PARTE  SECONDA - PSICHIATRIA (parte seconda / torna a prima parte)
2.9.  LE PSICOSI MANIACO-DEPRESSIVE

2.9.1.  Generalità.

Comprendono sia le forme bipolari, caratterizzate da alternanza di fasi diverse (maniacali o depressive), sia le forme monopolari, caratterizzate da alternanza di fasi dello stesso tipo.

Il rischio di malattia oscilla intorno all’1%; vi è una certa costituzionalità dato che gli studi sui gemelli omozigoti presentano una concordanza nell’ordine del 65%, mentre nei gemelli dizigoti e nei fratelli è intorno al 20%.

Illustreremo i due diversi tipi di fase della psicosi maniaco-depressiva.

2.9.2.  L’accesso maniacale.

L’accesso maniacale è uno stato di eccitamento caratterizzato da euforia, fuga delle idee, iperattività disordinata, insonnia.

2.9.2.1. Esordio. Può essere brutale oppure progressivo con uguale frequenza. In ambedue i casi si nota l’instaurarsi di un senso di euforia, di potenza, dell’impressione di poter fare tutto facilmente, di un’anomala loquacità, di un’insonnia grave, della tendenza a spese, comportamenti stravaganti, eccessi alimentari, sessuali, di consumo di alcoolici.

2.9.2.2. Periodo di stato. Il paziente è eccitato, ha una mimica eccessiva ed esagerata. Il contatto è facile e superficiale ma sostanzialmente è sintono con l’ambiente. L’umore è euforico, il paziente ha l’impressione soggettiva di un enorme benessere e piacere; sono però quasi sempre presenti sbalzi di umore molto rapidi dal riso al pianto, alla collera, alla sospettosità. Le idee del paziente corrono con grande rapidità senza potersi fermare e provocano una logorrea inarrestabile; l’ideazione è caratterizzata da temi di grandezza molto fantasiosi, ma non vi è un delirio organizzato su temi costanti. L’attività è continua, senza sosta né requie, ha un carattere ludico (risa, canti) e di esibizione. È costante un’insonnia grave, ribelle alle cure e non spiacevole per il paziente; il dimagramento è frequente. Sono possibile grosse spese che possono provocare una catastrofe economica familiare.

2.9.2.3. Evoluzione. In assenza di cure l’accesso maniacale si riduce nel giro di 5-6 mesi; le cure riducono il periodo a un paio di mesi con una normalizazione progressiva. Il ripristino del sonno indica abitualmente la guarigione del paziente.

2.9.2.4. Accesso ipomaniacale. È una forma che ha le stesse caratteristiche dell’accesso maniacale ma in modo più attenuato e meno grave.

2.9.2.5. Diagnosi differenziale. Sintomi simili a quelli dell’accesso maniacale sono presenti in alcune malattie organiche come tumori ed atrofia cerebrale, morbo di Parkinson; l’uso continuato di cortisonici può dare forme maniacali.

2.9.3.  L’accesso melanconico.

È uno stato di gravissima depressione caratterizzato da dolore morale, inibizione e rallentamento psicomotorio, insonnia ed anoressia. È presente un forte rischio di suicidio.

2.9.3.1. Esordio. Solitamente insidioso: i primi sintomi, molto generici, sono l’insonnia e la fatica. Crescono un sentimento di incapacità, indecisione, diminuzione della volontà, stato ansioso.

2.9.3.2. Periodo di stato. Il paziente è pallido, la mimica del viso fissa, le pieghe degli occhi e della bocca sono rivolte verso il basso, è dolorosamente concentrato su di sé; l’eloquio è lento, penoso, spento, monocorde, accompagnato da gemiti e sospiri. Le idee sono rallentate, il ricordo difficile, la riflessione impossibile: il vissuto del tempo è quello di un tempo che non scorre mai ma l’orientamento è conservato. La volontà è bloccata da un sentimento di impotenza e di indecisione. L’azione richiede uno sforzo enorme tanto che le cure fisiche sono trascurate. I sentimenti del paziente sembrano bloccati, apparentemente assenti: non è più presente il gusto della vita  ma  solo  rimorsi e disperazione. I sentimenti del paziente sono del tutto indipendenti dalle circostanze reali. Il paziente accusa delle penose sensazioni fisiche: testa vuota, oppressione, spasmi ecc. E’ frequentissima una grave insonnia, inappetenza, anche grave, dimagramento, amenorrea. I sintomi sono più gravi al mattino che alla sera. Un’ideazione suicidale è costante, la morte è desiderata e spesso ricercata; talvolta il paziente non si alimenta per poter morire. 

2.9.3.3. Evoluzione. L’accesso melanconico guarisce spontaneamente in 6-7 mesi, ma con le attuali cure si può ridurre la durata dell’accesso a 1-2 mesi. La ripresa si effettua progressivamente; la ripresa dell’alimentazione e del sonno sono dei buoni indici di miglioramento.

2.9.3.4. Altre forme di depressione grave. Nella depressione delirante il paziente presenta un delirio di colpa e di indegnità nel quale si accusa di ogni genere di colpa, spesso assurdamente (ad es. la paziente che si riteneva responsabile della seconda guerra mondiale). Nella depressione stuporosa o catatonica il paziente è totalmente immobile e mutacico: Nella depressione agitata vi è uno stato d’ansia gravissimo ed un’attività motoria continua.

2.9.3.5. Diagnosi differenziale. Varie malattie organiche presentano quadri simili a quelli della depressione, caratteristici sono però il tono pessimistico, la sproporzione tra affetti e cause, la prevalenza mattutina.

2.9.4.      Tipi di malattia.

La psicosi maniaco-depressiva di tipo bipolare vede alternarsi fasi maniacali e fasi depressive. Sono però presenti anche forme pure di tipo maniacale, piuttosto rare, o di tipo depressivo, più frequenti. In questo secondo caso vi sono vari episodi intervallati da periodi di benessere. Nelle forme monopolari depressive le ricadute sono più frequenti.

2.9.5.  Meccanismo psichico delle psicosi maniaco-depressive.

Abbiamo già visto quale sia il meccanismo psichico di base delle depressioni nel capitolo precedente. Anche se vi sono diversità, probabilmente addirittura sul piano biologico, tra la depressione melanconica e la depressione psicogena, dobbiamo dire che, in generale, la depressione è legata ad un disturbo della fase orale consistente nella perdita reale o immaginata della persona di riferimento affettivo (solitamente la figura materna). I violenti sentimenti aggressivi che il paziente volge contro la madre, colpevole di averlo abbandonato, lo fanno sentire cattivo e colpevole. Questi sensi di colpa e di indegnità mettono in moto le pulsioni autodistruttive, reali o psichiche, che sono sempre attive quando si sviluppa una depressione melanconica.

Nelle sindromi depressive inoltre vi è anche un senso di inadeguatezza a fronte di ideali onnipotenti interiorizzati attraverso la relazione con i genitori. Il paziente si sente inadeguato ed incapace di fronte a questi ideali, e non può sentirsi diversamente dato che un ideale è per definizione irraggiungibile. Questo provoca un grave abbassamento della stima basale di sé anch’essa sempre presente nelle depressioni.

Nella mania invece c’è una identificazione totale con le proprie pulsioni vissute in modo onnipotente e del tutto al di fuori delle costrizioni della realtà e del controllo della ragione.

2.9.6. Terapia.

Queste malattie devono essere ritenute come delle malattie gravi per i rischi in esse impliciti (spese eccessive, suicidalità) per questo la cura si effettua quasi sempre in ambiente ospedaliero o comunque protetto. Per quanto vi sia una certa tendenza alla cronicizzazione, i risultati delle cure sono discreti quando non buoni. È sempre possibile riuscire a stare meglio di come si starebbe senza cure: in questo senso l’evoluzione della malattia dipende sempre un po’ anche dal paziente stesso.

2.10.  LE  PSICOSI  SCHIZOFRENICHE

2.10.1.  Definizione.

Tra i disturbi mentali gravi, chiamati abitualmente psicosi, il più grave è rappresentato dalla schizofrenia: per la gravità dei suoi sintomi, per la sua evoluzione molte volte infausta, per la durata della malattia. La s. è un disturbo psichico molto grave caratterizzato dalla disgregazione dei differenti aspetti della vita psichica: intelligenza, pensiero, affettività, socialità, rapporto con la realtà. Disgregazione, o più precisamente dissociazione, significa che le varie parti della nostra psiche non sono più associate tra loro in un insieme armonico e collegato ma sono tra loro interdipendenti e scollegate.

Secondo un grande e famoso psichiatra francese, Henry Ey, la schizofrenia è una malattia cronica ed evolutiva, il che significa che siamo di fronte ad un processo di cui in nessun modo possiamo prevedere l’evoluzione

2.10.2.  Generalità.

Cenni storici. Il concetto di psicosi schizofreniche si definisce lentamente nel periodo che va

dalla metà dell’Ottocento al periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale: gli autori che rappresentano questi limiti sono Morel, 1860,  e Bleuler, 1911, passando per la grande opera di sistematizzazione di Kraepelin proprio a cavallo tra i due secoli.

Epidemiologia. E’ una malattia conosciuta e diffusa in tutte le epoche, razze e culture senza variazioni particolarmente significative. La prevalenza della S. nel corso della vita varia dal 0.6 al 1.5%, con un valore medio intorno all’1%. È una malattia ad esordio prevalentemente giovanile: il 75% dei pazienti si ammala prima dei 35 anni. La distribuzione per sesso non presenta differenze

Ereditarietà. La S. non è una malattia ereditaria che si trasmette da una generazione all’altra come l’anemia mediterranea o come l’emofilia. Gli studi fatti sulle famiglie dei pazienti hanno però permesso di capire che vi è una componente costituzionale che si trasmette ereditariamente. Se infatti l’incidenza della malattia nella popolazione generale è dell’1% si è visto che la concordanza in caso di malattia è dell’8-12% tra fratelli o tra gemelli dizigoti, mentre arriva al 50% tra i gemelli monozigoti. Esiste sicuramente una fragilità psichica che rende più facile avere una malattia psichiatrica, ma le malattie psichiche in quanto tali non si ereditano.

Fattori sociali. È sicuramente più frequente nelle classi sociali inferiori, ma è dubbio che questo sia l’effetto e non la causa della malattia. Per converso le condizioni economiche della famiglia di origine alla nascita del paziente non sono diverse da quelle della popolazione generale. Sono relativamente più frequenti nelle condizioni di sradicamento sociale (emigrazione, passaggio da strutture sociali collettiva a strutture fortemente individualiste). Una prova dell’influenza dei fattori ambientali della S, è data anche dal notevole cambiamento di sintomatologia in quest’ultimo mezzo secolo e dalle diverse forme sintomatologiche che la S. assume nelle diverse culture.

Dati somatici e biologici. Da più di un secolo sono in corso moltissimi studi per cercare di determinare delle alterazioni biologiche tipiche della S. ma finora senza risultati. Si ritiene che l’area limbica (zona centro-inferiore del cervello) sia implicata. Si ritiene anche che la S. sia legata ad un eccesso di dopamina, un mediatore chimico del cervello. Sono stati fatti studi neuroradiologici ed elettroencefalografici accurati ma i risultati sono solo ipotesi ed a volte solo congetture.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze definire che la S. è una malattia del cervello piuttosto che una malattia dell’esistenza oppure che è una malattia dell’esistenza che si sviluppa su un particolare substrato biologico, sono affermazioni ipotetiche. Darle come dato di fatto sarebbe scientificamente scorretto. Attualmente infatti si tende a parlare dell’origine psico-bio-socio-genetica della schizofrenia: che cosa rimane fuori? Questa risposta è una sorta  di  panacea universale che ci dimostra palesemente come in questo campo non abbiamo alcuna certezza.

