Il testamento della più importante azione culturale degli Anni Novanta.
Totò, Peppino e la guerra psichica (Luther Blissett )
(Release 2.0) Prefazione a ripubblicazione di TP&LGP, Febbraio 2000 / Parte1 | Parte 2
 
Per Gianni B., the brain behind (al zarvéll dadrè)
Tecniche di sabotaggio mediatico

"La guerra si fonda sull'inganno", scrive Sunzi. E l'inganno ha le sue regole, dettate dall'esclusivo criterio dell'efficacia. Per essere efficace, l'inganno deve essere ordito come la tela di un ragno, con metodo ed estrema dovizia di particolari. "L'abbondanza dei calcoli assicura la vittoria, e una loro scarsità la impedisce". Il nemico si sconfigge prima di incontrarlo in battaglia, prevedendo le sue mosse.
Per attirare l'operatore dei mass media (il cacciatore di notizie) nella rete occorre agire sul margine di verificabilità della notizia che si intende spacciare. Ogni notizia ha una suo nucleo verificabile e una vasta e tratteggiata zona di inverificabilità, che definiremo penombra. Normalmente il giornalista/cronista sfrutta la zona di penombra - attraversata da leggende metropolitane, dicerie, voci di corridoio, "si dice" - per fabulare senza limiti, infarcire e confezionare la notizia nel modo più vendibile possibile. Così anche il guerrigliero mediatico, il truffatore, gioca sul rapporto stretto tra il nucleo di verità (o meglio di verificabilità) e la vasta area di penombra che circonda una notizia.
La penombra è il terreno di gioco tra il mass media e il guerrigliero mediatico.
Markus Wolf, detto Misha, per trent'anni capo dei servizi segreti della Germania Est, l'uomo che mise in circolazione la leggenda secondo cui l'Aids sarebbe un virus creato in laboratorio dagli americani per la guerra batteriologica e poi sfuggito al loro controllo, afferma: "la disinformazione deve sempre basarsi su un sostrato di verità".
L'azione di guerriglia mediatica deve sempre trovare spunti nella realtà, nell'accaduto; lo spaccio di notizie false, la truffa mediatica, non può basarsi solo sulla fantasia: occorre modificare la realtà, ovvero in-formarla, ma senza che il cacciatore di notizie possa accorgersene. Questi non deve poter distinguere tra realtà e fabulazione, occorre fargli credere di avere il controllo assoluto sul materiale a disposizione. Occorre insomma sfruttare la sua stessa presunzione professionale.
Torniamo a Sunzi : "Chi sa far muovere l'avversario lo costringe ad adattarsi alla propria disposizione e gli offre qualcosa che non può non prendere. Lo fa muovere con la speranza di un vantaggio, e con le truppe lo attende al varco".
Anche Von Clausewitz concorda su questo punto: "L'uomo astuto lascia che la sua vittima commetta da sé quell'errore di apprezzamento che, traducendosi in definitiva in un risultato, modifica repentinamente agli sguardi dell'ingannato l'essenza delle cose".
Il giornalista cacciatore di notizie va attirato con un'esca appetitosa e apparentemente casuale. Deve credere di esserci arrivato da solo. Si sta parlando della stessa tecnica adottata dai servizi di controspionaggio nei confronti delle "talpe". Una volta identificato un infiltrato, invece di bruciarlo, si comincia a passargli notizie distorte o false, che la spia riporterà ai suoi committenti come se fossero il frutto della propria attività.
Sunzi definisce la zona d'azione delle spie "Yongjiang", cioè "spazio intermedio". è su questo spazio intermedio che si spalanca il margine dell'azione di guerriglia mediatica. I cacciatori di notizie sono talpe, che credono di vedere tutto chiaramente, ma in realtà sono cieche.
Se analizziamo l'esempio della beffa a "Chi l'ha visto?" risulterà tutto molto chiaro.
L'appetibilità della sparizione di Harry Kipper nasceva dal fatto che si trattava di un personaggio originale, e l'ambiente in cui si muoveva lo era altrettanto: artisti sui generis, radio indipendenti, gruppi giovanili, sottoculture. La storia da raccontare era anch'essa molto accattivante.
Quando si è trovata sui luoghi attraversati da Kipper, la troupe della Rai ha potuto raccogliere prove concrete e testimonianze del suo passaggio: gente che lo aveva ospitato, amici, oggetti dimenticati, ecc. Questo era il nucleo verificabile della notizia: i segni del passaggio e dell'esistenza di Harry Kipper. Quello che i cacciatori-talpe non potevano prevedere era che queste prove erano state costruite ad hoc. La coordinazione tra i tre gruppi di truffatori (Bologna, Udine, Londra) ha dato il tocco finale di verosimiglianza a tutta la costruzione. Poco importa che il servizio sulla sparizione di Kipper non sia andato in onda, perché si erano già raccolti tutti gli elementi necessari per trasformare in zimbelli i segugi di "Chi l'ha visto?".

