NIETZSCHE E LA PSICOANALISI (Iakov Levi)
Noi acquistiamo
coscienza di noi stessi soltanto come di un groviglio di affetti:
e persino le percezioni sensoriali e i pensieri rientrano tra le
manifestazioni degli affetti (Frammenti postumi 1882 - 1884 ,
4 [126]).
Passioni
= condizioni dei nostri organi e loro reazione sul cervello - con
la ricerca di una scarica (Frammenti postumi 1882
- 1884, 4[219] ). Tragedia
della fanciullezza. Accade forse non di rado che uomini nobili
e di alte aspirazioni debbano sostenere nella fanciullezza la loro
lotta più ardua: o per il fatto di dover far valere il loro
modo di sentire contro un padre di mente volgare, dedito all'apparenza
e all'ipocrisia, o per il fatto di vivere, come Lord Byron, continuamente
in lotta con una madre puerile e collerica. Se si è provato
qualcosa del genere, per tutta la vita non si supererà mai
il dolore di sapere chi sia stato veramente per noi il nemico più
grande e pericoloso ("La donna e il bambino", 422, in I Umano
troppo umano).
L'eterno
fanciullo. Noi crediamo che la fiaba e il gioco appartengano
alla fanciullezza: miopi che siamo! Come se in una qualsiasi età
della vita potessimo vivere senza fiaba e senza gioco! Certo, li
chiamiamo e li consideriamo diversamente, ma proprio ciò
dice che sono la stessa cosa perché anche il fanciullo
considera il gioco come il suo lavoro e la fiaba come la sua verità
("Opinioni e sentenze diverse", 270, in II Umano troppo
umano). Porte.
Tanto il fanciullo quanto l'uomo vedono delle porte* in tutto ciò
che vivono e imparano: ma per quello sono accessi, per questo
sempre solo passaggi ("Opinioni e sentenze diverse", 281,
in II Umano troppo umano).
Maturità
delluomo: significa aver ritrovato la serietà che da
fanciulli si metteva nei giochi (Al di là del bene e del
male, 94) Così
parla il giudice rosso: "perché questo delinquente ha ucciso?
Voleva rapinare". Ma io vi dico: la sua anima voleva sangue, non
rapina: egli era assetato della gioia del coltello! Ma la sua povera
ragione non capiva questa demenza e lo convinse: "che importa il
sangue! disse; non vuoi almeno prenderti una vendetta?". Abbastanza spesso
il criminale non è all'altezza della sua azione: egli la
immeschinisce e la calunnia ("Sentenze e intermezzi", 109, in Al
di là del bene e del male).
La volontà
di vincere una passione non è in fin dei conti che la volontà
di un'altra o di diverse altre passioni ("Sentenze e intermezzi",
117 in Al di là del bene e del male).
Erostratismo
estremo. Potrebbero esserci Erostrati che brucerebbero lo stesso
tempio in cui sono venerate le loro immagini ("Opinioni e sentenze
diverse", 66, in II Umano troppo umano).
Tutti gli istinti
che non si scaricano all'esterno, si rivolgono all'interno
- questo è quello che io chiamo interiorizzazione dell'uomo
("Colpa, cattiva coscienza e simili", Seconda dissertazione,
16, in Genealogia della morale)
Insomma, le
morali non sono nient'altro che un linguaggio mimico delle passioni
(Al di là del bene e del male, 187)
Non diffidare
del proprio sentimento. L'espressione femminile, secondo la
quale non bisogna diffidare del proprio sentimento, non significa
molto di più che: bisogna mangiare ciò che piace
("Opinioni e sentenze diverse", 279, in II Umano troppo
umano).
Quanto più
astratta è la verità che tu vuoi insegnare, tanto
più devi sedurre anche i sensi ad essa ("Sentenze e intermezzi",
in Al di là del bene e del male 128).
Io raccomando
a tutti i martiri di riflettere se non sia stata la bramosia di
vendetta a spingerli all'estremo (Frammenti postumi 1882 - 1884
, 4 [104]).