2.10.3.  Aspetti psicodinamici

Mi sembra importante dare un certo spazio alle concezioni psicodinamiche della schizofrenia, anche se non sono accettate da molti, perché ci fanno capire come  può  essere  la  vita  interiore  di  questi pazienti, il loro modo di pensare, di sentire, di vivere.

Il meccanismo psicologico caratteristico della schizofrenia si costituisce precocissimamente, secondo molti autori nei primi due anni di vita, ed è il prodotto di precocissime frustrazioni e carenze sul piano affettivo, siano esse il prodotto di incapacità educative della madre o di particolarissime esigenze del bambino.

La struttura schizofrenica parte da un fallimento dell’organizzazione del narcisismo primario, cioè di quel senso di valore e di sicurezza basale di sé che proviene al bambino dall’amore dei genitori e che gli è indispensabile per riconoscersi ed amarsi ed in tal modo per essere in grado di affrontare sia il mondo esterno sia i compiti della crescita (capire e padroneggiare i sentimenti propri ed altrui, imparare a capire i simboli, apprendere le attitudini, le nozioni). Il bambino psicotico stabilisce con la madre una relazione di tipo simbiotico, nella quale non c’è l’evoluzione verso una progressiva autonomia ma la stasi in una relazione di dipendenza senza sbocchi dato che una separazione affettiva è impossibile. Quindi il tipo di relazione che viene proposto, e che verrà sempre riproposto in ogni altra relazione, è quello fusionale ed al fallimento di questa modalità –che non può essere accettata dagli altri- vi è una regressione ad una relazione autistica in cui gli altri esistono solo di riflesso alle proprie angosce. L’angoscia di base dello schizofrenico è quindi quella della rottura della fusione tra sé e l’oggetto d’amore, ma questa rottura viene sentita come una rottura del sé, come un andare a pezzi. Un Super Io come istanza normativa e regolatrice interna alla persona e quindi come istanza collegata all’individuazione ed all’autonomia, quello che gli adulti chiamano senso del dovere o senso morale, non si struttura e non struttura tutta la personalità dell’individuo. La personalità del paziente rimane quindi incompleta, spezzettata in varie parti che non si integrano tra loro. Quella che viene abolita è l’attività sintetica dell’Io: cioè la sua capacità di avere una visione completa ed integrata della realtà. Il conflitto intrapsichico dello schizofrenico è quello tra le pulsioni ed i desideri dell’ES da una parte, e la realtà che viene negata come tale e ricostruita in modo fantastico all’interno del delirio dall’altra. Non a caso il linguaggio dello schizofrenico non è uno strumento di comunicazione all’interno di una relazione interpersonale ma è la trasmissione di un pensiero del tutto simile al linguaggio dei sogni: è ermetico, privato, magico, ludico, è un oggetto in sé non uno strumento di comunicazione. Spesso si tratta solo di giochi fonetici simili alle poesie del periodo simbolico-surrealistico.

In effetti tra sogno ed allucinazioni vi sono fortissime analogie: vengono vissute esperienze rimosse del passato, spesso del passato infantile; il sistema di collegamento delle idee è quello privo di tempo e di spazio tipico del sogno; il tipo di pensiero non è caratterizzato da un fluire logico e concatenato ma da meccanismi di condensazione, di spostamento, di simbolizzazione (tutto ciò che fa dei nostri sogni delle realtà comprensibili sì ma con grande fatica). Lo scopo del sogno, come quello delle allucinazioni e dei deliri che le sostengono, è quello di creare una realtà fantastica che possa soddisfare dei desideri altrimenti irrealizzabili.

2.10.4.  Sintomi tipici della schizofrenia

Descriveremo i sintomi tipici della schizofrenia: possono non essere tutti presenti contemporaneamente e possono presentarsi anche in forme più sfumate.

Dissociazione.

È il sintomo più classico di questa malattia, quello che, da Bleuler in poi, le ha dato il nome (dal greco scizw (schizo): scindo, divido, dissocio, non mantengo associato). La personalità del paziente non forma un tutt’uno relativamente armonico e coerente ma vari momenti, modi di essere, pensieri, desideri, comportamenti –spesso contrastanti tra di loro- si accavallano e si mescolano in un miscuglio illogico ed apparentemente senza senso. (Così un paziente può dirmi piangendo che non gli importa nulla della mia partenza ed un altro può dirmi ridendo che gli dispiace molto; molti pazienti con cui c’era un rapporto molto particolare non si sono più fatti vedere alla notizia della mia partenza; lo stesso paziente che pensa di essere figlio del Faraone può parlare con me di automobili ecc.).

In realtà il delirio ed il  discorso  dello  schizofrenico,  esattamente  come  quello  del  sogno,  hanno

sempre una loro logica ed estremamente concatenata, ma questa logica non rispetta le normali regole della logica di tipo matematico, basata sul principio di identità e di causa-effetto, caratteristici della nostra logica di adulti occidentali.

La dissociazione è responsabile della bizzarria (essere insolito, strano, paradossale), stranezza, impenetrabilità (difficoltà di comprensione), ambivalenza (sentimenti opposti contemporaneamente verso la stessa persona o situazione) che sono tipici del modo di vivere dello schizofrenico.

Depersonalizzazione. È la perdita del senso di identità e di integrità psico-fisica della propria persona unita ad un senso di stranezza ed all’angoscia di andare a pezzi

Disturbi del pensiero. Non è colpita primariamente l’intelligenza ma il modo nel quale si articola il pensiero, che non è concatenato in forma logica ed intimamente coerente. Il pensiero dello schizofrenico è abitualmente infiltrato da idee deliranti.

Disturbi motori. Ai loro due estremi sono caratterizzati dalle crisi di agitazione psicomotoria che possono arrivare alle gravi crisi pantoclastiche, in cui il paziente rompe tutto, o dall’inibizione più grave che può arrivare alla clinofilia, quando il paziente passa a letto tutta la sua giornata.

Delirio.

È un disturbo del pensiero consistente nella formazione di convinzioni errate, non aderenti alla realtà, assurde per il loro contenuto, ma incorreggibili a qualsiasi critica od argomentazione contraria. È tipica della schizofrenia ed è spessissimo associata ad allucinazioni. I deliri possono essere molto ben sistematizzati all’interno di un sistema delirante o più caotici e fluttuanti; si distinguono per i loro temi: di grandezza, di persecuzione, mistici, erotici, ipocondriaci. Per lo più il delirio non è permanente ma lascia momenti, più o meno brevi, di requie. A volte, soprattutto nei deliri cronici, è invece continuo.

Autismo.

Consiste nel ripiego in se stesso per evitare angosce e paure derivanti dal contatto con un mondo pauroso, terrificante. Il paziente si aliena nel labirinto delle sue fantasie, in un vissuto atemporale, ermetico e senza senso.

2.10.5. Classificazione delle forme schizofreniche

Distingueremo le forme iniziali di S. da quelle che invece si sono cronicizzate in un percorso durato anni.

2.10.5.1. Forme iniziali.

Esordio acuto. L’esordio di una forma schizofrenica è talvolta acuto, esplosivo, ed inizia con il sorgere improvviso di un’esperienza allucinatorio-delirante. Alla base vi è la sensazione di correre un gravissimo pericolo di morte psichica o fisica. Il delirio fornisce una spiegazione in qualche modo accettabile per far fronte a questa sensazione terrificante.

Esordio progressivo. Altre volte l’esordio è invece progressivo, subdolo, con piccole stranezze durate anni ma complessivamente controllate; una progressiva rinuncia a fare attività fino allora piacevoli; delle graduali modificazioni del carattere; strani interessi per materie occulte, esoteriche, mistiche; timori di modificazioni del proprio corpo.

2.10.5.2. Forme cronicizzate. Comprendono alcune forme diffusissime ed altre meno diffuse e molto più rare.

Schizofrenia paranoide. E’ la più comune. Caratterizzata dalla presenza di allucinazioni solitamente auditive (voci minacciose, insultanti, insinuanti, imperiose ecc.) ma che possono anche essere visive, olfattive (odore di sporco), tattili (sensazioni di toccamento), cenestesiche (sensazioni di modificazioni del proprio corpo). È sempre presente un delirio, solitamente non troppo rigidamente organizzato, con le caratteristiche che abbiamo già visto precedentemente.

Schizofrenia ebefrenica. Caratterizzata da un esordio spesso insidioso; da comportamenti infantili, fatui, stolidi. Deliri ed allucinazioni sono assenti o poco significativi. Sono frequenti manierismi, smorfie, stereotipie, preoccupazioni ipocondriache. Il pensiero è disorganizzato, il linguaggio sconnesso ed incoerente. La socializzazione è scarsa od assente, il comportamento afinalistico, irresponsabile, imprevedibile. L’affettività è scarsa o non espressa. L’evoluzione è molto infausta anche perché le terapie sono poco efficaci su queste forme.

Schizofrenia simplex. Caratterizzata da un’evoluzione lenta ed insidiosa che dura anni. Il paziente è molto chiuso, con grande povertà affettiva, scarsissimi interessi, un umore abitualmente neutro ed indifferente, una vita monotona, ripetitiva, stereotipata, un eloquio povero come la mimica.

Nei pazienti ammalati da molti anni questo quadro è difficilmente distinguibile da quello della schizofrenia residuale di una forma schizofrenica passata, ora non più produttiva  ma in quiescenza.

Schizofrenia catatonica. Attualmente quasi scomparsa, era l’abituale prodotto della segregazione manicomiale. Caratterizzata da violente crisi di agitazione psicomotoria o da stupore che poteva arrivare fino al mutacismo. Nel passato vi erano casi di “flexibilitas cerea”, nella quale il paziente poteva mantenere una posizione, anche scomoda, per ore ed ore.

Forme schizoaffettive. Sono persone che presentano, accanto ai disturbi del pensiero che abbiamo visto finora, anche disturbi del tono dell’umore caratterizzati da fasi depressive, diverse e più gravi dell’abituale depressione dello schizofrenico, o fasi maniacali. Richiedono una doppia terapia.

Forme pseudonevrotiche. Secondo molti autori sono in costante aumento e sono caratterizzate dalla presenza di sintomi schizofrenici in forma non grave, uniti a sintomi di tipo nevrotico.

Il paziente è fortemente ambivalente e può passare da fasi di freddezza e distacco ad altre di impulsività più o meno grave; presenta una ipersensibilità e suscettibilità eccessive ed immotivate. Vi è una cattiva modulazione affettiva ed emotiva sulla base di uno stato d’ansia diffuso e senza ragioni apparenti. Sono frequenti fantasticherie che infiltrano la vita del paziente anche se sono mantenute sotto controllo.

Secondo alcuno autori queste forme potrebbero essere l’effetto di forme schizofreniche decapitate dall’uso precoce di terapie farmacologiche adeguate, ma tale opinione è molto discussa.

2.10.6. Trattamento

Il trattamento delle forme schizofreniche deve attuarsi a vari livelli: psicofarmacologico, psicoterapeutico, socio-fisio-ergo-terapeutico ed in generale riabilitativo.