La guerriglia mediatica è un metodo omeopatico di difesa dall'ingerenza/presenza dei mass media nell'immaginario collettivo e nella nostra vita. Rivoltando contro i media le loro stesse armi, e dando il più ampio margine di notorietà alla cosa, si pubblicizza un nuovo modo di fruire i mass media, interattivo e paritario, in cui la potenza dei grandi mezzi di comunicazione di massa viene ridimensionata, messa in ridicolo, e la coglionaggine degli operatori del settore risulta lampante.
Ma non solo. In alcune circostanze, e con una valenza assolutamente contingente, tattica, la guerriglia mediatica si presta ad essere integrata in strategie di più classica controinformazione. Ad esempio la beffa di Viterbo ha dimostrato che un qualsiasi mitomane o anche solo un burlone che spruzza benzina su una leggenda metropolitana un po' morbosa, o ancora un santone a caccia di pubblicità, offrono ai mass media materiale sufficiente per trasformare il folklore metallaro satanista in "emergenza morale". E questo grazie al pressapochismo e alla malafede degli operatori del settore. In questo caso l'azione omeopatica di guerriglia è la risposta alle ignominiose campagne di allarme sociale sulle sette di cui i media si fanno volentieri megafono. Qualora ad esempio, in un contesto di controinchiesta giornalistica, si volesse puntare l'indice sulla consueta prassi di "sbattere il mostro in prima pagina", la guerriglia mediatica può risultare un'efficace contromisura.

Comunicazione-guerriglia

"La massima abilità nel disporre le truppe sta nel non avere forma certa. In tal modo, chi si infiltri in profondità non può decifrarla, e gli esperti non possono ordire piani. è basandosi sulla disposizione che si determina la vittoria, ma la massa non può capire come.
Tutti possono conoscere i risvolti esterni del mio successo, ma nessuno può capire il disegno interno che lo determina.
In caso di vittoria è bene non ripetersi, adottando un'inesauribile varietà dispositiva.
La disposizione delle truppe deve somigliare all'acqua. Come l'acqua, nel suo movimento, scende dall'alto e si raccoglie in basso, così le truppe devono evitare i punti di forza e concentrarsi sui vuoti. Come l'acqua regola il suo scorrere in base al terreno, così l'esercito deve costruire la vittoria adattandosi al nemico."
(Sunzi)

Questi pochi capoversi sono da ritenersi tra i più importanti di tutta la teoria bellica. Il "non avere forma certa" e la "inesauribile varietà dispositiva", insieme alla teoria dei vuoti e dei pieni, vanno assunti come veri e propri assiomi per la comunicazione-guerriglia, di cui la guerriglia mediatica non è che una parte, una delle tante pratiche possibili.
Nel caso in questione, Blissett non ha mai smesso di accompagnare alla guerriglia mediatica forme di comunicazione "in positivo", attraverso i media classici.
Gli albori del Luther Blissett Project hanno visto una prima diffusione mirata della fama e delle gesta del Multiplo tramite onde radio, carta stampata, reti telematiche, e azioni corporee (performative).
Il primo medium ad essere utilizzato "in positivo" da Blissett è stata ad esempio la radio. Radio Blissett era una trasmissione locale (Bologna e Roma) che ha richiamato l'attenzione anche della stampa nazionale, i cui redattori si chiamavano tutti Luther Blissett e usavano la prima persona singolare per riferirsi indistintamente alle gesta proprie e degli altri. Nello stesso arco di tempo uscivano nel circuito della distribuzione underground (centri sociali, librerie dell'ultrasinistra, ecc.) i tre numeri della prima rivista ("Luther Blissett - rivista mondiale di guerra psichica"), a cui sarebbe seguita una seconda serie, tre anni dopo ("I Quaderni Rossi di Luther Blissett").
Su Internet, luogo prediletto di mitopoiesi e mitogenesi, intanto andavano prolificando i siti in cui Luther Blissett compariva a vari livelli: come argomento e/o firmatario di documenti e pagine web, come partecipante a gruppi di discussione, come saggista e quant'altro.
Ancora in questa prima fase tattica ha consumato la propria vita il Teatro Situazionautico Luther Blissett, di cui in alcune città italiane si conserva ancora memoria per le performance di strada, in grado di radunare e coinvolgere alcune centinaia di persone (mescolando pubblico e attori).
A questo si aggiunge una prima serie di pubblicazioni a carattere saggistico (nonché "pubblicitario") per l'editoria minore. Mind Invaders (di cui trovate riprodotte le parti più succose in questo volume) e Totò, Peppino e la guerra psichica (riprodotto integralmente), uscirono agli albori del progetto nelle collane di piccole case editrici.
Non da ultimo Blissett ha prestato la propria fama e le proprie energie per condurre una battaglia di controinformazione sulla malagiustizia italiana, sulle campagne stampa di demonizzazione e mostrificazione di presunti colpevoli, e sulla prassi inquisitoriale mantenuta da fior fior di magistrati. I due testi di riferimento sono Lasciate che i bimbi - "pedofilia": un pretesto per la caccia alle streghe, e Nemici dello stato - criminali, "mostri" e leggi speciali nella società di controllo, entrambi usciti per piccoli editori romani.
A tutto questo fanno da corollario le innumerevoli comparsate e il coinvolgimento diretto di Blissett su fanzine autoprodotte, riviste, bollettini telematici, trasmissioni televisive, romanzi (sono almeno cinque le opere di narrativa in cui Luther Blissett compare come personaggio).

