Il Benchmarking e la Teoria del Campo (V.Gucci)

Premessa
Il Benchmarking è una metodologia di indagine che aiuta le aziende a confrontarsi con altre al fine di migliorare le singole attività (processi) ed il business. 
Consiste nell'identificare e comprendere le best practices ed i fattori critici di successo di altre organizzazioni per poi adattarle in modo intelligente e creativo alla specificità del proprio business e della propria azienda per migliorare la performance. 

Il metodo consiste nell'analizzare aziende ritenute eccellenti in particolari processi (attività) o nell'adozione di metodi organizzativi più efficienti (practice) e nell'identificare standard di performance (benchmark) rispetto a cui poi confrontarsi per misurare i propri gap (quantitativi e qualitativi). 

Il Benchmarking prescinde dal settore di appartenenza. Infatti, con questo strumento si ricercano le prassi eccellenti presso le aziende leader in vari settori di mercato, anche differenti da quello della propria azienda. Successivamente si studia come adattare alla realtà della propria azienda quanto appreso con il benchmarking. Esistono tipi diversi di benchmarking:

  • benchmarking interno, realizzato all'interno della propria organizzazione (gruppo, azienda, ecc.), confrontando una business unit con altre business unit più performanti;
  • benchmarking competitivo, realizzato confrontandosi con aziende concorrenti;
  • benchmarking esteso, realizzato confrontandosi con aziende non concorrenti anche al di fuori del proprio settore di attività

1.     Il benchmarking politico e sociale
Non c’è dibattito televisivo nel quale qualche ospite non esclami la fatidica frase: “Come fanno altri paesi civili…..”. Oppure:” In nessun altro Paese succede che”. L’aspetto comico della situazione sta nel fatto che queste frasi vengono a turno espresse da opinionisti diversi e antagonisti. Uno dei maggiori sollazzi di Parlamentari o Consiglieri di ogni ordine e grado è quello della visita di studio. Allegre comitive di rappresentanti politici e sindacali vanno  in Giappone per capire come è organizzata la pesca d’altura; a Cuba per vedere come si producono i sigari; in Islanda per carpire tutti i segreti del traffico su ghiaccio. L’Unione Europea ha lanciato numerosi programmi per lo scambio di “best practices” fra Enti Locali o Governi. Nel dichiarato c’è una corsa al miglioramento continuo,  mediante il travaso da una località all’altra delle migliori (più efficaci) soluzioni adottate ai vari problemi. A livello microscopico è tutto un fiorire di manuali-testimonianza del tipo “fate come ho fatto io”. E di dispensatori di consigli o consulenze forniti da “esperti”, che conoscono infiniti casi e diverse realtà. Le “migliori pratiche” realizzate da qualcuno vengono suggerite come modello per tutti coloro che non sanno come risolvere quel dato problema. Anche coloro che hanno qualche problema si affannano a cercare esempi, modelli, ricette, da imitare ed applicare. L’idea di importare il meglio di un sistema in un altro appare ragionevole, sia a livello politico sia a livello individuale.

2.     La realtà osservabile

La realtà che osserviamo tutti i giorni è però ben lontana dalle dichiarazioni di entusiasmo per il benchmarking. Soluzioni politiche adottate con successo in Gran Bretagna diventano catastrofiche in Italia. Riforme  sociali efficienti adottate negli Usa risultano irrealizzabili in Paesi per certi versi anche simili.

Non esiste un solo Servizio Sociale, una scuola, un Ente Locale che riesca con successo ad importare una delle tante “migliori pratiche” adottate un’analoga organizzazione, anche della stessa provincia. Ogni tentativo di importare pratiche dall’esterno di un sistema viene accusato di “colonizzazione”. Una pratica efficace realizzata da un settore o ufficio, risulta inapplicabile in altre realtà sia pure della stessa organizzazione. I consigli individuali, anche quando sono  richiesti con accorati lamenti a esperti, colleghi o amici, non vengono quasi mai seguiti. Se vengono seguiti, subiscono una deformazione che li rende inutili, se non dannosi. Se vengono seguiti nella stessa forma, raramente funzionano. Un vecchio detto popolare, quello che definisce la “Storia come maestra di vita” è visibilmente contraddetto ogni giorno da nazioni, organizzazioni, gruppi e individui. Il passato non sembra avere alcuna funzione magistrale. Anche qui il banchmarking viene utilizzato solo retoricamente. Quando serve, ci si aggrappa a “come si è sempre fatto…” o “come avveniva una volta….”. Ma con la stessa disinvoltura affermiamo che “i tempi sono cambiati” oppure che la tal cosa è anacronistica. In concreto, non solo il benchmarking spaziale è rifiutato, ma anche quello temporale. Il rifiuto del passato come oggetto di benchmarking nel presente, è parallelo al rifiuto del presente come possibile luogo di benchmarking per il futuro. Sembra che non esista buona pratica del presente che debba essere preservata ed esportata nel futuro.