Un intervento farmacologico è indispensabile in queste forme ma spesso viene rifiutato dal paziente a causa degli effetti collaterali dei farmaci. Contrattare la terapia con il paziente è indispensabile, così come cercare con lui un tipo di farmaco che sia meno fastidioso possibile. Le terapie depot (l’iniezione una volta ogni 2-4 settimane) sono invece un ottimo mezzo di controllo per quei pazienti che sono poco attendibili nell’assunzione dei farmaci; anche in questo caso però le terapie devono essere costantemente contrattate con il paziente le cui osservazioni devono essere ascoltate e discusse con disponibilità. Spesso il paziente dice la verità sui disturbi che prova…

I nuovi farmaci hanno a volte effetti collaterali più gravi di quelli vecchi, altre volte invece funzionano molto bene: bisogna provare.

Nelle forme acute e gravi può essere necessario un ricovero nel reparto di psichiatria dell’ospedale, talvolta anche con procedure obbligatorie (il TSO). Se e quando è necessario è meglio non aspettare: fa molto più male al paziente essere abbandonato alle sue terrificanti follie che essere portato a forza in ospedale.

Fondamentali sono poi tutti quegli interventi che si fanno a domicilio del paziente per conoscere meglio l’ambiente e per dare alle famiglie un segno di solidarietà e di condivisione della loro pena.

Gli interventi riabilitativi sono anch’essi fondamentali per diminuire l’incidenza della patologia offrendo migliori possibilità di miglioramento.

Termino con una frase che ho spesso ripetuto ai miei pazienti: “Forse non si guarisce dalla schizofrenia, ma si può sempre migliorare, come anche peggiorare. L’evoluzione della malattia dipende, almeno in parte, anche dai pazienti stessi.”

2.11.  LE  SINDROMI  DELIRANTI  PERSISTENTI

2.11.1.   Definizione.

Le sindromi deliranti persistenti (di seguito SDP) sono disturbi deliranti cronici caratterizzati dalla presenza di un delirio permanente senza disgregazione profonda di personalità, senza perdita del patrimonio intellettuale, con un adattamento relativamente adeguato alla realtà esterna, salvo che in quelle circostanze che vanno a toccare i temi del delirio. Queste sindromi venivano precedentemente chiamate sindromi paranoidee.

Pur venendo solitamente ritenute parte delle sindromi schizofreniche, alcuni autori mettono fortemente in dubbio che la loro origine abbia meccanismi in comune con la schizofrenia.

2.11.2.   Caratteristiche generali.

Il delirio è una idea falsa, individuale, e quindi non patrimonio di un gruppo, sostenuta negando la realtà. Il delirio è espressione di un desiderio rimosso o di una paura inconfessabile.

I temi del delirio possono essere vari:

delirio di persecuzione nel quale vi è il timore di  essere  oggetto  dell’odio  di  qualcuno checerca di farci del male in vari modi.

delirio di grandezza nel quale si pensa di  essere  un  grande  uomo  con  una  missione  da compiere. Per questo si è oggetto di invidia e di odio da parte di nemici.

delirio mistico nel quale si pensa di essere un profeta portatore di un messaggio messianicoche darà la felicità al mondo.

delirio erotomanico nel  quale   il   paziente   pensa   di   essere   tormentato   delle   profferte d’amore di qualcuno, che in realtà non è per niente interessato a lui.

delirio di gelosia con gelosia palesemente irreale nei confronti del proprio coniuge, accusatodelle più infamanti ed incredibili storie di tradimento.

delirio ipocondriaco caratterizzato dalla certezza irriducibile di avere chissà quali malattie, nonostante che tutti gli  esami  fatti dimostrino il contrario. È importante non confondere un delirio ipocondriaco con l’ipocondria, timore (non delirante) di avere una  malattia.

delirio di riferimento nel quale il p. è fermamente convinto  che  determinate  cose  accadute,dette o fatte, si riferiscano specificamente a lui. Evolve solitamente in altri tipi di delirio come quello persecutorio o erotico o di gelosia.

delirio di negazione nel quale il p. si sente indemoniato, dannato, posseduto dal demonio, ed arriva a negare l’esistenza sua e del mondo.

Le SDP sono disturbi identificati nella letteratura psichiatrica da quasi due secoli. Non vi sono specificità di sesso, razza, livello socio-culturale.

2.11.3.  Classificazione clinica.

Comprendono varie forme diverse

2.11.3.1.  Paranoie (o Deliri paranoidei sistematizzati).

Sono dei deliri cronici senza allucinazioni, o nei quali eventuali allucinazioni

hanno un’importanza secondaria, e senza dissociazione, cioè scissione della personalità in varie parti tra loro diverse e contrastanti. I deliri sono sistematizzati in una costruzione d’insieme coerente ed apparentemente logica; sono settoriali, cioè relativi ad un determinato tema, mentre le altre parti del pensiero al di fuori e lontane da quel tema possono essere del tutto normali. Sono del tutto irriducibili a qualunque critica ed a qualunque dimostrazione del contrario. La personalità del paranoico è caratterizzata da egocentrismo, megalomania, diffidenza e sospettosità, estrema rigidezza psichica (è impossibile per loro  arrivare  a  capire  il  punto  di vista degli altri), giudizi dereistici ed immodificabili.

I deliri paranoidei si possono a loro volta dividere in:

Deliri passionali: erotomanici, di gelosia,  di  rivendicazione  (processuali,  inventori non riconosciuti, idealisti ideologici, sinistrosi deliranti)

Delirio sensitivo di relazione: con idee di riferimento nei confronti di  un  gruppo  da cui ci si sente esclusi per fatti o colpe non commessi. Provocano uno stato ansioso e/o depressivo spesso con temi ipocondriaci. L’evoluzione è spesso favorevole.

Delirio sistematico di interpretazione: una interpretazione è  un  pensiero  dereistico relati-vo ad una percezione esatta. In queste forme ogni cosa viene interpretata secondo un certo significato basato su una idea delirante. Queste forme sono all’inizio  poco si-stematizzate, ma possono progressivamente organizzarsi in un delirio coerente e chesi estende progressivamente a tutto il pensiero. Possono provocare  conseguenze  di  tipo medico-legale.

2.11.3.2.  Psicosi allucinatorie croniche.

Sono forme caratterizzate dalla presenza di allucinazioni auditive (rumori, suoni, voci solitamente a carattere minaccioso o svalutativo), cenestesiche (sensazioni di modificazioni del proprio corpo), olfattive (rare) che possono durare per moltissimo tempo.

In queste forme sono comunemente presenti anche disturbi del corso del pensiero come l’eco del pensiero (sensazione di sentire il proprio cervello che pensa, ragiona o parla) o il furto del pensiero (sensazione che il nostro pensiero possa in qualche modo essere controllato da altri).

L’evoluzione di queste forme può, con le attuali cure, arrivare ad una sorta di incistamento del nucleo delirante; altre volte evolvono invece verso una disgregazione schizofrenica.

2.11.3.3.  Parafrenie.

Sono caratterizzate da scarse o nulle allucinazioni o interpretazioni ma da immaginazioni floridissime che creano un ricchissimo romanzo immaginativo caratterizzato da colpi di scena, avventure fantastiche, falsi ricordi.

Solitamente vi è un buon adattamento alla realtà.

L’evoluzione di solito non va verso forme di disgregazione intellettuale ma verso un incistamento del delirio da cui il paziente si allontana progressivamente. Più raramente ci può essere una evoluzione verso la disgregazione schizofrenica.

2.11.4.  Meccanismi psicologici che stanno alla base del delirio.

Il delirio esprime un desiderio inconscio o una paura inaccettabile, proiettati all’esterno del p. e costruisce un mondo parallelo a fronte di un mondo reale sentito come inaccettabile.

Serve per dare una spiegazione, più o  meno logica e coerente, a qualcosa che viene sentito come una minaccia gravissima alla propria integrità psichica, ma che non si riesce a capire altrimenti, a volte perché non è stato reso altrimenti comprensibile;  talvolta infatti si riferisce a qualcosa che è non stato adeguatamente spiegato dall’ambiente e che il p. non può rappresentarsi che come una congiura ai suoi danni. In tal senso il delirio ha una funzione riparativa verso il timore di andare a pezzi di fronte a qualcosa di incomprensibile, tanto che alcuni autori hanno parlato del delirio come di un tentativo di autoguarigione del paziente.

Il delirio è illogico secondo le regole logico-matematiche, basate sul principio di causalità e di non-contraddizione, tipiche della scienza e dominanti nella moderna organizzazione sociale. Ha invece una sua propria logica, estremamente coerente e stringata, che però può essere decrittata e capita solo se viene vista inserita all’interno dell’esperienza di vita e nel mondo affettivo del paziente. La logica del delirio è la stessa dei sogni,  e dei nostri sentimenti: in quest’ottica il delirio diventa comprensibile e spiegabile.

2.12.  L’ALCOOLISMO

2.12.1.  Definizione e generalità

Alcoolista è un consumatore di alcool in eccesso che presenta sia uno specifico disturbo psichico sia manifestazioni che minacciano la salute, la vita relazionale, il comportamento. Queste persone necessitano di una cura.

Una definizione più semplice chiama alcoolista una persona che non è più in grado di astenersi dal consumo di alcool.

L’alcool ha un’azione anestetizzante ed euforizzante: è un antidolorifico ed un antidepressivo di facile acquisizione, anche se assai dannoso. Il consumo medio al di sopra del quale si instaura l’alcoolismo è di 150 centimetri cubici/millilitri di alcool anidro a 100° (pari a circa litri 1,350 di vino o litri 0,600 di superalcoolici come grappa, whisky, cognac, gin, vodka, slivoviz, kirsch oppure 2,5 litri di birra).

Tolleranza e dipendenza nei confronti dell’alcool

Nei confronti del consumo di alcool è utile distinguere la tolleranza dalla dipendenza.

La tolleranza è la quantità di alcool che una persona è in grado di consumare senza avere delle conseguenze patologiche a livello fisico o psichico. È molto variabile da persona a persona ma anche da fase a fase: è un fatto conosciuto da tutti che negli alcoolisti in stadio avanzato la tolleranza all’alcool diminuisce cosicché piccole dosi possono provocare ubriachezza e la diminuzione delle dosi non diminuisce i disturbi.

La dipendenza dal consumo di alcool, cioè la possibilità di astenersene, si manifesta in due modi:

la perdita di controllo del bevitore occasionale nel quale gli intervalli tra le bevute si raccorciano cosicché si assiste ad un passaggio dalla dipendenza psichica a quella fisica; questo tipo di dipendenza è tipico dei paesi del Nord Europa

l’impossibilità all’astensione di alcool per il bevitore abituale che può anche non ubriacarsi mai ma che deve bere ogni giorno una certa quantità di alcool, che tendenzialmente aumenta; è una dipendenza tipica dei paesi mediterranei, in particolare Italia, Francia e Spagna.

Differenze tra alcoolismo e tossicomania

Una volta queste forme di dipendenza venivano tenute distinte; attualmente si sottolineano invece le similitudini. In generale però si tende a pensare che la personalità di base del tossicomane è più patologica di quella dell’alcoolista. Per altro alcoolismo e tossicomania sono oggi assai spesso uniti.