Ad ogni effetto
segue un effetto - questa credenza nella causalità ha la
sua sede nel più forte degli istinti, l'istinto di vendetta
(Frammenti postumi 1882 - 1884 , 4 [53]).
L'utile
è soltanto un mezzo, il suo scopo è in ogni caso il
dulce. Gli utilitaristi sono stupidi (Frammenti postumi
1882 - 1884 , 4 [59]).
E' impossibile
soffrire senza farla pagare a qualcuno; in ogni lamento è
già vendetta (Frammenti postumi 1882 - 1884 , 5 [20]).
Non temete
il flusso delle cose: questo flusso ritorna in se stesso: e fugge
da se stesso non solo due volte. Anche nella
veglia ci comportiamo come nel sogno: cominciamo con l'inventare
e immaginare l'uomo con cui trattiamo - e dimentichiamo subito questo
fatto ("Sentenze e intermezzi", 138, in Al di là del bene
e del male).
Si deve
dare il contraccambio, nel bene come nel male: ma perché
proprio alla persona che ci fece del bene o del male? ("Sentenze
e intermezzi", 159, in Al di là del bene e del male).
Da tenersi
presente! Chi è punito, non è più colui
che ha compiuto l’atto. E’sempre il capro espiatorio
(Aurora, 252).
Concetto di
amicizia. Istinto sessuale idealizzato (Frammenti postumi 1869
- 1874 , 3 [73])
Mi chiedo se
in tutti quei casi in cui l'amicizia non vuol diventare amore, si
trovi al fondo un'antagonismo naturale come quello tra cane e gatto
(Frammenti postumi 1882- 1884, 3[184]) L'Io
contiene una pluralità di esseri (come nel gregge),
questa non è una contraddizione. Parimenti pluralità
di forze. Talora queste cessano - sono invisibili
come la corrente dell'ettricità. Nell'io
nasce quella concezione di se stesso che permette di conservare
il tipo gregario (Frammenti postumi 1882 - 1884, 4[217]
). Principio
primo della civiltà. Esiste presso i popoli incolti un
genere di costumanze, la cui mira sembra essere il costume in generale:
prescrizioni meticolose e in fondo superflue (come per esempio quello
in uso tra i Camciadali, di non raschiare mai con il coltello la
neve dalle scarpe, di non infilzare mai un carbone con il coltello,
di non mettere mai un ferro sul fuoco, altrimenti la morte raggiungerà
colui che agisce in dispregio a queste cose), che purtuttavia mantengono
continuamente nella coscienza la continua vicinanza del costume,
l’ininterrotta costrizione a praticare il costume medesimo;
per rafforzare il grande principio con cui comincia la civiltà:
un costume qualsiasi è meglio che l’assenza di costumi
(Aurora, 15).
Così
del sostrato dionisiaco del mondo, può passare nella coscienza
dell'individuo solo esattamente quello che può essere poi
di nuovo superato dalla forza di trasfigurazione apollinea, sicché
questi due istinti artistici sono costretti a sviluppare le loro
forze in stretta proporzione reciproca, secondo la legge dell'eterna
giustizia. Dove le forze dionisiache si levano così impetuosamente
come noi possiamo sperimentare, là deve essere già
disceso sino a noi, avvolto in una nube, Apollo (La nascita della
tragedia, 25).
Ogni estensione
della nostra conoscenza sorge dal render cosciente ciò che
è inconscio (Frammenti postumi 1969 - 1974, 5[89]).
Il simbolismo
del linguaggio è un residuo dell'oggettivazione apollinea
del dionisiaco (Frammenti postumi 1969 - 1974, 9[13]). Contenuto
della coscienza. Il contenuto della nostra coscienza è
tutto ciò che negli anni dell'infanzia ci fu regolarmente
richiesto senza motivo da parte di persone che veneravamo
o temevamo. Dalla coscienza viene dunque suscitato quel sentimento
della necessità (questo devo farlo, questo no), che non domanda:
perché devo? - in tutti i casi in cui una cosa viene
fatta con "giacché " e "perché ", l'uomo agisce senza
coscienza; ma non per questo contro di essa. - La credenza
nell'autorità è la fonte della coscienza; questa non
è dunque la voce di Dio nel petto dell'uomo, bensì
la voce di alcuni uomini nell'uomo ("Il viandante e la sua ombra",
52, in II Umano troppo umano) *.