Tanto l'uso dei media minori quanto la guerriglia mediatica a danno dei grandi mezzi di comunicazione di massa non vanno visti soltanto come momenti puramente bellici. Nell'economia dell'assalto alla cultura pop lanciato da Blissett, nell'economia dell'intera "Operazione Blissett", essi sono anche momenti dialettici della creazione della fama del Multiplo. Beffare giornali e tv, cosiccome produrre una letteratura blissettiana (per quanto di nicchia) sono pratiche altamente "pubblicitarie", nel senso che si prestano ad essere esaltate dai media stessi e a coinvolgere un numero imprecisato di persone. La fama di Blissett come Robin Hood della comunicazione è una tappa essenziale per gli sviluppi che seguono, nella misura in cui questo personaggio virtuale (o chi per lui) deciderà di compiere un salto qualitativo-strategico e spendere questa reputazione a un livello più alto.
Il fatto di poter contare su un esercito invisibile e quindi innumerabile aumenta la potenza della leggenda di Luther Blissett, facendone un'incognita del mainstream culturale: il fattore LB.
Tanto per esemplificare il potere di suggestione che una leggenda, un mito, può esercitare, è sufficiente rivelare che alcune delle più clamorose beffe di Luther Blissett ai danni dei media non sono mai state rivendicate da Luther Blissett e in alcuni casi non sono mai state progettate come tali, ma sono state attribuite al Multiplo dagli stessi operatori dei media. La paura di cadere in una trappola di Blissett è stata in alcune occasioni così forte da far gridare "al lupo!" anche quando del lupo non c'era traccia. Pura arte marziale: quando l'avversario diventa il nemico di se stesso, quando metti a segno un colpo senza muovere un dito, allora sai di avere la vittoria in tasca.
Questa tattica è esemplificata nel film di Bryan Singer del 1995 I soliti sospetti, in cui l'invisibile supercriminale Keiser Soze costruisce un mito di sé mostruosamente esteso ed esagerato, per fare nascere il dubbio che si tratti quasi di un'entità ultraumana, o appunto di una leggenda della delinquenza organizzata: una sorta di Robin Hood cattivo, uno spauracchio privo di consistenza corporea. Questo dubbio non solo è funzionale ad avvolgere il Kaiser Soze in carne ed ossa in una spessa cortina di nebbia che disorienta gli sbirri, ma soprattutto mantiene nella vaghezza il potere reale di questo principe nero del crimine, impedendo ai suoi nemici e alle sue vittime di tutelarsi in qualsiasi modo. La battuta che suggella il perfetto funzionamento della leggenda è la risposta che dà il personaggio di Verbal Kint, quando gli viene chiesto perché, avendo avuto a tiro Kaiser Soze non gli abbia sparato: "Come fai a sparare al Diavolo? E se sbagli?".
È questo il processo psicologico che va inculcato nell'avversario: la paralisi preventiva per paura che una qualsiasi mossa si riveli controproducente.
Gli anni Novanta del XX secolo ci hanno consegnato un Kaiser Soze reale, che si è mosso nelle pieghe della guerra nella ex-Jugoslavia. Il Comandante Arkan, capo delle milizie più crudeli e fanatiche dell'esercito serbo, è un fine conoscitore della comunicazione-guerriglia. Questo scaltro tagliagole, su cui pendono svariate condanne del Tribunale dell'Aja, ha costruito nel corso degli anni il mito di se stesso in funzione della guerra etnica. Durante il conflitto serbo-croato-bosniaco era solito accompagnare i cronisti occidentali sui luoghi in cui i suoi miliziani compivano le peggiori efferatezze ai danni della popolazione civile. La pubblicità negativa che questi avrebbero riportato su giornali e televisioni si sarebbe rivelata utilissima per Arkan. Il messaggio era semplice: "Ecco, vedete quale trattamento riserviamo a chi incrocia la nostra strada". Da quel momento, Arkan e i suoi aguzzini potevano anche risparmiare le energie, perché i racconti dei giornalisti occidentali sarebbero valsi più di dieci azioni reali. Lo stesso è valso per la costruzione di un'iconografia adeguata alle aspettative create. C'è ancora chi giura di aver visto il Comandante Arkan passeggiare tranquillamente per le strade bombardate di Vukovar con un cucciolo di tigre in braccio. E ha fatto il giro del mondo la fotografia di Arkan con una spada medievale in mano dopo il bombardamento Nato del più lussuoso albergo di Belgrado. Ancora, i profughi kossovari raccontavano ai giornalisti occidentali di aver visto le Tigri di Arkan strappare gli occhi ai neonati con le mani e mangiare il cuore delle loro vittime.
Quando è scoppiata la guerra tra la Nato e la Jugoslavia, a Pristina, capitale del Kossovo, si sparse la voce che stava arrivando Arkan. Addirittura l'inviato di Radio Radicale sostenne di avere avvistato il suo autista personale. La conseguenza fu l'accelerazione del fuggi fuggi generale dei kossovari, ovvero della pulizia etnica propugnata dal governo serbo. In realtà Arkan e i suoi non sono mai usciti dai confini della Serbia per tutta la durata del conflitto, e anzi, forse non hanno nemmeno mai lasciato Belgrado. Eppure sono stati numerosi gli avvistamenti e le segnalazioni in varie zone del teatro bellico. Non ci sarebbe da meravigliarsi se si scoprisse che è stato Arkan medesimo a spargere quelle voci. Pura comunicazione-guerriglia: assecondare e incentivare il terrore dell'avversario; dargli quello che si aspetta, ma moltiplicato per cento.