2.12.2.  Fattori causali

Fattori sociali

L’alcoolismo è un fenomeno inserito in una certa cultura: si pensi all’alcoolismo professionale di muratori, baristi e cuochi, rappresentanti; oppure all’alcoolismo diffuso tra le popolazioni di montagna e in genere viventi in ambiente rurale. Il consumo di alcool è influenzato dalla pubblicità.

Fattori psicologici

Anche se non esiste un unico tipo di personalità dell’etilista tuttavia alcuni tratti di carattere sono assai frequenti: insicurezza, immaturità, scarsa tolleranza alla frustrazione, scarsa autonomia e dipendenza dalle persone di riferimento affettivo. L’alcoolismo femminile, oggi in grande aumento, è più legato a tratti depressivi o nevrotici. In enorme aumento è anche l’alcoolismo giovanile, nel quale agiscono moltissimi fattori: solitudine,  bisogno  di  darsi  un ruolo, senso di imitazione, insicurezza, uso dell’alcool come disinibente o come sostanza che dà una momentanea sensazione di euforia e sicurezza. Il consumo giovanile di alcool è ancor più fortemente influenzato dalla pubblicità.

2.12.3.  Classificazione

2.12.3.1.  Alcoolite

Caratterizzata da una personalità precedente non particolarmente disturbata, da un consumo quotidiano continuo ma senza eccessi e con rare o nulle ebbrezze; la relazione coniugale è caratterizzata da dipendenza e gelosia, la sessualità è conservata, la persona non si riconosce malata e non prova sensi di colpa. L’evoluzione è molto lenta e può andare verso una riduzione o verso la presentazione dei sintomi fisici dell’alcoolismo. È molto frequente negli uomini, rarissima nelle donne. È tipica dei paesi mediterranei

2.12.3.2.  Alcoolosi o nevrosi alcoolica

E’ caratterizzata da consumo discontinuo, da ebbrezza intervallate, dal consumo di superalcoolici, da sentimento di disgusto per l’alcool e da forti sensi di colpa. L’evoluzione è rapida, con gravi conseguenza sociali e professionali. È molto frequente negli uomini, frequentissimo nelle donne. È tipica dei paesi dell’Europa settentrionale.

2.12.3.3.  Dipsomania

E’ una forma caratterizzata dal consumo di enormi quantità di alcool di ogni tipo fino ad arrivare al coma alcoolico. E’ piuttosto rara.

2.12.3.4.  Alcoolismo sintomatico

Caratterizzato da un consumo di alcool che serve a placare le sofferenze psicologiche legate ad altre malattie (nevrosi, depressione, disturbi schizofrenici).

2.12.4.  Forme cliniche

2.12.4.1.  Quadro clinico dell’alcoolismo cronico

Viso acceso, alito che puzza di alcool, tremori, sudorazione continua. Disturbi alla funzionalità di fegato, cuore ed apparati circolatorio e neurologico. Il carattere presenta abituali modificazioni: irritabilità, collera, labilità del tono dell’umore, egocentrismo, scarso senso di responsabilità, scarso senso etico e perdita dei freni inibitori, vuoti di memoria che diventano sempre maggiori. Il problema viene abitualmente negato e la persona afferma di volerne uscire con le sue sole forze, naturalmente invano.

2.12.4.2.  Tipi di intossicazione acuta

Ubriachezza semplice: caratterizzata da umore euforico o, più tardi, depresso, diminuzione delle inibizioni, rallentamento dei riflessi, della motricità e della vigilanza.

Ebrietà patologica: vi è agitazione psicomotoria ed aggressività che possono arrivare anche all’ebrietà allucinatoria o delirante con gravi aggressioni od atti suicidi.

2.12.5.  Complicanze dell’alcoolismo cronico

L’evoluzione va verso gravi disturbi neurologici dovuti alle lesioni cerebrali provocate dall’alcool, sostanza fortemente tossica per il sistema nervoso. Per questo il consumo di sostanze alcoliche non dovrebbe essere abitualmente concesso ai bambini al di sotto dell’età dello sviluppo, se non in circostanze del tutto eccezionali.

Tra le complicazioni dell’alcoolismo cronico abbiamo la demenza; il delirio soprattutto di gelosia, di veneficio ed in generale persecutorio, le allucinosi croniche.

Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata allo svezzamento, dato che una brusca sospensione

dall’alcool potrebbe provocare crisi epilettiche, delirium tremens, allucinazioni o tremori.

2.12.6.  Trattamento

E’ importante che si abbia nei confronti dell’alcoolista un atteggiamento di accettazione senza un rifiuto preconcetto, senza critiche moralistiche, con pazienza per tollerare le inevitabili ricadute. Soprattutto da parte dei familiari un atteggiamento persecutorio e di colpevolizzazione è controindicato.

La cura dell’alcoolismo deve sempre essere fatta in ambiente specialistico: NOT, SerT, Servizi di Alcoologia. Buoni risultati ottengono spesso alcune organizzazioni che in questi ultimi dieci anni si sono diffuse anche in Italia, come i Club Alcoolisti in Trattamento o gli Alcoolisti Anonimi.

L’astinenza deve essere totale e definitiva.

2.13. LE TOSSICODIPENDENZE

Il problema dell’uso e della dipendenza da sostanze è ormai planetario ed implica numerosissimi e vari problemi a livello politico, economico, sociale e sanitario. Quello che verrà esposto è solo l’aspetto psichiatrico del problema.

2.13.1.  Generalità.

In farmacologia il termine di droga si riferisce a qualunque sostanza, naturale o sintetica, che abbia un’azione sulla psiche; in tal modo comprende anche gli psicofarmaci. In un senso più restrittivo ed ormai entrato nell’uso generale si intende per droga una sostanza psicoattiva usata per fini non medici ed al di fuori di un contesto sanitario. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si deve distinguere tra assuefazione e tossicomania, termine ormai abitualmente sostituito da quello più moderno di “dipendenza da sostanze”.

Assuefazione. Uso regolare di una sostanza che provoca desiderio ma senza tendenza all’aumento delle dosi, senza dipendenza fisica ma solo dipendenza psichica, senza sindrome da svezzamento.

Dipendenza da sostanza o tossicomania. Consumo ripetuto di una sostanza che porta, in termini più o meno rapidi, ad un desiderio incontrollabile di consumo con tendenza ad aumentare le dosi per adattamento dell’organismo alla sostanza (fenomeno della tolleranza) e per dipendenza sia psichica che fisica ed apparizione di una sindrome da astinenza in caso di mancanza della sostanza.

2.13.2.  Caratteristiche delle tossicodipendenze.

2.13.2.1. Le tossicodipendenze del passato. In tutte le epoche e civiltà ci sono state persone che hanno cercato l’evasione o la stimolazione intellettuale o creativa nell’uso di determinate sostanze. Vi sono state anche grosse implicazioni economiche: si ricordi ad esempio la Guerra dell’oppio condotta dall’Inghilterra contro la Cina nel 1840 ed avente lo scopo di costringere il governo cinese a dichiarare legale l’importazione di oppio all’interno del proprio territorio oppure l’uso di coca da parte dei possessori di schiavi in America latina  a partire dal 1500.

Durante la 2° Guerra mondiale era frequente l’uso di eccitanti come le anfetamine. In Europa l’uso di droghe era limitato agli ambienti artistici, letterari o sanitari (per la facilità di procurarsene). Morfina e cocaina sono state usate come farmaci nel periodo tra le due guerre mondiali.

2.13.2.2. Le tossicomanie moderne. Hanno caratteristiche completamente diverse: riguardano primariamente la gioventù; sono un fenomeno di massa ripartito egualmente in tutti i contesti sociali, culturali ed economici; vi è uso di numerose sostanze e non di una sola (politossicomanie).

Importante distinguere i consumatori occasionali di sostanze che si drogano assieme agli amici in gruppo e che hanno una vita del tutto regolare; dai consumatori abituali che vivono invece in un contesto fortemente asociale.

Uno studio condotto a Parigi nel 1970 ha mostrato che solo la metà circa dei tossicomani aveva avuto un’infanzia disturbata, per lo più da situazioni di abbandono affettivo in senso lato; circa i due terzi commettevano dei reati; la quasi totalità non aveva alcuna attività professionale.

L’uso di sostanze che danno dipendenza è stimolata da un mercato che offre sempre nuove sostanze o combinazioni.

2.13.2.3. La personalità del tossicomane.  Anche se comunemente si ammette che la struttura di personalità del dipendente da sostanza abituale è più grave di quella dell’alcoolista, non vi è un tipo di personalità caratteristico. Vi si trova indifferentemente:

·        Persone scarsamente equilibrate, immature, fragili, fino al disturbo del carattere o alla psicopatia

·        Schizofrenici che usano le droghe nell’illusione di trovare sollievo alla loro angoscia o in contesti di marginalizzazione sociale

·        Personalità perverse particolarmente pericolose per l’opera di proselitismo che mettono in atto e perché fanno parte della rete di distribuzione delle sostanze.

2.13.2.4. L’uso di sostanze come fenomeno sociale. L’uso di droga si sta sempre più diffondendo fino a diventare ormai generalizzato. È quindi importante differenziare i contesti e le motivazioni che stanno alla base. I fattori più frequenti sono:

·        La ricerca di un piacere insolito, tanto più desiderato perché proibito.

·        La pubblicità involontariamente fatta dai mezzi di comunicazione di massa e che possono stimolare curiosità e desiderio.

·        Espressione del desiderio di appartenenza ad un gruppo o come “cerimonia di iniziazione” per entrarci.

·        Ricerca di una esperienza spirituale particolare, spesso a carattere “religioso” o mistico.

·        Espressione di protesta contro la società, da posizioni che possono essere assai diverse (dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per tutti i centri). Secondo i dirigenti dei movimenti di rivoluzione politico-sociale (sia di destra che di sinistra) la diffusione delle droghe è anche stata facilitata da parti di certune organizzazioni statali (es. servizi segreti o sevizi speciali) come forma di controllo sociale.

·        Talvolta si tratta di un equivalente suicidale differito nel tempo.

2.13.3.    Tipi di sostanze.

2.13.3.1. Allucinogeni. Provocano illusioni o allucinazioni, per lo più visive, che a volte si strutturano in un pensiero delirante.  Comprendono  i  derivati  della  canapa  indiana  (hashish,  marijuana), LSD, mescalina (peyotl). Sono pericolose sia perché spesso sono  il  primo  passo  di  ulteriori avanzamenti nell’uso di sostanze sia perché possono provocare una evoluzione schizofrenica in persone psichicamente fragili.

Sintomi: possono provocare irritazione agli occhi, tosse, asma, cefalea, vertigini, crisi di sudorazione, disturbi del sonno, disturbi dei movimenti, crisi di angoscia o di eccitamento.

2.13.3.2. Stupefacenti. Potenti antidolorifici provocano una diminuzione delle reazioni emotive. Comprendono tutti i derivati dell’oppio: oppio, eroina, morfina. Sono molto rischiosi sia sul piano fisico ( infezioni, mortali over-dose essendo sconosciuta la concentrazione della sostanza) che psichico.

Sintomi: possono provocare restringimento delle pupille, intolleranza ai rumori ed alla luce, lividi ai punti di iniezione, difficoltà alla concentrazione, disturbi del comportamento.

2.13.3.3. Stimolanti o eccitanti. Provocano uno stato di eccitamento. Comprendono le anfetamine e la cocaina. Anch’esse possono favorire l’emergenza di una patologia psichiatrica.