perfino nel
vecchio Kant: l'imperativo categorico puzza di crudeltà ("Colpa,
cattiva coscienza e simili", 6, in Genealogia della morale)
Tutto nella
donna è un'enigma, e tutto nella donna ha una soluzione:
questa si chiama gravidanza. Invidia e
gelosia. Invidia e gelosia sono le parti pudende dell'anima
umana. Il paragone può essere continuato ("L'uomo con sé
stesso", 503, in I Umano troppo umano).
*
Come ha rilevato Abraham, "la donna vede nel bambino un sostituto
del membro non concessole (Karl Abraham, Complesso
di evirazione femminile, in Opere, B.Boringhieri, Torino
1997, vol. I, pp. 107-114)
Maschere.
Ci sono donne che, per quanto la si cerchi in loro, non hanno interiorità,
sono pure maschere. E’ da compiangere l’uomo che ha
a che fare con tali esseri quasi spettrali, necessariamente insoddisfacenti;
ma proprio esse possono eccitare al massimo il desiderio dell’uomo:
egli cerca la loro anima - e continua a cercare ("La donna e il
bambino", 405, in I Umano troppo umano) Coraggiosi,
noncuranti, beffardi, violenti - così ci vuole la saggezza:
che è femmina e sa amare solo il guerriero ("Del leggere
e scrivere", in Così parlò Zarathustra).
E una volta,
quando la vita mi chiese: "Ma chi è la saggezza? - mi affrettai
a rispondere- : Ah sì! la saggezza! Posto che la
verità sia una donna, e perché no? Non è
forse fondato il sospetto che tutti i filosofi, in quanto furono
dogmatici, s'intendevano poco di donne? Che la terribile serietà,
la sgraziata invadenza con cui essi, fino a oggi, erano soliti accostarsi
alla verità, costituivano dei mezzi maldestri e inopportuni
per guadagnarsi appunto i favori di una donna? - Certo è
che essa non si è lasciata sedurre - e oggi ogni specie di
dogmatica se ne sta lì in attitudine mesta e scoraggiata
("Prefazione", in Al di là del bene e del
male).
Per tutte le
vere donne la scienza va contro il pudore. Hanno la sensazione come
se si volesse sbirciar loro sotto la pelle - peggio ancora! Sotto
le vesti e l'acconciatura (Al di là del bene e del male,
127)
Ciò
che non è femminile. "Stupido come un uomo" dicono le
donne: "vile come una donna" dicono gli uomini. La stupidità
è nella donna il non femminile ( "Il viandante e la
sua ombra", 273, in II Umano troppo umano).
E' la donna
deve obbedire e trovare la profondità per la propria superficie.
L'animo [il genitale] della donna è superficie, una membrana
mobile e tempestuosa sopra un'acqua bassa ("Delle femmine, vecchie
e giovani", in Così parlò Zarathustra)
Forse la verità
è una donna, che ha buone ragioni per non far vedere le sue
ragioni. Forse il suo nome, per dirla in greco, è Baubo?...[Nei
versi orfici Baubo mostra il sesso a Demetra] (“Prefazione alla
seconda edizione”, in La gaia scienza)
Di tempo
in tempo. Egli sedette alla porta della città* e disse
a uno che l'attraversava che quella appunto era la porta della città.
