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PSICOLOGIA & POLITICA

ALESSANDRO MUSOLINO  - 32 anni, coordinatore nazionale FORUM AIDS ITALIA, Federazione di associazioni di volontariato e di cooperative che si occupano di sieropositivi e di malati di AIDS. La Federazione, che sta cercando di ottenere il riconoscimento del Ministero della Sanità, si occupa di difesa  dei diritti umani e di prevenzione, oltre che seguire l’intervento di aiuto diretto che i gruppi federati realizzano sul territorio nazionale. Assistente Sociale, in servizio presso il SERT 6° della USSL 6 di Milano, è anche coordinatore del settore Assistenza Domiciliare all’interno di ASA (Associazione Solidarietà AIDS) dopo esserne stato Vice Presidente. All’interno di questa Associazione svolge attività di formazione  e di prevenzione. Come docente opera presso la Scuola Infermieri  dell’Ospedale San Paolo di Milano, occupandosi anche dell’aspetto sociopsicologico del rapporto col malato di AIDS  e con la sua famiglia.  Per questi argomenti è anche consulente della CRI di Milano. Ha scritto numerosi articoli sui problemi connessi all’AIDS ed ha partecipato attivamente  a convegni su questo tema.

All’interno del dibattito scientifico sull’origine e la trasmissione dell’AIDS, qual è la tua posizione?

Ritengo che ci sia un comportamento che aumenta il rischio  di contrarre prima l’infezione e successivamente la malattia, ed esso è certamente connesso col rapporto sessuale che rimane la modalità di contagio privilegiata. In tutti i casi studiati  questa è senz’altro la costante, cioè il comportamento  che accomuna tutti, che si riscontra nelle anamnesi di tutti i sieropositivi e dei malati conclamati.

Qual è la tua spiegazione relativamente al fenomeno dell’area gay ed in quella dei tossicodipendenti?

Per quanto riguarda il primo caso è stato certo ingigantito il problema  per il fatto che i primi studi  e le prime ricerche avevano un “campione” se così si può dire, omogeneo. Si trattava cioè di omosessuali e quindi se ne è ricavata l’impressione che questa fosse la situazione pericolosa in maniera privilegiata e che quindi il contagio fosse inevitabile. Per quanto riguarda l’area della tossicodipendenza, nonostante le affermazioni di chi ritiene questa esperienza  strettamente legata all’insorgere della malattia, va ricordato che soprattutto per il passato il rito dello scambio delle siringhe , con conseguente inevitabile “scambio di sangue”  ha certo lasciato i suoi segni. L’ultimo elemento che si ritiene contagioso e di cui si parla frequentemente è relativo al numero dei partners: il rischi aumenta, si dice, col crescere del numero dei partner. Anche questa versione non è esatta,  perché chi si contagia e si ammala è in realtà chi non ha usato protezioni sufficienti nel rapporto sessuale. Torno a ripetere che il comportamento sessuale non è in se pericoloso, ma lo diventa soltanto quando non si usano precauzioni e protezioni.

Sieropositivi e malati conclamati sono oggetto di atteggiamenti e comportamenti che definirei razzisti. Come te ne sei fatto una ragione?

In realtà la stigmatizzazione dei malati è dovuta  a degli stereotipi che riguardano la concezione delle abitudini sessuali alcune delle quali sono considerate scandalose. Alcuni comportamenti sessuali sono ritenuti da biasimare, vergognosi e squalificanti principalmente per l’individuo  malato ma, per estensione, anche per tutta la famiglia.  E’ come se un sieropositivo o un malato, attraverso l’ammissione della loro situazione fisica  confessassero un comportamento  inaccettabile per la società in cui vivono. E’ certamente un luogo comune, ma va detto che ad esso hanno contribuito anche  tutte le false e scorrette informazioni precedenti, che “privilegiano” l’omosessualità come mezzo di contagio, o comunque situazioni eticamente e moralmente condannabili. Ammettere, attraverso la malattia, di aver avuto un comportamento così scandaloso  significa non solo doversene vergognare, ma mettere anche la propria famiglia, gli amici, i parenti in una situazione per lo meno imbarazzante. Da qui il silenzio e la segretezza da un lato e dall’altro l’ostracismo, l’isolamento e la segregazione. D’altronde è naturale: nessuno  vuole essere oggetto di biasimo da parte di una comunità intera. Credo che nonostante si parli tanto di libertà sessuale, in realtà non solo essa non esiste nel concreto, ma certamente non rappresenta un atteggiamento psicologico diffuso. Da qui certo derivano i principali danni di cui si parlava.

E’ questa l’unica conseguenza?