Torniamo a Blissett. L'idea che sottende il Luther Blissett Project fin dalle sue origini è quella di creare un fantasma che conduca il libertarismo fuori dall'underground, dal cul-de-sac del centrosocialismo reale, dalle nicchie di militantismo o militontismo in cui è rimasto per quasi un ventennio, immettendolo nuovamente nell'overground, nel mainstream culturale. Si tratta insomma di usare questo spettro collettivo, questo fantomatico eroe popolare mosso da migliaia di fili, per fare irrompere nella cultura pop un mito di lotta. Un mito ludico, scaltro, accattivante, efficace, per l'appunto "pop", che pubblicizza una visione della vita e della lotta di classe libera e felice, lontana dagli errori/orrori del Novecento.
"Se Blissett ha deciso di destabilizzare la cultura è solo perché lo ritiene più efficace che sparare ad altezza d'uomo in mezzo alla folla!", si può leggere nella prima rivista firmata dal Multiplo. L'assalto alla cultura è ben lungi dall'esaurirsi nelle beffe mediatiche, o nel mantenimento di una nicchia di consumo per prodotti sottoculturali. L'assalto alla cultura di Luther Blissett - o comunque si chiamerà l'eroe eponimo che "nominerà" tale assalto nel prossimo millennio - non ha senso se non nella prospettiva di un graduale sviluppo, di una Lunga Marcia che porti all'acquisizione di sempre maggiore peso specifico e autorità nei confronti della grande industria culturale e dell'immaginario collettivo. Il potere contrattuale acquisito da Blissett negli ultimi cinque anni del XX secolo è soltanto l'inizio, oltreché la dimostrazione che si può fare.

Dien Bien Q

"Il 13 marzo 1954 segnò l'inizio della seconda fase della campagna di inverno-primavera. Aprimmo la grande offensiva contro il campo trincerato di Dien Bien Phu, e ciò apportò un elemento nuovo nella fisionomia della guerra. Attenendoci saldamente alla parola d'ordine: dinamismo, iniziativa, mobilità, decisione istantanea di fronte alle situazioni nuove, e sfruttando per il meglio i nostri vantaggi sul fronte di Dien Bien Phu, avevamo modificato la nostra tattica e diretto il nostro attacco principale contro il più potente campo trincerato del Corpo di spedizione. Sul fronte principale, le nostre unità regolari non avevano più il compito di accerchiare e di bloccare la guarnigione, ma di passare all'attacco e di concentrare le forze per annientare il nemico. Gli altri fronti del Centro, del Sud e del Nord dovevano mantenersi in costante attività, in coordinazione con Dien Bien Phu, per infliggere nuove perdite al nemico."
Generale Vo Nguyen Giap, Guerra del popolo, esercito del popolo, 1961.

 

Come suggeriscono tutti i grandi teorici della guerra, è sempre necessario scartare da una qualsiasi tattica che sia diventata prevedibile.
Dopo aver costruito passo passo la rete di sentieri di montagna e tunnel intorno all'altopiano, conquistando a Blissett un peso specifico nei confronti dell'industria dell'informazione e della cultura, diventa necessario spendere tale peso e pianificare l'offensiva in grande stile. Accerchiato il nemico, giunge l'ora di puntare direttamente al centro del campo avversario.

Questa linea, che non prevedeva attacchi diretti ai campi trincerati, ci aveva permesso di conseguire molteplici successi. Ma non era l'unica possibilità di azione che fosse a nostra disposizione. Potevamo attaccare direttamente questi campi per annientare il nemico anche all'interno del suo nuovo dispositivo di difesa. D'altro canto solo la distruzione dei campi trincerati poteva modificare la fisionomia della guerra, aprire la via a nuove vittorie per il nostro esercito, per il nostro popolo. (Gen. Vo Nguyen Giap).

