Il trionfo della cultura gitana (Eva Zenith)

Qualcuno ha osservato che quando una cultura muore, lascia la sua eredità alla cultura emergente. E' capitato in modo evidente col comunismo. Caduto il muro di Berlino, il comunismo è sparito dalla scena politica, ma ha lasciato la sua eredità alla civilizzazione occidentale. La quale, fondata sulla radice della libertà è diventata statalista e totalitaria, proprio come il comunismo auspicava. Era capitato molto prima con l'impero romano che, una volta caduto, ha permeato tutti i secoli seguenti.

Più di quaranta anni fa visitai Napoli per la prima volta. Il lungomare era un' interminabile teoria di capanne di cartoni e lamiere. Ma il mio stupore fu provocato dal fatto che ognuna inalberava un'antenna televisiva, di quella televisione che nel mio bilocale milanese era solo un sogno. Vent'anni fa in India, fui stutipa dalle centinaia di donne che chiedevano l'elemosina, vestite con sari bellissimi e ingioiellate come madonne. Una decina di anni fa fra le favelas di Rio, stesso stupore. Oltre all'antenna televisiva, ogni topaia aveva un fuoristada alla porta.

Oggi la cultura nomade è ovunque messa al bando. Per un motivo o per l'altro, i gitani vengono assimilati: la cultura sinti è morente. Le baraccopoli sono ovunque sulla via della sparizione, e con esse i bagni all'aperto, i bambini che giocano sui rifiuti fra un accattonaggio e un furtarello, le donne vendute in matrimoni fra famiglie. Insieme a tutto questo stanno anche sparendo le mercedes, le tv al plasma e i santini dorati alle pareti che sono parte essenziale della cultura gitana. I gitani, come i napoletani degli anni sessanta, gli indiani degli anni ottanta ed i brasiliani degli anni novanta, vedono la fine la loro cultura fatta di miseria radicale e lusso ostentativo.

La cultura che muore fra i nomadi non si estingue ma dilaga in tutto l'Occidente. In un certo senso, la sconfitta corrisponde ad una grande vittoria. L'Italia in particolare sembra essere la prima erede della cultura gitana. Miseria e ostentazione sono diventate le coordinate della cultura nazionale.

Abbiamo le strade che sembrano tratturi, ma mettiamo rotonde con fioriere anche nei viottoli di campagna. Stiamo cercando di fare un'autostrada da oltre 40 anni, fra Salerno e Reggio Calabria, ma disegnamo ponti futuribili sullo stretto di Messina. Le ferrovie sono poco più che carri bestiame, con ritardi puntuali di 30 minuti ogni ora di viaggio, ma progettiamo una via ultraveloce per andare a Lione (a fare che?). Alla polizia mancano i soldi per la benzina, ma non ci perdiamo nessuna guerra al mondo, dove diciamo di portare la pace che non siamo capaci di ottenere a casa nostra. Metà della popolazione italiana risparmia sulla fettina, ma abbiamo una Presidenza della Repubblica che costa più della Casa bianca. Abbiamo migliaia di bambini italiani che evadono la scuola dell'Obbligo, ma finanziamo classi nella savana africana. Ci sono migliaia di donne italiane maltrattate e violentate (molte anche uccise), ma non ci tiriamo indietro se si tratta di sostenere l'emancipazione delle donne afghane.

Lasciamo andare in rovina Pompei, ma sosteniamo la ricostruzione del museo di Bagdad. Abbiamo nuclei di case popolari che assomigliano sempre più ai ghetti di San Paolo, ci sono ancora migliaia di terremotati che vivono in containers, ma spendiamo miliardi per la ricostruzione irachena.

La cultura gitana della baracca nel fango con mercedes sulla soglia sta finendo, ma non sparisce. Sta diventando lo sfondo della cultura italiota e forse occidentale.