Stipendi in Italia: 2 lavoratori su 3 non raggiungono i 1300 euro (Fonte)

Lavoro. Indagine Cgil: due lavoratori su tre sono sotto la soglia, uno su tre non arriva a mille. Contratti atipici più diffusi tra le donne, ambiguo il giudizio sulla flessibilità / di Andrea Scarchilli (Sett.2006)

Un italiano su tre (una su due tra le donne) guadagna meno di mille euro al mese, due su tre non vanno oltre i 1300. Sulla flessibilità non emerge un giudizio netto: favorevoli e “impauriti” praticamente si equivalgono. I dati sono quelli di un’indagine Ires – Cgil, realizzata su un campione di 6015 lavoratori. Il titolo della ricerca - presentata nella sede nazionale del sindacato, a Roma - è “L’Italia del lavoro oggi”.

Il 68,6% dei lavoratori italiani guadagna 1.300 euro al mese: tra questi, il 35% del totale percepisce meno di 1.000 euro al mese. Appena il 16% ha uno stipendio superiore ai 1.500 euro. Misurato anche il giudizio sulla flessibilita': il 43% degli intervistati la considera positivamente, un 41% la ritiene fonte di preoccupazione e ansia, mentre un restante 16% la valuta positivamente solo all'ingresso nel mondo del lavoro. Problema prioritario per gli italiani sembra essere quello della pensione: il 30% ha paura che non avra' una pensione adeguata.

Fotografata anche la nota disparità tra i sessi. Le donne guadagnano meno degli uomini: con meno di 1.000 euro si trova il 48,9% delle donne contro il 26,8% degli uomini. Gli uomini, inoltre, superano nettamente le donne nelle classi di guadagno netto mensile piu' elevato (oltre i 1.500 euro), dove si colloca il 20,3% degli uomini contro l'8,5% delle donne.

Le donne, ma pure questo si sapeva, fanno più uso di contratti di lavoro atipici. Li utilizza il 29,1 per cento delle lavoratrici contro il 23,3 per cento degli uomini. E’ occupato part – time il 14,2 per cento degli intervistati, una su quattro tra le donne, sette su cento tra gli uomini.

Gli stipendi dipendono anche dalle dimensioni dell’impresa, dalla collocazione geografica e dalla nazionalità. Se in media un lavoratore dipendente con un contratto di lavoro standard guadagna un salario netto mensile pari a 1.010 euro - spiega la ricerca - questo valore si riduce a 879 se il lavoratore e' occupato in una piccola impresa e si attesta su 950 euro se si lavora nel Mezzogiorno. Questo valore scende a 800 euro se si ha un contratto di lavoro non standard e si attesta a 881 euro se si e' un lavoratore immigrato extracomunitario regolare.

E' tra le giovani generazioni che si registra una maggiore mobilità tra una occupazione e l'altra che spesso e' indice di “instabilità professionale”. L'elevata mobilità, in ogni caso, spiega la ricerca, "non per forza equivale e precarietà lavorativa" anche se "la maggiore mobilita' si registra nelle aree piu' dinamiche del paese". Al contrario al Sud e nelle Isole "e' piu' diffusa la tendenza al secondo lavoro" che rappresenta spesso "una risposta all'insicurezza della condizione lavorativa" perche' coinvolge soprattutto lavoratori “atipici”. Tanto e' vero che i cosiddetti "doppio-lavoratori' guadagnano in media meno degli altri.

Dato significativo, e preoccupante, è che il 43,8% degli intervistati non utilizza la propria formazione scolastica, a dimostrazione di una scarsa valorizzazione del capitale umano. Comunque la maggiore coerenza tra formazione scolastica conseguita e tipo di attivita' lavorativa si rileva in corrispondenza dei livelli di istruzione piu' elevati e differenze estremamente significative si riscontrano tra macro settore privato e pubblica amministrazione. Proprio per questo l'80% dei lavoratori avverte l'esigenza di accrescere il proprio curriculum formativo.

Per il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, l’indagine è una fotografia del lavoro in Italia da cui emerge il "basso livello delle retribuzioni, le differenze territoriali e tra le eta', tra uomini e donne, tra lavoro stabile e lavoro precario". Insomma "un grande problema sociale" che richiederebbe un approfondimento, "una inchiesta sociale" su cui si sono detti d'accordo sia il presidente della Camera Fausto Bertinotti che quello del Senato Franco Marini. Per il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, "la flessibilita' va bene soltanto se si costruiscono percorsi di stabilizzazione in vista del lavoro indeterminato".