LO SVILUPPO: UN MITO DEL MONDO OCCIDENTALE
di Luciano Vacca (formatore psico-sociale)

Sono due secoli, dalla rivoluzione industriale, che continuiamo a credere nello sviluppo economico infinito del nostro mondo come se fosse una religione nella quale è richiesta la fede e per due secoli abbiamo cercato di esportarlo nell’altra parte del mondo, con metodi che vanno dal colonialismo alla globalizzazione (ancora prima c’erano state le crociate) illudendoci ed illudendo sull’avvento del benessere per tutti.. Abbiamo inventato anche metafore del tipo "il decollo dell’economia", "lo sviluppo durevole". Fino a quando continueremo a prendere in considerazione soltanto il PIL (Prodotto interno Lordo) come variabile che ci indica il benessere sociale, non usciremo da questo avvitamento mondiale. E’ necessario iniziare a prendere in considerazione variabili che indicano realmente la felicità dell’uomo, come quello del reddito, la speranza di vita, il livello di istruzione, i costi sociali e ambientali dei trasporti individuali, il valore monetario dei rapporti non mercantili. Ma quali sono stati i costi umani di questo avvitamento? Ma quali sono stati i risultati della credenza nello sviluppo? Il Sud del mondo che noi abbiamo definito sottosviluppato è sempre più povero e il Nord del mondo, in cui noi viviamo, è sempre più sviluppato. Anzi la dicotomia "sviluppati/sottosviluppati" si è trasformata in "inquinati/sottoinquinati", infatti industrie inquinanti del Nord trasferiscono i loro rifiuti tossici nel Sud. Ma anche in queste due parti ci sono differenze: le classi borghesi nazionali si sono arricchite rapidamente e quelle più povere si sono impoverite. La situazione mondiale sostanzialmente è caratterizzata da miseria e disoccupazione. Questo perché le nostre proiezioni istituzionali a livello di organizzazioni internazionali (vedesi la Banca Mondiale, Fondi Internazionali per la Cooperazione nel Mondo, ecc.) mentre dichiaravano di aiutare i paesi poveri, di fatto aiutavano le classi dominanti di quei paesi ad arricchirsi sempre di più, attraverso una politica di dipendenza in crescendo che ha ridotto i loro bilanci statali all’indebitamento totale con i paesi più ricchi del mondo.

Abbiamo creduto e fatto credere che lo sviluppo personale corrispondesse all’arricchimento materiale, all’accumulazione di capitale, alla capacità di saper sfruttare le risorse naturali del nostro pianeta; di fatto abbiamo creato una situazione dove le grandi città metropolitane sono invivibili, creato burocrazie statali con l’unico scopo di auto-riprodursi e dove l’unico rapporto con la gente è quello della repressione, creato gravi problemi all’ecosistema, pregiudicando la possibilità di vita per le generazioni future sul pianeta.

C’è un fatto nuovo in assoluto però. Con l’inizio del nuovo millennio nasce la globalizzazione: abbiamo la consapevolezza che lo sviluppo è finito, come sono finiti i paradigmi che reggevano questa credenza, ma è iniziato lo smantellamento delle politiche sociali affidate allo Stato, questo fa sì di aumentare il divario tra i paesi ricchi e i paesi poveri ma anche tra ricchi e poveri di tutti i paesi. La realtà virtuale è diventata un rifugio ancora una volta della credenza dello sviluppo possibile per tutti, ma non possiamo più eludere alla domanda "Che fare?". Credo che una risposta possibile sia in un proverbio africano: "tu sei povero perché guardi quello che non hai. Vedi quello che possiedi, vedi quello che sei, e ti scoprirai straordinariamente ricco". Ricorda un po’ quello dei neri che stanchi di essere denigrati hanno proclamato fieramente "black is beautiful": rivendicare la propria esclusione come condizione necessaria per l’autonomia.

Rompere con il modello dominante, come per magia, fa finire la frustrazione provocata dalla impossibile imitazione di uno pseudo-ideale alienante, e le energie che essa aveva finora mobilitate possono essere investite in un processo nuovo: la riscoperta da parte di ciascuno del proprio potere personale. Chi resterà prigioniero dello sviluppo continuerà a misurare tutto con il metro del reddito pro-capite, coloro invece che rompono con questo modello rapidamente accresceranno la loro fiducia in se stessi con la libera iniziativa e ricostruiranno il legame sociale che comporta la solidarietà e il non assoggettamento a nuovi poteri fa emergere nuove possibilità di acquisire nuove risorse.

Milano, 20 Aprile 2007