Internet e il Web 2.0 si avvicina alla visione di un mondo dove i soldi non esistono, si lavora gratis e si scambiano i beni (Fonte)

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Yochai Benkler, è un professore di giurisprudenza di Yale, ed è studioso di temi legati alla proprietà intellettuale e alle nuove economie di rete, ha scritto negli anni numerosi testi sui “commons”, i beni comuni dai quali Lawrence Lessig ha preso ispirazione per la sua licenza Creative Commons, e l’economia di rete, i modelli di produzione “aperti” e la brevettazione, l’impatto delle reti nel sistema normativo statunitense ed internazionale.
Il suo ultimo libro inedito in Italia, “The Wealth of Networks“, (l’università Bocconi ha pubblicato da poco la traduzione italiana: La Ricchezza delle Reti), è già considerato un classico: in poco meno di seicento pagine l’autore disegna i tratti fondamentali della nuova economia che sta emergendo dalla rete, e descrive come la produzione sociale stia trasformando i mercati e la libertà delle persone.
In questo saggio, Benkler illustra la sua tesi riguardante il fenomeno che egli battezza “commons-based peer production” (produzione tra pari basata su risorse comuni). Il professore è convinto che possa cambiare il mondo.

Riporto un brano:
“Quando ci guarderemo indietro, tra una decina d’anni, capiremo che quello che stiamo vivendo è un periodo eccezionale, uno di quegli snodi storici in cui si decide il futuro dell’assetto sociale del pianeta.”

Non è un soggetto pubblico né privato. Non è lo Stato né il mercato. La gente lavora, ma non viene pagata. La gente prende, ma non compra né vende. Pensate ad una spaghettata tra amici: tutti preparano qualcosa a casa loro e condividono i risultati mangiando insieme. Niente passaggi di soldi, niente direttive governative. E’ un esempio semplificato di “commons-based peer production”. Immaginate ora che, invece della cucina di casa, ciascuno possieda un pastificio. Immaginate che gli “amici” siano un miliardo di persone in una rete globale: ovviamente si avrebbero spaghetti gratis in abbondanza!

Benkler sostiene che grazie ad Internet un miliardo di persone è capace di grandi produzioni a basso costo, e hanno un miliardo di amici. I pc moderni sono in grado di gestire musica, video, contabilità, stampa, traffico telefonico. Moltissime attività, un tempo prerogativa dello Stato, sono oggi così a buon mercato che non vale la pena di farle pagare e si evolvono con tanta rapidità che non ha senso regolamentarle. Diventano attività sociali, come una spaghettata.
Pensate a Wikipedia: chi avrebbe immaginato che una vasta enciclopedia in continua espansione, prodotta gratuitamente da non professionisti, sarebbe diventato il testo di consultazione più usato del mondo?
Per non parlare di BitTorrent: i suoi utenti formano una rete peer-to-peer e distribuiscono valanghe di prodotti ad altissima velocità. Ovviamente gran parte dello scambio su BitTorrent è costituito da musica e filmati prodotti dall’industria dell’entertainment che lotta per mantenere i diritti di proprietà limitando la riproduzione digitale e imponendo diritti d’autore all’infinito.

Quindi l’utilizzo dei commons (beni comuni, che tutti possono utilizzare, ma sui quali nessuno può accampare diritti esclusivi), la produzione sociale, lo scambio peer-to-peer, le licenze di copyleft (che autorizzano chiunque a usare la produzione intellettuale altrui, purché lasci agli altri la stessa libertà sui frutti del proprio lavoro) hanno dato vita a fenomeni come il software open source, che ha rivoluzionato l’economia del settore, Seti@Home, il più potente computer del mondo, formato in realtà dalla capacità di calcolo inutilizzata di oltre 5 milioni di partecipanti connessi in rete, e reso possibile forme di giornalismo e distribuzione dell’informazione non tradizionali, come i blog, la cui efficacia Benkler documenta attraverso casi davvero avvincenti.

Ma perché combattere contro il potere tecnico insito in Internet? Perché non accettare semplicemente questa nuova realtà e ricostruire la società intorno ad essa? Nel lungo periodo saremo tutti più bravi e più ricchi.

Benkler spiega come dovrebbe funzionare un corretto sistema di produzione tra pari. Se si vuole che le persone lavorino sodo senza ordini e senza remunerazione devono poterne trarre ovvi benefici. Alcuni lavoreranno per cinque minuti, i più zelanti vi dedicheranno cinquant’anni, ma il sistema deve accettare sia il granellino che la montagna. Tutto questo si discosta chiaramente molto dall’attività del governo o della grande impresa. Bisogna affidarsi all’autoselezione (non si possono costringere le persone a partecipare ad un progetto di produzione tra pari) e i collaboratori devono disporre di mezzi di comunicazione per “costruire la fiducia” e per coordinarsi, poiché non si conosceranno mai di persona. Qualcuno deve poi avere il controllo del quadro generale, tutelare il sistema, dai sabotaggi e tenere conto di chi collabora a cosa, quando, come e perché. Gli individui all’interno del sistema devono sapere chi sta facendo un ottimo lavoro e chi è inutile (o peggio), attraverso la cosidetta “peer review” (verifica tra pari). E’ naturale che i collaboratori si irritino se hanno l’impressione di essere sfruttati e di non trarre reali benefici. Una buona professionalità richiede disciplina. La produzione tra pari non è puro divertimento, un capriccio o un passatempo. E’ un modo nuovo di fare qualcosa di importante con reali conseguenze. Per ultima viene la “sostenibilità istituzionale”.
Molti critici reputano che le risorse comuni prodotte tra pari siano una moda passeggera, un’aberrazione, o, semplicemente, un primo passo verso un sistema che verrà imprenditorializzato (il mercato) o regolato giuridicamente (lo Stato).

Che dimensioni potrà raggiungere, quanto potrà durare questa alterità? Benkler ha aperto un sito wiki ( http://www.benkler.org) per dar modo di dibattere sul tema della produzione tra pari basata su risorse comuni attraverso un modello analogo. L’obiettivo di Benkler è che tutti collaborino con lui a costruire un nuovo contesto giuridico ed economico per un diverso ordine mondiale. Fatevi avanti!