Sintomi: possono dare tachicardia, innalzamento della pressione, vertigini, cefalea, sudorazione; euforia che si può trasformare in eccitamento ed aggressività.

2.13.3.4. Altre droghe. Vari solventi chimici  ma  soprattutto  sonniferi  ed in particolare quelli derivati  dalle benzodiazepine possono essere usati in un contesto tossicomanico, talvolta a partire da un uso medico di questi prodotti.

2.13.4.    Terapia.

Trattamento delle over-dose. Deve essere sempre fatto in ospedale.

Svezzamento. Anch’esso deve essere fatto in ospedale  o  in  centri  specializzati  come  i  SerT. Attualmente per i dipendenti  da  eroina  è consentito l’uso di  una  sostanza  sostitutiva, il Metadone a dosi scalari verso zero.

Presa in carico del paziente dipendente da sostanza. Estremamente  difficile  per  la   scarsa motivazione di moltissimi pazienti ad una presa in carico psicoterapeutica. Buoni  risultati  si  sono  ottenuti  con   l’inserimento   in   comunità   di  tossicodipendenti,  ma l’inserimento può durare per tempi indeterminati e le ricadute alla dimissione sono frequenti.

2.14  LE EPILESSIE

2.14.1. Definizione.

Sono dei disturbi parossistici episodici legati a disturbi dell’attività bioelettrica cerebrale.

Sul piano psichiatrico le epilessie pongono due ordini di problemi: uno diagnostico, dato che la diagnosi differenziale con altri disturbi psichici o psico-organici può essere talvolta difficile; uno terapeutico-riabilitativo, dato che un quarto circa degli epilettici non è in grado di lavorare ed è poco autonomo e un altro quarto presenta disturbi di personalità che richiedono a volte interventi specialistici.

 2.14.2. Classificazione.

Classicamente le crisi epilettiche si dividono in crisi epilettiche totali o parziali, secondo la parte di area cerebrale interessata.

2.14.2.1.  Crisi epilettiche generalizzate.

Sono delle scariche parossistiche che all’EEG  si presentano come bilaterali, sincrone, simmetriche. Divise a loro volta in:

Crisi di grande male. Caratterizzate da una perdita di coscienza totale ed immediata; da una caduta brutale che spesso provoca lesioni più o meno gravi al viso, al capo, agli arti superiori ed al corpo; da contrazioni tonico-cloniche unite a morso della lingua ed a perdita di urina; da uno stato confusionale successivo all’attacco caratterizzato da una amnesia totale.

Crisi di piccolo male. Caratterizzate da brevi sospensioni della coscienza dalla durata di 5-15” con brusche scosse cloniche bilaterali al capo o agli arti superiori. Il ritorno di coscienza è immediato. Questi episodi possono susseguirsi anche più volte nella giornata.

2.14.2.2.  Crisi epilettiche parziali.

Sono delle scariche parossistiche localizzate (di seguito abbreviate in CEP) ad un settore cerebrale, che possono successivamente generalizzarsi.

Anch’esse a loro volta si suddividono in:

·        C.E.P. senza perdita di coscienza. Sono definite in base all’area cerebrale interessata.

Crisi somato-motorie (o crisi Jacksoniane): localizzate nella parte posteriore della zona frontale e caratterizzate da scosse tonico-cloniche che partono da un’estremità per poi generalizzarsi

Crisi somato-sensitive: localizzate nella zona parietale anteriore e caratterizzate da parestesie e da alterazioni dello schema corporeo

Crisi sensoriali: caratterizzate da disturbi della vista (se localizzate in zona occipitale), o auditivi (se localizzate in zona sovratemporale).

·        C.E.P. con perdita di coscienza.  Possono,  non  obbligatoriamente,  evolvere  verso  una

perdita di coscienza e verso una generalizzazione della crisi. Sono le cosiddette “crisi temporali” caratterizzate da una sintomatologia complessa e di difficile diagnosi, che comprende:

Sintomi vegetativi. Come dolore epigastrico, sensazioni di caldo o freddo, sapori particolari.

Allucinazioni. Possono riguardare qualunque senso (vista, udito, tatto, gusto ecc.).

Sintomi psichici. Sensazioni di depersonalizzazione e di derealizzazione, sensazioni di aver già vissuto quella particolare situazione, sensazione di stranezza. Sono vissute con molta angoscia dal paziente.

Sintomi comportamentali. Vi sono gesti automatici (masticazione, gesti vari) che possono essere anche molto complessi (comportamenti aggressivi). In generale questi atti automatici sospendono quello che il paziente stava facendo in quel momento. Sono spesso simili o identici alle forme trattate al punto successivo.

2.14.3.  Disturbi di coscienza prolungati.

Sono manifestazioni caratterizzate dalla perdita della coscienza vigile - cioè della capacità di apprendere e comprendere lucidamente i rapporti con e tra il mondo, in modo da adattarsi alle  esigenze di questo - che può durare per periodi più o meno lunghi (da qualche ora a qualche settimana).

Comprendono:

Comportamenti anomali. Sono comportamenti automatici e non coscienti che possono essere anche molto complessi ma che sono sempre inadeguati, amnesici, caratterizzati da un’espressione mimica di assenza più o meno grave: classicamente le fughe epilettiche.

Stati confuso-onirici. Stati di agitazione psico-motoria a forte tonalità ansiosa.

Stati crepuscolari. Caratterizzati da depersonalizzazione, allucinazioni, sensazione di metamorfosi, illusioni simili a quelle di un sogno prolungato. Sono solitamente molto brevi e con una amnesia consecutiva totale .Possono provocare degli atti aggressivi improvvisi e gravissimi.

2.14.4.  Diagnosi.

La diagnosi di epilessia è molto facile nei casi tipici, quelli del grande e del piccolo male. Le crisi parziale ed i disturbi di coscienza prolungati invece si possono confondere con manifestazioni nevrotiche, soprattutto attacchi di panico o crisi isteriche, allucinazioni deliranti od altri stati caratterizzati da disturbi dello stato di coscienza.

Qualunque tipo di epilessia può diventare uno “stato di male”, caratterizzato da crisi epilettiche subentranti o continue, che diventano crisi di grande o (più raramente) di piccolo male qualunque sia stato il loro esordio. Questa sindrome può essere mortale e deve essere rapidamente curata con un ricovero in ospedale oppure tramite iniezioni ripetute di lorazepam,  o in sua assenza di diazepam o clonazepam. E’ importante accertarsi che il paziente possa respirare liberamente adagiandolo su un fianco (attenzione a bocconi di cibo o rigurgito) e sia sufficientemente coperto.

2.14.5.  Disturbi psichici delle epilessie.

In generale il vissuto esistenziale dell’epilettico è quello di chi si sente affetto da una malattia cronica che provoca varie limitazioni di vita (guida, tipi di lavoro ecc.) da qui una visione piuttosto svalutata di sé, sentimenti depressivi, scarsa fiducia nelle proprie risorse e tendenza a sopravvalutare gli ostacoli. 

Alcune caratteristiche della personalità dell’epilettico sono abbastanza simili a quelle di tutti coloro che soffrono di disturbi psico-organici: scarsa concentrazione, difficile controllo delle emozioni e delle pulsioni, tendenza all’impulsività ed all’instabilità, scarsa tolleranza della frustrazione. A queste se ne aggiungono altre molto tipiche come una certa vischiosità affettiva, una certa rigidezza del pensiero, l’attenzione ai particolari e la difficoltà ad avere una visione d’insieme delle cose, una maturazione affettiva più difficile, una certa lentezza dei processi mentali o, a volte, un pensiero rapidissimo.

Il livello intellettuale degli epilettici è molto vario: alcuni epilettici (Richelieu e Giulio Cesare) erano geniali. Secondo alcuni dati, in generale il livello intellettuale degli epilettici è leggermente inferiore alla media, un deficit intellettuale è frequente in presenza di lesioni cerebrali di una certa gravità.

Circa la metà degli epilettici vive in modo del tutto normale, con le misure di prudenza necessarie; un quarto presenta un disadattamento socioprofessionale, un altro quarto presenta disturbi parziali che non impediscono una accettabile socializzazione.

In generale lo stigma sociale nei confronti degli epilettici è molto diminuito, è però importante lavorare per un buon inserimento sociale di questi pazienti, in modo da impedirne, per quanto possibile, evoluzioni patologiche sul piano psichico, tipicamente evoluzioni di tipo caratteropatico.

2.15.  I  DISTURBI  PSICHICI  DELLA  GRAVIDANZA  E  DEL  PUERPERIO

2.15.1.  Definizione e generalità

Sono disturbi psichici di varia natura, da gravissimi a meno gravi, legati alla gravidanza ed al periodo successivo al parto.

Questi disturbi sono strettamente legati alla storia della donna dato che una gravidanza fa riemergere tutta la sua storia psichica: il rapporto con la sua famiglia ed in particolare con sua madre, la sua storia affettiva, il suo sviluppo psichico e fisico nelle varie fasi, con i suoi successi e le sua difficoltà, la sua storia sentimentale, il suo rapporto con la maternità ecc.

Particolare importanza hanno inoltre:

·        fattori sociali: ad esempio una gravidanza illegittima

·        fattori economici: gravidanza di donne che devono lavorare pena la perdita del lavoro o che hanno problemi economici aggravati dalla gravidanza

·        fattori culturali: civiltà che valorizzano la maternità, come in genere le civiltà contadine; civiltà che non lo fanno per nulla, come in genere le civiltà industriali e metropolitane. Questo può dipendere anche dalla presenza o dalla mancanza di strutture di assistenza del bambino, come asili nido ecc. Si ricordi come l’Italia sia passata, nel giro di una generazione, dall’essere un Paese ad alto tasso di natalità ad essere diventato quello con il tasso di natalità più basso del mondo.

E’ inoltre importante valutare il terreno psicologico di una donna in gravidanza, soprattutto eventuali antecedenti o familiarità psichiatrica, la cui presenza rende la prognosi meno favorevole. Bisogna però anche aggiungere che malattie psichiatriche conclamate, come nevrosi e psicosi, a volte ottengono un netto miglioramento durante la gravidanza, anche se il rischio di complicanze psichiche post-partum è molto maggiore.

2.15.2.  Disturbi psichici della gravidanza

All’interno della gravidanza soprattutto due sono i periodi che presentano il rischio di problemi psichici: il primo ed il terzo trimestre.

2.15.2.1.  Disturbi psichici del primo trimestre. Sono legati all’accettazione della gravidanza, processo che può presentare delle difficoltà quando sia legato a situazioni difficili sul piano psicologico, economico, sociale.

Generalmente i disturbi di questa fase sono caratterizzati da nausee e vomiti, il cui significato psichico è, a volte, quello di un rifiuto della gravidanza; da stati d’ansia e d’agitazione legati alla paura di non essere all’altezza del compito di madre o di non avere un bambino normale; da manifestazioni fobiche od ossessive collegate ai timori esposti sopra; da stanchezza, umore depresso, comportamenti regressivi di tipo adolescenziale, tutti indicativi del desiderio di un maggiore sostegno affettivo.

Le manifestazioni psichiche molto gravi, depressioni maggiori o sindromi deliranti, sono abbastanza rare, non più del 10% del totale.

2.15.2.2.  Disturbi psichici del terzo trimestre.  Sono legati alla paura del parto vissuto come evento traumatico sul piano fisico, come momento di separazione dal bambino e di rottura della simbiosi che si è progressivamente instaurata nel corso del secondo trimestre.