Nell'ipotesi di una guerra di lungo corso, la guerriglia "boschiva" di confine, nella giungla, è un momento che va superato. O meglio è una tattica che deve poter essere adattata a nuove tipologie di terreno. Gli obiettivi devono essere sempre più ambiziosi. Si vince studiando sempre nuovi piani d'attacco, non difendendo le posizioni guadagnate. La questione è semplice: dopo le sue innumerevoli scorribande ai danni del castello, il Waldganger può uscire dalla macchia ed entrare nella roccaforte nemica con tutto il peso della propria leggenda? Ovvero è possibile muovere l'attacco dall'interno della cittadella dell'industria culturale?
è assolutamente evidente che - come indica il generale Giap - le due forme di conduzione del conflitto, la guerriglia boschiva e l'uscita allo scoperto, devono andare insieme, devono essere complementari. Nel caso dell'attacco diretto o dell'infiltrazione nel campo avversario, la figura dell'eroe tende a slittare dal Waldganger al trickster. è su questo secondo aspetto che si pone l'accento, spostandosi metaforicamente da un paesaggio silvestre a uno metropolitano: dalla foresta di Sherwood al castello di Nottingham. Come nei film di Leone e Kurosawa, il trickster mostra la sua faccia e mette le proprie capacità a disposizione di potenti clan; ma in realtà sta agendo secondo un piano, che prevede lo sfruttamento dei mezzi messigli a disposizione dai grandi boss per il proprio esclusivo tornaconto e, in definitiva, a danno di quest'ultimi. Fuor di metafora il trickster è uno scaltro truffatore che sa muoversi nelle stanze del potere culturale come un pesce nell'oceano, forzando i limiti strutturali di sistema e guadagnando per sé un varco, attraverso il quale altri potranno passare. è il vecchio trucco del cavallo di Troia... (è interessante notare che proprio una grande figura di trickster, di scaltro imbroglione, è alla base della cultura occidentale: quella di Odisseo/Ulisse).
Dopo anni in cui Luther Blissett aveva fatto parlare di sé in lungo e in largo, dopo che la leggenda aveva fatto il giro del mondo per tornare rafforzata e moltiplicata nelle mani dei guerriglieri, era prevedibile che la stessa industria culturale più volte beffata e sabotata offrisse a Blissett un grado nel proprio esercito. Se sei un bravo pistolero, è quasi certo che i grandi clan si contenderanno i tuoi servigi. Il capitale non crea nulla, recupera tutto.
Bisognava essere pronti a quella circostanza. Innanzi tutto spiazzando subito le aspettative di chi avrebbe fatto la prima proposta.
Il campo battezzato da Blissett per fare la sua prima comparsa nell'overground dell'industria culturale è stato quello della narrativa.
Si trattava di pianificare un'azione dirompente, il lancio di un best seller atipico, che disorientasse i mass media costringendoli a parlare dell'opera di Blissett per il suo valore specifico e non solo come l'ennesima fantasia dei "giovani pirati mediatici". Ciò che tutti si sarebbero aspettati da Blissett in questo campo era un agilissimo romanzo ipercontemporaneo, magari fantascientifico, in cui le solite "nuove tecnologie" e gli hackers avrebbero giocato il ruolo dei protagonisti assoluti.
Quello che è stato proposto è una spy story di seicentocinquanta pagine, ambientata nel XVI secolo, che va in totale controtendenza rispetto a quanto prodotto dalla narrativa italiana negli ultimi anni.
L'Operazione "Q" (dal titolo del romanzo) avrebbe comportato un salto qualitativo nella conduzione della guerriglia culturale. Questo sarebbe stato vero anche per coloro che, pur utilizzando il nome multiplo, non avessero avuto niente a che fare con l'operazione in questione, perché comunque niente sarebbe stato più come prima.
Con l'uscita del romanzo Q nel 1999 la fama di Luther Blissett ha toccato i suoi massimi storici e si è inaugurata una seconda fase, non più necessariamente legata all'uso di questo nome collettivo, ma che apre prospettive nuove. Per dirla con il Generale Giap, l'Operazione "Q" dà l'avvio all'offensiva contro Dien Bien Phu, affiancando al Waldganger un trickster promettente. Robin Hood e Yojimbo uniti nella lotta.
L'Operazione "Q" è una sortita, un'azione di commando condotta da un manipolo scelto che deve aprire un varco praticabile collettivamente ed evolversi in qualcosa di strategicamente definito e ancor più efficace. Si tratta di guadagnare posizioni nel campo nemico, impiantare un centro operativo nelle sue retrovie, installarsi sull'altopiano e continuare a colpire dall'interno.
Un piano i cui dettagli e fini appartengono alla storia che vivremo.

III. Assalto finale

Nessuna favola che si rispetti fa a meno di un eroe e di un antagonista. Nei miti di lotta, l'eroe ribelle dimostra la sua invulnerabilità affrontando e superando molti pericoli mortali, mentre il suo potente nemico ottiene lo stesso risultato con opposta strategia: tenendo il più possibile distanti tutte le insidie. Chiaramente, l'insidia che egli teme di più è incarnata dall'eroe stesso.
Proprio a causa di questa opposizione, il ribelle che si dà alla macchia, prototipo mitico di Luther Blissett, corre il grave rischio di risultare funzionale alla logica paranoica del potere. Il bosco infatti non è mai addossato alle mura del castello, a dividerli ci sono pascoli e campi, strade e corsi d'acqua. Il bosco è distante, separato dal borgo, esattamente come il nemico vuole che sia. Non ci si deve illudere, darsi alla macchia non basta: il potente cercherà sempre di delimitare e circoscrive la base strategica dei nemici, per rendere meno efficace e insidiosa la loro strategia.

Fin dalle origini abbiamo assistito al tentativo da parte dei media di legare il "fenomeno" Blissett alla sola città di Bologna e di presentarlo come parto di un mondo lontano fatto di Internet, ambienti dell'autonomia, centri sociali, sesso estremo, nuove droghe, rave, piercing. In sostanza, una versione cyber-underground di quell'altrove (il bosco, l'Inferno, il sottosuolo, il Regno della Paura) da cui provengono tutte le inquietudini, rese meno spaventose proprio per la loro appartenenza ad un luogo preciso e distante.
Il tentativo di traguardare la posizione di Blissett si basa naturalmente su alcuni punti di riferimento reali: Luther opera anche a Bologna, si serve anche di Internet, pratica volentieri il sesso estremo. Altri elementi sono invece del tutto folkloristici: l'unico Blissett veramente dedito al piercing che io conosca compare in un romanzo di Carlo Lucarelli, mentre uno dei primi documenti del Multiplo recitava senza mezzi termini:

Non più un uomo né un soldo per il centrosocialismo reale. Intendo disvelare le contraddizioni in città, non nasconderle tra quattro pareti di merda, riproducendo abitudine e indolenza.