L'altro rispose che quella era una verità, ma che non si
dovrebbe troppo aver ragione, quando se ne volesse aver riconoscenza
( "Opinioni e sentenze diverse", 297, in II Umano troppo
umano). Quel nascosto
ed imperioso qualcosa, per cui a lungo non troviamo un nome, finché
esso si rivela da ultimo come il nostro compito - questo
tiranno che è dentro di noi si prende una terribile rivalsa
per ogni tentativo che facciamo di evitarlo e di sfuggirgli, per
ogni rinuncia prematura, per ogni nostro uguagliarci a coloro a
cui non apparteniamo, per ogni attività quantunque pregevole,
se essa ci storna dalla nostra cosa principale, anzi per ogni virtù
stessa che voglia proteggerci contro la durezza della nostra responsabilità
più peculiare. La malattia è ogni volta la risposta,
quando vogliamo dubitare del nostro diritto al nostro compito;
quando, in un punto qualsiasi, cominciamo a farci le cose troppo
facili. Strano e terribile insieme! Sono i nostri alleviamenti,
che dobbiamo scontare nel modo più duro! E se poi vogliamo
tornare alla salute, non ci resta scelta: dobbiamo caricarci più
pesantemente di quanto lo fossimo mai stati prima... ( II
Umano troppo umano, Prefazione, 4) Inconscio
e sogno
Per un lunghissimo
tratto di tempo, si è considerato il pensiero consapevole
come il pensiero in generale: soltanto oggi, ci balugina la verità
che la maggior parte del nostro produrre spirituale si svolga senza
che ne siamo coscienti, senza che lo avvertiamo; penso tuttavia
che questi impulsi, qui in lotta tra loro, sapranno benissimo
farsi sentire tra loro e procurarsi vicendevolmente del male (La
gaia scienza, 333)
...un pensiero
viene quando è "lui" a volerlo, e non quando "io" lo voglio
(Al di là del bene e del male, 17).
"Io ho fatto
questo" dice la mia memoria. "Io non posso aver fatto questo" -
dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine - è
la memoria ad arrendersi (Al di là del bene e del male,
68).
Dimenticare
non è una semplice vis inertiae, come ritengono i
superficiali, ma piuttosto una facoltà attiva, positiva nel
senso più rigoroso, d'inibizione, cui è da ascriversi
la circostanza che qualsiasi cosa venga da noi vissuta, sperimentata,
assunta nella nostra intimità, entra tanto poco nella nostra
coscienza nello stato di digestione (si potrebbe chiamarlo "appropriazione
spirituale") quanto poco vi entra l'intero multiplo processo con
cui si svolge il nostro nutrimento corporeo, la cosidetta "assimilazione".
Chiudere di tanto in tanto porte e finestre della coscienza; restare
indisturbati dal rumore e dalla lotta con cui il mondo sottostante
degli organi posti al nostro servizio svolge la sua collaborazione
od opposizione; un po' di silenzio, un po' di tabula rasa
della coscienza ("Colpa, cattiva coscienza e simili", 1, in Genealogia
della morale)
Al nostro istinto
più forte, al nostro interno tiranno, si assoggetta non solo
la nostra ragione, ma anche la nostra coscienza (Al di
là del bene e del male, 158).
Si mentisce,
sì, con la bocca, ma con il ghigno che si fa in quel momento
si dice pur sempre la verità (Al di là del bene
del male, 166)
Le inferenze
inconsce suscitano il mio sospetto: si tratterà di quel passaggio
da un’immagine ad un’altra: l’immagine
raggiunta da ultimo agisce allora come stimolo e motivo. Le cosidette
inferenze inconsce sono da ricondursi alla memoria che
conserva ogni cosa, che offre un’esperienze di natura
parallela e quindi già conosce le conseguenze di
un’azione. Non si tratta di un’anticipazione dell’effetto,
bensì del sentimento: per uguali cause uguali effetti, prodotto
da un’immagine della memoria (op.cit., 19[147] ).
Interpretare
il sogno. Su ciò che talvolta nella veglia non si sa
e non si sente esattamente - se verso una persona si ha una buona
o una cattiva coscienza - istruisce in modo del tutto inequivocabile
il sogno ("Opinioni e sentenze diverse", 76, in II Umano
troppo umano).
Il sogno.
I nostri sogni, quando eccezionalmente riescono e divengono perfetti
- di solito il sogno è un lavoro di acciarponi - sono simboliche
catene di scene e di immagini in luogo di un linguaggio poetico
di narrazione; essi parafrasano le nostre vicende o aspettative
o relazioni con artistica arditezza e determinatezza, al punto che
poi la mattina stupiamo noi stessi, se ci ricordiamo dei nostri
sogni. Noi consumiamo nel sogno troppa arte - e ne siamo perciò
di giorno così poveri ( "Il viandante e la sua ombra", 194,
in II Umano troppo umano).
