Cittadinanza contro apolidato: un
problema irrisolto da quasi 2500 anni

"Ovunque straniero"

Nel secondo libro dei Memorabili, Senofonte (ca. 430-353 a.C.) pone a confronto il suo maestro Socrate con il filosofo Aristippo di Cirene, considerato nell'antichità il fondatore o l'ispiratore di una scuola filosofica - la cosiddetta "scuola cirenaica" - non lontana dall'edonismo che sarà proprio degli Epicuriani. Non è un caso, dunque, che in tale dialogo si oppongano il metodico "disimpegno" di Aristippo - che nella politica vede il male assoluto - e la prospettiva di Socrate, che scorge invece nella politica - praticata o patita - il destino obbligato di ogni uomo.

"Senti, Aristippo - disse Socrate - "poniamo che ti siano affidati due ragazzi e che tu debba educarli: il primo in modo che sia adatto a esercitare il potere, il secondo, invece, in modo che del potere non abbia alcun desiderio; come educheresti l'uno e l'altro? Vuoi che valutiamo il problema iniziando dalla loro alimentazione, come se fosse la base di tutto?" Rispose Aristippo: "L'alimentazione è senz'altro il punto di partenza, a mio parere: nessuno vive, se non si nutre". "E allora [...] a chi dei due insegneremo ad anteporre le questioni urgenti alla soddisfazione del suo ventre?". "A quello che educhiamo per l'esercizio del potere, senz'altro" - disse - "così le questioni pubbliche non saranno trascurate, sotto il suo governo".
"E poi, quando hanno voglia di bere, dobbiamo infondere in lui la capacità di resistere anche se ha sete: o no?". "Sicuramente", disse.
"E la capacità di resistere al sonno, così da potersi coricare tardi e alzarsi presto e passare la notte svegli, se ce n'è bisogno: a chi dei due la insegneremo?". "Sempre a lui", disse. "E cosa mi dici della capacità di resistere al desiderio sessuale, in modo che non impedisca d'agire, se ce n'è bisogno?". "Sempre a lui", disse [...].
"E allora, se collochiamo chi sa dominare tutti questi impulsi fra coloro che sono adatti al potere, collocheremo chi non ne è capace fra coloro che per il potere non hanno alcuna ambizione: o mi sbaglio?". Ammise anche questo.
''Dunque, visto che sai qual è il posto che spetta a ciascuna di queste due specie, ti sei già chiesto qual è il posto più giusto per te?". "Sì, certo" - disse Aristippo - e in nessun caso mi metto dalla parte di chi vuole esercitare il potere. Secondo me, visto che costa tanta fatica procurare a sè stessi ciò che serve, solo un pazzo può volere di più e addossarsi l'onere di procurare ciò che serve anche agli altri cittadini. E rinunciare a molti dei suoi desideri, perchè è al governo di una città, e in più - se non fa tutto ciò che la città vuole - sottostare al suo giudizio: non è pazzia grave, questa?
A ben vedere, le città pensano di potersi servire dei loro politici come io penso di potermi servire dei miei schiavi [..,]. E allora, se qualcuno cerca molti fastidi, e se vuole procurarne altrettanti agli altri, io lo educherei come abbiamo detto e lo collocherei fra gli uomini adatti al potere. Quanto a me, io mi colloco fra coloro che vogliono vivere nel modo più semplice e più piacevole".
E Socrate disse: "allora, se ti va, chiediamoci anche questo: se vive meglio chi comanda o chi è comandato [...] Fra i Greci - visto che sei un greco - chi vive meglio, secondo te? Chi è più potente o chi subisce la potenza altrui?". "Ma io - disse Aristippo - non mi metto fra gli schiavi. Mi pare che ci sia una via di mezzo, fra queste due, ed è la via su cui io procedo: non passa per il potere né per la schiavitù, ma per la libertà, e porta alla felicità come nessuna altra via".
"Ma se questa via non passa per il potere, né per la schiavitù, forse non passa nemmeno fra gli uomini: se intendi questo, ti capisco. Ma tu vivi fra gli uomini, e se pretendi di non comandare e di non essere comandato, e se non ti inchini volontariamente a chi comanda, allora penso che ti renderai conto di questo: che i più forti, sia in pubblico che in privato, sanno benissimo come far soffrire i più deboli, fino a renderli loro schiavi. O forse non vedi che c'è chi miete e chi raccoglie la legna, quando sono altri a seminare e a piantare gli alberi. Non vedi che assediano in ogni modo chi è più debole e non vuole servirli, finchè non lo convincono che è meglio essere schiavi di chi è più forte, piuttosto che combatterlo? E non vedi che anche in privato chi ha coraggio e potere riduce in servitù chi è più timido e più debole, e poi lo sfrutta?". "Ma proprio per sottrarmi a questo - disse - io non mi rinchiudo in uno Stato, ma ovunque sono straniero".

(traduzione di F. Condello)
da: Centro Studi "La permanenza del classico" Elogio della politica, libri Arena, Bologna, 2008 pp. 45-49