La presa di distanza dall'ambiente dei centri sociali appare subito piuttosto netta.
Un'altra area nella quale si è preteso di collocare le azioni del Multiplo è quella della teoria situazionista. In particolare, le riviste più radical-chic e intellettualoidi hanno citato a più riprese Guy Debord come ispiratore delle pratiche di Luther Blissett (critica alla società dello spettacolo, psicogeografia e via discorrendo). Non a caso erano i tempi del revival pro-situ e del suicidio del medesimo Debord. Alcune idee di Blissett si riferivano chiaramente a quel movimento, ma in forme che sarebbero piaciute ad espulsi dell'Internazionale Situazionista come Asger Jorn, piuttosto che a "Guido il Noioso" (Guy The Bore). LB fece uscire proprio in quel periodo un pamphlet dal titolo molto indicativo: Guy Debord is really dead (Guy Debord è morto davvero), un violento attacco al padre-padrone del situazionismo, non tanto per rinnegarlo (non ce n'era bisogno), quanto per liquidarlo definitivamente.

Come si vede, simili mosse del nemico non vanno lasciate senza risposta. Non si può pensare che nascondersi nella macchia sia un gesto sufficiente per mettere in crisi il potere. Inizialmente le ombre del bosco possono confondere l'identità e permettere di sfuggire al costante tentativo del potente di afferrare la sua preda. Ma non basta, la battaglia contro l'identità dev'essere combattuta fino in fondo. Quando all'interno del bosco ci si comincia a sentire assediati, significa che si è stati infettati dalla stessa paranoia che contraddistingue il nemico. E, inevitabilmente, che si è cominciato a fare il suo stesso gioco. Come dice Kong Qiu (Confucio) commentando lo Yijing (I-Ching): "La rovina minaccia quando si cerca di mantenere il proprio possesso. Lo scompiglio nasce dove si è fatto ordine."

Se l'avversario cerca di localizzare la nostra posizione su una cartina, tanto meglio per noi. Non faremo di tutto per sottrargli quella mappa o per difendere la nostra posizione: piazzeremo trappole laddove egli è convinto di trovarci, prepareremo un bagaglio leggero e calzeremo comode scarpe da trekking.

Ci sono due azioni che illustrano bene in che modo Luther Blissett ha ridicolizzato i media che cercavano di localizzarlo: la beffa a "Chi l'ha visto?" e quella alla Mondadori.
Nella trasmissione televisiva "Chi l'ha visto?" si celebra in maniera fin troppo scoperta una delle caratteristiche del potente: la capacità di spiare chiunque. L'animale predatore dimostra la sua superiorità su tutti gli animali che è in grado di spiare, raggiungere e afferrare. Quante più persone si è in grado di tenere sotto controllo, tante più si possono potenzialmente afferrare. Uno stato democratico e buonista non può stringere chiunque in una morsa carceraria, ma potendo determinare la posizione di qualunque cittadino ricorda a tutti che la distanza tra potenza e atto è spesso dovuta a semplici ragioni di opportunità politica.
Dimostrare che le troupes di "Chi l'ha visto?" possono facilmente inseguire un fantasma, arrivando fino a Londra per cercarne le tracce, è una tappa fondamentale nel tentativo di disinnescare l'armamentario del nemico.
Se "Chi l'ha visto?" ha inutilmente cercato un individuo il cui volto è stato ottenuto dal morphing di ritratti fotografici del secolo scorso, la casa editrice di Segrate ha in qualche modo tentato di raggiungere quello stesso individuo, ormai noto con il nome di Luther Blissett. Giuseppe Genna, il curatore dello pseudo-libro di Blissett uscito per Mondadori con tanto di copyright, ha creduto di scovare il Multiplo nel suo territorio: la Rete. Ha saccheggiato a piene mani un sito appositamente riempito di porcherie in stile piercing, rave, sesso estremo e banalità retaiole di ogni genere. Prima ancora che il libro uscisse, Blissett lo ha puntualmente sputtanato su tutti i giornali, determinandone il flop più totale.
Il tentativo di spiare e raggiungere L.B. è dunque destinato a fallire. Chi cerca di avvicinarsi a Blissett per afferrarlo, rimane vittima dei suoi tranelli. Non resta che sottomettersi, chiosando qualsiasi informazione sul suo conto con parole simili a quelle di Diego Gabutti su "Il Giorno": "Persino questa notizia potrebbe averla diffusa lui, il grande terrorista mediatico."

Bisogna chiedersi, a questo punto, se il nostro eroe non abbia riprodotto in sé classiche paranoie e tipici meccanismi del potente: evitare di farsi spiare, sottrarsi al contatto, soggiogare il nemico costringendolo alla lusinga. Non è così. Come recita il Tao te ching (Daodejing):

Colui che sentendosi gallo si comporta da gallina è il burrone del mondo: la Forza vi penetra dentro come acqua in una gola di montagna e non ne fluisce più via.