Anche i disturbi di questa fase sono prevalentemente di tipo nevrotico: ansie e paure.

I disturbi psichici della gravidanza pongono gravi problemi sul piano terapeutico, dato che l’uso di psicofarmaci nel primo trimestre di gravidanza è fortemente sconsigliato perché queste sostanza passano attraverso il cordone ombelicale e possono provocare effetti gravi sul feto. In compenso gli elettroshock sono ben tollerati  e  non hanno  controindicazioni,  ma  sono male accettati dall’opinione pubblica, spesso per motivazioni che hanno assai poco di medico ma molto di sentito dire oppure per  preclusioni a priori di tipo ideologico. A volte queste prese di posizione sono addirittura condivise in ambito psichiatrico: alcuni psichiatri non vogliono eseguire elettroshock perché questo darebbe all’opinione pubblica un’immagine negativa del Servizio…

2.15.3. Disturbi psichici del puerperio.

Il periodo immediatamente successivo al parto è particolarmente delicato sia sul piano fisico sia su quello psicologico.

Dal punto di vista fisico le stesse modificazioni ormonali oltre ad eventuali eventi avversi durante l’ultimo periodo della gravidanza e durante il parto possono indebolire gravemente la puerpera. Possono provocare complicazioni le emorragie, infezioni o intossicazioni; i parti distocici; la morte del bambino, sue malattie e malformazioni.

Sul piano psicologico si tratta invece di sostituire la simbiosi fisica con una simbiosi psichica. Questo comporta una regressione del tutto fisiologica della madre, che solo in questo modo è in grado di capire i bisogni del bambino.

2.15.3.1. Le psicosi post-partum. Sono malattie particolarmente gravi che si presentano nel 1.5‰ dei parti. Insorgono nel periodo immediatamente successivo, dal 5° al 25° giorno, a volte preceduti da uno stato di agitazione.

Sul piano sintomatologico si tratta di un delirio su temi molto variati e poco stabili (classici quelli che riguardano la morte o lo scambio del bambino, la negazione della maternità, deliri di colpa relativi ad accidenti del parto), unito a confusione mentale, disorientamento, perplessità, illusioni visive. L’umore è generalmente depresso, ma possono esservi anche fasi di eccitamento.

Il rischio di suicidio-omicidio è molto alto e l’ospedalizzazione è spesso indispensabile.

Anche la terapia richiede molta attenzione, dato che i neurolettici ad alto dosaggio possono avere effetti collaterali particolarmente forti. Anche in questo caso l’elettroshock non ha controindicazioni, almeno sul piano fisico.

L’evoluzione di queste forme presenta frequenti ricadute nei primi sei mesi, ma una guarigione stabile è presente nel 80% dei casi. In caso di nuova gravidanza vi è il 20% di frequenza di recidiva.

È importante sapere che alcune malattie fisiche (accidenti cerebrali, epilessia) possono avere un aspetto simile a quello delle psicosi.

2.15.3.2. Depressioni post-partum. Possono  essere  depressioni   maggiori,  di  tipo   melanconico,  caratterizzate dal timore che il bambino sia gravemente ammalato e nelle quali vi è un alto rischio di suicidio; oppure depressioni minori, di tipo nevrotico, caratterizzate da stanchezza, ansia, senso di inadeguatezza al proprio ruolo di madre.

I temi delle depressioni sono di solito legati al proprio ruolo di madre ed al bambino.

La terapia ottiene degli ottimi risultati; la prognosi è favorevole.

2.16.  I  DISTURBI  PSICHICI  DELL’ ANZIANO

Il 25% delle persona che hanno più di 65 anni presentano disturbi psichici; frequentemente si tratta di disturbi lievi, ma in 1/3 dei casi sono invece gravi.

I problemi psichici dell’anziano, soprattutto quelli che non sono legati ad una regressione demenziale, sono spesso curabili, ed anche con discreti o buoni risultati.Nell’anziano il disturbo psichico è strettamente commisto alle patologie somatiche. Importante è che vi sia un approccio multidisciplinare, che comprenda cioè l’intervento dei vari specialisti interessati (geriatra, fisiatra, psichiatra, internista, endocrinologo, otorinolaringoiatra, oculista, chirurgo  ecc.). Distinguiamo nella patologia psichica dell’anziano vari tipi di disturbi.

2.16.1. Stati confusionali

Cause
Evidenti: accidenti vascolari cerebrali (ictus, trombosi, ecc.), malattie cardiache o insufficienza respiratoria, febbre, interventi chirurgici, disidratazione (da mancata assunzione di liquidi).
Nascoste: polmoniti con scarsa sintomatologia, infarto, diabete scompensato, scarsa alimentazione o avitaminosi, tumori cerebrali, assunzione eccessiva di farmaci (soprattutto psicofarmaci, sonniferi, antiparkinsoniani, diuretici, digitale ecc.).

Anche choc emotivi possono provocare stati confusionali nell’anziano: soprattutto lutti e cambiamenti improvvisi di abitudini o di ambiente (ricoveri in ospedale o in casa di riposo, traslochi ecc.) 

Sintomi.

Disorientamento nel tempo e nello spazio, vuoti di memoria soprattutto per i fatti recenti, perplessità di fronte a ciò che non si riesce più a fare o ricordare, falsi ricordi che sono un tentativo di ricostruzione di un passato dimenticato.

2.16.2. Stati demenziali

Di vario tipo e con varie cause (morbo di Pick, di Alzheimer, demenza arteriosclerotica ecc.).

Si descrive qui, a mo’ di esempio, il quadro della demenza senile, che ne è la forma più frequente e tipica.

Esordio

Spesso lento ed insidioso, può rimanere a lungo compensato soprattutto quando si vive una vita molto abitudinaria e sempre nello stesso ambiente.

Sono caratterizzati da disturbi della memoria, dimenticanze inspiegabili, trascuratezza nel vestire, riduzione di interessi ed attività, modificazioni del carattere (collere poco motivate, egocentrismo, capricciosità…).

Sintomi del periodo di stato

Disorientamento temporale e spaziale completo, disturbi della memoria con ricostruzione di un passato fantastico a riempire il vuoto di memoria, incapacità a fare cose ben note, impoverimento del linguaggio, attenzione scarsa, disturbi del ragionamento.

Comportamento apatico o agitato, soprattutto di notte.

2.16.3.  Stati  depressivi. Disturbi che si presentano spesso in forma attenuata o atipica. È facile confondere una depressione per un inizio di demenza senile o per le lamentazioni somatiche tipiche dell’anziano; spesso la depressione è unita all’inizio di una malattia somatica, che può coprirne la sintomatologia. I disturbi depressivi dell’anziano sono  facilmente curabili.

Possono presentarsi in varie forme.

·        Depressione grave. Di tipo melanconico, spesso caratterizzata da un blocco psico-motorio oppure gravemente agitata. Frequenti idee deliranti di rovina o di colpa.

·        Depressione attenuata. Caratterizzata da noia, perdita di interessi, rallentamento.

·        Depressione mascherata. Si manifesta con l’apparenza di disturbi somatici (disturbi gastrointestinali, dolori vari, disturbi del sonno).

·        Depressione reattiva. Solitamente successiva a qualche evento penoso. Caratterizzata da senso di fatica, pessimismo, scoramento, lamentele per disturbi somatici talvolta mal definiti o localizzati a livello gastrointestinale. Sono spesso presenti senso di insicurezza, paura della solitudine o dell’abbandono affettivo, comportamenti regressivi (si comporta come se non sapesse più fare cose che in realtà è ancora in grado di fare) caratterizzati da ansia ed irritabilità.

2.16.4.  Stati  nevrotici

Anch’essi si presentano in varie forme.

·        Disturbi ipocondriaci. Il funzionamento del corpo e le sue difficoltà diventano il principale interesse.

·        Disturbi del carattere. Irritabilità, diffidenza, recriminazioni continue, egocentrismo o tendenze autoritarie.

·        Comportamenti di evitamento. L’anziano rifiuta di fare delle cose lamentando dolori, fatiche o difficoltà varie, che servono a mascherare la paura di un malore, di cadere ecc.

·        Comportamento di rinuncia. Tutto viene abbandonato all’incuria, l’anziano sta a letto, rifiuta di mangiare, di parlare, di stare pulito.

È necessario affrontare queste situazioni, per lo più legate a problemi psicologici e non psichiatrici, con molta disponibilità alla comprensione ed al dialogo.

2.16.5.  Stati  deliranti  tardivi

Esordio subdolo e progressivo nel tempo. All’inizio: lamentele, mancanza di fiducia, irritabilità; poi il quadro si precisa con delle lamentele più specifiche contro persone ben determinate, quasi sempre familiari o vicini. Il delirio ha temi di danneggiamento, di gelosia, erotici; spesso è unito a manifestazioni allucinatorie uditive.

2.16.6.  Suicidio dell’anziano

Molto frequente (il 30% dei suicidi hanno più di 60 anni).

Spesso legati a pregressi disturbi depressivi, ma altre volte legati a situazioni contingenti: malattie, difficoltà economiche, infermità sensoriali, solitudine. È necessario tenere sott’occhio tutte queste situazioni di disagio.

L’anziano è spesso solo ed isolato, inoltre è meno in grado di provvedere a se stesso.

Una presa in carico da parte dei servizi pubblici è limitata ai casi più gravi.

È necessario allora utilizzare le risorse esistenti nel territorio: centri anziani, associazioni di volontariato (utilissima l’unificazione delle associazioni di volontariato come è stata attuata in alcuni comuni della Valceresio), gruppi di mutuo aiuto, cooperative di solidarietà che  potrebbero ampliare il loro campo di attività anche a questo. Importante è non rinunciare e non rimandare ma stimolare.

PARTE TERZA - TERAPIA
Questa fiducia nelle possibilità infinite delle neuroscienze e della farmacologia è del tutto irrealistica.  A. Ehrenberg, La fatigue d’être soi.

I  VARI  TIPI  DI  TERAPIE  PSICHIATRICHE

Pochi capitoli sono così complessi in psichiatria come quello relativo alle terapie. Le terapie farmacologiche sono state esaustivamente classificate, tuttavia anche in questo campo la prescrizione dei farmaci non può prescindere da convinzioni personali, diverse per ogni medico e basate sulla sua esperienza.

Molto maggior confusione regna invece nelle terapie cosiddette psicologiche, basate sulla parola o meglio su quel particolare tipo di relazione che si instaura tra il paziente ed il suo terapeuta.

In uno studio vecchio di alcuni anni sono stati classificati, solo negli Stati Uniti,  250 indirizzi psicoterapeutici diversi. Alcuni di questi, ad esempio quelli di derivazione psicoanalitica, mantengono alcune caratteristiche comuni pur attraverso differenze che sono state, anche storicamente, molto forti e talvolta aspramente conflittuali. Ma altri fanno riferimento a particolari concezioni od a particolari forme del sapere, e si sono sviluppate in contesti realmente molto diversi.

Sono stato molto indeciso se inserire nel libro anche questa parte. Da una parte in questo campo è veramente facile capire male un concetto, tanto che la nostra interpretazione potrebbe addirittura venire rifiutata da coloro che praticano quella disciplina. Dall’altra parte anche vero che in questo contesto la soggettività è somma. Tuttavia, richiamato il semplice obiettivo di questo libretto, mi è sembrato importante dare ai lettori - semplici cittadini, operatori o familiari che siano – alcuni concetti di base che permettano di capire a grandissime linee ciò di cui si sta parlando.

