Si fa un gran parlare del furto economico del futuro. I giovani precari
non avranno mai una pensione; i giovani disoccupati non avranno mai
un lavoro vero; i lavoratori andranno in pensione a 80 anni; l'immigrazione
e l'emigrazione sono inarrestabili; la lira non è più
recuperabile. E' tutto ovvio e già deciso.
Si parla molto meno del furto ideologico del futuro, che è
anche più disperante del primo. E' difficile parlare del quadro,
ma sembra impossibile parlare della cornice. Per l'ideologia dominante
la discussione sulla cornice è culturalmente proibita. Non
c'è futuro per la cornice politica se non come ripetizione
infinita del presente. Quando abbiamo creduto di registrare la "morte
delle ideologie" siamo caduti nella trappola della sottomissione
ad una sola ideologia, che esclude di poter cambiare e quindi di offrirci
un futuro.
Il futuro è il tempo del possibile. E' il tempo in cui possiamo
pensare che qualcosa cambierà. E' il tempo dell'immaginazione
e della fantasìa, in cui possiamo disegnare un mondo diverso
cui appartenere. Il futuro è il tempo dell'ignoto. Se non siamo
certi di cosa avverrà possiamo sperare in un cambiamento positivo.
L'ideologia dominante che considera alcuni elementi della cornice
politica come ineluttabili, immodificabili, indiscutibili, eterni,
è un vero e proprio furto del futuro. Il futuro per questa
ideologia è una copia del presente, dettagli a parte. La coazione
a ripetere è una posizione nevrotica che si radica nel prevalere
del senso di morte, ed è proprio questo che guida l'ideologia
dell'Occidente al tramonto. Il terrore di ogni cambiamento significativo
fa preferire Thanatos (la morte, la ripetizione) a Eros (la vita,
la novità).
Il furto del futuro dell'Occidente non si limita all'Occidente. La
nostra arroganza ci porta a voler imporre ad altri il nostro presente,
che non vogliamo solo eterno ma planetario, e forse anche cosmico
(dopo che saremo su Marte). Non solo adoriamo le replicazioni, ma
perseguiamo anche le esportazioni. Non ci basta rubare a noi stessi
il nostro futuro, vogliamo rubare anche quello degli altri Paesi.
Il turbo-capitalismo
Dopo la sconfitta del comunismo, che aveva il solo vantaggio di contenere
il capitalismo, è stata una corsa al turbo-capitalismo, alla
finanziarizzazione dell'economia, alla globalizzazione intesa come
libera circolazione dei capitali e delle imprese. Oggi non c'è
più nesssuno che ipotizza un altro modello, qualcosa di nuovo
o di alternativo. I pochi che lo fanno vengono definiti comunisti
(oggi considerato un insulto), fascisti, anarchici, disfattisti, islamisti,
traditori. Il turbo-capitalismo ha vinto e sarà per sempre
la cornice economica dell'umanità. Nessun possibile cambiamento
futuro, se non quello di più turbo-capitalismo.
La democrazia parlamentare rappresentativo
Questo istituto politico è relativamente giovane. Per secoli
l'umanità ha prosperato all'interno di cornici politiche diverse:
democrazia diretta, democrazia diretta ma di classe, diarchia o tetrarchìa,
impero, monarchìa assoluta o parlamentare, dittatura, democrazia
presidenziale, democrazia popolare. Per secoli filosofi, politologi,
sociologi, letterati hanno discusso sulle diverse forme di governo
possibili. Oggi il dibattito è morto. Siamo talmente convinti
che il futuro debba essere come il presente, che non ne parliamo nemmeno.
E anche qui, non ci basta condannare il nostro futuro a una eterna
ripetizione del presente, ma siamo disposti a fare guerre e massacri
per imporre la nostra ideologia "democratica" a tutti i
Paesi del mondo. Chi propone un altro modello qualsiasi di governo
è un nemico.