Abbiamo sempre detto che Luther gioca la partita del mito soltanto per reinventarne i parametri: riconosce in sé il paradigma dell'eroe di lotta, eppure ne altera le caratteristiche per trasformarsi in qualcosa di più androgino che virile. Blissett non si sottrae, si offre. Non allontana il nemico con bastioni e fossati per chiudersi nella difesa dell'ennesima Fort Alamo. Egli si mette nelle mani dell'avversario e all'ultimo momento scompare, o insinua nell'antagonista il dubbio di averlo realmente catturato. Blissett non è solo attaccare e nascondersi, egli dispone trappole, anzi, si dispone come trappola, come una donna accogliente che nasconda in grembo l'insidia. Tutto questo grazie alle sue capacità di metamorfosi e al suo elevato potenziale infettivo.
Ricordate il duello tra la maga Magò e Mago Merlino ne La spada nella roccia di Walt Disney? è un classico del folklore di tutti i popoli: i due si sfidano in una successione di mutamenti per cercare di sopraffare l'altro (straordinaria la scena in cui il mago si trasforma in topo e spaventa a morte l'elefante Magò). Alla fine ha la meglio Merlino, nonostante Magò abbia le sembianze di un terribile drago: "Sono un virus contagiosissimo e sconosciuto e tu mi hai preso" è l'ultima battuta di Merlino. Sarebbe ottima anche per Luther.
Nel Ping Fa, Sunzi descrive così la strategia migliore per sconfiggere il nemico:

Chi in cento battaglie riporta cento vittorie, non è il più abile in assoluto: al contrario, chi non dà nemmeno battaglia e sottomette le truppe dell'avversario, è il più abile in assoluto. La strategia migliore consiste nel far fallire i piani dell'avversario, quella più infima nell'attaccare le fortezze.

Non soltanto Blissett ha un aspetto multiforme e un comportamento imprevedibile, egli è dotato di un potere che gli permette di sconfiggere l'avversario senza afferrarlo e stringerlo, gli basta fotterlo dolcemente (è una malattia a trasmissione sessuale) e infettarlo. E, appestandolo, lo guarisce. In questo si differenzia completamente tanto dal tipo paranoica del potente, preoccupato da mille insidie, quanto dal modello maniacale di eroe, alla continua ricerca di pericoli.
Il potente di norma, non si trasforma. Il predatore non si camuffa: fa udire il suo ruggito in tutta la giungla.
L'eroe cerca sempre nuovi e terribili avversari da sconfiggere, va incontro al rischio per provare la propria invulnerabilità. Blissett invece attira a sé i nemici, non li va a cercare, e lo fa per dimostrare a tutti la loro vulnerabilità.
In fondo, la più importante differenza tra Blissett e i protagonisti di un mito di lotta sta nella ragione della lotta stessa. Di solita si tratta di sopravvivere. è l'essere sopravvissuti ad altri (o nonostante altri) che dà gloria e prestigio all'eroe come la potente. Ogni lotta è lotta di sopravvivenza, ma non nel senso banale dell'istinto. Il sopravvissuto si mostra più forte e più scaltro di tutti. Blissett, in questo senso, non è interessato a sopravvivere.

Tra le paranoiche strategie del potente, oltre ad allontanare, spiare, localizzare, raggiungere ed afferrare l'insidioso nemico, c'è quella di sminuirne la fama. Di solito il potente è portato ad amplificare ogni minima fonte di pericolo; di quando in quando però lo coglie il dubbio che proprio questo atteggiamento possa essere controproducente, che un'insidia diventi temibile solo per l'importanza spropositata che le si attribuisce. In questi casi, si prodiga per ridimensionarla. è quello che hanno fatto con il Multiplo moltissimi giornalisti, scrivendo il suo nome con una sola t per minarne la reput/azione e definendo "goliardate" le sue provocazioni. Si tratta chiaramente di un tentativo di rendere innocuo il nemico: egli non è realmente pericoloso, non morde, ride.
Elias Canetti, nel libro che stiamo saccheggiando, Massa e Potere, ha individuato molto bene il significato del riso:

Il riso viene considerato volgare poiché chi ride spalanca la bocca e sfodera i denti. Certo il riso espresse originariamente la gioia dinanzi a una preda o a un cibo che parevano assicurati. Ogni caduta che suscita il riso fa ricordare la condizione indifesa del caduto: volendo lo si potrebbe trattare come preda. Si ride invece di divorare. L'uomo ha imparato a sostituire con un atto simbolico l'effettivo processo di incorporazione.