Le interpretazioni fornite sulle varie scuole terapeutiche sono solo mie ed a me andrà l’eventuale demerito di aver mal capito. Se questo dovesse essere accaduto, mi scuso anticipatamente con gli specialisti della materia.

Anche l’uso dei farmaci è legato a convinzioni personali, basate esclusivamente sulla mia personale esperienza e sugli effetti che ne ho ottenuto in anni ed anni di pratica.

Le terapie in psichiatria sono o terapie basate sull’uso di farmaci, cioè terapie psicofarmacologiche, o terapie basate sulla parola, cioè psicoterapie.

3.1.  TERAPIE  FARMACOLOGICHE

I farmaci psicotropi o psicofarmaci vengono abitualmente classificati in diversi gruppi secondo la loro azione prevalente. I gruppi principali sono: gli ansiolitici, o benzodiazepine; gli antidepressivi; i farmaci regolatori del tono dell’umore; i neurolettici o antipsicotici.

3.1.1. ANSIOLITICI

I farmaci ansiolitici sono rappresentati quasi esclusivamente dal gruppo farmacologico delle Benzodiazepine (di seguito BDZ).

Dal punto di vista farmacocinetico, indipendentemente dalle condizioni fisiche generali del paziente che influenzano moltissimo questi dati, le BDZ si possono dividere in cinque classi.

1) Composti pronordiazepam-simili. I principali composti di questa famiglia (tra parentesi il tempo di dimezzamento o emivita, cioè il tempo dopo il quale il composto rimasto nell’organismo si è dimezzato in quantità) sono:

  • Nordesmetildiazepam o Nordiazepam (50-120 ore)
  • Prazepam (70 ore)
  • Clordemetildiazepam (78 ore)
  • Clordiazepossido ( più di 40 ore)
  • Diazepam (fino a 70 ore)
  • Flurazepam (40-100 ore)
  • Bromazepam (12 ore)  con un’azione simile all’Oxazepam (vedi gruppo 2)

Hanno tutti, tranne il Bromazepam, un’emivita lunga o molto lunga, in ogni caso superiore alle 40 ore. I loro metaboliti, i composti derivati dalla loro demolizione, hanno un’emivita superiore a quella del prodotto originario; quindi danno accumulo anche con l’assunzione di un’unica dose giornaliera. E’ necessario prestare attenzione con gli anziani, i bambini ed i pazienti epatopatici.

2) Composti oxazepam-simili.  I principali composti sono:

  • Oxazepam (5-7 ore)
  • Lorazepam (12 ore)
  • Lormetazepam (meno di 24 ore)

Sono tutti composti ad emivita breve, in ogni caso inferiore alle 24 ore. I loro metaboliti non danno accumulo perché  hanno un’emivita inferiore a quella del composto.

3) Nitrobenzodiazepine. Il principale composto è il

Flunitrazepam con emivita di 24-48 ore.

4) Triazolobenzodiazepine. Comprendono

  • Alprazolam (6-12 ore)
  • Triazolam (5 ore)
  • Estazolam (7 ore)

Hanno tutte un’emivita inferiore alle 12 ore.

5) Tienodiazepine.

Il Clotiazepam ha un’emivita inferiore alle 15 ore.

Hanno un’attività ansiolitica ed ipnotica; miorilassante; anticonvulsivante. E’ molto importante il tempo di dimezzamento o emivita, cioè il tempo necessario perché venga metabolizzata la metà della dose assunta: quanto più è breve tanto minore è la facilità all’assuefazione nell’uso del farmaco.

Le indicazioni delle BDZ comprendono principalmente l’ansia, l’insonnia, le crisi da astinenza negli svezzamenti da sostanza (alcool, stupefacenti). In caso di uso nelle sindromi ansiose e nell’insonnia si deve tener presente il rischio di assuefazione nelle terapie superiori alle 4-6 settimane, con il bisogno di aumentare le dosi per avere lo stesso effetto. E’ importante associare l’uso di BDZ ad una relazione di aiuto psicologico. Dal punto di vista farmacologico non esistono BDZ che abbiano un’azione specificamente ipnotica, questa azione dipende solo dal dosaggio della sostanza assunta.

Non esistono vere e proprie controindicazioni, al di fuori di reazioni di intolleranza; si richiede prudenza nelle difficoltà respiratorie e nelle epatopatie. L’uso in gravidanza deve essere praticato con estrema prudenza perché questi farmaci passano la barriera placentare e quindi vengono assorbiti dal feto.

Effetti indesiderati. Possono dare eccessiva sedazione, sonnolenza, astenia, cefalea, Negli anziani possono provocare una sindrome di confusione mentale. Molto raramente possono dare, come effetto paradossale, una forte agitazione psicomotoria, dalla durata di qualche ora, cosa che richiede la sospensione del trattamento. Una dipendenza fisica, sul tipo di quella che si incontra con gli stupefacenti, è relativamente rara ed insorge solo in trattamenti di durata superiore all’anno.

3.1.2. ANTIDEPRESSIVI

Comprendono tre diversi gruppi di farmaci: gli antidepressivi triciclici; gli antidepressivi correlati ai triciclici; gli antidepressivi serotoninergici.

1) Antidepressivi triciclici. Pur essendo farmaci molto attivi sono attualmente meno usati perché danno con una certa frequenza (circa il 25-30% dei pazienti) alcuni effetti indesiderati ritenuti piuttosto fastidiosi come: secchezza delle fauci, stitichezza, ritenzione urinaria, disturbi dell’accomodamento visivo, sudorazione, vertigini, tremore, sonnolenza. Anch’essi possono dare, paradossalmente, agitazione psicomotoria ma molto di rado. 

Questi farmaci hanno le seguenti controindicazioni: glaucoma, ipertrofia prostatica, cardiopatie (possono dare aritmia cardiaca), epatopatie, epilessia, diabete. Come per tutti i farmaci psichiatrici l’uso in gravidanza deve essere attentamente valutato perché gli psicofarmaci passano la barriera placentare e quindi influiscono sul feto.

I principali antidepressivi triciclici ancora in uso sono: Clorimipramina ed Amitriptilina.

2) Antidepressivi correlati ai triciclici. Anch’essi sono raramente usati tranne il Trazodone. Questo ha un’azione antidepressiva media ma anche scarsi effetti indesiderati. Ancora usata è anche la Mianserina che ha meno effetti collaterali dei triciclici, può però modificare l’emocromo.

3) Antidepressivi serotoninergici (o Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina, SSRI). Sono gli antidepressivi attualmente più usati. I principali sono: Fluoxetina, Fluvoxamina, Paroxetina, Sertralina, Citalopram, Venlafaxina (che ha però una molecola leggermente diversa).

Le indicazioni comprendono disturbi depressivi, disturbi da attacchi di panico, disturbi d’ansia generalizzata anche se di lunga durata, disturbi ossessivo-compulsivi.

Le controindicazioni sono: epilessia, disturbi emorragici, malattie cardiache, epatiche, renali.

Gli effetti indesiderati più frequenti comprendono: nausea, vomito, diarrea, stitichezza, ansia, irritabilità, tremori, astenia sonnolenza. Compaiono però in proporzioni minori rispetto ai Triciclici. Sono invece frequenti l’aumento di peso, che può anche essere grave, e il calo della libido.

3.1.3.      FARMACI  EQUILIBRATORI  DEL  TONO  DELL’UMORE.

Comprendono due categorie di farmaci: i sali di Litio e le Benzodiazepine modificate.

3.1.3.1. SALI  DI  LITIO.

I sali di Litio sono farmaci di uso complesso, la cui somministrazione deve essere attentamente valutata per gli effetti indesiderati e perché un errore di dosaggio può avere conseguenza serie.

Indicazioni. Sono farmaci abbastanza usati nelle forme maniacali resistenti ad altri trattamenti, soprattutto se ricorrenti. Vengono usati anche nelle forme maniaco-depressive, anch’esse se ricorrenti, mentre l’uso nelle forme depressive non sembra fornire vantaggi.

Viene usato soprattutto come terapia di mantenimento

Controindicazioni. E’ richiesta particolare prudenza in pazienti con patologie tiroidee, cardiache, renali, epilettiche, diabetiche, dell’equilibrio elettrolitico. Prima dell’inizio di una terapia con Litio bisogna fare un’accurata valutazione del funzionamento di questi organi od apparati per mezzo di vari esami di laboratorio (esami tiroidei, funzionalità renale, ECG, glicemia). Può dare malformazioni fetali e quindi l’uso in gravidanza deve essere evitato.

Livello terapeutico. Il dosaggio ematico terapeutico oscilla tra 0.4 ed 1.0 milliEquivalenti/litro. Sopra a 1.5 mEq/l. ci possono essere effetti indesiderati che possono anche giungere a situazioni di sovradosaggio grave. E’ quindi necessario controllare regolarmente e con frequenza il dosaggio ematico di Litio durante il primo trimestre. Successivamente può bastare un controllo ogni 3 mesi.

Effetti indesiderati. Tremori, astenia, disturbi della memoria; nausea, vomito, diarrea; poliuria, polidipsia; alterazioni tiroidee; aumento di peso, edemi. Se ingravescenti si deve pensare ad un’intossicazione da Litio.

L’assunzione di Litio può variare anche in base a fattori occasionali esterni come: uso di farmaci diuretici, diarrea persistente, vomito persistente, sudorazione eccessiva, diete iposodiche o dimagranti.

Interazioni farmacologiche. Sono numerose e devono essere attentamente valutate.

3.1.3.2. BENZODIAZEPINE  MODIFICATE

L’uso di questi farmaci come equilibratori dell’umore è entrato nella pratica corrente anche se non è stato ancora ufficialmente codificato, con l’eccezione della Carbamazepina.

Sono formule chimiche derivate dalle benzodiazepine ed usate originariamente come antiepilettici. Comprendono la Carbamazepina (la prima molecola della famiglia sintetizzata verso la metà degli anni sessanta), l’Oxcarbazepina, il Valproato sodico, il Clobazam, il Clonazepam, il Gabapentin ed altri.

Indicazioni. Vengono usati come equilibratori del tono dell’umore in alterazioni di lieve entità di tipo distimico (non nelle psicosi maniaco-depressive). Vengono anche usate in associazione ad altri farmaci nelle forme più gravi.

Controindicazioni. Molto variabili secondo il tipo di farmaco.

Effetti indesiderati. Con la Carbamazepina si sono verificati rari casi di grave agranulocitosi; per questo l’uso del farmaco richiede un controllo regolare e periodico dell’emocromo.  Altri effetti collaterali variano secondo la molecola. Per la Carbamazepina comprendono tra gli altri: nausea,  vomito,  cefalea, perdita del coordinamento motorio, stato confusionale (soprattutto negli anziani), disturbi della visione, stitichezza o diarrea, rush cutaneo di tipo eritematoso, ittero, insufficienza epatica e renale.

3.1.4.  NEUROLETTICI

I Neurolettici (di seguito NL) o farmaci antipsicotici sono stati i primi psicofarmaci sintetizzati nel 1952. Sono i tipici farmaci di utilizzo nelle forme schizofreniche e deliranti. Vengono all’atto pratico divisi in due grandi gruppi: i NL tipici ed i NL atipici di recente sintesi.

