Nuovi stimoli alla Psicologia
Daniel Kahneman non è un nome notissimo ai più,
ma dovrebbe esserlo perché ha vinto il premio Nobel nelle
Scienze Economiche nell'Ottobre 2002. La sorpresa è che
Kahneman è uno psicologo. Il suo lavoro ha dimostrato qualcosa
che è noto a tutti gli psicologi ma che non è mai
stato formalizzato in un modello economico. E cioè che
la gente non sempre usa, nei comportamenti economici, quello che
gli economisti definiscono "comportamento razionale".
Più spesso la gente si basa su impressioni, sentimenti,
percezioni soggettive. Aldilà della ovvietà del
lavoro di Kahneman è rimarchevole l'assegnazione del Nobel
in Economia ad uno psicologo. Questo premio dovrebbe allargare
l'orizzonte delle applicazioni psicologiche, tuttora limitato
allo spazio del disagio. Inoltre esso sancisce il processo ormai
a tutti evidente di superamento graduale delle discipline tradizionali,
a favore delle scienze e delle pratiche "di confine".
In quest'ultima direzione si pone il contributo che Robert Putnam,
un politologo di Harvard, ha offerto al Congresso annuale dell'APA
(American Psycology Association) del 2002. Putnam ha segnalato
il progressivo declino di tutte le forma di aggregazione nella
vita americana - dalla partecipazione ai governi locali ai picnics
familiari- dal picco raggiunto negli Anni Sessanta. Prendendo
in esame i club, l'associazionismo, la frequentazione parrocchiale,
le aggregazioni di genitori, Putnam nota l'evidenza del declino
del "capitale sociale" americano. Il termine "capitale
sociale" indica l'insieme dei legami civili che rendono le
comunità più sicure, più sane e più
efficienti. Putnam definisce questo declino come "crimine
di gruppo", essendo originato da diversi fattori concomitanti.
Tragedie come quelle dell'11 settembre non sembrano offrire stimoli
all'inversione di tendenza. La percezione del dramma produce una
depressione collettiva che viene presto superata senza dare vita
a quell'insieme di pratiche partecipative durature che possono
rivitalizzare il "capitale sociale" (fonte: Monitor
on Psychology, APA, vol.33, n.10, Nov. 2002, pagg.26-27). Forse
anche qui la psicologia può trovare un sentiero nuovo da
percorrere. (PSIPOL, Primo Magus).
L'INCOMMENSURABILE
POTENZA DELLA RELAZIONE
Sino
a che la società sarà fondata sul denaro, non ne
avremo mai abbastanza (volantino, Parigi, 1995)
Nell'economia
post fordista, nel sistema produttivo caratterizzato dalla rivoluzione
informatica, nei servizi immateriali, quelli che contano sono
i beni cosiddetti intangibili, dei quali c'è molta incertezza
su come determinarne il valore. Tecnologie mentali, simboliche,
comunicative, sfuggono alle logiche della PRODUTTIVITÀ:
non sono misurabili sulla base della quantità di prodotto
per ore lavorate e neppure riferibili ad una azienda o ad un settore
specifico. Ciò significa rompere la corrispondenza presente
nel lavoro salariato tra DENARO E LAVORO, principio dell'economia
classica, da Ricardo a Smith, contestata da Marx, ripresa da Keynes.
Nel Moderno il rapporto sociale mediato dal denaro si presenta
come rapporto tra cose, "liberato" dalla necessità
di mantenere una relazione personale. Infatti il denaro crea rapporti
tra le persone ma lascia le persone "aldifuori" di esso.
Dobbiamo a Marx la definizione del carattere feticistico della
merce (una "cosa" rappresenta rapporti sociali!): nella
cultura moderna gli uomini definiscono la libertà in termini
contrattuali (tempo/lavoro/denaro). Nel PostModerno il lavoro
si trasforma da produzione materiale e servizio immateriale. La
dimensione strumentale della produzione economica non si distingue
più dalla sfera comunicativa delle relazioni umane e produce
un'elevazione della produzione ai più alti livelli di complessità
dell'interazione umana. Il denaro non basta a significare (quantificare,
definire, compensare) il legame tra le persone, nello scambio
degli affetti e della cura. Nel lavoro immateriale in gioco c'è
ciò che di più prezioso abbiamo: la nostra LIBERTA'
che non può essere semplicemente subordinata al mercato.
Il valore simbolico che risiede negli scambi personali che si
realizzano nella relazione affettiva (cuore dell'immateriale)
non si esaurisce nel denaro. La sfera della relazione (sociale,
formativa, educativa) stabilisce o richiede legame; e il legame
sociale sfugge, è altrove rispetto alla sfera del controllo
esercitato dallo Stato (Assistenziale) o dall'Impero (Economico).
Ad una condizione: se la relazione mantiene la sua estraneità
all'utilitarismo, si può vendere sé stessi, la propria
libertà, ma non possiamo acquistare l'anima dell'altro,
l'amore dell'altro, a meno che non si pensi in termini di equivalenza
con un terzo (denaro, moneta, affare)! Nella relazione c'è
azzardo. Si tratta di uno scambio non garantito e squilibrato.
Ciò che la caratterizza è la non equivalenza. La
questione è che la visibilità di questa dinamica
è oggi sottoposta essenzialmente al suo valore di mercato.