...sotto l’influsso
apollineo del sogno, questa musica [ musica
= pulsioni dell’Es] gli ridiventa visibile come in un’immagine
di sogno simbolica [ i simboli nel sogno
sono le pulsioni filtrate dalla censura dell’Io]. Quel riflesso
senza immagine e senza concetto del dolore originario [
la pulsione inaccettabile all’Io], produce un secondo rispecchiamento,
come singola immagine o esempio (La nascita della tragedia,
5). Col fatto che
qualcuno si sente "colpevole", "peccaminoso", non è
ancora per nulla dimostrato che a ragione egli si senta tale ("Che
significano gli ideali ascetici?", Terza dissertazione, 16, in Genealogia
della morale)
I più
antichi mezzi di conforto. Primo grado: in ogni malessere e
in ogni avversità l’uomo vede qualcosa per cui deve
far soffrire qualcun’altro, - questo lo rende cosciente della
persistenza del suo potere ed è per lui un conforto. Secondo
grado: in ogni malessere e in ogni avversità l’uomo
vede un castigo, vale a dire l’espiazione della colpa e il
mezzo per liberarsi dal maligno incantesimo di un torto reale
o presunto. Se egli intravvede questo vantaggio che la sventura
gli porta con sé, non crede più di dover far soffrire
altri per questo, - egli si dice affrancato da questa specie di
soddisfazione, perché ne ha ora un’altra (Aurora,
15).
Il suicidio
è possibile solo se si mira ad un'esistenza più felice.
Il non essere non si può pensare (Frammenti Postumi 1869-1974,
3[91]). Originale.
Non il vedere per primi qualcosa di nuovo, bensì il vedere
come nuovo l'antico, ciò che è già anticamente
conosciuto e che è da tutti visto e trascurato, contraddistingue
le menti veramente originali. Il primo scopritore è comunemente
quell'esaltato, affatto volgare e privo di spirito, che si chama
caso ("Opinioni e sentenze diverse", 200, in II Umano
troppo umano).
Derivata
dalla madre. Ognuno porta in sé un'immagine della donna
derivata dalla madre: da essa ognuno viene determinato a rispettare
o a disprezzare le donne in genere, o a essere generalmente indifferente
verso di loro ("La donna e il bambino", 380, in I Umano
troppo umano). tutte le valutazioni
e gli “interessi” che abbiamo posto nelle cose cominciano
a perdere il loro senso, quanto più regrediamo con la nostra
conoscenza fino a giungere alle cose stesse. Con la piena cognizione
dell’origine aumenta l’insignificanza dell’origine:
mentre la realtà più vicina, quel che è
intorno e dentro di noi, comincia a poco a poco a mostrare colori
e bellezze ed enigmi e ricchezze di significato (Aurora,
44).
Se si sente
la necessità di fare della ragione un tiranno, come fece
Socrate, non deve essere piccolo il pericolo che qualche altra cosa
si metta a tiranneggiare. A quel tempo si indovinò nella
razionalità la salvatrice; né Socrate né i
suoi malati erano liberi di essere razionali -- era de rigueur,
era il loro rimedio ultimo. Il fanatismo con cui tutto il pensiero
greco si getta sulla razionalità tradisce uno stato di necessità;
si era in pericolo, non c'era altra scelta; o andare in rovina o...
essere assurdamente razionali... il moralismo dei filosofi greci,
a cominciare da Platone, è patologicamente condizionato:
ugualmente la loro valutazione della dialettica: si deve imitare
Socrate e stabilire in permanenza contro gli oscuri appetiti una
luce diurna, la luce diurna della ragione. Si deve essere accorti,
perspicui, chiari a ogni costo; ogni cedimento agli istinti, all'inconscio,
porta a fondo ("Il problema di Socrate", 10, in Crepuscolo degli
Idoli).
