IL SALE DELL’ANIMA, LO ZOLFO DELLO SPIRITO * (J.Hillman) -2
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ANIMA E SPIRITO

 

Qui dobbiamo ricordare che le vie dell’anima e quelle dello spirito coincidono solo a volte e che la massima divergenza si ha in rapporto alla psicopatologia. Uno dei principali motivi per cui insisto sulla patologizzazione è appunto l’esigenza di mettere in luce le differenze tra anima e spirito, per porre fine alle frequenti confusioni tra psicoterapia e discipline spirituali. Esiste una differenza tra yoga, meditazione trascendentale, contemplazione e ritiro religiosi e finanche lo Zen da una parte, e la psicologizzazione della psicoterapia dall’altra. Una differenza che si fonda sulla distinzione tra spirito e anima.

Oggi abbiamo pressoché perduto questa differenza, ben nota invece a quasi tutte le culture, anche a quelle di tipo tribale, che su di essa articolano la loro esistenza. Le nostre distinzioni sono cartesiane: tra la realtà esterna e tangibile e gli stati interni della mente, oppure tra il corpo e un confuso conglomerato di mente, psiche e spirito. Abbiamo perduto la terza posizione, quella mediana, che nella nostra passata tradizione, come anche in altre, era la sede dell’anima: un mondo fatto di immaginazione, passione, fantasia, riflessione, né fisico e materiale, né spirituale e astratto, e tuttavia legato agli altri due. La psiche, avendo un regno suo, ha anche una sua logica, la psicologia, che non è né una scienza di cose fisiche, né una metafisica di cose spirituali. A questo regno appartengono anche le patologie psicologiche. Avvicinarsi ad esse dall’uno o dall’altro lato, cioè vederle in termini di malattia medica o di sofferenza, peccato e salvezza religiosi, manca il bersaglio dell’anima...

Il punto di vista spirituale si postula sempre come superiore ed è particolarmente a suo agio in una fantasia di trascendenza fra principi ultimi e assoluti.

Per mettere in luce le differenze, dobbiamo quindi rivolgerci non alla filosofia, ma al linguaggio dell’immaginazione. Le immagini dell’anima mostrano innanzitutto delle connotazioni prevalentemente femminili. In greco, psyche indica non solo l’anima, ma anche una farfalla notturna e una fanciulla particolarmente leggiadra nella leggenda di Eros e Psiche. La nostra discussione sull’anima come idea femminile personificata, nel capitolo precedente, si colloca su questa linea di pensiero. Avevamo visto là molti dei suoi attributi ed effetti, e in particolare la relazione esistente tra la psiche e il sogno, la fantasia e l’immagine. Questa relazione è stata espressa anche mitologicamente, sotto forma di legame tra l’anima e il mondo notturno, il regno dei morti e la luna. Possiamo ancora cogliere la natura più essenziale della nostra anima nelle esperienze di morte, nei sogni della notte e nelle immagini «lunatiche» della follia.

Il mondo dello spirito è quanto mai diverso. E pieno di immagini sfolgoranti, di fuoco, di vento, di sperma. Lo spirito è rapido e rende vivo quello che tocca. La sua direzione è verticale e ascendente; esso è diretto come una freccia, affilato come un coltello, arido come la polvere, fallico. È maschile, è il principio attivo che produce forme, ordine e distinzioni chiare. Sebbene vi siano molti spiriti e molti tipi di spirito, la nozione di «spirito» è venuta concentrandosi nell’archetipo apollineo, nelle sublimazioni delle discipline superiori e astratte, nella mente intellettuale, negli stati di raggiunta perfezione e purificazione.

È possibile avere esperienza dell’interazione tra l’anima e lo spirito. Nei momenti di concentrazione intellettuale o di meditazione trascendentale, è l’anima che invade con impulsi naturali, ricordi, fantasie e paure. In momenti di nuove intuizioni o esperienze psicologiche, lo spirito vorrebbe immediatamente estrarre da esse un significato, metterle all’opera, concettualizzarle in regole. L’anima resta aderente al regno dell’esperienza e alle riflessioni entro l’esperienza. Si muove indirettamente, con ragionamenti circolari, dove le ritirate sono altrettanto importanti delle avanzate; preferisce i labirinti e gli angoli, dà alla vita un senso metaforico servendosi di parole come chiuso, vicino, lento e profondo. L’anima ci coinvolge nella massa confusa dei fenomeni e nel flusso delle impressioni; è la parte «paziente» di noi. L’anima è vulnerabile e soffre; è passiva e ricorda. Essa è acqua per il fuoco dello spirito, è come una sirena che inviti lo spirito eroico nelle profondità delle passioni per estinguere la sua certezza. L’anima è immaginazione, e un cavernoso deposito di tesori – per usare un’immagine di sant’Agostino – confusione e ricchezza insieme. Lo spirito, al contrario, sceglie la parte migliore e si sforza di ricondurre tutto all’Uno. Guarda in alto, dice lo spirito, distànziati; c’è qualcosa al di là e al di sopra, e quello che sta sopra è da sempre e per sempre, ed è sempre superiore.

Essi si distinguono anche per un altro aspetto: lo spirito ricerca le cose ultime e il suo viaggio si svolge lungo una via negativa. «Neti, neti» esso dice «questo no, quello no». La porta è stretta, soltanto le prime o le ultime cose possono entrare. L’anima ribatte: «Sì, anche questo ha il suo posto, può trovare il suo significato archetipico, fa parte dì un mito».