La sfida è di renderla visibile rimanendo fuori dal mercato,
facendone emergere il valore simbolico piuttosto che il plus valore
economico. Significa denunciare (rinunciare) all'equivalenza dell'atto,
creativo e generativo, con il denaro; significa uscire dalla logica
assistenzial-vittimista che ogni "dono" sia dovuto,
quando il donatore è lo Stato. Significa rimettere in gioco
la propria IDENTITÀ non solo come lavoratore, ma anche
come persona: la formula "io mi chiamo e faccio" potrebbe
essere sostituta da "io mi chiamo e sono
". Possibile
scarto all'istituzionalizzazione e alla quotazione dello scambio
immateriale che hanno come tragica deriva la nostra IMPOTENZA.
Il regime capitalista e le sue forme di ramificazione statuale,
hanno prodotto un declino sociale delle risorse personali, delle
competenze e delle capacità di agire personale. Lo Stato
Assistenziale dà diritto ad assistere e essere assistiti
ma si risolve nella negazione della soggettività, producendo
un declino sociale delle risorse personali, sia di chi promuove
e agisce, sia di chi è oggetto, dell'aiuto.
Alberto Raviola, giugno 2003
Il modello delle "Molteplici Versioni" (Comenius,
Primo Magus, settembre 2003)
Non esiste un Teatro Cartesiano; esistono solo
Molteplici Versioni composte da processi di fissazione di contenuti
che giocano vari ruoli semi-indipendneti nella più vasta
economia tramite il quale il cervello controlla il viaggio del
corpo umano attraverso la vita [...]. I "qualia" sono
stati sostituiti da complessi stati disposizionali del cervello
e il sé (altrimenti noto come il Pubblico del Teatro Cartesiano,
l'Autore Centrale o il Testimone) si rivela essere una valida
astrazione, una finzione teorica piuttosto che un osservatore
interno o un boss.
Se il sé è "soltanto" il Centro di Gravità
Narrativa, e se tutti i fenomeni della coscienza umana sono "soltanto"
i prodotti delle attività di una macchina virtuale realizzata
dalle connessioni incredibilmente modificabili del cervello umano,
allora, in linea di principio, un robot opportunamente "programmato",
con un cervello costituito da un calcolatore a base di silicio,
sarebbe cosciente, avrebbe un sé.
[da D.Dennet, "Coscienza. Che cos'è",
Rizzoli, Milano, 1993, pag. 480]
Cosa è il "sé"?
Secondo la mia teoria, un sé non è
un punto matematico, ma un'astrazione definita dalle miriadi di
attribuzioni e interpretazioni (incluse le auto-attribuzioni e
le auto- interpretazioni) che hanno composto la biografia del
corpo vivente di cui è il Centro di Gravità Narrativa.
Come tale, svolge un ruolo singolarmente importante nell'incessante
economia cognitiva di quel corpo vivente, perché, tra tutte
le cose dell'ambiente di cui un corpo attivo deve farsi un modello
mentale, nessuna è più cruciale di se stesso.
[da Dennet, Coscienza. Che cos'è, cit., pag. 474]
Stimolo proposto dal Primo Magister 2003-2004,
Comenius (luglio 2004)
Quando è iniziato a sparire il senso critico?
Sarebbe divertente stabilire una data, un fatto,
una situazione che segni la data della sparizione del senso critico.
Potremmo farne una festa. Incontrando persone che operano nella
formazione, nell'assistenza, nel volontariato, nell'educazione
e nella prevenzione (cioe' in quello che viene impropriamente
definito "il sociale") è impressionante notare
il dilagante ottimismo "ingenuo". Tutti i progetti hanno
successo, tutte le attività sono utilissime e graditissime
dagli utenti, tutti gli operatori sono molto
qualificati. A credere a quello che si sente in giro, viviamo
nel migliore dei modi possibili. Stupisce che ancora servano i
servizi ed i professionisti del "sociale", visto l'efficacia
delle migliaia di progetti realizzati in questi ultimi anni. A
causa dei conclamati successi del settore sono ovviamente sparite
tutte le tradizionali forme di confronto come i Convegni, i Dibattiti,
le Tavole Rotonde, sostituite da celebrazioni "istituzionali"
di questa o quella "cordata" professionale.Un bel risparmio
di soldi e fatica!
Il fenomeno è visibile fin dagli inizi delle nuove carriere.
Non c'e' tirocinante o stagista che non vada in giro dicendosi
felice della esperienza che ha in corso. I rapporti e le tesine
dei giovani grondano entusiasmo, ed ogni richiesta di analisi
critica e' considerata provocatoria quando non offensiva. Non
c'e' quasi corsista di un Corso di Specializzazione o Master che
non ne magnifichi la qualità. Cercare di discutere sul
senso o il livello dell'esperienza formativa, con un allievo,
e' impossibile.
Esistono ancora sacche di resistenza del senso critico, relegate
nel settore pubblico, dove pero' sono difficilmente distinguibili
il malcontento da causa burocratica e l'insoddisfazione per la
qualita' del lavoro professionale. Nel settore privato, ormai
maggioritario, non esiste piu' traccia di senso critico o dissenso.
Forse perche' quando la criticita' emerge, viene espulsa. O forse
perche' il privato e' talmente ideologizzato, da identificarsi
con una sorta di "fede". O forse ancora perche' il privato
e' un business il cui unico metro critica e' il fatturato.