Nella tendenza
a non conoscere se stesse le persone comuni sono assai sottili
ed astute (Frammenti postumi 1882 - 1884 , 4 [54]).
potrebbe perfino
appartenere alla costituzione fondamentale dell'esistenza il fatto
che chi giunge alla perfetta conoscenza incontri l'annullamento
(Al di là del bene e del male, 39).
Lasciare
nell'Ade. Molte cose bisogna lasciarle nell'Ade dei sentimenti
semicoscenti e non volerle staccare dalla loro esistenza di ombre,
altrimenti esse diventano. come pensiero e parola, i nostri demoniaci
padroni e chiedono crudelmente il nostro sangue ( "Opinioni e sentenze
diverse", 374, in II Umano troppo umano).
Vicinanza
della mendicità. Anche lo spirito più ricco ha
perduto talvolta la chiave della camera in cui giacciono ammasati
i suoi tesori, ed è allora simile al più povero, che
deve mendicare per vivere ( "Opinioni e sentenze diverse", 375,
in II Umano troppo umano).
Per quanto
l'uomo possa espandersi con la sua conoscenza, apparire a se stesso
obiettivo, alla fine non ne ricava nient'altro che la propria biografia
("L'Uomo con se stesso", 513, in I Umano, troppo umano ).
Suum cuique.
Per quanto grande sia l'avidità della mia conoscenza, non
potrò estrarre dalle cose nient'altro che già non
mi appartenga - mentre ciò che possiedono gli altri resta
nelle cose. Com'e possibile che un uomo sia ladro e predone? (La
Gaia Scienza, 242)
In definitiva,
nessuno può trarre dalle cose nient'altro che quello che
sa già, chi non ha accesso per esperienza a certe cose, non
ha neppure orecchie per udirle ("Perché scrivo libri così
buoni", 1, in Ecce Homo)
“Conosci
te stesso” è tutta la scienza. Solo alla fine della
conoscenza di tutte le cose, l’uomo avrà conosciuto
se stesso. Le cose infatti sono soltanto i limiti dell’uomo
(Aurora, 48).
I sistemi filosofici
sono la forma più modesta in cui si possa parlare di sè
stessi - una forma poco chiara e balbettante di memorie (Frammenti
postumi 1969 - 1974, 79).
Pensatore
a catena. A uno che ha molto pensato, ogni nuovo pensiero che
sente o legge, appare subito in forma di una catena ( "Opinioni
e sentenze diverse", 376, in II Umano troppo umano).
E’ un
errore grossolano, l’intendere l’individuo eterno come
un qualcosa di completamente isolato. Il suo influsso si propaga
eternamente, così come tale individuo è il risultato
di innumerevoli generazioni (Frammenti postumi 1969 – 1974,
8 [99].
In effetti,
l'uomo porta con se la memoria di tutte le generazioni precedenti
(Frammenti postumi 1969 – 1974, 19 [162].
Il progresso
verso imperi universali è altresì il progresso verso
divinità universali, il dispotismo con la sua sopraffazione
dell'aristocrazia autonoma apre sempre altresì la strada
a una qualche specie di monoteismo ("Colpa, cattiva coscienza
e simili", 20, in Genealogia della morale) L'ipocrita
più distinto. Il non parlare affatto di sé è
una ipocrisia molto distinta ("L'uomo con sé stesso", 504,
in I Umano troppo umano)
...il coro,
il quale produce fuori di sè la visione e parla di essa con
tutto il simbolismo della danza, del suono e della parola. Questo
coro contempla nella sua visione il suo signore e maestro Dioniso
ed è perciò in eterno il coro servente: esso
vede come questi, il dio, soffra e si glorifichi, e perciò
non agisce esso stesso. Nonostante questa posizione, assolutamente
servile di fronte al dio, esso è tuttavia l'espressione suprema,
cioè dionisiaca della natura, e perciò nell'entusiasmo
pronuncia, come questa, sentenze oracolari e di saggezza; come partecipe
della sofferenza esso è insieme il saggio, che
annuncia la verità dal cuore del mondo (La nascita della
tragedia, 8)
Dopo l'ebbrezza
della vittoria sorge sempre il sentimento di una grande perdita:
il nostro nemico, il nostro nemico è morto! Non lamentiamo
così profondamente neppure la perdita di un amico, che per
questa ragione lamentiamo tanto più clamorosamente! (Frammenti
postumi 1882 - 1884, 3[153] ).
il coro,
inteso dionisiacamente, l’unità di individui che soffrono
uno stesso dolore (Frammenti postumi 1869 - 1874, 7[97] ).
