al presente, se laspetto del verbo è durativo,
imperfettivo.
6 Il futuro non esiste in finlandese, altra lingua ugrofinnica;
relata refero, ma leggo testualmente in una grammatica di
finlandese: the future has no separate tense in Finnish,
and the present tense does duty for it.
7 Un po meno razionale larabo, che pure dellebraico
è parente stretto: il futuro arabo è perifrastico,
la forma che corrisponde al futuro ebraico è il presente
arabo (di nuovo confusione fra presente e futuro!), mentre
il presente perifrastico ebraico del tipo ani koné,
io sono comprante, è usato solo quando si vuole sottolineare
la progressività dellazione.
8 Vi assicuro che vale la pena di studiarla solo per capire
come funziona, tanto più che Atatürk
ci ha fatto il regalo dellalfabeto latino al posto
di quello arabo. Una lingua dalle mille e una sfumatura
- da matematico arriverei a dire che di sfumature il turco,
a forza di infilar postfissi, ne ha (potenzialmente) 0,
che è la numerosità infinita di tutti
i numeri naturali
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