Nel caso di L.B. accusarlo di voler soltanto ridere è del tutto fuori luogo e denota solo la grande paura dell'avversario, che cerca in tutti i modi di rassicurarsi. Blissett è intrinsecamente pericoloso, tuttavia a rinunciato a imprigionare, divorare, annientare la preda. Tutti questi gesti appartengono alla cultura del suo antagonista. Sono funzionali al suo dimostrarsi sopravvissuto. Il modo più facile per essere tali infatti è uccidere tutti gli altri, una pulsione che, civilizzata, si ritrova in tutte le forme di potere, poiché in ogni comando risiede una potenziale condanna a morte o all'annullamento, e così pure in ogni forma di controllo e sorveglianza.
Nel mito di Luther Blissett l'eroe di lotta deve spogliarsi delle forme di sopravvivenza tipiche del potere, arrivando a rinunciare all'interesse stesso per la sopravvivenza. Altrimenti, una volta che l'eroe avrà acquistato onori e prestigio grazie alla sua condizione di sopravvissuto, quando la sua mania avrà annientato tutte le minacce, egli non potrà fare altro che assumere gli stessi atteggiamenti del potere per perpetrare la sua condizione. Questo è, alla radice, il motivo per cui tanti folk heroes del nostro secolo, tanti guerriglieri, si sono trasformati in tiranni spietati.
La risata di Blissett non è nemmeno, come dice Canetti, un uccidere trattenuto e addomesticato. Non è la risata di chi schernisce: con essa Luther vorrebbe piuttosto infettare tutti quanti, coinvolgere nella sua stessa risata anche le sue vittime, invitandole a prendersi meno sul serio e a modificare i propri atteggiamenti malati. Si tratta di una risata taumaturgica, di un virus che infetta per guarire.
Come detto, nelle società democratiche e civili, il potere sui cittadini non si esercita direttamente attraverso l'uccidere (per quanto la guerra dimostri che non se ne è così lontani), ma simbolicamente e indirettamente attraverso il comando e il controllo. Poiché Luther Blissett è l'eroe che lotta contro svariate forme di potere, prendendo ad esempio della sua azione quella contro i media, è interessante vedere in cosa consiste il loro scettro, ovvero il loro peculiare modo di controllare e comandare.
Tutti conoscono Prometeo, l'eroe che rubò agli dei il segreto del fuoco. Sotto una forma di potere di potere si nasconde sempre un segreto. In particolare, un tesoro misterioso sembra celarsi dietro la forma di comando che i media ci impartiscono: infòrmati, credi o crepa che è solo una versione più specifica del più generico obbedisci o crepa (come anche produci, consuma e/o crepa e sbattiti, fatti, crepa). Poiché l'infosfera è il nostro habitat naturale, non informarsi equivale a non respirare, non credere a rimanere paralizzati. Il movimento cyberpunk ha creduto di poter risolvere in senso prometeico questo problema. Ha pensato di strappare a certi poteri il monopolio dell'informazione, e ha provato a rintracciare con mezzi alternativi notizie attendibili, verità nascoste e deformate.
Oggi risulta chiaro: fare controinformazione non basta. Non ci si libera dello odiato scettro del potere, semplicemente lo si passa in mani più fidate e amiche. Non si sopprime il comando, lo si impartisce nuovamente: Non credere a quello, credi a questo. Non basta fornire a chiunque gli strumenti per navigare in cerca di notizie, scavalcando le agenzie di stampa e le grandi testate giornalistiche. Dopo una simile rivoluzione, tra l'altro piuttosto difficile da realizzare fino in fondo, occorre un passaggio ulteriore, per evitare che certe forme di comando si riproducano.
Luther Blissett non ha dimostrato che chiunque può ottenere le notizie che desidera, ma che ognuno può costruire lo scoop del giornale di domani. Il segreto è che non c'è nessun segreto cui anelare, "persino questa notizia potrebbe averla diffusa lui, il grande terrorista mediatico".
Il segreto è che la composizione chimica dell'infosfera può essere modificata. Fondamentale è conoscere i meccanismi della deformazione delle notizie e della disinformazione e dimostrare di saperli usare. Solo allora si può passare alla controinchiesta (che L.B. non ha mai disdegnato: su tutti, gli esempi di Lasciate che i bimbi e Nemici dello Stato).
Ancora una volta Blissett dimostra il suo disinteresse per gli strumenti della sopravvivenza (è il sentirsi superiore agli dei che spinge Prometeo a rubare il fuoco, molto più che l'interesse per gli uomini). Del resto, paranoia e mania di sopravvivenza finiscono per somigliarsi molto: si tratta di due disperati tentativi di affermare la propria identità. La psicologia dell'eroe di lotta ci mostra che il rischio più grande per un'esperienza ribelle è proprio il desiderio di conservarsi (desiderio inevitabilmente conservatore). Questo desiderio porta a difendere un territorio, a fortificare la macchia in cui ci si è nascosti, a diventare alter ego del potere, emulazioni fallite dello stato, perfettamente funzionali ad esso. Il brigatismo rosso e lo squatterismo torinese ne sono un esempio lampante.
Chiaramente qui non stiamo parlando della sopravvivenza fisica e psichica di un semplice individuo. Non ci sognamo di consigliare a nessuno l'annullamento, il nichilismo non ci interessa affatto. Non desideriamo mettere in discussione la necessità della battaglia per il reddito (di cittadinanza), per la casa, per l'assistenza sanitaria e per altre garanzie.
Luther Blissett si è richiamato al mito dell'eroe di lotta con intenzione mitopoietica, con lo scopo di rimpastarne gli ingredienti, esattamente come il subcomandante Marcos in quel del Chiapas. Se questo mito vuole avere un utilizzo ancora di opposizione, occorre che l'eroe rinunci alla difesa della propria identità.

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