Prometeo –
uno dei Titani che ha dilaniato Dioniso [il
capro, Zagreo il cacciatore, e Padre totemico delle tribù
greche], e perciò soffre in eterno come le sue creature,
e, contro Zeus, presente l’avvento di una religione universale
[come il Cristo]. Soltanto grazie al
dilaniamento ad opera dei Titani è possibile la civiltà,
la razza dei Titani viene perpetuata con la rapina. Prometeo –
al tempo stesso lo sbranatore di Dioniso e il padre degli uomini
prometeici (Frammenti postumi 1869 - 1874, 7[83] ). Con essa fu
però introdotta la più grande e la più sinistra
delle malattie, di cui fino a oggi l'umanità non è
guarita, la sofferenza che l'uomo ha dell'uomo, di sé:
conseguenza di una violenta separazione dal suo passato d'animale,
di un salto e di una caduta, per così dire, in nuove situazioni
e condizioni esistenziali ("Colpa, cattiva coscienza e simili",
16, in Genealogia della morale)
Il rapporto
di diritto privato tra il debitore e il suo creditore, di cui già
a lungo si è discorso, è stato ancora una volta interpretato,
e per la verità in una maniera estremamente notevole e coscienziosa
sotto il profilo storico, all'interno di un rapporto in cui esso
risulta per noi moderni forse del tutto incomprensibile: del rapporto,
cioè intercorrente tra i contemporanei e i loro progenitori.
Nell'ambito dell'originaria comunità di stirpi - parliamo
dei primordi - la generazione vivente riconosce ogni volta un'obbligazione
giuridica nei confronti di quella più antica ("Colpa, cattiva
coscienza e simili", 19, in Genealogia della morale)
-il progenitore
finisce per essere necessariamente trasfigurato in un dio.
Forse sta proprio qui l'origine degli dei, un'origine dunque dal
timore! ("Colpa, cattiva coscienza e simili", 19, in
Genealogia della morale)
...la tragedia
è sorta dal coro tragico, e che originariamente essa era
soltanto coro e nient'altro che coro (La nascita della tragedia,
7). Secondo questa
concezione e secondo la tradizione Dioniso, il vero e proprio
eroe scenico e centro della visione, non è dapprima, nel
periodo più antico della tragedia, veramente esistente, ma
viene solo rappresentato come esistente: cioè in origine
la tragedia è solo “coro” e non “dramma”.
Più tardi viene poi fatto il tentativo di mostrare il dio
come reale e di presentare come visiile a chiunque la figura visionaria
insieme alla cornice della trasfigurazione: con ciò comincia
il dramma in senso stretto. Ora al coro ditirambico è affidato
il compito di eccitare dionisicamente l’animo degli ascoltatori
fino al punto che essi, quando l’eroe tragico appare sulla
scena, non vedano già l’uomo grottescamente mascherato,
bensì una figura visionaria partorita per così dire
dalla loro stessa estasi [...] lo spettatore dionisicamente eccitato
vedeva avanzarsi sulla scena il dio, nella cui sofferenza egli si
era già immedesimato. Involontariamente [
ovvero, inconsciamente] egli trasferiva tutta l’immagine
del dio, magicamente tremante davanti alla sua anima, in quella
figura mascherata, dissolvendone la realtà, per così
dire, nell’irrealtà di uno spirito (La nascita della
tragedia, 8).
"Qual è
l'azione della musica? Essa risolve una visione in volontà.
Il concetto molto adoperato da Nietzsche "volontà", malgrado
i numerosi scritti che trattano del filosofo, è rimasto tutt'ora
uno dei più nebulosi. Secondo noi, basta sostituire alla
parola "volontà" il concetto freudiano di "pulsione" (Trieb),
affinché l'intenzione di Nietzsche diventi chiara. |