La Costituzione italiana
Si può bestemmiare Dio, si può diffamare il Papa, si
può dissacrare tutto (e meno male!), ma non si può mettere
in discussione la Costituzione. Una Carta che ha grandi meriti e una
bella storia, ma di cui Paesi come gli Usa e l'Inghilterra hanno fatto
benissimo a meno, ed è vecchia 70 anni. Oggi sono pochi gli
articoli che hanno ancora un senso. Un 30% degli articoli era discutibile
(ed è stato molto discusso) anche alla nascita. Un 30% è
diventato obdoleto. Un 30% è ed è sempre stato irrealizzabile,
utopico, fantascientifico. Un dieci per cento va ancora più
che bene. Non dovrebbe esserci niente di male a dire che 70 anni sono
tanti per una Costituzione. Invece sì. L'ideologia dominante
considera la Costituzione, non un mezzo ma un fine. Più sacra
della Bibbia e del Vangelo. Chi propone di fare una democrazia più
diretta, magari telematica, viene trattato come un demente. Chi auspica
una Repubblica presidenziale è un fascista (anche se tutti
plaudono al presidenzialismo per via strisciante e implicita). La
Repubblica parlamentare in Italia è qualcosa di eterno: il
suo futuro è l'imbalsamazione. Tutto ciò, anche se i
gazzettieri si sdilinquiscono per regine, principesse, royal babies,
eredi al trono.
L'esercito e le armi
C'era un tempo nel quale l'antimilitarismo e il pacifismo erano un
vanto. Le forze armate ci costano 25 miliardi di euro l'anno e servono
solo per le parate. L'esercito è un'istituzione insensibile
all'uranio impoverito, all'acqua inquinata per i marinai, al disturbo
post-traumatico dei reduci dalle zone di guerra, ma sensibilissima
agli stipendi gonfiati e retributivi. Quarantacinque generali di corpo
darmata, 108 di divisione, 269 di brigata e 2149 colonnelli.
A questi dovrebbero aggiungersi 9.305 tenenti colonnello. Quasi come
gli Usa e il doppio di quelli tedeschi.
Sul fatto che le armi che produciamo vadano in giro per tutto il mondo
a fare stragi, se ne parla poco e niente.
Oggi il militarismo e il nazionalismo patriottico sono il Vangelo.
Ovunque è un profluvio di bandiere, inni nazionali, gagliardetti.
Ogni giorno c'è la commemorazione del compleanno di un'arma,
con tanto di parata e cammninatina del politico di turno. Riproporre
il servizio di leva sta diventando una moda. L'esercito c'era e ci
sarà sempre. Citare Costa Rica, Panama e Islanda che hanno
abolito l'esercito da decenni, viene considerato un insulto o una
provocazione. Un futuro senza armi e senza esercito? Proibito pensarlo:
il futuro deve essere come il presente, pieno di generali e portaerei.
Nato, Onu e Stato nazionale
Ogni tanto qualcuno domanda cosa stiamo a fare nella Nato, visto che
non c'è nessuno a minacciarci. Idiota! Qualcun altro domanda
perchè stiamo nell'Onu, che è la più sputtanata
istituzione del pianeta. Due volte idiota! Abbiamo scelto un secolo
e mezzo secolo fa di stare nella Nato e nell'Onu, e così deve
essere oggi e per sempre. Solo degli idioti anti-patriottici possono
pensare di cambiare queste cose.
Sullo Stato nazionale le cose si fanno un po' confuse. C'è
stato un tentativo di pensare al federalismo, ma è finito nell'angolo
delle vergogne della Storia. L'Italia unita, nata nel 1861, è
e sarà. Questi sfegatati patrioti vanno un pò in confusione
quando sancendo la sacralità e l'unità d'Italia, si
trovano a dover difendere la bontà del potere sovranazionale
della UE. Quando, commemorando coloro che nelle due guerre mondiali
sono morti per "difendere i confini", corrono a promuovere
in tv la santità dell'abolizione dei confini e dell'accoglienza
indiscriminata dei migranti. Si offendono, quando qualcuno ipotizza
(e magari auspica) la imminente morte degli Stati nazionali, per la
frammentazione degli autonomismi o per le federazioni sopra-nazionali.
Si scandalizzano per la secessione della Catalogna o della Crimea,
ma difendono il Tibet e la Cecenia. Insomma, la cultura dominante
non ha le idee tanto chiare sullo Stato nazionale, ma una cosa chiara
ce l'ha. Lo Stato nazionale italiano non si discute: un futuro senza,
non esiste. Nè si può progettare.
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