3.1.4.1. NEUROLETTICI  TIPICI

Comprendono farmaci basilari nella storia della psichiatria ma oggi meno usati a fronte dei nuovi prodotti. Quelli che vengono ancora usati con una certa frequenza sono: Aloperidolo (l’unico tuttora usatissimo), Tioridazina, Flufenazina, Clotiapina, Promazina; la Propericiazina mantiene un uso pediatrico.

Alcuni di questi farmaci, in particolar modo l’Aloperidolo e la Flufenazina possono essere somministrati mediante iniezioni intramuscolari sotto forma di decanoato, un estere grasso che si scioglie gradualmente in 2-4 settimane. Tale tipo di terapie è molto utile quando vi sia il ragionevole sospetto che il paziente non prenda i farmaci che gli sono stati prescritti.

Indicazioni. Sono usati nelle psicosi schizofreniche e nelle sindromi deliranti croniche, ma con minori risultati; avendo una potente azione sedativa sono usati anche negli stati maniacali ed in generale nella grave agitazione psicomotoria.

I neurolettici sono a grandi linee equivalenti nella loro azione antipsicotica; naturalmente un paziente può reagire meglio all’uno piuttosto che all’altro, come per tutti gli psicofarmaci.

Vi è un certo numero di pazienti (secondo alcuni studi circa il 20%) che, per ragioni sconosciute, non rispondono alle terapie. Nella prescrizione di un farmaco è importante valutare, per quanto possibile, gli effetti indesiderati.

Controindicazioni assolute. Morbo di Parkinson, reazioni allergiche al farmaco.

E’ necessaria prudenza per cardiopatici, epilettici, gravi epatopatici, anziani. L’uso di questi farmaci è controindicato in gravidanza.

Effetti indesiderati. Principalmente tremori, rigidità muscolare, movimenti anomali del viso e del corpo. Irrequietezza; bocca secca, stitichezza, ritenzione urinaria, ipotensione, disturbi della vista, sedazione eccessiva, alterazioni dell’elettroencefalogramma. Alterazioni dell’elettrocardiogramma, aritmie cardiache. Arresto mestruale, galattorrea, aumento di peso. Ipersensibilità alla luce, orticaria. Vi sono poi particolari reazioni di intolleranza come l’agranulocitosi (in caso di febbre, malessere generale, angina eseguire urgentemente un emocromo).

Un particolare e gravissimo effetto indesiderato è la sindrome neurolettica maligna caratterizzata da contrazioni muscolari, movimenti muscolari anomali, pallore, febbre alta (oltre 39°). 

3.1.4.2.  NEUROLETTICI  ATIPICI

Alcuni farmaci con meccanismo d’azione diverso da quello dei farmaci sopra descritti sono usati da molti anni. I principali sono: Sulpiride, Tiapride, Clozapina. La Clozapina è un farmaco che ha ottenuto talvolta ottimi risultati; esso però  richiede che vengano effettuati ad intervalli regolari dei controlli ematici per verificare che non si siano instaurate dannose modificazioni della formula del sangue.

Vi sono poi altri NL di creazione più recente ed ora abitualmente entrati nell’uso. Tuttavia i loro migliori effetti terapeutici e la loro dichiarata minor  tendenza  a  provocare  effetti indesiderati dovrebbero essere valutati caso per caso, con prudenza e soprattutto in un arco di tempo sufficientemente lungo. I principali sono Risperidone, Olanzapina, Quetiapina.

Indicazioni e Controindicazioni. Sono le stesse dei NL classici.

Effetti indesiderati. Sono gli stessi dei neurolettici classici ma hanno minor frequenza. Frequenti sono invece aumento di peso, anche rilevante, e disturbi della libido.

3.2.  PSICOTERAPIE

Le psicoterapie sono interventi senza farmaci, basate principalmente sulla parole e sullo stabilirsi di una particolare e specifica relazione tra il paziente ed il terapeuta, chiamata appunto relazione terapeutica. Le psicoterapie si basano su una valutazione del disagio e del cattivo funzionamento psichico della persona

Le psicoterapie possono essere divise in due grandi gruppi: quelle in qualche modo collegate alla psicoanalisi di Freud e quelle che in qualche modo consistono in interventi attivi da parte del terapeuta sul comportamento del paziente.

Si tratta di un campo vastissimo, dato che le psicoterapie censite sono centinaia e centinaia, Ci limitiamo qui ad una descrizione ultrasintetica di quelle più diffuse in Italia.

3.2.1. Psicoanalisi freudiana. Ha la sua origine nel complesso sistema di psicologia dell’inconscio messo a punto da Freud nella prima parte del Novecento e successivamente integrata da importantissimi ed assai articolati contributi di altri grandi maestri come Abraham, Ferenczi, Melanine Klein, Winnicott, Bion. Anche Lacan dette importanti contributi alla successiva evoluzione della psicoanalisi, ma questi sono soprattutto limitati alla zona francofona (Francia e Belgio).

La psicoanalisi si basa sulla scoperta di Freud dell’esistenza di un inconscio negli esseri umani, inconscio che influisce sulla nostra vita e che si manifesta attraverso i sogni, determinati comportamenti, i deliri ed altro. La terapia psicoanalitica consiste nello scoprire i movimenti profondi del nostro inconscio dare loro una spiegazione e renderli in tal modo consci, in modo da accordarli con le esigenze della realtà in un insieme articolato che sia positivamente accettabile e vivibile dal paziente. Questo lavoro di ricerca e di messa in atto di ciò che è stato capito è estremamente lungo e faticoso.

La psicoanalisi freudiana si è a sua volta suddivisa in numerosissime tendenze, alcune ancora facenti parte del grande corpus psicoanalitico (ad esempio gli indirizzi kleiniano e lacaniano), altre invece separate da tempi più o meno lunghi (ad esempio gli indirizzi junghiano, adleriano, reichiano).

3.2.2. Psicologia analitica (psicoanalisi junghiana). Si tratta di un indirizzo fondato da C. G. Jung, un allievo di Freud, e separatosi da quello freudiano all’inizio del Novecento. La psicologia analitica riconosce all’interno di ciascun individuo l’esistenza di modi di pensare, di vedere e di sentire caratteristici della razza umana e riconducibili a fasi ancestrali dello sviluppo dell’umanità. Tali modi, definiti archetipi,  determinano un inconscio collettivo che si esprime attraverso simboli comuni ad uomini di diverse culture. Questi archetipi devono venire conosciuti e resi consci. Lo scopo della terapia junghiana non è dissimile da quello della psicoanalisi freudiana.

3.2.3. Psicologia individuale ( psicoanalisi adleriana).  L’indirizzo è stato fondato da Alfred Adler, un altro allievo di Freud, che anch’esso se ne separò all’inizio del Novecento.  Per Adler determinante nell’essere umano è il desiderio di dominio sugli altri, da lui chiamato volontà di potenza. In tutti gli uomini è presente un complesso di inferiorità, che origina dallo stato infantile, che viene affrontato mediante meccanismi di compenso, definiti “stili di vita”,  che  rimangono  operanti anche quando non sono più necessari.  Tali meccanismi vengono esaminati nel corso della cura psicoanalitica.

3.2.4. Analisi transazionale.  Fondata dallo psichiatra Eric Berne in California negli anni Cinquanta, questo indirizzo considera che nella psiche vi siano tre stati cognitivi-comportamentali-emotivi denominati lo stato del Genitore, dell’Adulto e del Bambino. Ogni persona vive prevalentemente ed abitualmente in uno di questi stati, costituendo uno stile di vita denominato “copione”. La terapia promuove un riaggiustamento di questi modi di essere in modo più funzionale.

3.2.5. Psicoterapia comportamentale. Deriva dall’applicazione clinica della psicologia dei processi di condizionamento studiata da Watson, Skinner, Eysenick, Wolpe. Consiste in varie tecniche di addestramento che hanno lo scopo di far perdere al paziente abitudini che danno effetti negativi e contemporaneamente di fargliene acquisire altre che abbiano effetti positivi o quanto meno che non ne abbiano di negativi. Le tecniche in uso sono di tipo molto diverso, secondo l’indirizzo della specifica tecnica usata.

3.2.6. Biofeedback.  E’ una tecnica di autocontrollo che trae origine dal principio di condizionamento. I capiscuola sono la sovietica Lisina e degli statunitensi Budzynski e Miller. Tramite il monitoraggio istantaneo di alcuni parametri biologici, come la frequenza cardiaca o la pressione arteriosa, abbiamo una segnalazione dello stato psichico del soggetto (ad esempio l’ansia si manifesta con un aumento della frequenza cardiaca). L’individuo viene addestrato a controllare i suoi stati emotivi che gli vengono segnalati dalle modificazioni dei parametri biologici presi in considerazione.

3.2.5. Psicoterapia cognitiva. I capiscuola sono stati alcuni psicoterapeuti americani come Beck, Ellis e Mahoney. Vi sono delle “opinioni”, cioè delle concezioni di sé e del mondo, che stanno dietro ai comportamenti ed alle emozioni”disturbate” del paziente. Si vuole ricostruire come si sono sviluppate e come vengono mantenute tali opinioni per poterle modificare in quanto poco realistiche e poco adeguate al mondo. Questa terapia ha una visione razionale dell’uomo visto come padrone del proprio destino.

3.2.6. Psicoterapia familiare sistemica. Fondata da G. Bateson in California, si basa sull’idea che ciascun membro di un sistema familiare si comporti in base alle relazioni che collegano tra loro i vari membri di quel sistema. La malattia di un paziente è il risultato di modalità relazionali insoddisfacenti che coinvolgono tutto il sistema familiare. Tali modalità vengono investigate e su di loro il terapeuta interviene attivamente mediante prescrizioni di comportamento.

3.2.7. Psicoterapia centrata sulla persona (o psicoterapia rogersiana). Fondata da C. Rogers negli Stati Uniti, considera ogni uomo dotato di innate risorse terapeutiche che devono venire potenziate. Il terapista rogersiano vuole stabilire con il paziente un contatto autentico, di incondizionata accettazione del suo modo di essere basata sulla comprensione empatica.

3.2.8. Terapia della Gestalt. Ideata dallo psicoanalista berlinese F. Perls negli anni Quaranta, si inserisce nella corrente fenomenologico-esistenziale e si basa su un approccio olistico alla persona. Ho l’obiettivo di ripristinare la capacità spontanea dell'individuo ad entrare in relazione con l'Ambiente, privilegiando quale suo strumento, l'esperienza della relazione terapeutica nel "qui ed ora"; sostiene la capacità dell'individuo di fare scelte consapevoli, valorizzandone le risorse e la creatività.

… non sappiamo neanche dove sta di casa la cultura dell’ascolto. Distribuiamo farmaci per contenere [la malattia] …, ma mezzora di tempo per ascoltare il silenzio [del paziente]… non lo troviamo mai. Con i farmaci, utili senz’altro, interveniamo sull’organismo, sul meccanismo biochimico, ma la parola strozzata dal silenzio e resa inespressiva da un volto che sembra di pietra, chi trova il tempo, la voglia, la pazienza, la disposizione per ascoltarla? Tale è la nostra cultura.

Umberto Galimberti
 
…la malattia… ci permette di capire meglio quello che noi siamo e quello che sono gli altri. Per comprendere la vita ed i suoi accadimenti è necessario capirne il senso; per capire la malattia psichica è necessario capire il senso del suo modo di vivere e dei suoi sintomi.

Eugenio Borgna