L’ambiguità delle parole
Psicoterapia di Francesco Scotti
 

Il metodo proposto dall’Editoriale, ed esemplificato con i termini che più spesso compaiono nella descrizione delle dinamiche sociali, se applicato a parole che utilizziamo nell’ambito della psicologia e della psichiatria, ci permetterà di capire meglio gli equivoci che caratterizzano attualmente il dibattito intorno alla cura dei disturbi psichici. Il rovesciamento semantico che porta da ‘riforma’ a ‘riformismo’, da ‘libertà’ a ‘liberismo’, è reso possibile da un’ambiguità delle parole originarie che esplode nel momento in cui si cancella ogni riferimento a una certa concretezza storica.
Mi chiedo se lo stesso accada in altri ambiti e in particolare in quello di cui mi occupo professionalmente.
Innanzi tutto può essere suggestivo citare, a integrazione del discorso sulle cause di distorsione del significato, una recensione di S. Freud del 1910 sul Significato opposto delle parole primordiali 1.
Egli cita un lavoro di glottologia in cui si sostiene che nella lingua egizia un’unica parola poteva essere usata con un significato ma anche con il suo opposto. Ad esempio: una certa parola poteva significare tanto forte che debole, un’altra giovane e vecchio: la scelta tra gli opposti significati avveniva non attraverso la fonetica, ma attraverso la gestica, anticipata nella scrittura da immagini che indicano il senso e non sono destinate alla pronunzia. Secondo lo studioso citato da Freud è nelle radici più antiche che si osserva il fenomeno del duplice significato antitetico. Altri esempi possono essere più illuminanti: il latino altus conduce al significato di alto, ma anche a quello di profondo, sacer significa sia sacro che sacrilego; fino a giungere alla controversa etimologia di Varrone su lucus (bosco) a non lucendo (luogo dove non penetra la luce).
Freud vede in questo fenomeno un imprevisto parallelismo tra il linguaggio più antico e la comunicazione che compare nel sogno, in cui una immagine o una parola possono rimandare a due significati opposti. In ciò egli trova “una conferma del carattere regressivo, arcaico, dell’espressione del pensiero nel sogno”. Aggiunge che “gli interpreti di sogni dell’antichità sembrano aver fatto il più ampio uso del presupposto che nel sogno una cosa può significare il suo contrario”.
Potevano le parole della psicologia e della psichiatria, che si pongono al limite tra il mondo degli oggetti e quello delle facoltà mentali che su quegli oggetti agiscono, essere immuni dagli equivoci che colpiscono le parole di altri ambiti di conoscenza? Potevano esse sottrarsi alle ambiguità che derivano dalla natura del linguaggio, dalle dinamiche della storia, dalle logiche del potere? E
poteva l’ambito operativo definito da quelle parole essere salvo dagli effetti distorcenti di un uso contraddittorio dei termini?

La distorsione: passaggio dal soggetto all’oggetto
Che ciò avvenga non ci sorprenderà. Ci sorprenderà invece trovare qui un’altra modalità di distorsione del significato che potremmo chiamare, in prima istanza e in modo approssimato, “passaggio non dichiarato dal soggetto all’oggetto”. Affrontiamo la parola psicoterapia. È una parola composta e l’italiano è una lingua da sempre poco benevola nei confronti dei composti; ma il risultato sarebbe lo stesso se la esaminassimo in una qualunque delle grandi lingue europee. Partiamo da una definizione classica, che è quella di Freud in un lavoro del 1890, intitolato “Trattamento psichico (trattamento dell’anima)”2.
“Psiche è una parola greca e significa, tradotta, anima. Trattamento psichico vuol quindi dire ‘trattamento dell'anima’, e si potrebbe dunque pensare che con esso si intenda: trattamento dei fenomeni patologici della vita dell'anima. Ma non è questo il significato dell'espressione. Trattamento psichico indica piuttosto: trattamento a partire dall'anima, trattamento – di disturbi psichici o somatici – con mezzi che agiscono in primo luogo e immediatamente sulla psiche dell'uomo. Un tale mezzo è soprattutto la parola, e le parole sono anche lo strumento essenziale del trattamento psichico”.
È qui affrontato per la prima volta, a quanto mi è dato sapere, il doppio significato presente nell’etimologia del termine. Psiche si presenta come oggetto: oggetto della terapia, come avviene nell’altro composto, psichiatria (letteralmente, medicina che ha per oggetto la psiche). Nello stesso tempo vi compare come soggetto dell’azione terapeutica, e cioè ‘terapia mediante la psiche’. Questa possibilità di significato trova riscontro in altri composti che, appartenenti allo stesso ambito semantico, non ne hanno tuttavia ereditato l’ambiguità. Ad esempio ‘farmaco-terapia’ significa terapia mediante il farmaco e non potrebbe significare altro. Ma nel super composto ‘psico-farmaco-terapia’, la radice psico riassume il valore di oggetto e il termine sta ad indicare la terapia della psiche mediante i farmaci. Se volessimo essere inutilmente pignoli potremmo sempre utilizzare composti multipli e specificare che parliamo di ‘psico-psico-terapia’ per indicare la terapia della psiche con mezzi puramente psicologici.

1. in Opere di Sigmund Freud vol. 6, pag. 185. Boringhieri editore 1974.
2. In Opere di Sigmund Freud, vol. 1, pag. 93. Boringhieri editore, 1967.

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