3.     Una possibile spiegazione

La Teoria del Campo di Lewin fornisce una spiegazione plausibile dell’improponibilità del benchmarking. Il campo lewiniano è un sistema “la cui somma delle parti è diversa dall’insieme”. Questo implica che un sistema politico, sociale o intrapsichico non può alterare una sua parte senza scompaginare l’insieme.  Una pratica, un comportamento, una riforma che risultano efficaci dentro un sistema, in quanto ne sono una parte armonicamente inserita, in un altro sistema subiscono il rigetto degli organi trapiantati. Se inseriti a forza possono anche diventare fonte di necrosi per l’intero sistema. L’oggetto del benchmarking assume il ruolo  di un virus, di fronte al quale gli anticorpi del sistema “attaccato” mettono in atto ogni forma di resistenza. Il sistema immunitario del corpo umano ha un suo correlato in tutti i campi “umani” come la politica, la società, il comportamento. L’acquisizione di nuovi comportamenti a livello individuale è un evento ostico, che se non avviene per trauma o nei tempi lunghi di una intera vita, richiede attente strategie educative, formative e terapeutiche. Non è dunque ragionevole  pensare che il cambiamento di un solo fattore politico, sociale, culturale, organizzativo di un macro-sistema avvenga per mero decreto. L’introduzione di elementi liberistici in un “campo”  socialista provoca risultati catastrofici, esattamente come l’introduzione di elementi socialisti in un campo liberistico. L’idea di considerare la democrazia una “best practice” da esportare, anche con le maniere forti, in contesti strutturati come regimi socialisti o totalitari o teocratici,  è destinata non solo a non funzionare, ma anche a creare disastri. Come la Teoria del Campo dimostra.

4.     Un approfondimento

La Teoria del Campo, se intesa in forma assoluta, descrive sistemi destinati a non mutare, non evolversi, non espandersi. Il che è però contraddetto dall’osservazione. In verità nessun campo è esente dal cambiamento. Il fatto è che questo non si realizza per trapianto, per imitazione, per clonazione, ed ancor meno per  imposizione.  Il cambiamento dei Campi avviene per dinamiche interne, magari stimolate, provocate e suggerite –ma niente più- dall’esterno. Così come i farmaci non bastano, se il “corpo non reagisce” alla malattia, analogamente le strategie adottate col benchmarking, con l’imitazione di quello che si fa all’estero, o coi consigli di amici sono inefficaci, se il Campo non si attiva nella stessa direzione.

Un campo dinamico al suo interno, aperto, sicuro e soddisfatto di sé, è un campo che si evolve o cambia con maggiore facilità. In questo caso il benchmarking diventa un metodo plausibile.  Un tale campo dinamico cambia imparando dall’esterno e dal passato. Purtroppo i “campi” politici, sociali e individuali contemporanei non sono internamente dinamici, non sono aperti, non sono sicuri né soddisfatti di sé. Un Campo che si trova in simili condizioni patologiche è incapace di evolversi e cambiare e dunque gli oggetti del benchmarking e le best practices risultano meri attivatori di processi invidiosi distruttivi. Le cose migliori, i processi più avanzati, la qualità, l’efficacia e l’efficienza dei subsistemi, dei sistemi esterni o dei sistemi passati per essere inglobati richiedono forti cambiamenti. Poichè questi cambiamenti  strutturali non sono ammissibili, la desiderabilità si trasforma prima in vorace desiderio di possesso, poi in senso di colpa da coscienza dell’inadeguatezza, ed infine in spinta ad espellere e distruggere. Nel primo stadio, l’ipotesi di innovazione unita all’impossibilità di cambiare, si traduce in una voglia di possedere, divorare, inglobare. Il sapere assume la forma della mera enigmistica; le tecniche sono considerate farmaci taumaturgici; le innovazioni non vengono integrate, ma archiviate nello scaffale dei trofei. Nel secondo stadio, l’innovazione si mostra per quello che è: un appello al cambiamento strutturale del Campo. La consapevolezza di non volere o non essere capace di affrontare questo cambiamento, carica il Campo di sensi di colpa. Se non siamo capaci di diventare quello che invidiamo, significa che siamo inadeguati, cioè colpevoli. Nel terzo stadio l’oggetto indiziato diventa odioso, e va allontanato o distrutto. 

Ecco perchè oggi, i nostri Campi politici, sociali e individuali non solo non riescono a fare benchmarking o assumere le best practices, ma tendono a emarginare e reprimere chiunque li provoca a farlo.