Nel recipiente dell’anima tutto si cuoce, tutto viene accolto, tutto può diventare anima; e accogliendo nella propria immaginazione ogni sorta di eventi, lo spazio psichico cresce.

Ho tenuto distinti anima e spirito per poterne far sentire meglio le differenze, e soprattutto per dare un’idea di che cosa accade all’anima allorché i suoi fenomeni vengono visti dalla prospettiva dello spirito: si ha l’impressione che l’anima debba venir disciplinata, i suoi desideri imbrigliati, l’immaginazione svuotata, i sogni dimenticati, la partecipazione inaridita. Perché l’anima, dice lo spirito, non può conoscere, né verità, né legge, né causa. L’anima è fantasia, tutta fantasia. Le mille patologizzazioni di cui l’anima è erede in virtù dei suoi attaccamenti naturali alle diecimila cose della vita mondana saranno curate facendo dell’anima un’imitazione dello spirito. La via classica era l’imitatio Christi; ora vi sono altri modelli, i guru indiani (orientali o pellerossa) che, se seguiti alla lettera, mettono la nostra anima su un sentiero spirituale che si presume conduca alla liberazione dalle patologie. La patologizzazione, così dice lo spirito, è per sua stessa natura limitata all’anima; soltanto la psiche può essere patologica, come è attestato dalla parola stessa psicopatologia. Non esiste una «pneumopatologia» e, come ha sostenuto una tradizione tedesca, la malattia mentale («Geisteskrankheit») non può esistere, poiché lo spirito non può patologizzare. Perciò all’anima occorrono discipline spirituali che le permettano di conformarsi ai modelli enunciati per lei dallo spirito.

Ma dal punto di vista della psiche il movimento ascendente, sia umanistico sia orientale, assomiglia alla rimozione. È assai possibile che vi sia più attività psicopatologica quando ci sforziamo di trascendere che non quando siamo immersi nella patologizzazione. Perché ogni tentativo di autorealizzazione senza un pieno riconoscimento della psicopatologia che risiede, come disse Hegel, intrinsecamente nell’anima, è già in sé patologico, una forma di autoinganno. Una siffatta autorealizzazione non è altro che un sistema delirante paranoide, o addirittura una sorta di ciarlataneria, il comportamento psicopatico di un’anima svuotata.

(Re-visione, pp. 131-35)

 

Qual è il contributo della psicologia a quest’età di psicopatia? O meglio, qual è il contributo delle discipline spirituali? Le discipline spirituali vi contribuiscono, a mio avviso, perché non provano vero interesse nell’accogliere l’altro. Alle discipline spirituali interessa il catechismo, interessano, per esempio, le tecniche volte al raggiungimento di certi stati di perfezione spirituale e il sistema di regole su cui tale perfezionamento poggia. Interessano i vari processi della mente; non l’osservazione della natura delle persone, a cui non attribuiscono valore in sé. Sentimenti, rapporti, percezioni, immagini, fantasie, sogni, tutte queste forme di differenziazione a livello psicologico sono cose da superare e da lasciarsi alle spalle.

Una coscienza, una libertà prive di immagini, una luce bianca: a questo si aspira. E nelle discipline spirituali è importantissimo il catechismo di una persona: è importante conoscere la dottrina e tutte le regole, tutti i santi o tutti i maestri. La natura del maestro, quella no, non è considerata importante. E allora abbiamo maestri, e sono tanti, che risultano essere dei mascalzoni, che vanno con quaranta donne per volta, che possiedono quaranta Cadillac o quaranta milioni di dollari...

Invece la mia visione del mondo si fonda sull’attaccamento: viviamo in una Gemeinschaft, non siamo monadi. Coloro che scelgono l’altra via, la via del distacco, che se ne vadano sul Monte Athos o in Tibet, dove non c’è bisogno di essere coinvolti nelle miserie della vita quotidiana. L’attaccamento al mondo, la continuità con il mondo sono invece molto importanti e secondo me le discipline spirituali sono parte del dissesto del mondo. Lo abbandonano al suo inquinamento ai suoi veleni, alla sua corruzione e se ne stanno al sicuro sulle loro posizioni, protette dalla loro filosofia difensiva.

Secondo me è orribile che si possa essere così pieni di superbia, la hybris dei greci, da credere che la propria piccola, risibile trascendenza personale sia più importante del mondo e della bellezza del mondo: degli alberi, degli animali, della gente, delle case, della cultura. Ma qual è l’attrazione psicologica di questa trascendenza? Che cosa sta succedendo nella psiche, da rendere una persona così incredibilmente egocentrica? Così egocentrica da dire: «Addio fratelli, addio figli, addio moglie, addio fiori, addio tutto. Me ne vado sulle vette innevate. Per me voglio la liberazione dal ciclo di morte e rinascita, una libertà tutta bianca e senza immagini». E che cosa sta mai succedendo nella psiche, da rendere così diffuso ed efficace questo sistema delirante? Secondo me, si è caduti in preda all’archetipo dello spirito.

(On Soul and Spirit, p. 10). Vedi terza parte

 

L’articolo è tratto dal testo “Fuochi blu” di J. Hillman. Si rimandano i lettori all’opera completa, pubblicata dalla Casa Editrice Adelphi Edizioni – via S. Giovanni sul Muro, 14 – 20121 Milano – Tel. 02 72 00 09 75 – Fax 02 890 10 337 – info@adelphi.it