Questo atteggiamento in realtà crea molti problemi  anche dal punto di vista della prevenzione soprattutto  con i giovanissimi che si apprestano ad avere il primo rapporto sessuale. La convinzione comune è spesso quella  che basta non fare sesso con un tossicodipendente o con un gay per preservarsi sani. Invece la cosa non è semplice ed il contagio si può trasmettere ugualmente. Non esiste un alone violaceo che circonda le persone contagiate! E’ qui che dovrebbe intervenire drasticamente la prevenzione che,  ovviamente, si dovrebbe occupare dei NON sieropositivi. Occorre diffondere capillarmente l’informazione  sulle forme di protezione ed i comportamenti non rischiosi.

Cosa fai in questo ambito attraverso le Associazioni di cui fai parte?

Oltre alle normali iniziative nei “luoghi” privilegiati per l’informazione come le scuole  ed i mass media, noi cerchiamo di frequentare e di agire in tutti quei contesti in cui è più difficile che i giovani raccolgano dati su questi temi. Per esempio frequentiamo le discoteche e realizziamo iniziative varie come quella della distribuzione dei profilattici.

Il FORUM ha difficoltà  a raccogliere le adesioni  delle diverse associazioni sparse sul territorio nazionale?

No, non esiste  competizione ma al contrario c’è molta collaborazione, anche se questo spesso ha  anche un costo non solo economico, dal momento che ci si incontra una volta al mese, in città diverse ogni volta per non privilegiare nessuno.

In questo periodo  ci sono molti episodi di intolleranza razziale, non solo nei confronti di chi è malato di AIDS. Tu come li spieghi?

Io sono contro qualsiasi tipo di discriminazione. Credo che chiunque stigmatizza e isola il diverso  si comporti così perché ha problemi personali di autostima e sicurezza. Per cui il punto è  “stabilire la normalità” e rassicurarsi attraverso l’evidenziazione ed il rifiuto del diverso. Si tratta a mio parere di comportamenti fobici, di paura per la propria sopravvivenza portata all’eccesso, di problemi di identità che trovano una soluzione nell’evidenziazione di ciò che è distinto e fuori di noi, col quale non vogliamo assolutamente confrontarci. In realtà lo scambio è necessario, ma i singoli individui sono spesso molto deboli e quasi totalmente privi di capacità di introspezione.

C’è a tuo parere qualcosa che lega i recenti cruenti episodi di razzismo (Algeria eccidi praticati dai musulmani sugli stranieri – n.d.r.) ai comportamenti emarginanti che si possono osservare nei confronti di sieropositivi e malati di AIDS?

In realtà credo di si: da entrambe le parti c’è la convinzione di essere “gli eletti” e per questo riconosciuti. D’altro canto c’è un’immediata associazione fra contatto con malato/sieropositivo e morte.  Infine c’è la causa scatenante della malattia che ha connotazioni come ho già detto eticamente inaccettabili ed insieme è una testimonianza  della ricerca del piacere e dell’appagamento dei propri desideri. Da qui deriva l’ambivalenza  fra il desiderio che piacerebbe appagare e la morte che ne è l’esatto contrario: non è naturale morire da giovani e soprattutto  essere privati in tal modo di ciò cui si ha diritto. Ne deriva un mixaggio che porta al desiderio di “eliminare”  chi è pericoloso.

Quali sono le possibilità di cambiamento di atteggiamenti e comportamenti simili?

Farei delle distinzioni. In Italia credo ci vorrà tanto tempo perché normalmente si tende a delegare il problema, a considerarlo degli altri, di chi è sofferente o malato. La logica è quella di preservarsi disinteressandosi totalmente degli altri.  In più, da noi c’è l’ottica del “rimediare”  anziché prevenire, e quindi anche questa visuale va modificata in futuro. Inoltre la gente sana non riesce a vedere i vantaggi “per se” che potrebbe ricavare da un’operazione di cambiamento. Se consideriamo il mondo intero c’è qualche speranza in più. Olanda ed Inghilterra,  per fare un esempio,  hanno un atteggiamento preventivo più che riparativo, ed hanno più apertura nei confronti dei problemi sessuali; lì il senso di responsabilità individuale nei confronti della omunità è molto sviluppato  e quindi l’intervento preventivo è utilizzato più efficacemente. Resta il fatto che ci sono molti interessi scientifici, economici, di potere e di prestigio che sono legati a questa malattia, per ora incurabile, ma anche alle modalità particolari di diffusione e contagio. Presumo quindi che il cambiamento sarà lento in generale perché l’atteggiamento è superficiale e disinteressato nei confronti delle persone e molto attento ai vantaggi di vario tipo che procurerà la soluzione radicale del problema o anche solo il miglioramento della situazione.

A cura di Margherita Sberna