Vi è qualcosa di spregevole, e allo stesso tempo spaventoso, nel genere di prove che negli ultimi anni sono bastate per dichiarare chiunque giuridicamente incapace: lo si vede dopo la morte, nei casi in cui l'eredità viene impugnata – se ce n'è abbastanza per pagare le spese processuali, che appunto vengono detratte dall'asse ereditario. Si va a rovistare nei minimi particolari della vita quotidiana di un uomo, e ogni "scoperta" che, nella sua percezione e descrizione da parte dei più vili dei vili, appare lievemente diversa dal più assoluto luogo comune viene presentata alla giuria come prova di infermità mentale, sovente con successo; infatti i giurati sono poco meno, o altrettanto, volgari e ignoranti che i testimoni, e i giudici, con quella straordinaria e continuamente stupefacente ignoranza della natura umana e della vita che è propria dei magistrati inglesi, spesso contribuiscono a ingannarli. Questi processi illustrano ampiamente i sentimenti e le opinioni del volgo nei confronti della libertà umana. Ben lungi da attribuire un qualsiasi valore all'individualità – ben lungi da rispettare il diritto dell'individuo a comportarsi, in cose di scarsa importanza, secondo il proprio giudizio e le proprie inclinazioni –, giudici e giurati non riescono neppure a concepire che una persona sana di mente possa desiderare una libertà del genere. Quando una volta si proponeva che gli atei fossero mandati al rogo, le persone caritatevoli suggerivano di mandarli invece in manicomio; oggi non sarebbe sorprendente che lo si facesse, e che gli autori si congratulassero con se stessi perché, invece di scatenare una persecuzione religiosa, hanno scelto un modo di trattare questi sfortunati così cristiano e umano, fonte anche di tacita soddisfazione perché gli atei hanno così ottenuto quel che si meritano.

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